Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI  (Firenze 6-7-8 dicembre 2008)
 

Sommario

I Lo scenario mondiale

1 - Il mondo oggi
2 - I principali paesi imperialisti
3 - Contraddizioni e alleanze interimperialiste
4 - Il pericolo di guerra imperialista
5 - Crisi finanziaria e economica internazionale
6 - La "globalizzazione"
7 - Le condizioni dei popoli oppressi dall'imperialismo
  Fame, miseria e povertà
  Negazione dei diritti civili e sociali
8 - I popoli contro l'imperialismo
9 - Contro tutte le alleanze imperialiste
Sciogliere l'Onu
Sciogliere la Nato
Sciogliere l'Unione europea

II Lo scenario italiano

10 - La situazione dell'Italia
11 - Berlusconi è il nuovo Mussolini
12 - Il 4° governo Berlusconi
13 - La politica del 4° governo Berlusconi
14 - Il governo Berlusconi e la terza repubblica
15 - Napolitano è il nuovo Vittorio Emanuele
16 - Il federalismo è un pilastro della terza repubblica
17 - Nascita e ruolo del PD
18 - Il naufragio dei partiti della ex Sinistra arcobaleno

III La Questione meridionale

19 - Cosa è e come nasce la Questione meridionale
20 - La criminalità organizzata
21 - La Questione meridionale oggi
22 - Lavoro al Sud
23 - Masse giovanili al Sud
24 - Masse femminili al Sud
25 - Trasporti acqua e servizi al Sud

26 - Il ruolo del PMLI

IV Questioni sociali e lavoro di massa

27 - Il lavoro
  Deregolamentazione dei contratti di lavoro
  Il nuovo attacco di Berlusconi
  La lotta per il lavoro
28 - La questione salariale
  Le nostre rivendicazioni
  No alla "riforma" del contratto nazionale
29 - Pensioni
  Le controriforme pensionistiche
  La privatizzazione
  Le nuove generazioni
  Pensioni di fame
  I privilegiati
  Il PMLI e le pensioni
30 - Sicurezza sul lavoro
31 - Casa
  Affitti a nero e case sfitte
  Affitti alle stelle
  Le nostre principali proposte
32 - Povertà
33 - Riforma e controriforma della sanità
34 - La privatizzazione e il federalismo fiscale affossano il Ssn
35 - Le lotte per la sanità pubblica, gratuita e universale
36 - Il lavoro di massa
37 - Il lavoro sindacale
38 - Fronte unito sindacale

V Questione femminile e diritti civili

39 - Origine della questione femminile
40 - La doppia schiavitù della donna nel capitalismo
41 - L'emancipazione delle donne
42 - La linea femminile borghese
  Familismo cattolico e borghese
  Il femminismo e la teoria della "differenza sessuale"
43 - Le due leve fondamentali dell'emancipazione
  Il lavoro
  La socializzazione del lavoro domestico
44 - L'emancipazione femminile e i diritti civili
  Diritto di famiglia
  Aborto
  Divorzio
  Fecondazione assistita
  Violenza sessuale
  Prostituzione
  Diritti dei LGBT

 

VI Questione ambientale, acqua e rifiuti

45 - L'"effetto serra"
46 - I combustibili fossili e il nucleare
47 - La devastazione e cementificazione del paese
48 - I piani di Berlusconi contro l'ambiente
49 - L'incenerimento e le megadiscariche
50 - La privatizzazione dell'acqua e dei servizi idrici
51 - Gli Ogm, i "brevetti di specie" e i bio-combustibili

VII Scuola e università

52 - Le controriforme scolastiche
53 - Le controriforme universitarie
54 - Scuola e università, pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti
55 - Il movimento studentesco

VIII I giovani

56 - Il ruolo dei giovani
57 - I giovani meridionali
58 - I giovani delle periferie urbane
59 - L'occupazione giovanile
60 - La droga
61 - L'amore e il sesso
62 - Sport e musica
  Sport
  Musica
63 - I giovani, i partiti e il volontariato
64 - I compiti del PMLI sul fronte giovanile

IX Il socialismo in Italia

65 - Il socialismo autentico
66 - La restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti
67 - La strategia del socialismo è una discriminante fondamentale fra veri e falsi comunisti
68 - Il "Socialismo del XXI secolo" non è socialismo
69 - Il socialismo è la mèta del proletariato e delle masse sfruttate e oppresse italiane
70 - Il nostro progetto di socialismo
71 - La via per conquistare il socialismo
72 - La tattica elettorale astensionista
73 - Le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo

X Il PMLI

74 - Il Partito marxista-leninista
75 - Il nostro Partito
  La composizione
  La struttura
  I militanti
  I dirigenti
  Le Cellule
76 - Il PMLI, il lavoro di massa, il fronte unito, le organizzazioni di massa
  Il lavoro di massa
  Il fronte unito
  Le organizzazioni di massa
77 - Che il PMLI diventi un Gigante Rosso anche nel corpo
  I 3 elementi chiave
  Le 4 indicazioni
  Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare
  Il proselitismo
 

I Lo scenario mondiale

1 Il mondo oggi

Attualmente il mondo è dominato dall'imperialismo. Esso è presente dappertutto con i suoi capitali, le sue banche, le sue multinazionali, le sue fabbriche, le sue merci, la sua tecnologia, la sua cultura borghese e reazionaria, in più paesi con le sue armate. Il suo mercato non ha più confini e raramente trova ostacoli nel suo cammino.
Tuttavia l'imperialismo non è un blocco monolitico. Al suo interno esistono delle forti e ineliminabili contraddizioni dovute ai diversi interessi economici, finanziari, commerciali, politici e militari dei vari paesi imperialisti. Quest'ultimi sono uniti nel succhiare il sangue e depredare le ricchezze dei popoli del mondo ma divisi quando si tratta di spartirsi il bottino.
Lo scontro maggiore avviene sempre tra i paesi imperialisti più potenti. Quando si rompono gli equilibri, a causa dello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti, e qualcuno di essi mira ad avere sotto il proprio dominio una parte più grande del mondo.
L'ultimo e più prolungato confronto per l'egemonia mondiale è stato quello tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo sovietico, protrattosi fino al 1990. Poi per oltre un decennio, sino ai primi anni del duemila, la contraddizione principale è stata quella tra gli Usa, l'Unione europea e il Giappone. Oggi si sono aggiunti nell'arena per il dominio imperialista del mondo Russia, Cina e India.

2 I principali paesi imperialisti

Usa. L'imperialismo americano è tuttora il più forte in tutti i campi, il più pericoloso e il più arrogante. Anche se il suo margine di vantaggio, soprattutto a livello economico e finanziario, si sta erodendo in maniera significativa.
Esso non esita a usare il suo mostruoso arsenale bellico contro chi non sotto sta ai suoi ordini o si oppone al suo dominio, che siano Stati o movimenti politici. Le sue aggressioni mascherate come "operazioni umanitarie", "lotta al terrorismo", "difesa degli interessi nazionali", coperte o meno dietro la foglia di fico dell'Onu o della Nato, sono avvenute e avvengono in totale disprezzo del diritto e delle regole internazionali e della sovranità dei paesi.
Le ultime due guerre di aggressione scatenate contro Afghanistan e Iraq esprimono bene la volontà di dominio globale dell'imperialismo Usa, che si propone il controllo geopolitico e militare del Medioriente e delle sue risorse petrolifere e energetiche, da cui dipendono in buona parte anche le economie dell'Unione europea e della Cina, cercando al tempo stesso di condizionarne lo sviluppo futuro.
Gli Usa si trovano da una parte impantanati in Iraq e Afghanistan, dall'altra alle prese con grandi difficoltà economiche e finanziarie. La recessione alle porte, provocata dal calo costante della produzione industriale, un debito estero più alto del mondo, l'emergere di nuove potenze e aree economiche che nonostante il deprezzamento del dollaro minacciano la concorrenza dei suoi prodotti sul mercato mondiale, fino a farne vacillare il primato di più decenni, la disoccupazione in aumento, una condizione di impoverimento della sua popolazione senza precedenti, con un divario nella distribuzione povertà-ricchezza sempre più impressionante, la fuga di capitali all'estero, i crolli ciclici di Wall Street, il fallimento di colossi bancari, la mancanza di liquidità e la recente crisi dei mutui.
Tutti fattori che affondano le radici nella grave decadenza dell'economia reale Usa, dominata dalla speculazione e conseguenza anche di un costo del denaro eccezionalmente basso e del fatto che il dollaro, ricoprendo la funzione di moneta mondiale, ha permesso agli Usa di farsi finanziare per decenni il debito statale ed estero dal resto del mondo.
Appare con chiarezza che gli Usa oggi non sono più in grado di assolvere a quella funzione di dominio e di coordinamento della "globalizzazione" imperialista. E il dollaro non può più continuare ad essere l'unica moneta di riserva e di transazione mondiale. Il suo valore in caduta costante rispetto all'euro non è un effetto occasionale o passeggero bensì strutturale; perché l'Europa è la prima area economica del mondo; perché molte delle grandi potenze imperialiste, a partire da Cina e Russia, vedono nell'euro il futuro monetario del pianeta; perché sempre più paesi produttori di petrolio hanno iniziato a commercializzare questa strategica risorsa in euro e non più in dollari.
Al declino economico e finanziario l'imperialismo americano risponde potenziando la dottrina della guerra "preventiva", "infinita", per tentare di vincere la competizione globale sul terreno militare, dove è di gran lunga il più forte e dove si propone di raggiungere una superiorità schiacciante sul resto del mondo. In questo quadro gli Usa continuano a usare la Nato quale cavallo di Troia per l'espansione a Est, hanno firmato accordi per realizzare lo scudo antimissile in paesi ritenuti strategici in funzione antirussa, lanciano ripetutamente e ciclicamente accuse e minacce contro i paesi sovrani "ribelli".
Con l'elezione di Obama, esponente della "sinistra" imperialista, il popolo americano si è liberato di Bush ma è caduto dalla padella nella brace. La linea del nuovo leader americano si fonda infatti sul nazionalismo, il liberalismo, l'interclassismo e l'egemonismo mondiale degli Stati Uniti. Il suo compito è quello di correggere, aggiustare, la politica di Bush per riportare in auge l'imperialismo americano.
Il suo successo elettorale è stato la conseguenza della promessa di "cambiamento" e del rigetto della politica di Bush cresciuta come una valanga a fronte delle sue responsabilità nella devastante crisi finanziaria e economica.
Significativo è stato il fatto che il grande capitale americano ha elargito più finanziamenti a lui che al suo rivale repubblicano McCain.
Sull'elezione di Obama la "sinistra" borghese a livello mondiale ha sparso pericolose illusioni politiche. Le stesse che seguirono l'elezione dei democratici Kennedy e Clinton. E sappiamo bene come è andata a finire. Con la Baia dei Porci a Cuba e il pericole reale dello scoppio di una terza guerra mondiale nel primo caso e i bombordamenti sull'Iraq appena insediatosi alla Casa Bianca nel secondo.

Ue. Con i suoi attuali 27 paesi membri l'Unione europea è una superpotenza a livello mondiale, il rivale più diretto degli Usa, anche se ancora è legata ad essi da tanti fili e interessi. Un'Unione monopolistica e imperialistica che si espande dall'Atlantico al Baltico, al Mediterraneo, che si avvicina pericolosamente all'Africa e al Medioriente, con una popolazione che è quasi doppia di quella degli Usa, con il più grande mercato mondiale a disposizione.
Nata in funzione degli interessi dei rispettivi monopoli che stanno dietro ai governi nazionali e ne dettano la linea per potersi espandere e conquistare nuovi mercati, l'Ue è fonte di dominio, oppressione, rapina e sfruttamento dei popoli degli Stati che la compongono, ma anche di quelli dell'Est europeo e dei Balcani che non ne fanno parte e del Terzo mondo. Attraverso l'Unione per il mediterraneo lanciata dal presidente francese Sarkozy essa si propone di colonizzare i paesi del Sud che si affacciano sul mediterraneo e di contrastare la presenza degli Usa in quella regione.
Tutto il suo operato è stato a beneficio del grande capitale a cui ha regalato un mercato unico, prima, e una moneta unica, l'euro, e una Banca centrale, poi, che hanno obbligato i paesi aderenti a perseguire politiche ferocemente liberiste e antipopolari. Alla faccia dei magnati e dei tecnocrati legati a Bruxelles che avevano sbandierato l'euro quale panacea di tutti i mali, la moneta unica europea si è apprezzata sul dollaro, mentre il potere d'acquisto delle masse si è pressoché dimezzato.
L'Ue rappresenta un inferno per la classe operaia, i lavoratori e le masse popolari e un paradiso per un pugno di pescecani capitalisti e per tutti i loro rappresentanti politici e istituzionali che ne eseguono i voleri. Lo dimostrano le decine di milioni di disoccupati e poveri, l'attacco concentrico alle conquiste economiche e sociali dei lavoratori e delle masse, le disuguaglianze economiche e sociali tra le varie aree, acuite dall'ingresso dei paesi dell'Est, le disuguaglianze di sesso, la politica fascista e razzista di chiusura blindata contro gli immigrati, la responsabilità al pari degli Usa, dell'inquinamento della terra e dell'aria e la negazione del diritto inalienabile dell'accesso all'acqua come bene comune dell'umanità.
L'Unione europea si è smascherata davanti agli occhi dei popoli, macchiandosi degli stessi crimini imputabili all'imperialismo americano. Ha partecipato a guerre di aggressione imperialiste, contribuito alla cancellazione del diritto internazionale, perpetuato l'inganno della soluzione Onu, chiesto e ottenuto più autonomia decisionale e militare all'interno della Nato.
Tuttora all'interno della superpotenza europea, mentre tutti sono d'accordo sulla necessità di rafforzarla dal punto di vista militare e della politica estera e che parli al mondo con un'unica, forte e autorevole voce presidenzialista e imperialista, permangono contraddizioni su vari punti, che hanno impedito la ratifica della sua Costituzione, bocciata dai referendum popolari di Francia e Olanda nel 2005, così come intralciano l'adozione del più modesto Trattato di Lisbona siglato nel dicembre 2007 e la cui ratifica, per non rischiare il peggio, era stata demandata esclusivamente ai parlamenti nazionali. Salvo l'Irlanda che doveva passare il Trattato al vaglio di un referendum popolare come gli impone la Costituzione. E lo scorso 12 giugno, fra l'indignazione della maggioranza dei governi dell'Unione, il popolo irlandese ha bocciato l'Ue imperialista.

Russia. Grazie all'ampiezza del suo territorio che abbraccia due continenti, alla ricchezza di materie prime (il 50% delle risorse del pianeta), del suo potenziale scientifico, tecnologico e industriale, ancor oggi frustrato dal crollo del socialimperialismo sovietico ma non dissolto, ed il suo apparato militare e nucleare secondo solo a quello degli Stati Uniti, la Russia capitalista e imperialista è rientrata in gioco.
L'aspetto decisivo è da ricercarsi nella svolta avvenuta dopo il tracollo del rublo e la crisi finanziaria del 1998. Il governo del nuovo zar Putin è riuscito a dividere il blocco degli oligarchi che sostenevano il precedente regime di Eltsin, e che con la loro politica di saccheggio del paese e di esportazione massiccia di capitali, sia legale che illegale, avevano messo in ginocchio l'economia capitalista. Una parte di costoro sono stati fatti fuori attraverso inchieste giudiziarie, mentre altri sono giunti ad un compromesso con Putin, scambiando l'impunità giudiziaria con il rientro dei capitali e con un ritorno all'investimento all'interno del paese.
Le devastazioni economiche e sociali dovute al passaggio totale al capitalismo non sono certo state sanate. La stragrande maggioranza della popolazione ha conosciuto le "delizie" del libero mercato capitalistico, mentre pochi grandi gruppi controllano la fetta più grossa dell'economia e agendo in stretta connessione con gli alti gradi dell'apparato statale tentano di conquistare una posizione di prima fila nella politica mondiale.
La stabilizzazione del capitalismo russo che ha cominciato a far sentire la sua influenza sia nell'area ex sovietica che su scala internazionale, ha permesso al nuovo zar del Cremlino dalla fine del 2007 di rilanciare la politica di superpotenza della Russia con al centro nuovi armi atomiche.
La Russia, in risposta al progetto di scudo antimissile degli Usa, ha sospeso il trattato sulle armi convenzionali in modo da poter muovere liberamente truppe e mezzi militari, chiuso le porte a ispezioni straniere ai suoi siti e arsenali e i suoi bombardieri sono tornati in volo permanente su Atlantico e Pacifico. Ha iniziato la corsa alla conquista dell'Artico.
Il nuovo presidente Medvedev, installatosi al Cremlino lo scorso maggio, ha subito reclamato "un nuovo ordine mondiale" in cui si tenga conto dell'accresciuto ruolo della Russia e la forza di divisa di riserva regionale per il rublo.
Con l'intervento militare in Georgia, il riconoscimento dell'indipendenza dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia, la rottura della collaborazione con la Nato, la Russia ha voluto dire a Usa, Ue e all'Alleanza atlantica di tenersi lontane dal Caucaso che considera una zona di influenza e che devono venire a patti con essa per tutte le questioni che riguardano il dominio del mondo.

Giappone. Quella che fino a pochi anni fa era la principale potenza dell'Asia, il dominatore imperialista quasi incontrastato se non sul piano politico dalla Cina di Mao, sta attraversando un periodo di difficoltà economica e finanziaria e di riflesso di immagine politica. Il Giappone è ancora la seconda potenza economica mondiale per prodotto interno lordo, ma accusa ancora i colpi della pesante crisi asiatica di fine anni '90. Una crisi soprattutto finanziaria, con una riduzione massiccia ed improvvisa di flussi di capitali dall'estero combinata ad un deflusso rapido di capitali in fuga.
La patria dell'innovazione tecnologica e del dinamismo economico si sta ristrutturando in senso liberista, e le sue multinazionali cercano di adeguarsi alla "globalizzazione" imperialista. Ma il forte aumento della concorrenza dei prodotti dei vicini Cina e India rendono difficile la ripresa.
Il suo ruolo in Asia, e di riflesso nel mondo, è offuscato proprio dall'ascesa impetuosa di queste due nuovi grandi potenze, che calamitano investimenti e sono ormai interlocutori privilegiati e rispettati, quanto e più di Tokio, nello scacchiere politico, economico e finanziario dell'imperialismo mondiale.
Stracciando la Costituzione, l'imperialismo giapponese, con la sponsorizzazione di quello americano, si è tuffato nella corsa al riarmo. Ha ristrutturato l'esercito per adeguarlo al nuovo ruolo di grande potenza del paese e dalla fine della seconda guerra mondiale ha varcato i confini per partecipare a missioni imperialiste internazionali.

Cina. La Cina è oggi una grande potenza sul piano sia economico sia politico. Distrutto il socialismo, sposato il capitalismo, il regime revisionista e fascista di Pechino sta attuando una politica interna ed estera che non ha niente da invidiare alle principali potenze capitaliste e imperialiste.
Allo sfruttamento e repressione delle masse operaie, contadine e popolari all'interno ha fatto specchio una politica estera che ha raggiunto una dimensione globale, sviluppandosi negli anni sul miglioramento delle relazioni con i paesi limitrofi al fine di creare un ambiente regionale che favorisse gli scambi commerciali e la crescita dell'economia, l'accaparramento delle risorse naturali e la distruzione dell'ambiente, sia in casa propria che nei paesi in via di sviluppo, l'opposizione all'egemonia americana e l'instaurazione di partenariati strategici con grandi e medie potenze in nome della creazione di un ordine internazionale "multipolare", la continuazione del processo di ricongiungimento di Taiwan e la repressione fascista di ogni forma di indipendenza ai confini, in particolare nelle regioni autonome del Tibet e dello Xinjiang confinanti con l'Asia centrale.
Da anni la crescita del suo prodotto interno lordo è a due cifre. Grazie anche a un sempre maggiore surplus commerciale la Cina ha accumulato le più ingenti riserve valutarie al mondo. E le investe per placare la sete di risorse energetiche sempre più necessarie al suo impetuoso sviluppo economico. La strategia di Pechino è globale, massiccia la sua presenza in Africa, e sarà sempre più in competizione con gli altri paesi imperialisti, in particolare con gli Usa.
È sempre più influente anche sul piano politico e molti paesi guardano ormai a Pechino come a una potenza che sarà presto in grado di sfidare, su certe tematiche e in alcune aree del mondo, gli stessi Stati Uniti.
L'ingresso nel 2001 nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l'attivismo politico ad ampio raggio della Cina capitalista confermano che questa potenza regionale ambisce a un futuro ruolo di superpotenza mondiale, andando a ricoprire quelli che erano stati gli spazi vitali del socialimperialismo sovietico.

India. L'India è la nazione più popolosa del mondo dopo la Cina, con più di un miliardo di abitanti. Ormai è entrata nel club delle grandi potenze economiche, grazie a un terziario ben organizzato, in particolare nei settori informatico, biogenetico e medico, una popolazione giovane in grado di garantire forti tassi di crescita alla forza-lavoro, un rapido sviluppo dell'industria manifatturiera, l'aumento esponenziale degli investimenti esteri e un vero e proprio boom dei consumi nel mercato interno. Negli ultimi due anni il premier indiano Manmohan Singh ha stipulato accordi definiti strategici con tutti i principali partner/concorrenti imperialisti; di carattere soprattutto economico con Russia e Cina, economici e militari con Giappone e Usa, compresa l'assistenza in campo nucleare nonostante che l'arsenale militare indiano sia stato sviluppato illegalmente, al di fuori degli accordi internazionali, ma "garantito" da Bush.

3 Contraddizioni e alleanze imperialiste

L'aggressione imperialista all'Iraq nel 2003 voluta da Bush e osteggiata da Chirac, Schroeder e Putin, che avrebbero voluto risolvere il problema in altre maniere, aprì tra l'altro un dibattito tra i tre, sostenitori di un "mondo multipolare" e quelli di un "mondo unipolare", a guida Usa, tra i quali Blair e Berlusconi. Sarà il laburista Blair a dire fuori dai denti che era contrario a un "mondo multipolare" dove i diversi centri di potere si sarebbero sviluppati in centri di potere rivali. I leader di Francia e Germania hanno passato il testimone a successori più accondiscendenti verso gli Usa ma Putin ha tenuto la posizione e nel 2007 ancora ribadiva la contrarietà a un mondo con un solo padrone e un solo sovrano e non si limitava a guardare. Nel febbraio 2007 a Nuova Delhi i ministri degli Esteri di Cina, India e Russia consolidavano l'alleanza fra i tre paesi, nata ufficialmente due anni prima, per reclamare un rapporto da pari a pari soprattutto fra le grandi potenze imperialiste.
Dello stesso segno lo sviluppo della Sco, l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, che, nata nel 1996 ma formalizzata solo nel giugno 2001 nell'incontro tenuto a Shanghai tra i presidenti di Cina, Russia, Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, ha aperto le porte a India, Pakistan, Mongolia e Iran. Pur non essendo un'alleanza militare prevede comunque esercitazioni comuni contro il "terrorismo".
Proprio per limitare l'ingerenza Usa la Russia ha inserito la Sco dentro il quadro del Trattato di Organizzazione del Sistema di Difesa collettivo (Csto), un'alleanza militare siglata da Mosca nel 1992 con Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. La Russia deve difendersi dall'espansione della Nato ai confini europei, la Cina deve fronteggiare la "cintura di sicurezza" che gli Usa le stanno costruendo attorno, attraverso il sostegno al riarmo del Giappone e le alleanze militari con Australia, Indonesia e Corea del Sud.
Gli Usa corteggiano l'India e hanno ottenuto alcuni risultati poiché Cina, Russia, e India hanno sì la necessità di fronteggiare uniti il forte concorrente americano ma anche quella di difendere i loro specifici interessi imperialisti.
Se l'imperialismo americano lavora ai fianchi per sfilare alla Russia capitalista le ex repubbliche sovietiche dell'Est e dell'Asia centrale, la Ue imperialista non resta certo a guardare e dopo aver conquistato diversi Stati dell'Europa dell'Est sia pure con metodi più "diplomatici" e meno rozzi e arroganti degli Usa, punta a allungare le mani verso la stessa Russia che le è sempre più necessaria come fornitrice di energia.
Nel vertice dell'Associazione dei paesi del Sud-Est asiatico (Asean) del novembre 2004 in Laos, i dieci paesi membri firmarono un accordo per la creazione di un'area di libero scambio con la Cina. A fine novembre 2004 la delegazione cinese sfruttando il vertice dell'Associazione dei paesi dell'Asia e del Pacifico (Apec) svoltosi a Santiago del Cile visitava Argentina, Brasile, Cile e Cuba, e stringeva importanti accordi economici. La Cina capitalista attaccava sulle due sponde del Pacifico e per la prima volta si spingeva in quello che era considerato il "cortile di casa" dell'imperialismo americano, anche se la situazione era cambiata.
Già nel vertice di Brasilia dei dodici paesi sudamericani del 31 agosto 2000, l'allora presidente brasiliano Cardoso aveva proposto la creazione di un blocco economico attraverso l'unione delle due organizzazioni regionali, Mercosur e Patto Andino. Una linea pensata dalla borghesia brasiliana e portata avanti successivamente da Lula, che con una sola organizzazione continentale può puntare a un ruolo egemonico nel continente; un ruolo sostenuto dal fatto che il Brasile è una superpotenza nei biocarburanti e conteso al massimo dal Venezuela di Chavez. Il progetto di Brasilia si contrapponeva al progetto imperialista degli Usa di blindare il mercato latinoamericano attorno a accordi quali l'Area di libero commercio (Alca); l'Alca era stata pensata sotto la presidenza del vecchio Bush, lanciata nel 1994 dalla presidenza Clinton e alimentata dall'ultimo presidente Bush. Un progetto che osteggiato dai paesi latinoamericani aveva registrato le prime consistenti difficoltà al vertice di Miami del novembre 2003 e si era arenato due anni dopo. Gli Usa passavano alla tattica degli accordi bilaterali ma riuscivano a concludere solo con alcuni paesi. E non potevano impedire che nell'aprile 2007 nell'isola di Margarita, in Venezuela si tenesse il vertice che dava vita all'Unasur (Union de las Naciones del Sur), al posto delle precedenti alleanze regionali. Cooperazione nel settore energetico e cooperazione militare sono stati i primi due argomenti trattati.
La questione è ovviamente ancora aperta con gli Usa che hanno rimesso in moto la Quarta flotta e sobillato i referendum separatisti in Bolivia.
Maggior successo ha avuto l'iniziativa degli Usa in Centroamerica con le ratifiche finali nel 2007 del Trattato di libero commercio (Cafta) che daranno il via libera formale agli accordi commerciali capestro a favore dell'imperialismo americano nella regione. In questo caso è però l'imperialismo europeo a non ritenere la regione blindata a favore del concorrente Usa e a spingere per arrivare alla conclusione entro il 2009 dei negoziati per la firma di un Accordo di associazione (Ada) con i paesi centroamericani che altro non è che una sorta di Cafta allargato alla cooperazione internazionale e al dialogo politico, dove il ruolo egemone è nella mani della Ue che pensa a sfruttare le risorse di quei paesi in particolare nel settore dei biocarburanti.
Uno strumento simile gli imperialisti europei l'hanno pensato per gli Accordi di partenariato economico, Epa, che l'Unione europea sta preparando con i 77 paesi del gruppo Acp (Africa, Caraibi e Pacifico); scopo degli Epa è la liberalizzazione economica negli scambi agricoli tra Ue e paesi Acp, con in particolare l'abbattimento delle tariffe doganali. Uno dei diktat dell'organizzazione mondiale per il commercio (Wto) che ha imposto lo smantellamento degli accordi preesistenti, le convenzioni di Lomè, che pure contenevano limitate facilitazioni per l'esportazione dei prodotti agricoli africani in Europa. L'Europa è ancora il primo partner economico dell'Africa ma è un primato che viene sempre più messo in discussione. Nel continente africano si gioca una partita per il controllo dei mercati e soprattutto per lo sfruttamento delle risorse naturali che di recente ha visto l'ingresso di nuovi concorrenti imperialisti come la Cina e l'India impegnati a fare le scarpe al dominio delle ex potenze coloniali (Francia, pur di nuovo ringalluzzita per l'iniziativa di Sarkozy, e Gran Bretagna), già messo in discussione nell'ultimo decennio dalla penetrazione degli Usa, concretizzatasi l'1 ottobre 2007 con l'insediamento del nuovo comando unificato per l'Africa (Africom).
La Cina ha già messo solide basi in vari paesi e l'India solo di recente si è fatta avanti con identiche esigenze: necessità di approvvigionamenti di gas e petrolio. L'Africa è rimasta terreno di conquista neocoloniale e a nulla è valsa la nascita, il 9 luglio 2002 nella città sudafricana di Durban, dell'Unione africana (Ua), una nuova organizzazione degli Stati africani sponsorizzata in particolare da Sudafrica e Nigeria che ha preso il posto dell'Organizzazione per l'unità africana (Oua), fondata nel 1963 sotto la spinta delle lotte di liberazione dei paesi e popoli africani contro il giogo del colonialismo e della coerente politica anticoloniale e antimperialista della Cina di Mao. Per l'Ua invece i governi africani hanno scelto quale modello quello dell'Unione europea imperialista; stesse strutture istituzionali, stesse contraddizioni tra i paesi più forti per aggiudicarsi la leadership politica e i posti i comando. Nel continente resta attivo il Sadc, il Coordinamento per la cooperazione e lo sviluppo dei 14 paesi dell'Africa australe guidato dal Sudafrica.
La coalizione tra i paesi poveri, quelli coalizzati nel G21 guidato da India, Cina, Sudafrica e Brasile, e financo il "gruppo di Cairns'' dei maggiori paesi esportatori agricoli che comprende Australia e Nuova Zelanda, respingeva i diktat degli imperialisti Usa, Ue e Giappone e faceva fallire la conferenza dell'Organizzazione per il commercio mondiale (Wto) di Cancun nel 2003. Usa, Ue e Giappone premevano per l'applicazione delle cosiddette "questioni di Singapore'', cioè la definizione di accordi di ulteriore liberalizzazione sugli investimenti, sulla concorrenza, sulla trasparenza dei mercati pubblici e ulteriori facilitazioni degli scambi con la modifica delle procedure di sdoganamento, per abbattere le protezioni che esistono nel Sud del mondo contro l'offensiva delle multinazionali europee, americane e giapponesi. Di contro i tre non mollavano sulla difesa dei propri sussidi in agricoltura che "proteggono'' i loro mercati interni dalla concorrenza dei prodotti degli altri paesi. Il precedente vertice di Seattle del 1999 era fallito in particolare per le barricate del movimento antiglobalizzazione in piazza e per le resistenze sollevate dalla Ue contro la liberalizzazione del commercio degli Ogm voluta dagli Usa. L'interesse dei governi Ue non era tanto per la salute delle masse popolari, le contemporanee vicende della mucca pazza e dei polli alla diossina lo testimoniavano, quanto quello di creare ostacoli ai grandi esportatori di prodotti geneticamente modificati come Usa e Canada che potevano per primi occupare maggiori fette di mercato mentre i concorrenti europei non erano ancora pronti. Il negoziato in sede di Wto riprenderà al vertice di Hong Kong del dicembre 2005, quando le pressioni degli interessi imperialisti di Usa e Ue faranno momentaneamente breccia sugli oppositori di Cancun, ma il negoziato si arenerà nuovamente a Ginevra nel 2008.

 
4 Il pericolo di guerra imperialista

Nessun paese imperialista può sottrarsi alla legge economica fondamentale del capitalismo, che è quella della ricerca del massimo profitto, in patria e all'estero. Èquesta legge che spinge inesorabilmente l'imperialismo al dominio economico mondiale e quindi alla guerra imperialista. Finché esisterà l'imperialismo la pace nel mondo sarà sempre una tregua tra una guerra e l'altra. La rivalità tra le superpotenze o gli accordi temporali tra di loro per sconfiggere il nemico di turno conducono inevitabilmente alla guerra imperialista. Come ci hanno insegnato i Maestri la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Niente di più vero e attuale.
Negli ultimi 9 anni abbiamo assistito a ben 3 guerre di aggressione imperialiste. Serbia, Afghanistan e Iraq. Usa, Unione europea, Nato, Onu, contingenti internazionali di decine e decine di paesi, calpestando e riducendo a un simulacro il diritto internazionale, hanno portato morte e distruzione. Hanno massacrato popoli e distrutto paesi sovrani, prendendo a pretesto quando le loro politiche interne repressive, quando il "terrorismo", quando l'esistenza mai provata di armi di distruzione di massa. Tutti fattori a cui l'imperialismo stesso non si vergogna di ricorrere abitualmente a piene mani.
Così facendo l'imperialismo ha dichiarato guerra alla libertà dei popoli, all'indipendenza e alla sovranità dei paesi e all'emancipazione dell'umanità da esso. Le sue guerre non portano mai né libertà né giustizia né pace. Solo eliminando l'imperialismo da tutta la terra è possibile realizzare queste eterne aspirazioni del genere umano.
Da una parte le superpotenze e i principali paesi imperialisti si accordano per depredare e sottomettere i paesi più deboli e non sviluppati, dall'altra brigano per avere più spazi, territori, fonti di materie prime, mercati, zone strategiche e di influenza. Quando tra di loro si romperanno gli equilibri finanziari, economici, commerciali, politici e militari saranno guai e sarà inevitabile il ricorso alle armi, alla guerra imperialista.
La crisi di agosto nel Caucaso, che vede fronteggiarsi pericolosamente le superpotenze Usa e Russia per il controllo di quella regione strategica, potrebbe esplodere in un conflitto militare di inimmaginabili proporzioni.
Attualmente nel mirino dell'imperialismo c'è la Repubblica islamica dell'Iran e la sua politica coerentemente antimperialista e antisionista. Sono gli Usa a capitanare questa nuova crociata per piegare il "ribelle" di turno.
Noi marxisti-leninisti non accetteremo mai che l'Italia partecipi, insieme ad altri o da sola, a nuove aggressioni imperialiste e agiremo di conseguenza come abbiamo sempre fatto nel passato. Denunciando e smascherando politicamente l'imperialismo e tutti i suoi lacché, partecipando attivamente ai movimenti di massa contro la guerra imperialista, chiedendo al governo nostrano il ritiro di tutte le forze militari ancora impegnate nelle missioni imperialiste in tutto il mondo.

5 Crisi finanziaria e economica internazionale

Il mercato imperialista accusa da diversi anni un forte malessere. La violenta crisi finanziaria e economica partita dal Giappone e propagatasi in Asia nella seconda metà degli anni '90 , proseguita con quelle di Russia, Argentina e di altri paesi dell'America latina, fino a quella dei mutui negli Stati Uniti, con ripetuti crolli delle Borse, sta investendo tuttora il mondo capitalista, tanto da far parlare apertamente di recessione. Si tratta indubbiamente della peggiore crisi dalla seconda guerra mondiale.
La storia dimostra che non esistono ricette capaci di evitare le crisi cicliche del capitalismo e dell'imperialismo; queste si possono ritardare ma non cancellare una volta per tutte. Esse sono lo scoppio ciclico delle molteplici contraddizioni antagonistiche del capitalismo e dimostrano con la massima chiarezza i limiti storici del modo di produzione capitalistico. Ha detto bene Stalin: "Per abolire le crisi, bisogna abolire il capitalismo" (Rapporto politico alla XVI Assemblea nazionale del Comitato Centrale del Partito comunista bolscevico dell'Urss, opere complete, edizione cinese, vol. 12, pag. 215).
Come in un circolo vizioso il capitalismo genera le crisi e da queste trae nuova linfa vitale per perpetuare il proprio dominio e sfruttamento all'interno e all'esterno dei singoli paesi. All'interno mediante il meccanismo dei prezzi di monopolio, con l'intensificazione dello sfruttamento del lavoro salariato, dell'inflazione e della torchiatura fiscale, dettati agli Stati borghesi che ne assecondano i voleri; all'esterno mediante lo scambio ineguale, che si esprime in una esportazione di merci industriali dei paesi imperialisti in quelli più poveri ad elevati prezzi di monopolio e nella contemporanea estrazione da essi di materie prime e derrate alimentari a bassi prezzi di monopolio, nonché l'esportazione di capitale, dove il profitto è solitamente alto, visti la scarsità dei capitali in loco e il prezzo della terra e i salari decisamente bassi.
Ciò dimostra, a dispetto degli apologeti della "vittoria storica" del capitalismo, che le ferree leggi economiche che governano il capitalismo stesso e il sistema imperialistico mondiale non possono essere eluse e continuano ad agire inesorabilmente contro di essi. Sono queste leggi che generano l'attuale crisi economica e finanziaria e ne rendono difficile e problematica l'uscita, riproponendo contraddizioni tra gli stessi paesi imperialisti che oggi si esprimono sul terreno economico e commerciale, ma domani possono trasformarsi fatalmente in conflitti militari veri e propri per l'accaparramento dei mercati e delle fonti energetiche e di materie prime.

 
6 La "globalizzazione"

L'attuale crisi finanziaria e economica del capitalismo si colloca all'interno del processo di espansione mondiale dell'imperialismo. La "globalizzazione", ossia il mercato unico imperialista, sancita nel 1994 dall'accordo di Marrakech in Marocco sul commercio mondiale, lungi dal portare ricchezza e benessere, ha prodotto nuovi e spaventosi danni alle condizioni di vita e di lavoro di miliardi di persone. Ha prodotto maggiore sfruttamento, oppressione, guerre, miserie, fame, disoccupazione, precarietà, prostituzione, emigrazione di massa, devastazione dell'ambiente e inquinamento, ma anche nuove e più profonde disuguaglianze economiche e sociali fra i paesi più ricchi e quelli più poveri, fra le classi sfruttatrici e le classi sfruttate.
La "globalizzazione" imperialista è caratterizzata dall'apertura senza precedenti dei mercati. Dell'imperialismo mantiene tutti i suoi tratti caratteristici e tipici. Ossia non è un nuovo sistema di dominio, ma l'estensione di quello vecchio. Un dominio economico che si traduce in una fortissima ingerenza politica. Esso viene chiamato dagli imperialisti "apertura del mercato", dove per "paesi aperti" si intendono quelli che sono disponibili a farsi usare come territorio di caccia, mentre quelli che perseguono l'indipendenza economica e politica, puntando a uno sviluppo autonomo, vengono definiti "chiusi" e gli imperialisti fanno di tutto, comprese le guerre di aggressione, per aprirli al loro dominio, che chiamano invece "sviluppo, progresso e civiltà".
In questa congiuntura tuttavia le dinamiche già presenti nel sistema imperialista acquisiscono una velocità e una efficienza prima sconosciute. Tanto che oggi la circolazione di capitali su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi informatici e telematici, è divenuta vertiginosa e si attua in tempo reale. Essa condiziona governi ed economie di interi paesi, e può segnare la rovina o la ricchezza di singoli e di Stati. I grandi finanzieri e le multinazionali hanno quindi in mano un enorme potere che usano unicamente per arricchirsi sempre più, per fare affari più lucrosi e per diventare ancora più potenti.
Così la concentrazione del capitale prende la forma delle fusioni e delle acquisizioni di aziende, dilaga il processo di privatizzazione, si accentua la finanziarizzazione dell'economia mondiale, con il grande capitale impegnato a invadere ogni sfera pubblica. Infine la delocalizzazione, che grazie alla globalizzazione, ha reso enormemente più facile la possibilità di spostare continuamente pezzi di produzione da un paese all'altro, approfittando delle migliori condizioni. Ciò si traduce tra l'altro in un ricatto permanente nei confronti della classe operaia e dei lavoratori dei paesi imperialisti. Tutto questo a causa del rimescolamento dei mercati, delle sfere d'influenza e delle alleanze internazionali, un processo favorito dalla disgregazione e dalla ignominiosa capitolazione dei paesi un tempo socialisti, che dopo il tradimento dei revisionisti sono passati armi e bagagli nel campo capitalista e imperialista. In particolare dopo la disintegrazione del socialimperialismo sovietico e del suo impero, del suo mercato, delle sue colonie e delle sue zone di influenza, tutto per l'imperialismo è più facile e più semplice.
Dovunque nel mondo vengono cancellate le conquiste sociali ed economiche che la classe operaia e i lavoratori avevano realizzato attraverso le innumerevoli lotte svolte a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo stato di cose genera malcontento e odio verso il capitalismo e l'imperialismo. I governanti e i politicanti, siano della destra o della "sinistra" borghese, sfornano di continuo ricette per salvare la globalizzazione e si disputano il governo della stessa. Ma questa contraddizione, che è antica quanto il capitalismo e l'imperialismo, è inevitabilmente destinata a svilupparsi e a sfociare, come di fatto avviene oggi in più parti del globo, in rivolte di massa, in lotte di liberazione nazionali e in rivoluzioni. Ancora una volta la storia dimostra che non esistono possibilità di "governare" l'imperialismo pacificamente e col consenso delle masse.
Non si può combattere la "globalizzazione" senza mettere in discussione l'imperialismo che l'ha generata, la alimenta, la governa e la difende attraverso le sue istituzioni statali, politiche, economiche, finanziarie e militari. In questo quadro vanno spazzate via tutte quelle istituzioni economiche e finanziarie che hanno un peso rilevantissimo negli affari dell'imperialismo e nel mercato mondiale, dissanguando popoli e paesi, e che condizionano enormemente le politiche degli Stati nazionali. A partire dal Fondo monetario internazionali (Fmi), Banca mondiale (Bm), Organizzazione mondiale del commercio (Wto), Banca centrale europea (Bce), Banca europea di investimento (Bei), Banca europea per la ricostruzione dei paesi dell'Est (Bers).

7 Le condizioni dei popoli oppressi dall'imperialismo

Lo sviluppo dell'attuale crisi economica e finanziaria rende più difficili le condizioni di vita della maggioranza della popolazione nei paesi capitalisti, le rende ancora più drammatiche, al limite della sopravvivenza, in quelli poveri e arretrati. Fame, povertà e miseria, che già hanno causato migrazioni bibliche verso i paesi capitalisti e imperialisti, crescono esponenzialmente in particolare in Africa, Asia e in alcune zone dell'America Latina di pari passo con le profonde disuguaglianze economiche e sociali: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, sia a livello di Stato che individuale.
Questa situazione è assolutamente intollerabile. Noi chiediamo ai governi imperialisti di spalancare le porte agli immigrati, di garantir loro parità di diritti e di stroncare con fermezza il traffico di vite umane. Parimenti chiediamo la cancellazione del debito dei paesi più poveri.

Fame, miseria e povertà
Il vertiginoso aumento dei prezzi dei generi alimentari registrato in particolare dall'inizio del 2008 ha generato rivolte in vari paesi e ciò ha spinto diverse organizzazioni internazionali, a partire dalle agenzie dell'Onu, a denunciare l'emergenza cibo e sollecitare finanziamenti e interventi da parte dei governanti imperialisti dei paesi ricchi, ossia i principali responsabili. Di conseguenza la cura è costituita da sovvenzioni al pari di elemosine, in parte sperperate per mantenere la struttura burocratica di organismi ormai dimostratisi inutili come la Fao, in parte destinate ai paesi in base al rapporto di fedeltà e sudditanza rispetto ai paesi donatori; in ogni caso la soluzione indicata sarebbe quella di aumentare la produzione e lasciar fare al mercato. Ma il rispetto delle leggi del "libero mercato" significa che i paesi più deboli sono costretti a subire i diktat dei più forti e il risultato non può che essere l'aumento delle persone che continuano a soffrire la fame a fronte di una produzione di cibo che è stimata come sufficiente per sfamare tutti gli abitanti del pianeta.
La Fao aveva lanciato fra "gli obiettivi del millennio", assunti nel 1996, quello di dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati ma di quel piano d'azione per combattere la fame è stata attuata solo la liberalizzazione dei commerci a vantaggio delle multinazionali e dei paesi più ricchi.
Si profila il rischio di un disastro economico e umanitario, in particolare in Africa, per il boom dei prezzi dei generi alimentari causato fra l'altro dall'aumento del prezzo del carburante, che si ripercuote su quello dei prodotti alimentari, ma soprattutto dalla crescente domanda di agrocombustibili che assorbe derrate destinate agli usi alimentari e alle speculazioni sui mercati internazionali da parte delle multinazionali che controllano il settore e i cui profitti nel 2007 sono cresciuti vertiginosamente di pari passo con l'impennata dei prezzi. Una miscela esplosiva che nel mercato globalizzato creato dall'imperialismo ha generato vantaggi e profitti per le voraci multinazionali e i paesi capitalisti più forti, miseria e fame in quelli più poveri.
Tutti i paesi più colpiti dall'aumento dei prezzi agricoli hanno seguito una strada per lo sviluppo dettata dalle istituzioni finanziarie internazionali, che ha favorito la crescita dei prodotti destinati all'esportazione, sotto il controllo delle multinazionali del settore, a detrimento delle colture tradizionali destinate a garantire l'autosufficienza alimentare locale.
Alcune delle rivolte contro gli aumenti dei prezzi dei generi alimentari, come in Egitto e Tunisia, sono partite come lotte degli operai per aumenti salariali. Perché la crisi del cibo è solo l'ultimo "regalo" dell'imperialismo ai popoli dei paesi più poveri in particolare e si aggiunge a condizioni di disoccupazione, sottoccupazione e supersfruttamento presenti costantemente e non solo in periodi di crisi economiche. Quasi la metà dei circa 3 miliardi di lavoratori nel mondo guadagna al massimo 2 dollari al giorno; è una condizione al limite della sopravvivenza che si ha in particolare in Asia e Africa. Ma che comincia a farsi sentire anche nei paesi più industrializzati, dall'Unione europea dove è a rischio povertà un sesto della popolazione, agli Usa dove tra l'altro si è registrato negli ultimi anni il divario record tra i più ricchi e i più poveri, a livelli simili a quelli degli anni '20 che precedettero il crollo delle Borse e la grande recessione del 1929.

Negazione dei diritti civili e sociali
L'imperialismo si presenta come l'alfiere della democrazia e della libertà che una volta "difendeva" nel confronto col blocco socialimperialista e oggi contro il "terrorismo"; sono cambiati i "nemici" ma resta la sostanza dell'arroganza imperialista nel voler dominare popoli e paesi. Resta una realtà di condizioni di vita dei popoli oppressi cui l'imperialismo nega financo i più elementari diritti civili e sociali democratici borghesi.
Nel 2001 a Durban in Sudafrica, alla terza Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze, il primo atto ufficiale era stato il documento approvato dal Forum delle organizzazioni non governative dove si accusava chiaramente Israele di essere uno Stato razzista e si condannava il sionismo come razzismo. La delegazione palestinese appoggiata dai paesi arabi e islamici premeva perché tali definizioni fossero inserite nei documenti finali della conferenza ma la proposta venne bocciata da Usa, Israele e Ue. L'equazione sionismo-razzismo cadrà definitivamente nel dimenticatoio dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001; nonostante che il regime di Tel Aviv passi successivamente e senza colpo ferire anche alla trasformazione della striscia di Gaza in uno spaventoso lager per i palestinesi. Bush si costruirà il suo lager nella base di Guantanamo a Cuba, da dove passeranno migliaia di sospetti "terroristi", catturati o sequestrati illegalmente in varie parti del mondo con la complicità degli alleati imperialisti; alcuni detenuti e torturati per anni senza veder riconosciuto alcun diritto alla difesa. A Guantanamo i torturatori americani collauderanno le "tecniche di interrogatorio", consentite dalle disposizioni presidenziali, che saranno successivamente applicate su larga scala nella prigione irachena di Abu Grahib; diversi i casi accertati di torture anche da parte degli occupanti inglesi a Bassora.
La schiavitù è stata abolita formalmente nella seconda metà dell'800, ma solo sulla carta. Vivono in condizione di schiavitù i bambini che invece di andare a scuola lavorano nel tessile, nell'edilizia, nell'agricoltura in Asia, e fanno la fortuna delle multinazionali comprese quelle delle potenze emergenti Cina e India; come sono schiave le donne, molto spesso adolescenti, che ogni anno in Europa sono raggirate o rapite e vendute, vittime della criminalità organizzata che controlla il settore della prostituzione.
Dei circa 3 miliardi di occupati, almeno la metà sono sottoposti a condizioni di lavoro estremamente svantaggiate, sono in posizioni vulnerabili, sia come dipendenti che impiegati in attività familiari o in proprio, sono impegnati in attività considerate di bassa qualità, con pochissime tutele e privi di diritti e di previdenza sociale.
Vedono negati i loro diritti quanti nel mondo non hanno accesso ai servizi sanitari di base, all'istruzione primaria, all'acqua potabile, all'energia elettrica.
Rare le decisioni delle organizzazioni internazionali a favore dei diritti civili e sociali dei popoli. Solo a fine 2007 l'Assemblea generale delle Nazioni unite è arrivata a approvare la risoluzione che chiede la moratoria sulla pena di morte nel mondo. La risoluzione non ha carattere vincolante ma invita i paesi membri a sospendere le esecuzioni già previste e a non programmarne altre. Del giugno 2008 la decisione del Consiglio di Sicurezza che condanna l'uso dello stupro "come arma di guerra" e minaccia azioni repressive contro i responsabili delle violenze contro le donne.

8 I popoli contro l'imperialismo

L'oppressione dei popoli da parte dell'imperialismo e del capitalismo genera inevitabilmente rivolte di massa, lotte di liberazione nazionale.
Pur tra mille difficoltà e con andamenti alterni continua l'eroica lotta in difesa dei loro diritti dei popoli palestinese, afghano e iracheno che conducono una guerra di liberazione nazionale contro l'occupazione imperialista.
Noi siamo per la Palestina libera e per un solo Stato in cui i popoli palestinese e ebraico convivano nella pienezza dei rispettivi diritti. Israele non ha ragione di esistere, e ciò è confermato dal non aver rispettato la risoluzione dell'Onu che richiedeva la fondazione contestuale dello Stato palestinese e più in generale dall'esperienza di questi 60 anni della sua esistenza: si è comportato verso il popolo palestinese come i nazisti fecero con gli ebrei.
Il regime sionista non ha rispettato né la prima né tutte le più importanti risoluzioni dell'Onu sulla questione palestinese e col consueto appoggio del compare imperialista americano e dell'avallo di quello europeo, foraggia la destra palestinese e un governo fantoccio invece di riconoscere quello legittimo diretto da Hamas e minaccia blitz contro l'Iran. Cerca inoltre di allungare le mani sul Libano e schiacciare il popolo libanese che ha già dato una sonora lezione agli invasori sionisti riuscendo finora a respingere le manovre che tentano anzitutto di disarmare la resistenza.
Il popolo kosovaro ha conquistato l'indipendenza dalla Serbia, ma sotto il ferreo controllo dell'imperialismo Usa e europeo; quello nepalese ha cacciato il re, abbattuto la monarchia e instaurato la Repubblica democratica federale.
Altri segnali positivi vengono dalle rivolte nei paesi sudamericani che a partire dalla fine degli anni '90 hanno buttato giù governi corrotti e asserviti all'imperialismo americano, anche se si sono limitate a portare al potere la "sinistra" borghese in tutti i paesi tranne la Colombia; dalla rivolta del popolo serbo che ha costretto alla resa il regime di Milosevic; dalla indomita lotta per l'autodeterminazione del popolo curdo contro il regime turco; dalle marce di protesta dei monaci buddisti e dalla rivolta contro la dittatura militare fascista del Myanmar (Birmania); dalla rivolta autonomista del popolo tibetano.
Dalle ampie lotte del movimento pacifista che, iniziate contro la guerra di aggressione imperialista alla Repubblica federale jugoslava, si sono sviluppate nei paesi occidentali soprattutto contro le aggressioni imperialiste all'Afghanistan e all'Iraq; dalle manifestazioni del movimento antiglobalizzazione che ha accompagnato il fallimento dei vertici del Wto, dell'organizzazione mondiale del commercio, da Seattle a Cancun e i vertici del G8 che dopo la mattanza repressiva di Genova nel 2001 si tengono in località isolate e superblindate.
Dagli scioperi e dalle rivolte degli operai e dei contadini in Cina che mostrano il vero volto del "miracolo economico" realizzato dalla cricca revisionista e fascista di Pechino; dagli scioperi degli operai per aumenti salariali, che iniziano a scoppiare e ottengono successi, nei paesi dell'Est europeo e in Russia dove le multinazionali hanno spostato le produzioni alla ricerca di manodopera a costi più bassi e con poche o nessuna tutela sindacale; dalle "rivolte per il pane", che hanno acceso i primi fuochi negli anni scorsi, alle rivolte contro il carovita in particolare in Africa ma anche in altri paesi dell'Asia e dei Caraibi.
Di fatto la testa della lotta all'imperialismo a livello di Stato e a livello dei movimenti di liberazione nazionale è tuttora rappresentata dagli islamici.
La Repubblica islamica dell'Iran tiene testa all'arroganza e ai progetti dell'imperialismo americano e dei sionisti di Tel Aviv e tra l'altro difende il proprio diritto allo sviluppo del nucleare civile strumentalmente attaccato dai due paesi con l'avallo della Ue.
Fedeli all'internazionalismo proletario, noi marxisti-leninisti appoggiamo i paesi che si oppongono ai ricatti, ai soprusi, all'ingerenza, alla sopraffazione, all'oppressione e all'aggressione dell'imperialismo, qualsiasi siano le forze che li governano, anche se siamo contrari alla loro politica interna e a certi loro atti di politica estera.
Noi stiamo ai fatti. Finché un movimento di liberazione nazionale sta col suo popolo e rimane fedele e coerente all'impegno che ha preso con esso, noi l'appoggiamo, altrimenti non lo appoggiamo e lo critichiamo. Un movimento di liberazione nazionale può allearsi tatticamente anche col diavolo, interno e esterno al proprio paese, pur di realizzare la liberazione del suo popolo e del suo paese. Questo movimento tradisce il suo popolo solo se fa delle alleanze strategiche con il diavolo e se lo libera da un imperialismo per sottometterlo a un altro.
Comunque sia ogni popolo oppresso dall'imperialismo deve combatterlo nel proprio paese e cacciarlo via. Attualmente l'imperialismo americano continua a essere il nemico comune di tutti i popoli sfruttati del mondo. Ma non si può combatterlo e abbatterlo con metodi terroristici, come l'attentato dell'11 settembre 2001, che finiscono per fare il suo gioco, ma solo con le lotte di massa dei popoli dei paesi oppressi e degli stessi paesi imperialisti, compreso il popolo americano a cui spetterà assestargli il colpo mortale.

9 Contro tutte le alleanze imperialiste

Dovere imprescindibile del Partito del proletariato è la lotta contro l'imperialismo. Esso va combattuto con gli stessi principi, finalità, strategie, alleanze, metodi, armi che ci hanno insegnato i Maestri del proletariato internazionale. Lo si deve combattere per abbatterlo e distruggerlo, su scala locale e mondiale. Vanno combattuti la sua strategia e tutti i suoi atti nonché i suoi Stati, governi, alleanze e istituzioni e organismi internazionali. A partire in particolare da Onu, Nato e Ue. Sottovalutare o ignorare questa battaglia, accettare anche una sola delle organizzazioni imperialiste o fare la "sinistra" di esse significa fare il gioco dell'imperialismo e tradire le aspirazioni e le lotte dei popoli e delle nazioni alla libertà, all'emancipazione e al benessere.

Sciogliere l'Onu
L'Onu ha manifestato questo suo "nuovo ruolo" in maniera clamorosa nell'aggressione imperialista all'Iraq del '90-'91, avallandola e coprendola. I "caschi blu" hanno imperversato e imperversano in tutto il mondo, diventando più di un embrione di un esercito permanente votato alla guerra imperialista. È stato di fatto riscritto il diritto internazionale, partendo dalla cancellazione dell'impedimento all'ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, sancito dall'articolo 2 della Carta istitutiva dell'Onu e la sua sostituzione con la teoria del "diritto-dovere di ingerenza umanitaria", sponsorizzata anche dal papa nero Wojtyla prima e da Ratzinger ora, per giustificare l'interventismo imperialista nel mondo. La politica dei due pesi e delle due misure è ormai diventata un suo cavallo di battaglia: esempio principe la copertura della politica di aggressione e annientamento, come e peggio dei nazisti, portata avanti da decenni da parte del regime sionista di Israele contro il popolo palestinese.
L'attuale situazione internazionale abbisogna di scelte coraggiose. Questa Onu non risponde più all'esigenza della sua costituzione, ha cambiato carattere, ha ormai fatto il suo tempo e va sciolta. È giunto il momento di farla finita con questa organizzazione imperialista. Occorre una nuova Organizzazione mondiale, senza membri permanenti e privilegiati, senza diritti di veto, con uguali diritti e doveri, fondati sui principi del rispetto reciproco, della sovranità e dell'integrità territoriali, di non aggressione, di non ingerenza nei rispettivi affari interni, di uguaglianza e di reciproco vantaggio.
Bisogna finirla una volta per tutte col culto di questa Organizzazione che non è affatto qualcosa di sacro, una "necessità storica" come dicono gli imperialisti. Per tutti gli anni '60 paesi che inglobavano più di un quarto della popolazione mondiale, quali la Cina, la Corea del Nord e il Vietnam socialisti, non erano rappresentati in questa Organizzazione. Eppure essi vivevano lo stesso e il loro prestigio internazionale cresceva anziché diminuire. Oggi invece è prassi corrente dell'imperialismo che un paese acquisisce uno status internazionale solo a partire dal giorno in cui diviene membro delle Nazioni Unite. Ma chi ha investito l'Onu di questa autorità? Dovrebbero essere la realtà della sua indipendenza e il carattere del ruolo che svolge negli affari internazionali a determinare lo statuto internazionale di ogni paese e non certo la sua appartenenza o meno all'Onu.

Sciogliere la Nato
L'alleanza militare dell'imperialismo occidentale l'anno prossimo compirà 60 anni. Vorrebbe celebrare questa ricorrenza con l'allargamento ad altri paesi dell'Est e con l'installazione del famigerato "scudo" antimissile nell'Europa orientale. Essa intensifica la sua attività di pressione su tutti quegli Stati che ancora non intendono piegarsi all'imperialismo.
Il suo possente arsenale militare e le sue file aumentano, portandosi dietro tutti i pericoli di guerra imperialista. Dal crollo del socialimperialismo sovietico il nuovo scenario di guerra della Nato non è più quello istituzionale della difesa del territorio dei paesi membri. I vertici di Praga (2002) e Bucarest (2008) hanno confermato l'impegno bellicista e guerrafondaio dell'alleanza militare imperialista a operare in tutto il mondo. Seguendo le linee della strategia militare dell'imperialismo americano adottate sotto la guida dell'Hitler della Casa Bianca, Bush, e ancor prima dal suo predecessore, il "democratico" Clinton.
Ieri era l'anticomunismo il suo collante. Oggi è la "lotta al terrorismo" su scala planetaria, con un accanimento particolare verso quei paesi che disporrebbero di armi di distruzione di massa e potrebbero utilizzarle contro l'imperialismo. Così il "nuovo concetto strategico" dell'alleanza decreta che la Nato può intervenire dentro e fuori i suoi confini dove e tutte le volte che ritenga minacciate la stabilità e la sicurezza degli alleati, in tutti i campi e settori, in maniera unilaterale e insindacabile.
In questo scenario non c'è una ragione una che giustifichi la sua esistenza. La Nato va sciolta. Nell'immediato occorre battersi affinché l'Italia esca da questa alleanza imperialista, iniziando dallo smantellamento delle sue basi, logistiche e militari, presenti nel nostro Paese, che già più di una volta sono servite da trampolino per aggressioni militari a popoli e Stati sovrani. La parola d'ordine "Via l'Italia dalla Nato. Via la Nato dall'Italia" è più attuale che mai.

Sciogliere l'Unione europea
L'Unione europea è una organizzazione monopolistica e imperialistica, una superpotenza mondiale.
L'Ue è irriformabile. Parlare di "Europa sociale", di "Altra Europa", di "Europa a sinistra" come fanno i falsi comunisti, neorevisionisti e trotzkisti, è puro inganno, che serve unicamente ad offrire una copertura a "sinistra" all'imperialismo europeo, dare ad esso una base di massa e spingere in una palude gli antimperialisti, i no global e i pacifisti.
La borghesia e i suoi lacché presentano l'Unione europea come una conquista dei popoli del vecchio continente. In realtà i popoli non c'entrano un bel nulla, perché non sono stati essi a ideare e a costruire l'Ue. Tutto è stato compiuto e si compirà al di sopra delle loro teste dai circoli borghesi dominanti europei conformemente ai loro interessi di classe e alle loro aspirazioni egemoniche, regionali e mondiali. Bisogna distruggerla, cominciando a tirarne fuori l'Italia.
Per le stesse ragioni l'Ue è inutilizzabile dal Partito del proletariato. Il PMLI è cosciente che il contributo più grande, più concreto e più efficace che si possa dare alla lotta contro l'imperialismo europeo è quello di combattere contro l'imperialismo italiano e il governo del neoduce Berlusconi che attualmente ne asseconda i voleri.
Noi marxisti-leninisti non siamo nazionalisti, siamo stati educati dai grandi Maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, all'internazionalismo proletario, alla solidarietà di classe mondiale, all'unità del proletariato e dei popoli al di là dei confini geografici e statali. Aspiriamo perciò ardentemente all'unità dei popoli europei. Ma sappiamo sin troppo bene che ciò è impossibile finché esisterà l'Ue.
Il punto di partenza è capire che solo il socialismo è in grado di realizzare l'Europa dei popoli, di abbattere tutte le barriere siano esse fisiche o economiche, perché il proletariato andrà al potere, i prodotti del lavoro potranno essere goduti interamente dal popolo lavoratore, sviluppate le conquiste sociali, economiche e politiche, costruito un nuovo ordine sociale sulle ceneri di quello capitalistico e imperialistico.
Lottando contro i monopoli e il loro governo europeo noi marxisti-leninisti non neghiamo affatto la tendenza allo sviluppo tecnologico, all'internazionalizzazione della produzione, bensì siamo favorevoli a ogni unione economica che si formi su basi socialiste e internazionaliste proletarie. Alle spalle abbiamo l'esperienza storica del Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica), nato sotto la guida diretta dell'Urss di Stalin e solo fino alla sua morte operante in maniera corretta, dove la cooperazione economica tra i paesi membri socialisti doveva avvenire in una situazione di completa parità e di rispetto reciproco per l'indipendenza e la sovranità di ciascun paese, in un'atmosfera di collaborazione fraterna. Tanto che gli scambi commerciali tra i paesi membri si chiudevano con pareggi annuali, elevati erano i tassi medi di crescita del prodotto nazionale lordo, mentre i paesi a più basso reddito registravano le percentuali di crescita più elevate.
Battersi per l'Europa socialista rimane un dovere per la classe operaia, le masse lavoratrici e popolari, le ragazze e i ragazzi rivoluzionari e per chiunque si professi antimperialista e aspiri ad un'Europa senza più sfruttati e sfruttatori. Noi faremo fino in fondo la nostra parte perché un giorno venga instaurata la Repubblica socialista d'Europa. Ma sarà impossibile passare pacificamente a questa nuova Europa se non si realizzerà prima il socialismo nei singoli paesi dell'Ue, a cominciare dall'Italia.
Nel 2009 si terranno le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Noi rifiutiamo l'Ue per principio e quindi non possiamo legittimarla presentandoci con nostre liste. Di fronte alle elezioni europee non si può ricorrere a un astensionismo tattico come per le elezioni nazionali ma strategico, poiché il nocciolo della questione rimane la scelta a favore o contro la Ue e non quella di dove collocarsi politicamente ed elettoralmente all'interno di essa, facendo la "sinistra" di sua maestà. Per questo il PMLI inviterà le elettrici e gli elettori ad astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco).


II Lo scenario italiano
 
10 La situazione dell'Italia 

L'Italia è attraversata da una grave crisi economica, politica, sociale e morale.
L'economia capitalistica italiana è stagnante, con una previsione di incremento del Prodotto interno lordo (Pil) prossimo allo zero. L'inflazione ha ripreso a galoppare, con i prezzi dei generi di prima necessità, dei carburanti e delle tariffe in vertiginosa ascesa. In tutti i campi l'Italia sta scivolando ai livelli più bassi dell'Europa occidentale, già superata dalla Spagna e ormai schiacciata sulle posizioni di Grecia e Portogallo.
La caduta del governo di "centro-sinistra" del democristiano Prodi e il ritorno del neoduce Berlusconi al governo mostrano la profondità della crisi politica e istituzionale che scuote il regime neofascista. Il quale è alle prese con il travaglio del passaggio dalla seconda alla terza repubblica che completerà la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione e dello Stato borghesi. Ciò è una necessità vitale per dare all'imperialismo italiano l'agognata "governabilità" che gli consenta di piegare le masse a una politica di "lacrime e sangue" e poter competere con gli altri imperialismi in Europa e nel mondo per guadagnarsi il suo "posto al sole".
Le condizioni di vita e di lavoro delle masse italiane peggiorano di giorno in giorno. Salari e pensioni sono praticamente bloccati, a fronte di un costo della vita in rapida e incontrollata ascesa come non si vedeva dagli ultimi 12 anni. Milioni di famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese. In questi anni in cui la destra e la "sinistra" borghesi si sono alternate al governo è continuata incessantemente la concentrazione della ricchezza in poche mani, i poveri sono diventati sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. È cresciuto il divario tra Nord e Sud del Paese e ha ripreso a correre l'emigrazione dalle regioni del Mezzogiorno verso il Nord del Paese.
Dilagano disoccupazione e precariato, e ciò soprattutto a spese delle masse femminili, che sono ritornate indietro di anni e respinte verso la schiavitù domestica. Il capitalismo italiano vanta un triste primato in Europa: i morti sul lavoro si contano al ritmo di 3-4 al giorno. Tutti i servizi pubblici (sanità, scuola, trasporti) sono stati tagliati anno dopo anno e quel poco che è rimasto è ormai allo sfascio. Avanzano le privatizzazioni e dilaga la speculazione, anche di stampo mafioso e camorristico, insieme al degrado e alla devastazione dell'ambiente (rifiuti, cementificazione del territorio, "grandi opere", ecc.).
Con i governi della destra e della "sinistra" borghesi sono cresciuti ininterrottamente anche la fascistizzazione e la militarizzazione del Paese, il razzismo e la xenofobia, che oggi dilagano in Italia più rapidamente che nel resto d'Europa. Contemporaneamente avanza a passi da gigante il secessionismo della Lega, spacciato dietro il federalismo sposato anche dalla "sinistra" borghese. Corruzione, malcostume e scandali non solo non sono mai cessati dopo tangentopoli, ma non sono mai stati così sfacciati e diffusi come adesso nel governo, nelle istituzioni centrali e locali e in tutti i partiti del regime neofascista. L'ingerenza del Vaticano e della chiesa cattolica italiana nello Stato e nella società è tornata a farsi sempre più proterva e asfissiante, anche grazie all'acquiescenza e alla complicità della "sinistra" borghese. Nazionalismo, militarismo e interventismo sono tornati a dominare la politica estera del Paese come nel ventennio mussoliniano.

11 Berlusconi è il nuovo Mussolini

Con l'insediamento del 4° governo Berlusconi non è avvenuto un semplice cambio di governo borghese, bensì l'avvio della terza repubblica, e il cavaliere piduista è il suo nuovo Mussolini. Gli ha aperto la strada ancora una volta la "sinistra" borghese non combattendolo e non considerandolo un nemico e tradendo la fiducia delle masse col governo Prodi, esattamente come fecero i socialisti riformisti, i liberali e i popolari nel '22 con Mussolini. Ne è responsabile anche il presidente della Repubblica, il rinnegato del comunismo Giorgio Napolitano, che ha accreditato e facilitato la compagine della destra borghese, ha incrementato il nazionalismo, il patriottismo, il militarismo e l'interventismo, ha avallato la posizione dei fascisti e degli anticomunisti sulle foibe, sulla controrivoluzione ungherese, sull'Urss di Stalin, sulla "riconciliazione nazionale" e sulla "memoria condivisa".
Quando Berlusconi è salito a Palazzo Chigi la prima volta nel 1994 noi denunciammo subito che eravamo di fronte a una nuova marcia su Roma. Quando è tornato al governo per la seconda volta nel 2001 abbiamo avvertito che attraverso il suo governo era stata instaurata la seconda repubblica e rimessa la camicia nera all'Italia, grazie anche alla copertura dell'allora capo dello Stato Ciampi e abbiamo esortato le masse a buttarlo giù per farlo cadere da sinistra. Ma la "sinistra" borghese imbelle e suonata ha rifiutato la battaglia, si è praticamente ritirata sull'Aventino per tutta la XIV legislatura lasciandogli campo libero, e dopo essersi illusa invano di una sua caduta grazie alle beghe interne alla maggioranza, ha puntato tutto sull'alternanza elettorale al governo. Preannunciando per giunta, per non spaventare i "poteri forti" (Confindustria, Vaticano, lobby economiche e finanziarie), che non avrebbe azzerato tutte le sue leggi vergogna, come poi è regolarmente avvenuto.
Il governo Prodi non solo non ha cancellato le leggi di Berlusconi, ma nella sostanza ne ha proseguito e sviluppato la stessa politica antipopolare, liberista e interventista, con la vergognosa copertura di Bertinotti e di tutto il gruppo dirigente del PRC, compreso Ferrero, addirittura ministro, del PdCI di Diliberto e Rizzo e dell'intera cosiddetta "sinistra radicale". Noi non abbiamo aspettato le sue prime nefandezze, come l'obbrobrioso indulto per salvare Previti e altri politici corrotti, l'intervento in Libano in appoggio al criminale governo israeliano, l'annuncio di ulteriori tagli alle pensioni, sanità, pubblico impiego ed enti locali, il regalo di una nuova base militare agli Usa a Vicenza, per mettere in guardia le masse sul fatto che Berlusconi e Prodi erano due facce della stessa medaglia capitalista e imperialista. L'uno e l'altro - dicevamo ancor prima delle elezioni del 2006 - sono attualmente i principali rappresentanti politici rispettivamente della destra e della "sinistra" borghese. Entrambi intendono gestire, con metodi ed alleanze sia pure diversi, gli affari del capitalismo e dell'imperialismo italiano.
I primi governi di "centro-sinistra" di Prodi, D'Alema e Amato (1996-2001), con la Bicamerale golpista di D'Alema, i bombardamenti sulla Jugoslavia, il "pacchetto Treu", la controriforma federalista del Titolo V della Costituzione e la mattanza dei no global a Napoli, aprirono la strada alla seconda repubblica e al 2° e 3° governo Berlusconi e alle sue nefandezze fasciste, tra cui: la mattanza al G8 di Genova, le leggi vergogna e ad personam, la legge Biagi-Maroni per l'istituzionalizzazione del precariato, la legge razzista Bossi-Fini sui migranti e quella fascista Fini-Giovanardi sulle droghe, la controriforma della giustizia, la devolution federalista, le missioni di guerra in Afghanistan e Iraq, ecc. Analogamente il 2° governo Prodi (2006-2008), copia di "sinistra" del precedente governo Berlusconi, ha aperto la strada al 4° governo del neoduce di Arcore e alla terza repubblica.

12 Il 4° governo Berlusconi

Con Berlusconi è il capitalismo stesso che prende le redini del governo tramite uno dei suoi principali esponenti. Mai come oggi il Gotha del grande capitale finanziario e industriale è stato così compattamente schierato con lui e con la sua maggioranza nera. Basta vedere il "Corriere della Sera", il principale quotidiano storico della grande borghesia, che lo sostiene e lo incoraggia ad andare avanti per la sua strada ogni giorno, compresi i suoi forsennati attacchi alla magistratura. La corrente della grande borghesia, facente capo a De Benedetti e al quotidiano "la Repubblica", sembra oggi in minoranza e in difficoltà e conduce una battaglia di "contenimento dei danni" esortando Veltroni ad un'opposizione più "visibile", pur senza rinunciare a perseguire il dialogo sulle "riforme".
Il feeling del neoduce con la nuova presidenza confindustriale della Marcegaglia, degna erede di Montezemolo e della sua linea iperliberista, neocorporativa e presidenzialista, sembra ridiventato totale e di ferro come ai tempi di D'Amato: "Il vostro programma è anche il programma del governo", ha detto Berlusconi il 21 maggio scorso alla platea confindustriale che lo applaudiva entusiasta. Poco tempo dopo, all'assemblea dei giovani industriali a Santa Margherita Ligure, il neoduce ha strappato una vera e propria ovazione annunciando la nuova legge sulle intercettazioni con la galera per i trasgressori. Segno che il padronato ha abbandonato ogni remora ed è pronto a seguirlo e sostenerlo nelle sue crociate per "spezzare le reni" ai magistrati e soggiogare l'intero Paese.
Anche il modo vergognoso come Berlusconi ha gestito la drammatica vicenda dell'Alitalia insieme ai grandi avvoltoi dell'industria e della finanza capeggiati da Colaninno e Passera, per spartirsene i pezzi migliori a prezzi stracciati, sacrificare migliaia di lavoratori e accollarne le ossa spolpate sulle spalle della collettività, dimostra la perfetta sintonia che si è creata tra il grande capitale e il neoduce.
Il governo del neoduce ha anche tutto l'appoggio della chiesa italiana di Ruini e Bagnasco e del Vaticano, come si è visto dal ricevimento con onori senza precedenti che gli è stato accordato dal papa nero Ratzinger. Il quale ha parlato di "momento felice" per l'Italia con il nuovo governo, mentre a sua volta Berlusconi gli ha dichiarato che il governo considera un suo dovere attuare i desideri della chiesa e si è affrettato a promettergli l'aumento dei finanziamenti alle scuole private. Lo si è visto poi anche con il clamoroso intervento censorio che il Vaticano ha prontamente sferrato in agosto al settimanale cattolico "Famiglia cristiana", che si era permesso di criticare i pericoli di fascismo insiti nelle misure razziste del governo sulla "sicurezza".
Questo governo è anche il governo della P2 e della mafia, perché è nato col preciso scopo di attuare la terza repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e interventista a completamento del "piano di rinascita democratica" e dello "schema R" di Gelli, e perché ha stretto un evidente patto criminale con Cosa nostra, come si capisce dal ruolo dell'eminenza grigia Dell'Utri, dalle dichiarazioni preelettorali sul mafioso Mangano definito "un eroe" dal neoduce, dal patto elettorale con l'autonomista Lombardo in Sicilia, dalla promessa di una nuova grande abbuffata speculativa col ponte di Messina e le "grandi opere", dalla minacciata legge per impedire le intercettazioni agli inquirenti e dalla nuova offensiva mortale per sottomettere una volta per tutte la magistratura al potere esecutivo.
Infine il governo del neoduce Berlusconi è il governo dell'imperialismo italiano e occidentale, come dimostra il rafforzamento dell'alleanza politica e militare con gli Usa, l'aumento dell'impegno militare in Afghanistan nel quadro della Nato e a fianco degli Usa, e perfino l'invio di altri carabinieri in Iraq, nonché le ricorrenti minacce di imprimere un carattere più aggressivo alla missione in Libano, minacce riferite ovviamente a Hezbollah e non certo agli aggressori sionisti.

 
13 La politica del 4° governo Berlusconi

Sul piano economico il governo non ha perso tempo a mostrare al Paese come intende procedere. Il decreto sui rifiuti in Campania, con l'imposizione di nuove megadiscariche e inceneritori presidiati dall'esercito in quanto zone ed edifici di "interesse strategico nazionale" e la manovra economica triennale da 35 miliardi di euro di Tremonti approvata in nove minuti dal Consiglio dei ministri, ne sono un'eloquente prima ricetta.
Non saranno tagliate le tasse come promesso in campagna elettorale, men che meno quelle su salari e pensioni, ma in compenso sarà tagliata la spesa pubblica di ben 20 miliardi nel triennio, di cui 9 il prossimo anno. I rami da spogliare sono sempre gli stessi: sanità, scuola, università, trasporti, finanziamenti agli enti locali. Particolarmente feroci saranno i già annunciati tagli alla sanità, con il ripristino dei ticket anche per gli esenti, tanto da aver suscitato le proteste perfino del presidente forzista della Lombardia, Formigoni. Saranno invece risparmiate dalla scure le spese militari, che anzi il fascista La Russa vuole aumentare, e le agevolazioni fiscali alle imprese. I salari invece resteranno inchiodati a un'inflazione programmata dell'1,7%: cioè almeno la metà di quella reale, nei cui confronti il governo non farà nulla per raffreddarla ma intende lasciar fare al dio mercato, salvo qualche intervento demagogico e risibile come la cosiddetta "Robin tax" e la carta prepagata per i pensionati più poveri.
Dismissioni del patrimonio pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni andranno avanti, come e oltre quelle attuate dal governo Prodi. Saranno moltiplicate e accelerate le "grandi opere", devastanti per l'ambiente già al collasso e ingoia risorse, a cominciare dalla Tav e dal ponte sullo Stretto. Costruite centrali nucleari, rigassificatori e inceneritori, per la gioia degli speculatori e di mafia, camorra, 'ndrangheta e "sacra corona unita".
Sul piano sindacale il governo, in pieno accordo con la Confindustria di Marcegaglia e Bombassei e i sindacati di regime Cisl e Uil, nonché con la destra della Cgil, punta a immolare i lavoratori alla "crescita" per far fronte alla grave crisi recessiva, ossia alla produttività e alla competitività del capitalismo italiano. A questo fine vuole depotenziare il contratto nazionale di lavoro a vantaggio di quello di secondo livello, legare i salari alla produttività, licenziare i cosiddetti "fannulloni" nel pubblico impiego per arrivare alla sua progressiva privatizzazione, continuare ad applicare ed anzi estendere la precarietà in tutti i settori del "mercato del lavoro" attraverso il "pacchetto Treu" e la legge 30. Mentre della nuova legge sulla sicurezza sul lavoro si sono già perse le tracce, con grande soddisfazione della Confindustria.
Sul piano sociale in piena sintonia con le pretese della chiesa italiana e del Vaticano e sulla base della triade clericale e mussoliniana "Dio-patria-famiglia", il governo aiuterà le famiglie, ma solo quelle cattoliche e "regolari", continuando a negare uguali diritti a quelle di fatto e alle coppie gay. Inoltre finanzierà le scuole private e cercherà di limitare ulteriormente l'aborto, mentre difenderà ad oltranza la reazionaria e antifemminile legge 40 sulla "procreazione" assistita. Nella scuola e nell'università dilagheranno le privatizzazioni, la logica di classe e aziendalistica, attraverso la loro trasformazione in Fondazioni, e il ripristino del nozionismo e del "merito" . La ministra Gelmini ha ripristinato l'uso dei grembiulini nelle elementari e il voto in condotta di gentiliana memoria. Il federalismo fiscale di imminente attuazione allargherà ulteriormente il divario Nord-Sud.
Fascismo, militarizzazione del territorio e razzismo all'interno, interventismo e imperialismo all'esterno: è questo il binomio mussoliniano esibito fin da subito dal 4° governo Berlusconi. Ne sono primi eloquenti esempi, sul piano interno, l'aberrante e liberticida "pacchetto sicurezza" del ministro dell'Interno leghista Maroni, zeppo di misure razziste e xenofobe come l'introduzione del reato di clandestinità e la detenzione fino a 18 mesi dei migranti "clandestini" nei famigerati Cpt, il prelievo delle impronte digitali ai rom e a tutti gli italiani e la schedatura dell'intera popolazione, l'uso dell'esercito per militarizzare le città e il territorio, l'arroganza fascista con cui affronta l'emergenza rifiuti in Campania. Contemporaneamente il neoduce rafforza il suo controllo sui servizi segreti cambiandone i vertici, scatena una campagna per legare le mani alla magistratura inquirente e imbavagliare la stampa con la legge per proibire le intercettazioni telefoniche, difende il suo impero mediatico salvando ancora una volta "Rete4" e si appresta a riprendere il pieno e totale controllo della Rai, eventualmente concedendo qualche briciola al PD che lo supplica di arrivare ad un accordo.
Sul piano estero la cifra della politica del nuovo governo è ben rappresentata dalla visita di Bush a Roma nel giugno 2008. In quell'occasione il neoduce ha ribadito la "piena sintonia, una sintonia totale" con l'amministrazione americana, dall'Afghanistan, al Libano e al Kosovo; dall'invio di nuove truppe e mezzi in Afghanistan, con anche la rimozione dei caveat, alla riconferma che la nuova base Usa di Vicenza si farà nei tempi stabiliti infischiandosene anche del giudizio del Tar e del referendum; dallo scudo spaziale alla politica aggressiva nei confronti della Repubblica islamica dell'Iran per isolarla e piegarla al diktat dell'alleanza imperialista occidentale. Va da sé che questa "sintonia totale" del nuovo Mussolini col nuovo Hitler si estende anche alla politica mediorientale, col pieno appoggio del governo italiano ad Israele e alla sua politica criminale nei territori occupati, l'isolamento e la condanna di Hamas e Hezbollah, un maggior impegno in Iraq a sostegno del governo fantoccio degli Usa, anche tramite l'invio di altri contingenti di carabinieri per addestrarne la polizia, oltre quelli già inviati da Prodi.

14 Il governo Berlusconi e la terza repubblica

Già sotto il primo governo Prodi, con la Bicamerale golpista presieduta dal rinnegato D'Alema, e con la complicità di Bertinotti e Cossutta, la seconda repubblica è arrivata a un passo dalla sua completa realizzazione con la controriforma costituzionale che avrebbe cambiato la forma dello Stato da nazionale e unitario a federale, avviando la divisione dell'Italia in 20 staterelli, e la forma di governo da parlamentare a presidenziale, attribuendo poteri di tipo mussoliniano al presidente del Consiglio a scapito del parlamento. Il golpe non andò in porto solo perché Berlusconi fece saltare il banco all'ultimo momento. La legge Bassanini approvata sotto il governo Prodi e la legge costituzionale per l'elezione del presidente della giunta regionale e l'autonomia statutaria delle regioni, nonché il decreto sul federalismo fiscale approvati dal governo D'Alema, sono state le prime controriforme di tipo federalistico. Sotto il governo Amato nel 2001 è stata operata un'altra sovversione da destra della Costituzione con la controriforma federalista del Titolo V approvata con i soli voti della maggioranza di "centro-sinistra" e confermata da referendum popolare.
Durante il 2° e 3° governo Berlusconi il disegno piduista di completamento della seconda repubblica ha avuto un impulso decisivo, con la controriforma costituzionale presidenzialista e federalista, detta anche devolution approvata nel 2005 dalla Casa del fascio, che l'ha imposta al parlamento a maggioranza come aveva fatto il "centro-sinistra" nel 2001 per la sua "riforma" federalista. Il golpe poi è abortito, ma non certo per l'opposizione di burro della "sinistra" borghese, che sarebbe stata pronta a controfirmarlo se la maggioranza avesse accettato di coinvolgerla e di spartirne la paternità, anziché procedere protervamente da sola. È fallito perché nel referendum confermativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione le masse popolari, quelle del Sud in testa, giustamente nel 2006 bocciarono la mostruosa controriforma partorita dalla Casa del fascio.
Tra il 2006 e il 2008, con la vittoria del no al referendum, la sconfitta elettorale di Berlusconi e la debolezza interna mostrata dal governo Prodi, nonché il suo rapido smascheramento agli occhi delle masse popolari che lo avevano votato, il processo di completamento della seconda repubblica era arrivato a un vicolo cieco. Per la classe dominante borghese in camicia nera occorreva cambiare gioco. Occorreva rilanciare la controriforma costituzionale in un contesto politico-istituzionale completamente nuovo, che facesse piazza pulita del vecchio sistema multipartitico fondato sulle coalizioni e sulle faticose mediazioni tra partiti e partitini borghesi e andare verso un regime neofascista compiuto dal punto di vista istituzionale e della legge elettorale veramente bipartitico, fondato cioè sull'alternanza al potere tra due grandi partiti della classe dominante borghese; presidenzialista, con pieni poteri per il premier e il suo governo e il ridimensionamento di quelli del parlamento e della magistratura; federalista, cioè con ampia autonomia economica e politica delle regioni più ricche in modo da concentrare tutte le risorse e il potere nelle mani delle borghesie più forti e più in grado di competere nell'agone internazionale. In altre parole la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista.
È così che tra il 2007 e l'inizio del 2008 si sono succeduti in rapida e impressionante successione la nascita del PD del neonazionalista e presidenzialista Veltroni e la sua apertura al dialogo col neoduce Berlusconi per le "riforme istituzionali" e una nuova legge elettorale di tipo bipartitico in nome della terza repubblica, la caduta del governo Prodi ormai screditato dall'esterno e azzoppato e delegittimato dall'interno, la nascita del Pdl, l'alleanza elettorale del triumvirato neofascista Berlusconi-Fini-Bossi, le elezioni anticipate e il 4° governo Berlusconi, con un parlamento dal quale è stata completamente cancellata la cosiddetta "sinistra radicale" (PRC, PdCI, Verdi, SD) e perfino qualsiasi parvenza di opposizione borghese parlamentare allo strapotere della maggioranza nera.

15 Napolitano è il nuovo Vittorio Emanuele III

A sovrintendere a questo nero processo è stato chiamato il rinnegato del comunismo Giorgio Napolitano. Fin dalla sua elezione al Quirinale costui ha fatto della controriforma "bipartisan" della Costituzione per la terza repubblica la sua missione storica, in maniera ancor più pervicace e ossessiva di Ciampi. Non si contano i suoi richiami e le sue esortazioni alla destra e alla "sinistra" borghesi al dialogo per le "riforme istituzionali". Svanita la flebile ipotesi di un governo "tecnico" per questo scopo presieduto da Marini, Napolitano non ha esitato a sciogliere il parlamento, indire le elezioni e benedire il nuovo governo Berlusconi, istituendo subito un asse di ferro con il nuovo Mussolini alla maniera di un nuovo Vittorio Emanuele III e appoggiando il "nuovo clima" e la "opposizione costruttiva" difesi da Veltroni, sempre con l'obiettivo di favorire in tutti i modi il faticoso travaglio del regime neofascista verso la terza repubblica.
In questa nuova situazione, quale l'ha costruita in vitro la classe dominante borghese in camicia nera con l'aiuto di Napolitano, la terza repubblica è avviata ma le manca la "riforma" della legge elettorale e l'imprimatur finale della controriforma della carta costituzionale.
I primi passi del governo Berlusconi, con l'esibizione di un "nuovo clima", di una sua presunta "maturità di statista", ecc., e di converso la disponibilità proclamata da Veltroni e dal suo "governo ombra" sembravano promettere progressi rapidi in questa direzione. Ma le scadenze giudiziarie incalzanti del cavaliere piduista e la guerra da lui subito scatenata contro la magistratura hanno prodotto una battuta d'arresto al dialogo sulla controriforma costituzionale, la cui durata non si può al momento prevedere.
Potrebbe anche essere relativamente breve, perché il PD si accontenterebbe di poco, pochissimo, per riprendere il filo del dialogo interrotto. Anzi, la modifica dell'emendamento blocca-processi, in pratica il suo ridimensionamento da parte della maggioranza, la fulminea approvazione del lodo Alfano che mette definitivamente al riparo e al di sopra della giustizia il premier, senza che da parte del PD ci sia stato il minacciato ostruzionismo, la sconfessione e gli attacchi di Veltroni alla manifestazione antiberlusconiana di piazza Navona e la rottura con Di Pietro che hanno suscitato le lodi plateali del neoduce, tutto ciò mostra che il PD ha già voltato pagina e aspetta di nuovo speranzosamente un cenno del nuovo Mussolini per riprendere il dialogo sulle "riforme". A questo scopo si è subito dichiarato disponibile a discutere la nuova controriforma della giustizia che il neoduce ha annunciato dalle sue vacanze dorate in Sardegna per la ripresa dei lavori parlamentari.
Decisivo per superare questa fase critica è stato l'intervento di Vittorio Emanuele Napolitano, il grande regista che ha tappato la bocca al Csm e alle proteste dei magistrati, ha permesso a Berlusconi di ottenere il suo scopo (il lodo Alfano, che il Quirinale ha prima avallato e poi subito controfirmato) e ha fatto pressioni su Veltroni per accettare il fatto compiuto del lodo in cambio del ritiro della blocca-processi e riaprire il dialogo con il PdL.
Quel che è certo è che la terza repubblica si farà: o con le "buone", vale a dire col concorso della "opposizione di sua maestà" del PD e la mediazione di "garanzia" del rinnegato Napolitano; o con le cattive, cioè a forza di golpe istituzionali e parlamentari del nuovo Mussolini e della sua schiacciante maggioranza nera. O, più verosimilmente, alternando queste due opzioni, ossia il bastone e la carota, a seconda delle diverse congiunture e fasi politiche. La può bloccare solo una rivolta delle masse.
Dobbiamo tenere alta la bandiera dell'antifascismo. Bisogna pertanto combattere contro tutte le espressioni della terza repubblica, cercando di creare su ogni tema il più vasto fronte unito. In questo quadro rientrano la richiesta dello scioglimento delle organizzazioni neofasciste e neonaziste, la lotta contro i raduni di tali organizzazioni (come la giornata anticomunista e quella sui "martiri" dei gulag a Firenze), la lotta contro la pacificazione tra fascisti e antifascisti e contro la riabilitazione della dittatura fascista di Mussolini e della cosiddetta "RSI" e la lotta contro la toponomastica anticomunista e fascista. Nella lotta antifascista è particolarmente importante curare il lavoro con e dentro l'Anpi.

 
16 Il federalismo è un pilastro della terza repubblica

Il federalismo è uno dei pilastri su cui è in procinto di sorgere la nera terza repubblica, che di fatto sovvertirà, liquidando da destra, lo Stato unitario repubblicano sancito dalla Costituzione borghese del 1948. La controriforma federalista dello Stato riporta le lancette della storia a prima dell'Unità d'Italia, sancendo la nascita di venti staterelli.
Da sempre cavallo di battaglia della Lega Nord razzista, xenofoba, separatista e neofascista di Bossi e di Miglio (il defunto ideologo già craxiano delle camicie nero-verdi), programma della P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi, il federalismo è diventato progressivamente bandiera dei DS e dell'Ulivo, oggi PD, non disdegnato neppure dai partiti falsi comunisti di Diliberto e Cossutta e di Bertinotti e Vendola, tant'è che i suoi capisaldi furono votati all'unanimità già nel 1997 dalla Bicamerale golpista di D'Alema col concorso di entrambi i poli, ivi comprese le rispettive appendici (il partito fascista di Rauti e il partito della Rifondazione trotzkista), fino a essere promosso nel 2001 dal governo di "centro-sinistra" con la controriforma del Titolo V della Costituzione.
Questo federalismo non ha niente a che vedere con l'idea di federalismo come si è andata sviluppando in Italia dal Risorgimento fino alla Costituzione del 1948, a cui di tanto in tanto si richiama soprattutto la Lega per nobilitare i progetti eversivi e golpisti della borghesia del Nord in camicia nero-verde. Allora il federalismo era un'opzione democratico-borghese, coltivata soprattutto nel campo liberale e azionista, che nasceva dalla contrapposizione a un centralismo, quali quello monarchico sabaudo e poi fascista, ritenuto autoritario, retrogrado e soffocante.
 Il federalismo della terza repubblica, invece, si muove sul terreno del neofascismo, del razzismo e della xenofobia: esso ribalta completamente la piramide istituzionale dando il primato di poteri e competenze ai comuni, alle province e alle regioni, lasciando in coda lo Stato trasformato in uno Stato federale a tutti gli effetti.
Il ddl Calderoli aderisce pienamente a questi principi. L'ultima bozza del disegno di legge sul federalismo fiscale redatta dal ministro per la semplificazione, il fascioleghista Roberto Calderoli, preparata all'inizio dell'estate, andrà all'esame preliminare del consiglio dei ministri con approvazione prevista entro il 15 settembre e inizio del periodo di transitorietà dopo il 2009. L'obiettivo dichiarato di Calderoli è di "cambiare il Paese", sgravando il Nord della "zavorra centralista". L'impianto sovvertitore dell'unitarietà e della centralità dello Stato presente nel ddl l'ha confessato lo stesso Calderoli: "I soldi vanno direttamente alle Regioni, alle Province e ai Comuni. Così ammazziamo la finanza derivata, quel sistema per cui i soldi finiscono a Roma e poi i sindaci vanno con il cappello in mano a chiedere l'elemosina", in realtà condannando il Sud, aggiungiamo noi, alla bancarotta.
Infatti, i cardini del ddl sono, oltre all'"autonomia fiscale" del territorio, il passaggio dalla "spesa storica" alla premialità e agli incentivi agli enti "virtuosi", che costringerà le amministrazioni locali, intente ad "autofinanziarsi" e a far quadrare i conti, a tagliare la spesa sociale, aprendo definitivamente le porte della gestione dei servizi sociali (scuola, sanità, assistenza e così via) all'intervento del cosiddetto privato sociale e alle logiche dell'economia di mercato, secondo il concetto fasciocattolico di sussidarietà colonna della nascente terza repubblica. Non a caso, sono addirittura previste sanzioni automatiche da parte del nuovo Stato federalista per quegli amministratori che "non fanno il loro dovere" nella gestione filopadronale delle proprie casse.
In questo senso, per ciascun livello di governo locale, il ddl individua specifiche autonomie economico-finanziarie: la casa per il Comune, le auto e i trasporti per le Province e i servizi alla persona, la formazione e la scuola per le Regioni. Questa ripartizione delle competenze rivela come il federalismo fiscale, lungi dall'esaltare come dichiarato i diversi livelli di autonomie, si appresti in realtà a costruire una sorta di centralismo regionale, più confacente agli interessi delle forti borghesie del Nord, non interessate a disperdere i centri di potere in mille rivoli. I Comuni, infatti, chiamati dal ddl a partecipare alla lotta contro l'evasione fiscale, sono destinati a svolgere fondamentalmente il ruolo di esattori, essendo privi di reali competenze nella gestione dei servizi alle persone.
Specificamente per il Sud, inoltre, si parla di "fiscalità di sviluppo" e "perequazione", in un'ottica solidaristica destinata a restare lettera morta. Infatti, secondo lo studio del centro Cifrel dell'Università Cattolica di Milano, attualmente le entrate proprie e i trasferimenti garantiscono alle Regioni 81 miliardi. Con il progetto Calderoli si passa a 228 miliardi, ai quali vanno però sottratti i soldi destinati alle nuove funzioni che saranno attribuite alle Regioni e che ora sono in carico allo Stato (trasferimenti alle Province e Comuni, finanziamento per le Università, stipendi agli insegnati e così via), per arrivare alla cifra di 63 miliardi, quasi 20 miliardi in meno rispetto a quanto incassato attualmente dalle Regioni. Praticamente una condanna alla bancarotta per tutte le Regioni del Sud a statuto ordinario di cui lo Stato arriva a coprire, secondo dati elaborati dalla Cgia di Mestre, in alcuni casi più del 70% della spesa (è il caso di Calabria, Basilicata, Molise ma anche dell'Umbria); in seria difficoltà si troverebbero anche Campania, Liguria e Abruzzo. Se si valuta invece la differenza tra tasse pagate e servizi procapite (dati Unioncamere Veneto), tra le Regioni a Statuto speciale, il ddl Calderoli riuscirebbe a mettere alle corde addirittura la Valle d'Aosta, non soltanto Sardegna e Sicilia. Insomma, conti alla mano, a guadagnarci davvero sarebbero esclusivamente le grandi regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna).
Per salvarsi dalla bancarotta, le borghesie e i gruppi dirigenti reazionari del Sud, grazie al ddl Calderoli già presentato alle Regioni, alle Province, ai Comuni e ai gruppi dell'opposizione, senza suscitare peraltro particolari scontri e polemiche, molto probabilmente s'appresteranno a realizzare lo sciagurato sogno piduista e di Cosa nostra di fare del Mezzogiorno in generale e della Sicilia in particolare la Singapore del Mediterraneo, un paradiso offshore defiscalizzato, alimentando così sotto nuove forme l'illegalità che costringe le masse meridionali alla miseria. Un progetto criminale coltivato da più di tre lustri, dal crollo della prima Repubblica travolta da tangentopoli. Del resto fu proprio il craxiano Miglio, allora ideologo e padre del secessionismo fascioleghista, in un'intervista a Il Giornale del 20 marzo 1992, a dichiarare sfacciatamente: "Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta... io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica...".
Il federalismo, in qualsiasi forma esso si presenti, non ha nulla a che vedere con gli interessi della classe operaia e delle masse popolari del settentrione, che anzi sono già state chiamate con l'inganno pure dai vertici di PRC, PdCI, SD e Verdi del Nord a sostenere le esigenze di liberismo selvaggio della ricca borghesia padano-alpina, attualmente impegnata a costruire tra Torino e Trieste una sorta di macro-regione con al centro Milano, sede dell'Expo 2015. Il federalismo è nemico della classe operaia italiana, del Nord come del Centro e del Sud, in quanto rompe la solidarietà e l'unità di classe, mette lavoratori contro lavoratori, ne indebolisce la forza contrattuale, ideologica e politica e li lega ai vari carri delle singole borghesie locali in feroce concorrenza tra di loro.

17 Nascita e ruolo del PD

La nascita del Partito democratico, con la fusione tra la destra dei disciolti DS e gli ex democristiani di "sinistra", più vari rottami dell'area liberale e socialdemocratica sia della Margherita che dei DS, che era da anni un disegno di Prodi e Parisi, è stata accelerata da due fattori: la rapida caduta di popolarità del governo del dittatore democristiano, con la facile previsione di una sua imminente caduta, e la grave perdita di credibilità del vertice dei rinnegati DS, in particolare D'Alema e Fassino, colpiti dall'inchiesta giudiziaria sullo scandalo delle scalate bancarie. La "sinistra" borghese dovette chiamare il neonazionalista e presidenzialista Veltroni a salvare la situazione e prendere le redini del nascituro PD. Il PD nasce dunque all'insegna della rottura sia con i prodiani (e quindi con la fallimentare strategia delle coalizioni di "centro-sinistra"), sia con i dalemiani, che contavano di governare il partito attraverso l'allora più papabile candidato alla segreteria, Fassino.
Con Veltroni "si volta pagina", come lui stesso ebbe a dire col manifesto del Lingotto del 27 giugno 2007: "Facciamo in modo, per la prima volta da quindici anni, che non si formino più schieramenti 'contro' qualcuno, ma schieramenti 'per' affrontare le grandi sfide dell'Italia moderna", disse Veltroni con un chiaro invito consociativo alla Casa del fascio per fare insieme una nuova legge elettorale per un sistema maggioritario e bipartitico all'americana, e le "riforme istituzionali" per dare "stabilità" al Paese e "modernizzarlo", a cominciare da maggiori poteri al premier (presidenzialismo), dal monocameralismo e dal federalismo. In pratica la terza repubblica. Su questa base impostò subito un dialogo col neoduce Berlusconi, arrivando fino ad un accordo verbale su una nuova legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento che avrebbe favorito lo sfoltimento dei partiti rappresentati in parlamento e favorito la formazione di due grandi coalizioni secondo il disegno bipartitico condiviso in quel momento dai due leader della destra e della "sinistra" borghese.
La trattativa tra i due urtò però con le resistenze interne dei rispettivi schieramenti e si esaurì. Per forzare la situazione politica stagnante verso un bipartitismo di fatto, Veltroni decise allora di accelerare annunciando che in caso di elezioni anticipate il PD si sarebbe presentato da solo. Era praticamente il benservito a Prodi, che infatti di lì a poco cadde senza i rimpianti del leader in pectore del PD.
Col discorso elettorale nazionalista e patriottardo di Spello del 10 febbraio 2008 Veltroni portò ancora più avanti il suo disegno consociativo, sancendo la fine del conflitto e di ogni contrapposizione ideologica con la destra in nome dell'unità nazionale e della terza repubblica da realizzare insieme ad essa. Il neoduce Berlusconi, non a caso neanche nominato qui e in tutta la campagna elettorale, non doveva essere considerato più un nemico bensì l'interlocutore legittimo e privilegiato per fare insieme le "riforme istituzionali" indispensabili al consolidamento del regime neofascista.
Da allora il leader del PD ha sempre tenuto ferma questa linea, anche dopo la sconfitta elettorale, e continua a tenerla tuttora con la massima ostinazione, salvo qualche variazione tattica dovuta alle circostanze.
Non ci si deve infatti far ingannare dai suoi continui proclami e minacce di passare dalla "opposizione di sua maestà" annunciata in parlamento in occasione della fiducia al governo Berlusconi ad una "opposizione dura e senza sconti". In realtà questi proclami sono dettati dalla concorrenza elettoralistica che gli sta facendo il reazionario Di Pietro e dalla fronda interna di prodiani, dalemiani e rutelliani che monta, e sono regolarmente seguiti e smentiti da altrettante riconferme che egli è pronto a riprendere il filo interrotto del dialogo col cavaliere piduista sulle "riforme istituzionali" non appena costui gli dia un qualche segnale che serva per "svelenire" il clima. Se non ci fosse stata l'offensiva di Berlusconi contro i magistrati tutto avrebbe potuto procedere tranquillamente sui binari annunciati in parlamento, quando il leader del PD aveva promesso al neoduce: "voteremo contro il suo governo, ma convergeremo su ogni scelta che vada nella direzione giusta".
E in effetti il PD non avrebbe alcuna remora ad approvare il decreto razzista e xenofobo sulla sicurezza di Maroni, anche perché non è altro che la riproposizione, indurita, di quello varato dal governo Prodi e che lo stesso Veltroni aveva reclamato dopo l'assassinio di Giovanna Reggiani da parte di un immigrato rumeno. Così come il PD non ha avuto remore nell'appoggiare il decreto fascista sull'emergenza rifiuti in Campania, non ha fiatato sulla modifica dei caveat e l'invio di nuove truppe e mezzi in Afghanistan, non ha avuto pregiudiziali di principio sul vergognoso e anticostituzionale lodo Schifani ripresentato con la firma del guardasigilli Alfano, tant'è vero che ha rinunciato a dargli battaglia in parlamento contentandosi e vantandosi della "vittoria" per il ritiro della legge blocca-processi, rifiutando di aderire alla raccolta di firme per il referendum abrogativo del lodo Alfano e promuovendone al suo posto una ben più innocua, inutile e ridicola "contro la politica del governo".
D'altra parte non è significativo il rinvio immotivato all'autunno di ogni manifestazione di piazza contro la protervia fascista del neoduce, quando costui avrà già avuto tutta la comodità di raggiungere i suoi sporchi scopi?
Senza contare il dialogo, in parte segreto e in parte alla luce del sole, che non si è mai interrotto, neanche nei momenti di maggiore "scontro" con la maggioranza, che Veltroni, D'Alema e altri capibastone locali del PD intrattengono con la Lega (attraverso il piccolo Himmler, Maroni e con lo stesso caporione leghista Bossi, invitato perfino alla prima festa nazionale del PD a Firenze), nell'intento di uscire dall'isolamento in cambio della promessa di votare il federalismo fiscale.

18 Il naufragio dei partiti della ex Sinistra arcobaleno

Le elezioni del 13-14 aprile hanno portato al tracollo la Sinistra arcobaleno e i partiti che la componevano (PRC, PdCI, Verdi e SD). Rispetto alle precedenti politiche del 2006 ha perso - senza contare SD - quasi 3 milioni di voti e non è nemmeno riuscita ad entrare in parlamento, il che rappresenta un fatto storico senza precedenti.
Si tratta di una vera e propria catastrofe per tale formazione, ammessa dagli stessi dirigenti dei quattro partiti che ne facevano parte, dovuta in larga parte all'astensionismo provocato in primo luogo dalla delusione per le false promesse e la politica antipopolare, liberista e interventista del governo Prodi, a cui questi partiti hanno retto il sacco servilmente e senza ottenere assolutamente niente in cambio. Ad alimentare la delusione nell'elettorato di sinistra ha contribuito anche il metodo sbrigativo, verticistico e clientelare, tipico dei partiti borghesi, con cui i leader dei quattro partiti hanno creato la Sinistra arcobaleno, buttando sprezzantemente alle ortiche la falce e martello e riducendo, come ha detto Bertinotti, il comunismo a una "tendenza culturale", nonché imponendo se stessi e i loro uomini più fidati ai primi posti nelle liste elettorali.
Un'altra causa importante del tracollo - ma in misura minore dell'astensionismo - è stata il cosiddetto "voto utile" verso il PD, a cui la parte più arretrata dell'elettorato della Sinistra arcobaleno ha abboccato nell'illusione di fare meglio argine al ritorno del neoduce Berlusconi e della destra. Qualche centinaio di migliaia di voti è stato poi rosicchiato dalle formazioni revisioniste e trotzkiste minori, PCL, Sinistra critica e Lista per il bene comune.
È del tutto fantasiosa invece la tesi - sbandierata interessatamente dai partiti e dai mass-media di regime per accreditare una presunta "svolta a destra" della classe operaia e delle masse al fine di demoralizzarle - che il tracollo dei partiti della Sinistra arcobaleno sia dovuto alla trasmigrazione di una grossa fetta dell'elettorato di sinistra verso la Lega di Bossi.
Le conseguenze di questa catastrofe elettorale sono state devastanti: per la Sinistra arcobaleno, che di fatto non esiste più come soggetto politico, e per i partiti che la componevano, che se ne vanno ora ognuno per la sua strada. Verdi e SD (la cui direzione è passata da Fabio Mussi a Claudio Fava, e che guarda ai socialisti) veleggiano verso il riassorbimento nel PD. Il PdCI è stato il primo a dichiarare subito il fallimento della Sinistra arcobaleno e con l'ultrarevisionista Diliberto, pressato da sinistra dal trotzkista ex "Lotta continua" Rizzo, propone di "ripartire dalla falce e martello" (che peraltro non aveva esitato anche lui ad abbandonare per entrare nell'alleanza elettorale con Bertinotti) e dare vita a una "costituente comunista": invito rivolto chiaramente da una parte a PCL, Sinistra critica e altri gruppi trotzkisti, e dall'altra alle correnti revisioniste interne al PRC, e in particolare a "L'Ernesto" di Giannini e Pegolo. Nessuno di essi ha raccolto l'invito, cosicché il 5° Congresso del PdCI si è concluso con un pugno di mosche in mano.
Il PRC è il partito che ha pagato il prezzo più alto della sconfitta elettorale. Perché era il partito più importante dei quattro e perché con Bertinotti era stato l'artefice del progetto riformista e trotzkista della Sinistra arcobaleno. Un soggetto politico che secondo le ambizioni dell'ex guardiano della Camera avrebbe potuto aspirare al 15% dell'elettorato, incollandosi al fianco sinistro del PD, mentre ha ottenuto meno del 3% ed è stato cancellato dal parlamento. Un risultato assolutamente imprevisto per il narcisista gandhiano, che in fondo aveva assecondato il disegno di Veltroni prendendo anche lui le distanze da Prodi e accettando senza protestare la "separazione consensuale" dal PD, ma con la certezza di ottenere almeno il 6-7% e superare la soglia di sbarramento. Dopodiché avrebbe fatto valere i suoi voti con Veltroni in parlamento e nelle giunte locali.
Invece il suo disegno è stato spazzato via dall'astensionismo e il PRC si è ritrovato fuori dal parlamento e frantumato in correnti che, venuto a mancare il collante della partecipazione al governo e delle prebende parlamentari, si combattono ormai apertamente e senza esclusione di colpi, come avveniva nella vecchia DC. Dal congresso straordinario di Chianciano (24-27 luglio 2008) Rifondazione trotzkista è uscita fondamentalmente spaccata in due tronconi: uno di destra, quello dei bertinottiani di Giordano, Migliore, Fratoianni, Gianni e altri, facenti capo al cattolico-trotzkista pupillo di Bertinotti, Nichi Vendola, e uno di "sinistra", guidato dall'ex ministro della Solidarietà sociale, l'operaista trotzkista valdese Paolo Ferrero, che è stato eletto nuovo segretario da una maggioranza risicata, formata da tutte le altre correnti del partito: gli ex DP dello stesso Ferrero e di Russo Spena, l'ex bertinottiano Mantovani, l'area Essere comunisti dei revisionisti Grassi, Burgio e del trotzkista Vinci, l'area de "L'Ernesto" dei revisionisti Giannini e Pegolo (che si sono divisi subito dopo il Congresso), i più favorevoli all'unificazione col PdCI, quella ufficialmente trotzkista di "Falcemartello" di Bellotti e quella dell'opportunista trotzkista Franco Russo.
Anche se i trotzkisti di destra di Vendola sono stati sconfitti dai trotzkisti di "sinistra", il governatore della Puglia continua a spingere per un'uscita ancor più a destra dalla crisi, attraverso lo scioglimento del PRC, giudicato ormai apertamente un "residuato del Novecento" e proponendo la "costituente di sinistra" riformista e socialdemocratica con SD e finanche con Verdi e socialisti per riavvicinarsi al PD. Pronto anche a fare la scissione qualora non gli riuscisse di ribaltare la fragile maggioranza uscita dal congresso tirando a sé i pencolanti grassiani. Ferrero e i suoi alleati propongono di salvare il salvabile, ossia ciò che resta del PRC, e di uscire dalla crisi "in basso a sinistra", cioè con una non meglio precisata "svolta a sinistra" ripartendo "dal sociale" e dal "contatto" con le masse. Ma di concreto c'è solo la decisione di ripresentarsi alle elezioni europee con lista e simbolo del solo PRC, mentre si esclude una rottura col PD nelle giunte locali ma solo una ridiscussione degli accordi nelle situazioni più controverse (Bologna, Napoli, Calabria, Abruzzo, ecc.).
Intanto, delle sbandierate intenzioni di "tornare nelle piazze" per ora non se n'è vista neanche l'ombra. Anzi, la Sinistra arcobaleno è proprio sparita completamente dalle piazze, tanto che nella manifestazione antiberlusconiana di Roma dell'8 luglio Ferrero e Fava erano presenti solo a titolo personale. Per non parlare dei vari esponenti bertinottiani, tra cui il direttore di "Liberazione" Sansonetti, che si sono addirittura uniti alla canea bipartisan che si è scagliata contro la suddetta manifestazione.
Attualmente i partiti della "sinistra" borghese a sinistra del PD, o meglio quel che ne rimane, si possono quindi dividere in due aree: una che viaggia decisamente verso l'assorbimento nel PD o comunque verso la sua orbita, tra cui SD, i Verdi e i bertinottiani di Vendola. Non a caso verso questi soggetti sono aumentate le attenzioni di D'Alema, ma anche dello stesso Veltroni, come alternativa alla tormentata alleanza con Di Pietro in vista delle prossime elezioni amministrative. Veltroni infatti è andato sia al congresso di SD che a quello dei socialisti di Nencini.
L'altra area - tra cui il PRC, il PdCI, il PCL, Sinistra Critica - cercherà di sopravvivere a rimorchio del PD, con l'unico obiettivo di costruire nuove trappole politiche e organizzative a sinistra del PD e dei rottami della Sinistra arcobaleno per recuperare la fiducia degli astensionisti di sinistra e impedire che essi vengano attratti dal PMLI.
In ogni caso si è aperta una situazione nuova, estremamente favorevole per il nostro Partito, che dobbiamo riuscire a sfruttare a fondo per conquistare al PMLI quanti più possibile anticapitalisti e fautori del socialismo, che già hanno compiuto il primo fondamentale passo di astenersi, dissociarsi o uscire da sinistra dai partiti falsi comunisti.

III La Questione meridionale

19 Cosa è e come nasce la Questione meridionale

La Questione meridionale è l'insieme dei problemi relativi alla condizione di profonda arretratezza del Sud rispetto al Centro e al Nord Italia, delle cause e delle conseguenze politiche, economiche, sociali e culturali ad essa connesse.
Ha come elementi socio-economici costitutivi, storici ed attuali, le controriforme agrarie a favore dei grandi proprietari terrieri e dei latifondisti e la tardiva e parziale industrializzazione dell'agricoltura, la debole e non generalizzata industrializzazione delle regioni del Sud, la mancanza di lavoro e la povertà delle masse meridionali, le insufficienti infrastrutture, gli inadeguati servizi e trasporti, il saccheggio e l'inquinamento del territorio del Sud, il controllo capillare di quest'ultimo e delle istituzioni borghesi locali e nazionali da parte delle mafie.
La Questione meridionale nasce con la formazione dello Stato borghese italiano. Al momento dell'Unità d'Italia, nel 1861, gli industriali del Nord la facevano da padroni. Drenavano risorse, materie prime e manodopera del Sud per arricchire e sviluppare il Nord. Allora l'economia del Sud era in stadio precapitalistico e semifeudale, mentre l'economia del Nord era in stadio capitalistico e legata alle economie capitalistiche dell'Europa. Le regioni del Sud venivano considerate come un mercato coloniale per la vendita dei prodotti forniti dall'industria del Nord.
L'alleanza organica tra la borghesia più conservatrice del Nord e i latifondisti del Sud sotto l'egemonia della reazionaria Casa Savoia, blocca l'economia del Sud, prevalentemente agricola, e gli preclude ogni possibilità di pieno sviluppo capitalistico dei rapporti di produzione.
Le rendite non vengono reinvestite nell'ammodernamento della produzione, ma spostate al Nord per rafforzarne l'industria. Si pongono così i presupposti del cronico impoverimento delle masse popolari del Sud, mentre i primi nuclei di criminalità organizzata, militarmente strutturati nelle campagne e nelle città, si alleano stabilmente con lo Stato borghese ai fini del controllo e dello sfruttamento del lavoro salariato e con la funzione di repressione dei movimenti popolari.
Sottosviluppo agricolo e industriale e conseguente disoccupazione cronica di massa, da una parte, e gonfiamento dell'apparato burocratico-amministrativo ereditato dal vecchio regime semifeudale borbonico dall'altra, favoriscono a loro volta l'impiantarsi di un sistema clientelare e corrotto. Sistema che i partiti liberali borghesi e il fascismo prima, la Democrazia cristiana a partire dal dopoguerra, e oggi i suoi eredi (Pdl, UdC e autonomisti) gestiscono sapientemente, in combutta con le mafie, per assicurarsi quel potere ininterrotto e incontrastato che dura tuttora.

20 La criminalità organizzata

 
La criminalità organizzata - 'ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita -, che è la parte più reazionaria e sanguinaria della borghesia italiana, condiziona pesantemente lo sviluppo del Mezzogiorno. La sua esistenza nello Stato borghese e nell'economia capitalistica è legata a funzioni specifiche che vi svolge e che, dall'Unità d'Italia ai nostri giorni, si sono sempre più evolute e raffinate, allargandosi a comprendere settori dell'industria e dell'agricoltura, dell'alta finanza, della politica borghese. Oggi la criminalità organizzata è fortemente compenetrata con l'economia e le istituzioni borghesi.
Al rafforzamento della criminalità organizzata hanno contribuito la controriforma dell'ordinamento giudiziario, le leggi sulla depenalizzazione del falso in bilancio, lo scudo fiscale, i condoni, la precarizzazione del lavoro, le leggi sull'immigrazione e quelle neofasciste sulle tossicodipendenze, le privatizzazioni dei servizi, le leggi sulla forma federale dello Stato e sul federalismo fiscale e sul piano sociale il consistente immiserimento e avvilimento delle condizioni di vita che diventa un terreno ideale per l'assoldamento della manovalanza delle mafie.
Per sconfiggerla bisogna capire dov'è la testa su cui indirizzare i nostri colpi principali. La testa si trova nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e nelle istituzioni. Cioè dentro la classe dominante borghese, lo Stato borghese e l'economia capitalistica.
Per il PMLI la lotta contro la criminalità organizzata è parte integrante della battaglia per il lavoro, lo sviluppo e l'industrializzazione del Mezzogiorno.
Occorre sostenere i magistrati impegnati in prima fila nella lotta alle cosche e le richieste delle Procure distrettuali antimafia per disporre di fondi e mezzi adeguati per svolgere la loro attività.
Non serve la militarizzazione del territorio e vanno combattuti i provvedimenti neofascisti miranti ad imporla nelle regioni del Sud.
La lotta alla borghesia criminale rientra nella lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, tra il socialismo e il capitalismo, tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il riformismo, il revisionismo e il neorevisionismo.
Tuttavia è necessario che tutti gli anticamorristi e gli antimafiosi si uniscano in un vasto Fronte unito, che può essere articolato nelle regioni e nelle città, deve avere un carattere di massa e nazionale e deve comprendere tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, religiose democratiche che realmente intendono liberare il Mezzogiorno dalla criminalità organizzata.
Il PMLI è disponibile a formare questo vasto Fronte unito, sulla base di una piattaforma politica comune e su un piano di uguaglianza nei diritti e nei doveri, il quale consentirà di riportare delle importanti vittorie sulla criminalità organizzata. Occorre tuttavia essere coscienti che la criminalità organizzata non è un corpo estraneo allo Stato e all'economia borghesi, e perciò essa potrà essere estirpata completamente e definitivamente solo abbattendo lo Stato borghese e instaurando il socialismo.

 
21 La Questione meridionale oggi

A partire dal processo di demolizione della prima Repubblica, coll'allora neoduce Craxi, e di costruzione della seconda e terza repubblica, con i governi del neoduce Berlusconi e del "centro-sinistra", tutti i problemi legati tradizionalmente alla Questione meridionale hanno subito una accelerazione ed altri ne sono nati.
Le controriforme necessarie alla borghesia monopolista italiana per entrare e rimanere nella Unione europea imperialista, le linee economiche e politiche antipopolari di quest'ultima, la lotta dei paesi dell'Unione per l'egemonia, il dominio e l'accaparramento di materie prime, di territori e di zone di influenza, hanno dato un duro colpo a settori importanti dell'economia del Mezzogiorno, nel quadro della preesistente grave condizione di sottosviluppo.
La borghesia italiana ha guardato unicamente a competere e prevalere sul mercato "globale" ed è così che ha ulteriormente abbandonato il Sud a se stesso.
Le borghesie conservatrici e mafiose del Sud, le quali traggono profitto dall'economia criminale, hanno dato vita a nuove organizzazioni politiche di stampo federalista e separatista che, nel quadro delle istituzioni borghesi, vivono su una base elettorale clientelare raccolta con il ricatto criminale sul posto di lavoro.
L'alleanza tra la borghesia monopolista del Nord e quella criminale del Sud si concretizza oggi con la presenza di esponenti mafiosi e filomafiosi nelle istituzioni borghesi, dai comuni al parlamento, governi locali e regionali a quello centrale, i quali sono in grado di condizionare in senso fortemente antipopolare ed antiproletario l'intera vita economica, politica, sociale e culturale italiana.
Crisi dell'agricoltura ed abbandono dei contadini poveri, crisi dell'industria, deindustrializzazione e perdita di posti di lavoro operai, aumento della disoccupazione e dello sfruttamento selvaggio del lavoro salariato, forme di lavoro schiavistico, peggioramento della condizione femminile e giovanile, distruzione del territorio del Sud, separatismi nordisti e sudisti, presenza ad ogni livello istituzionale di esponenti delle mafie, razzismo istituzionale contro gli italiani del Sud sono tutti elementi della Questione meridionale oggi.

 
22 Lavoro al Sud

Attualmente, grazie alle politiche antimeridionali dei governi avvicendatisi negli ultimi anni, si concentra nelle regioni del Sud, nei settori produttivi e nel terziario, compreso il settore pubblico, il massimo della disoccupazione e dello sfruttamento dei lavoratori, del lavoro nero, dei bassi salari, della mancanza delle protezioni sindacali, del "caporalato".
La politica dei patti territoriali, dei contratti d'area e gli attacchi alla contrattazione nazionale, le controriforme sul lavoro della seconda e terza repubblica, hanno avuto come risultato quello di sottoporre il proletariato e le masse popolari del Sud a un sempre maggiore sfruttamento.
Le continue proteste per il lavoro al Sud e l'elevatissimo tasso di astensionismo ad ogni consultazione elettorale dimostrano che le masse lavoratrici del Sud sono molto combattive e che l'equilibrio sul quale si regge il dominio di classe borghese nel Sud e, quindi, in tutta Italia, è sempre più precario e ha nei problemi delle masse lavoratrici del Sud uno dei suoi principali elementi di crisi.
Il Partito deve lavorare per radicarsi nei movimenti per il lavoro al Sud con rivendicazioni mirate e concrete, per guidare le masse a soddisfare i loro bisogni e innalzare la coscienza anticapitalista del proletariato e delle masse lavoratrici meridionali.
Bisogna spingere il sindacato, troppo accondiscendente con i governi nazionali e locali, a porre al primo posto la Questione meridionale.
Bisogna che il sindacato difenda e rilanci con forza la contrattazione collettiva nazionale, per arginare la dilagante precarietà, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, degli orari e dei diritti dei lavoratori del Sud, e impedisca la reintroduzione delle "gabbie salariali", ultimo tassello della politica neofascista sul lavoro.
Abrogazione della legge 30 e del "pacchetto Treu", lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutti i disoccupati e lavoratori, secondo le condizioni sancite nel Ccnl, senza deroghe sui metodi di assunzione, l'orario di lavoro, le normative, i trattamenti salariali, sono le parole d'ordine principali che vanno diffuse tra le masse lavoratrici del Sud e rivendicate in sede di lavoro sindacale.

 
23 Masse giovanili al Sud

Il più grande crimine il capitalismo italiano lo ha perpetrato e continua a perpetrarlo verso le masse giovanili del Sud. Oggi molti giovani meridionali corrono il rischio di non lavorare mai nel corso della propria vita. La stragrande maggioranza vivrà di lavori precari e in nero.
Negando il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato ai giovani del Sud il capitalismo italiano nega loro l'indipendenza economica, li costringe all'emarginazione sociale, all'emigrazione, alla subalternità familiare, a vivere di assistenza e li rende vittime delle mafie e del clientelismo elettorale delle cosche parlamentari.
Le discriminazioni nei confronti delle masse giovanili del Sud si concretizzano a due livelli: quello del lavoro e quello dell'istruzione.
Le condizioni di sfruttamento della masse lavoratrici giovanili del Sud non hanno paragoni in Europa.
La disoccupazione giovanile elevatissima, la deregolamentazione dei contratti e l'assenza di controlli conseguenti alle controriforme in materia di lavoro, hanno consentito alla borghesia di inasprire lo sfruttamento del lavoro salariato dei giovani e giovanissimi operai meridionali ancor più che al Nord.
L'impoverimento delle masse del Sud ha determinato l'aumento del fenomeno dello sfruttamento schiavistico degli operai-bambini. Il profitto prodotto dai bambini, dai minorenni e dai giovani lavoratori precari del Sud è oggi un'enorme fetta della ricchezza della borghesia italiana. La stragrande maggioranza delle masse giovanili del Sud vive di lavori di fatica e pericolosi, in nero e pagati pochi euro al mese.
Moltissimi giovani meridionali vengono espulsi precocemente dall'istruzione. La stragrande maggioranza non possiede le condizioni economiche familiari per andare oltre la scuola secondaria di primo grado e rimane senza una formazione professionale.
Le controriforme scolastica e universitaria hanno dato l'ultimo e più grave colpo alla possibilità delle masse giovanili del Sud di ricevere una formazione pari a quella fornita ai giovani del Centro-Nord. Quei pochi che arrivano a un'istruzione di più alto livello non riescono più a essere assorbiti dai settori produttivi o dal terziario, data la debolezza congenita e sempre maggiore dell'economia del Sud e sono condannati il più delle volte ad emigrare.
Lo sfruttamento lavorativo selvaggio, l'esclusione da un'adeguata istruzione e l'emigrazione dei giovani del Sud sono alcuni tra i nodi che rendono strutturale la Questione meridionale. Il sottosviluppo del Sud è connesso alla distruzione della stragrande maggioranza della forza-lavoro giovanile del Mezzogiorno.
Su queste contraddizioni il Partito deve fare leva per attirare i giovanissimi e giovani operai e studenti meridionali più avanzati e combattivi e assicurarsi il radicamento nelle scuole e nei luoghi di lavoro e di vita.

 
24 Masse femminili al Sud

L'attacco concentrico ai diritti del proletariato e delle masse lavoratrici e popolari italiane in questi ultimi decenni ha avuto un riflesso devastante sulle condizioni lavorative, sociali e culturali delle masse femminili del Sud.
L'aumento della disoccupazione e della precarietà si ripercuote in maniera pesante sulla diminuzione di occupazione stabile al Sud e sull'aumento del lavoro nero e sottopagato per le masse lavoratrici femminili.
Sono ricomparse, in maniera diffusa, forme di sfruttamento del lavoro ritenute estinte, come il lavoro schiavistico nelle campagne, o in via di estinzione come il caporalato ed il cottimo, che si allarga dal lavoro salariato a comprendere anche il lavoro intellettuale.
Le giovani e le giovanissime meridionali pagano maggiormente questa condizione di sfruttamento occupando i posti meno retribuiti, svolgendo lavori pesanti per pochissime centinaia di euro al mese.
Il sistematico smantellamento del cosiddetto "Stato sociale" e la quasi completa privatizzazione dei servizi pubblici penalizzano le donne al Sud due volte: prima perché non trovano lavoro o lavorano per lo più in nero, e poi perché, in mancanza di servizi sociali, sono condannate ai lavori domestici "forzati".
Al Sud più che altrove è la chiesa cattolica a svolgere un'opera di condizionamento e di propaganda ideologica per esaltare il ruolo della donna nella famiglia borghese e giustificare la cacciata delle donne dal lavoro e il loro confinamento nei lavori domestici e di assistenza.
L'oscurantista e medievale terrorismo della Chiesa sulla contraccezione e l'aborto, nonché la presenza negli ospedali pubblici dei gruppi cattolici clerico-fascisti, organizzati per criminalizzare le donne che intendono abortire, non ha consentito che la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza fosse veramente applicata al Sud, accentuando la piaga ancora diffusissima dell'aborto clandestino.
Il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per le donne del Sud, insieme alla costruzione di una fitta rete di servizi sociali pubblici e gratuiti per la socializzazione del lavoro domestico sono gli elementi essenziali per migliorare la condizione delle donne del Sud.

25 Trasporti, acqua e servizi al Sud

Il sottosviluppo della rete viaria e ferroviaria, delle infrastrutture, dei servizi pubblici, sanità, scuola e la gestione inefficiente del servizio idrico e della raccolta rifiuti sono alcuni aspetti macroscopici del sottosviluppo economico e della povertà delle masse popolari del Sud.
La necessità della borghesia italiana di sviluppare le industrie ed i trasporti nel Nord ha reso improduttivi gli investimenti per lo sviluppo infrastrutturale e dei servizi al Sud. Oggi il Sud in questi settori si allontana sempre più dagli standard del Nord.
La condizione di questi vitali settori per le masse del Sud è avviata verso un veloce peggioramento. A causa della politica di privatizzazione i trasporti viari e ferroviari, i porti e gli aeroporti, le linee di trasmissione elettrica, le reti di distribuzione del gas e le infrastrutture idriche, gli ospedali, le scuole, spesso conquistati grazie alle lotte popolari, finiscono nelle mani delle grandi multinazionali e in quelle delle mafie, determinando un aumento del costo dei servizi, un loro peggioramento ed un arricchimento della criminalità organizzata.
Il disastro del settore rifiuti in Campania è emblematico.
Tra le cause principali di questa situazione il principio della sussidiarietà che informa tutta la politica sociale della seconda e della terza repubblica.
I governi borghesi della seconda e terza repubblica puntano alle "grandi opere", inutili e dannose, come il ponte di Messina, e hanno abbandonato qualsiasi intervento per potenziare la dotazione infrastrutturale del Meridione. Bisogna rivendicare servizi pubblici, gratuiti e funzionanti, lottare per abrogare i progetti delle "grandi opere", compresi gli inceneritori e le maxidiscariche, e battersi perché gli stanziamenti ad esse destinati vengano messi sotto il controllo delle masse popolari e siano spesi per potenziare i servizi pubblici e costruire una rete idrica, energetica, viaria, ferroviaria e marittima pulita, efficiente e moderna nel Meridione.

 
26 Il ruolo del PMLI

Lo studio e l'analisi della realtà economica, politica e sociale delle regioni meridionali unitamente all'azione politica del PMLI saranno determinanti per il suo sviluppo nazionale e per le sorti della lotta di classe in Italia.
Il Partito deve dare tutto se stesso nelle lotte immediate e a lungo termine del proletariato e delle masse popolari del Sud ma per portarle al successo ha bisogno di allearsi con altri partiti, gruppi e movimenti sulle questioni politiche, sindacali, sociali, ambientali, culturali di comune interesse, al limite con delle forze acomuniste e anticomuniste. Bisogna indirizzare i colpi contro il nemico principale. A livello nazionale è attualmente il governo Berlusconi, a livello regionale e locale i governi distribuiti sul territorio.
Bisogna privilegiare nel Sud le questioni legate allo sviluppo e all'industrializzazione, al lavoro, ai problemi delle masse giovanili, alla lotta contro le mafie, ai servizi, all'inquinamento, agli inceneritori e alle maxidiscariche, alla pubblicizzazione dell'acqua. L'obbiettivo strategico da perseguire è la conquista di un forte sviluppo economico, a prevalente indirizzo pubblico, fondato su ingenti finanziamenti pubblici e piani straordinari per promuovere l'agricoltura, l'industria, le infrastrutture, i servizi e il terziario. Tutto ciò con la partecipazione e sotto il controllo delle masse popolari del Sud, che devono avere l'ultima parola sui suddetti interventi.
Lo sviluppo e il radicamento del PMLI nelle città e nelle regioni del Mezzogiorno, nelle industrie e nelle campagne del Sud, passa dalla partecipazione - diretta e attraverso i movimenti di massa - nelle lotte per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari del Sud.
In questo ambito il Partito deve porre tutta l'attenzione possibile alle questioni della deindustrializzazione, dello sviluppo dell'industria e dell'agricoltura del Sud e approfondire la sua analisi sui problemi contemporanei di questi settori, con lo scopo di legarsi al proletariato industriale e agricolo, al semi-proletariato agricolo, compresi gli operai forestali e gli immigrati stagionali, i contadini poveri del Sud. Affinché il Sud e il Nord si uniscano nella lotta contro il capitalismo e per l'Italia unita, rossa e socialista.

IV Questioni sociali e lavoro di massa

27 Il lavoro

 
Il lavoro è un diritto fondamentale inalienabile, e come tale dovrebbe essere garantito a tutte e a tutti. E invece non è affatto così: nel nostro Paese il problema della disoccupazione non è stato mai risolto e oggi si presenta nelle forme più gravi tra tutti i paesi europei. La causa principale della disoccupazione sta nell'economia di mercato e nel modo di produzione capitalistico il quale ha bisogno dell'"esercito" di mano d'opera di riserva dove attingere nei momenti di sviluppo produttivo e dove ricacciare i lavoratori "eccedenti" nei momenti di crisi. La concorrenza crescente tra capitalisti, la ricerca del massimo profitto, l'anarchia della produzione, le ricorrenti crisi di sovrapproduzione, dovute alla contraddizione tra le illimitate capacità di produrre merci e le limitate capacità di acquisto delle masse, portano inevitabilmente a riduzioni di occupazione, a licenziamenti.
Nel nostro Paese si registrano: un tasso di occupazione più basso, un tasso di disoccupazione tra i più alti, milioni di lavoratori a "nero" e altri milioni di lavoratori con contratti precari supersfruttati e non tutelati, un abissale dislivello territoriale tra Nord e Sud in materia di occupazione, una disparità uomo-donna ancora forte a sfavore di queste ultime, e vi è anche una presenza molto elevata di lavoro minorile, del tutto intollerabile. Il Mezzogiorno rimane la vittima principale del flagello della disoccupazione con un tasso pari al triplo di quello esistente nel resto d'Italia. La crisi economica, caratterizzata da recessione e inflazione, che avanza dagli Usa verso l'Europa e il nostro Paese, non può che aggravare ulteriormente questa situazione: migliaia di "esuberi" a Telecom e Alitalia, torna la Cig alla Fiat.
Dagli anni '80 in poi, a seguito delle privatizzazioni delle aziende pubbliche e dei grandi processi di ristrutturazione, a seguito della pressione padronale e dell'arrendevolezza dei partiti sedicenti operai (il PCI revisionista in testa) e dei vertici sindacali confederali, Cgil compresa, con l'avvento della "globalizzazione" dei mercati e della conseguente accentuazione della competitività capitalistica a livello planetario, il diritto al lavoro e il diritto ad averlo a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato è stato progressivamente cancellato. Con ricadute devastanti, specie per le nuove generazioni e per il Mezzogiorno che sono davanti a tutti. La parola d'ordine della "piena occupazione" è stata sostituita con quella della "massima occupazione possibile". A cui è seguita la filosofia del superamento del "posto fisso" a favore di tanti lavori in una vita.

Deregolamentazione dei contratti di lavoro
La sistematica deregolamentazione del "mercato del lavoro" e la distruzione del collocamento pubblico, lungi dal favorire l'emergere del "lavoro sommerso", dal contenere la delocalizzazione delle aziende in paesi dove si praticano bassi salari e forti agevolazioni fiscali e lungi dal produrre un aumento strutturale e complessivo del tasso occupazionale, hanno creato una massa sterminata di precari, hanno cancellato diritti sindacali fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori costati decenni e decenni di lotte, hanno rotto e frantumato l'unità delle masse operaie e lavoratrici, riducendo di molto il loro potere contrattuale nei confronti delle controparti e il loro peso politico nella società. Una deregolamentazione attuata dai vari governi che si sono succeduti, sia di "centro-sinistra", sia di "centro-destra", che fossero guidati da Amato e da Dini o da Prodi e da D'Alema, piuttosto che da Berlusconi che hanno smantellato una legislazione sul "mercato del lavoro" forgiata nella prima Repubblica che almeno sul piano formale conteneva delle tutele per i lavoratori e dei paletti per le pretese padronali, sostituita con provvedimenti legislativi da seconda repubblica che hanno liberalizzato tutto ciò che poteva essere liberalizzato per la gioia del grande capitale. Pilastri di questa sciagurata deregolamentazione sono il "pacchetto Treu" (1993), il "patto per il lavoro" (1998), il "patto per l'Italia" (2002), la legge n. 30 e decreti attuativi (2003) con i quali è stato precarizzato tutto il lavoro. Il contratto a tempo indeterminato è divenuto non la regola ma l'eccezione. Nasce così il lavoro "atipico" parasubordinato, superprecario e supersfruttato che avrà in pochi anni una diffusione spaventosa, nascono così le agenzie private interinali, sulla tomba del collocamento pubblico, per gestire il lavoro in affitto, una sorta di gigantesco e legalizzato "caporalato", vengono introdotti oltre 40 tipologie di contratti precari, taluni particolarmente odiosi come il lavoro a chiamata (job on call), il posto di lavoro condiviso in due (job sharing), il lavoro in affitto anche a tempo indeterminato (Staff leasing), i collaboratori coordinati continuativi (co.co.co), l'uso flessibile del part-time per le imprese, un alleggerimento delle norme per attuare la "cessione del ramo di azienda" (outsourcing) per realizzare finte esternalizzazioni. Anche le "cooperative sociali", utilizzate a piene mani per privatizzare pezzi sempre più ampi di lavoro pubblico sono diventati il regno del lavoro precario, malpagato, senza diritti. Infine, vengono ampliati gli "enti bilaterali" imprese-sindacati per cogestire questa miriade di contratti precari.

Il nuovo attacco di Berlusconi
La mancata promessa della cancellazione della legge n. 30 sul "mercato del lavoro" e la sostanziale conferma dell'insieme dei contratti precari in essa contenuti negli accordi del 23 luglio 2007 con Confindustria e sindacati confederali sono stati tra i motivi principali della caduta di consenso nei confronti del secondo governo Prodi, poi dimessosi anticipatamente. Il presente e il prossimo futuro, dominato dal 4° governo Berlusconi prefigura un nuovo pesantissimo attacco in tema di occupazione. Misure come la detassazione degli straordinari e le deroghe ai contratti per il prolungamento dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, ulteriori deregolamentazioni del lavoro, la riduzione drastica del personale nella scuola e nel pubblico impiego, la cancellazione delle misure previste per la stabilizzazione dei precari, l'abrogazione della legge che impediva ai padroni di far firmare le dimissioni in bianco ai lavoratori al momento dell'assunzione, l'aggiramento delle norme lavorative per i disabili finiranno per peggiorare ancora di molto la situazione. La ricetta della Confindustria per "aumentare" l'occupazione fondata sulla competitività delle imprese da realizzarsi con le flessibilità orarie e del lavoro, il contenimento e la diversificazione dei salari, le agevolazioni fiscali non è buona per i lavoratori e i disoccupati ed è da rifiutare con forza. Una ricetta, questa, sostanzialmente appoggiata dai sindacati di regime.

La lotta per il lavoro
Il PMLI ritiene della massima importanza rilanciare la lotta per il lavoro e contro la precarietà. Ritiene importante operare per sviluppare un grande movimento di lotta e un largo fronte unito di forze politiche, sindacali e sociali. Sulla base di una piattaforma che abbia al suo centro la rivendicazione del lavoro a tutte e tutti, stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, l'abrogazione del "pacchetto Treu" e della legge 30 e dei decreti attuativi, una nuova legislazione sul lavoro che affermi come principale la forma dl lavoro a tempo indeterminato, ripristini con gli adeguamenti necessari il collocamento pubblico, combatta strenuamente il lavoro "nero", contenga le esternalizzazioni e colpisca quelle strumentali per ridurre gli organici, riduca gli orari di lavoro giornaliero e settimanale, blocchi entro lo stretto necessario il lavoro straordinario. Più in generale riteniamo necessario lottare per piani straordinari per l'occupazione, specie per il Mezzogiorno, promossi in primo luogo dallo Stato e dalle sue articolazioni amministrative ed economiche, dove progetti di sviluppo e creazione di posti di lavoro possono e devono incontrarsi. Anche per fermare l'immigrazione di giovani disoccupati che dal Sud ha ripreso a correre verso il Nord d'Italia.
Sul piano organizzativo, invitiamo i disoccupati e i precari a unirsi in comitati di lotta per il lavoro.


28 La questione salariale

In Italia la questione salariale è diventata un'emergenza di prima grandezza non più rinviabile. Il PMLI denuncia da tempo il progressivo peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e sottolinea l'esigenza di provvedimenti adeguati a invertire decisamente la tendenza in atto. Negli ultimi 25 anni la quota di reddito destinata al lavoro dipendente è passata dal 51% a 41% del Pil. Si è registrato un enorme trasferimento di ricchezza dai salari alle rendite e ai profitti capitalistici. Per la Banca d'Italia il reddito da lavoro dipendente è passato dal 43,7% del Pil nel 1993 al 40,7% del 2004, mentre in Europa rimane costantemente prossimo al 50%. I salari netti in Italia sono inferiori del 40% a quelli della Gran Bretagna, del 30% di quelli olandesi, del 20% di quelli tedeschi e irlandesi. Secondo i dati Eurispes del 2008, 5 milioni di famiglie sono indigenti, 20 milioni tra operai e lavoratori sottopagati, 6 milioni costretti al doppio lavoro, spesso in nero, solo una famiglia su 3 (il 38,2%) arriva agevolmente a fine mese. I salari italiani, più che negli altri paesi europei, hanno perso progressivamente potere d'acquisto, non sono stati sufficientemente adeguati nel corso dei rinnovi dei contratti nazionali, hanno perso terreno nel recupero dell'inflazione reale e sono gravati da un prelievo fiscale ingiusto ed abnorme. Nel nostro Paese gli stipendi sono generalmente troppo bassi, tante lavoratrici e tanti lavoratori, specie se precari, sono appena sopra la sopravvivenza. Salari bassi e sempre più diseguali. Diseguaglianze che colpiscono più duramente il Mezzogiorno, le donne, i giovani e i lavoratori migranti.
Responsabili di questa pesante e intollerabile situazione sono i governi sia di "centro-sinistra" sia di centro-destra" e la loro politica economica e finanziaria, sociale e del lavoro a favore dei padroni, degli speculatori e delle classi ricche in genere e a danno delle masse lavoratrici e popolari. Sono il grande capitale che in nome della competitività, della produttività e della ricerca del massimo profitto ha imposto riduzioni costanti di "costo del lavoro", la precarizzazione del lavoro e salari da fame, e i vertici sindacali confederali collaborazionisti che con una logica di concertazione e di patto neocorporativo hanno accettato la moderazione salariale e perseguito la fallimentare "politica dei redditi" subordinata alle compatibilità economiche capitalistiche e ai profitti padronali.
Nell'estate del '92, la trattativa triangolare governo, Confindustria, sindacati decise di eliminare la scala mobile, quel sistema automatico di protezione dei salari che compensava parzialmente le buste paga dagli effetti dell'aumento del costo della vita. L'anno successivo, il 23 luglio, gli stessi protagonisti decisero di mettere un tetto ai salari. Fu firmato un "patto" per agganciare i dati macroeconomici ai rigidi parametri di Maastricht, per non perdere il treno della moneta unica europea, attraverso una politica concertata di controllo e contenimento dei salari e della spesa pubblica. Veniva assunta, cioè, la variabile salariale come il fattore su cui intervenire per condurre una politica disinflazionista e di riduzione del debito pubblico. In cambio, il governo e le imprese si impegnavano a un aumento degli investimenti nella ricerca e nella formazione, al contenimento di prezzi e tariffe, al perseguimento di una politica fiscale finalizzata a una redistribuzione della ricchezza attraverso la riqualificazione delle politiche di Welfare e di sicurezza sociale. Fu deciso che gli aumenti delle buste-paga, nei rinnovi contrattuali, sarebbero stati legati solo all'"inflazione programmata". A conti fatti, i salari sono risultati l'unico "elemento" economico sotto controllo. I prezzi hanno continuato a crescere, le tariffe pure; la spesa pubblica e la spesa sociale a ridursi. Così, i lavoratori hanno visto ridursi - e consistentemente - gli strumenti che si erano conquistati a tutela dei loro redditi. Prima l'abolizione della contingenza, poi il valore economico del contratto nazionale. Anche allora fu detto, anche da parte sindacale, che la "perdita" su quei due versanti sarebbe stata compensata da un incremento della quota salari da redistribuire nella contrattazione articolata. Nelle vertenze di fabbrica. Non è stato così. La contrattazione articolata ha interessato meno del venti per cento dei lavoratori.

Le nostre rivendicazioni
Per noi marxisti-leninisti occorre imporre a governo, padronato e sindacati un cambiamento radicale di politica salariale. Noi siamo per l'abolizione della "politica dei redditi" fondata sulla concertazione, sulle compatibilità economiche capitalistiche e sul patto neocorporativo. Diversamente significherebbe rinunciare alla lotta contro la schiavitù salariata. Bisogna difendere il contratto nazionale e rivendicare forti aumenti salariali contrattuali che vadano oltre il recupero dell'inflazione e incidano sui profitti dei padroni. C'è bisogno di ridurre le sperequazioni salariali attraverso aumenti salariali uguali per tutti e limitando le parti variabili del salario. Occorre reintrodurre la scala mobile sui salari (e sulle pensioni) con una cadenza trimestrale e aggiornando il paniere delle merci su cui si misura il costo della vita. Occorre un forte alleggerimento fiscale sui redditi medio-bassi del lavoro dipendente attraverso la riduzione delle aliquote Irpef e le detrazioni fiscali. Occorre condurre una lotta ferma contro la precarietà e le flessibilità padronali e recuperare un reale potere di contrattazione delle condizioni di lavoro nei luoghi di lavoro, a partire dall'orario, dai ritmi e la sicurezza che non va monetizzata. Per incrementare i salari e il loro potere d'acquisto è importante rivendicare anche la restituzione del fiscal-drag e il contenimento dei prezzi dei generi di prima necessità.

No alla "riforma" del contratto nazionale
Come ieri eravamo fermi oppositori dei suddetti accordi di stampo neocorporativo e della "politica dei redditi" che li ispirava, oggi siamo totalmente contrari alla proposta di "riforma" della contrattazione in discussione tra padronato e sindacati finalizzata alla demolizione del ruolo e della funzione del contratto nazionale a favore della contrattazione di secondo livello, finalizzata a ridurre il salario collettivo nazionale a favore di quello variabile legato alla produttività e ai risultati aziendali. La detassazione del lavoro straordinario decisa dal governo Berlusconi è una ricetta padronale di "aumento salariale" da respingere. Il superamento dei "tetti d'inflazione programmata" con la formula di "inflazione realisticamente prevedibile" proposto da Cgil, Cisl e Uil non risolve certo il problema. È una formula fumosa e inefficace, nient'affatto fondata su indicatori della dinamica del costo della vita certi, non manipolabili in sede governativa e istituzionale. La triennalità del contratto nazionale danneggia, con tutta evidenza, l'adeguamento dei salari. Al secondo livello, invece che al contratto nazionale, viene assegnato il compito di incrementare i salari "oltre" il recupero dell'inflazione ma col perverso meccanismo dell'aumento del salario per obiettivi collegati a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza. Si tratta di un cambiamento radicale di stampo neoliberista le cui conseguenze, nel tempo, saranno nefaste per i lavoratori, specie al Sud.


29 Pensioni

Le controriforme pensionistiche
L'attacco alle pensioni pubbliche va avanti senza interruzione dagli inizi degli anni '90. La prima "riforma" sostanziale delle pensioni avviene con Amato nel '92. Operativa dal gennaio dell'anno successivo prevedeva l'innalzamento di ulteriori 5 anni dell'età pensionabile per entrambi i sessi e 5 anni in più anche della contribuzione minima per percepire la pensione d'anzianità, da 15 a 20 anni. Oltretutto il calcolo della pensione che allora veniva fatto sugli ultimi 5 anni di salario passava subito a 10 anni mentre per i nuovi assunti si sarebbe calcolato sull'intera vita lavorativa. La successiva riforma neoliberista che mette mano strutturalmente alle pensioni è quella attuata dal governo Dini nel 1995. La principale novità riguardava il sistema di calcolo che passava da retributivo, cioè calcolato sugli ultimi 10 anni di attività, a contributivo, cioè basato su quanto versato dal lavoratore durante tutta la sua attività. Un sistema nettamente svantaggioso che riduce in media del 50% rispetto alla precedente normativa l'assegno dei futuri pensionati. L'altra novità riguardava i fondi pensione, nati anche per integrare la pensione fortemente tagliata.
L'avvento del 2° governo Berlusconi comporta un'altra mazzata per i pensionati. Si rendono rigidi quei requisiti più "flessibili" stabiliti dalla controriforma Dini. Praticamente si elimina la pensione d'anzianità perché fin da subito per andare in pensione occorreranno 60 anni per le donne e 65 per gli uomini, in alternativa 40 anni di lavoro. La controriforma Maroni contiene altre gravi misure come l'apertura totale dei fondi pensione ai privati (banche, assicurazioni) e in particolare lo scippo del trattamento di fine rapporto (TFR), ossia la liquidazione.
Infine la controriforma del governo Prodi. Presentata come "rimedio" a quella Maroni, la nuova riforma del Welfare peggiora ulteriormente i requisiti e pur eliminando lo "scalone" previsto da Maroni alla fine aumenta l'età pensionabile di un anno. Inoltre aumenta la contribuzione per i lavoratori dello 0,30%, riduce il coefficiente di calcolo delle pensioni senza aspettare alcuna verifica dei conti dell'Inps mentre sui lavori usuranti rimane nel vago lasciando libera interpretazione; una cosa è sicura: comprenderà poche migliaia di persone.

La privatizzazione
Le controriforme attuate da governi sia di "centro-destra" sia di "centro-sinistra" hanno causato la progressiva privatizzazione delle pensioni. I fondi pensione privati integrativi sono nati proprio in conseguenza di queste trasformazioni. In passato e per molti anni in Italia abbiamo avuto quasi esclusivamente una pensione pubblica gestita dall'Inps, dove le quote e il capitale versato, pur con le cospicue differenze tra le categorie, venivano gestiti con una certa solidarietà, sia economica, elevando le pensioni più basse con il contributo di quelle più alte, sia generazionale in quanto i versamenti dei dipendenti venivano subito spesi per pagare le pensioni in corso. Adesso stiamo andando verso una progressiva privatizzazione sul modello pensionistico americano e anglosassone in genere dove ognuno paga delle quote che riavrà a fine rapporto di lavoro, dopo che il capitale è stato gestito, e sfruttato, da soggetti privati.
Alla pensione integrativa occorre aggiungere anche il Tfr, entrambi stanno andando verso la gestione privata. Questa grossa somma di denaro rappresenta un grosso affare per le società finanziarie che investono sul mercato del capitale: in borsa, in immobili e in operazioni più o meno spericolate. Le conseguenze sono grossi guadagni per i pescecani capitalisti in caso di congiunture positive, mentre nel caso di bassa rendita, o peggio fallimento, a rimetterci sarebbero i lavoratori. Difatti in caso d'insolvenza o fallimento non esiste copertura per chi ha versato, casi che si sono già verificati negli Stati Uniti e in altri Paesi.

Le nuove generazioni
Al lavoro precario corrisponde una pensione precaria, con i rapporti di lavoro sempre meno stabili anche la pensione diventa incerta. L'entrata sempre più tardiva nel mondo del lavoro, un lavoro spesso discontinuo e versamenti più bassi rendono drammatiche le prospettive per i giovani. Infatti per favorire i contratti precari le aziende hanno forti agevolazioni, tra questi la riduzione della loro quota contributiva il che rende la pensione di un precario misera. Inoltre il calcolo viene fatto sui versamenti e sulla crescita del Pil e non rispecchia affatto la perdita del potere d'acquisto. Per chi sarà precario a vita o per lunghi periodi è impensabile che la sua pensione abbia lo stesso valore di un lavoratore attualmente a riposo che ha lavorato a tempo indeterminato per 35 anni. Dopo molti decenni si è invertita la tendenza al miglioramento e da oggi la generazione successiva avrà in media una pensione inferiore alla generazione precedente.

Pensioni di fame
Quanto detto prima non deve far pensare che gli attuali pensionati vivano degnamente, la stragrande maggioranza campa con poche centinaia di euro. Il 47% delle pensioni erogate rimane sotto il tetto dei 500 euro (fonti Istat-Inps a fine 2006, cifre lorde), certo dobbiamo considerare che c'è la possibilità di cumulare più pensioni (invalidità, del coniuge deceduto) ma questo con le nuove norme sta diventando sempre più difficile.
Il reddito complessivo della grande maggioranza dei pensionati rimane comunque sempre molto basso: il 22,9% riceve meno di 500 euro e il 52,9 meno di mille. Solo l'11% supera i duemila euro con forte distinzione sessuale: il 16,8 del totale degli uomini contro il 5,9 delle donne nonostante queste siano più numerose per la loro maggiore longevità. Con queste cifre nel 2008, in particolare nelle grandi città e per chi vive da solo diventa impossibile avere una vita dignitosa, per questo possiamo affermare che nell'Italia capitalista alla maggioranza degli anziani che sono stati lavoratori, ma anche agli invalidi, viene riservata una vita miserevole.

I privilegiati
L'altra faccia della medaglia è rappresentata da una cerchia di privilegiati che percepisce migliaia di euro, ad esempio gli ex parlamentari. L'aspetto più odioso è che mentre per tutti i lavoratori le controriforme citate hanno cancellato il calcolo della pensione sugli ultimi 5 anni di contribuzione lavorativa questa norma è rimasta per i parlamentari che con una sola legislatura si assicurano un vitalizio da 3.108 euro lordi mensili anche a soli 50 anni fino ad arrivare a oltre 10.000 per chi ha maggiore "anzianità", questo assegno è poi cumulabile con qualsiasi altra entrata, mentre per i non parlamentari questa possibilità è quasi scomparsa.

Il PMLI e le pensioni
Il PMLI si è sempre opposto a queste controriforme ed è stato sempre in prima fila nelle piazze a lottare perché noi non vogliamo la privatizzazione delle pensioni, l'innalzamento dell'età pensionabile, il calcolo contributivo al posto di quello retributivo, l'utilizzo dei fondi privati e l'utilizzo del Tfr per il suo finanziamento, la "parificazione" peggiorativa tra pensione pubblica e privata.
I marxisti-leninisti si battono per un sistema pensionistico pubblico unificato, legato alla dinamica salariale, finanziato dalla contribuzione obbligatoria. In concreto chiedono il ripristino dell'età pensionabile a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne e il mantenimento dei 35 anni contributivi per la pensione d'anzianità. Chiedono il ripristino del calcolo della pensione sulla retribuzione, quella degli ultimi 5 anni lavorati, la riduzione del minimo di contribuzione a 5 anni per il diritto alla pensione minima, in conseguenza anche del dilagare del lavoro precario e dell'aumento del periodo di disoccupazione. Chiedono un adeguamento reale delle pensioni in base al costo della vita e alla dinamica salariale, da realizzare attraverso un efficace meccanismo automatico di scala mobile. Inoltre i marxisti-leninisti chiedono la separazione dei fondi della previdenza di competenza dell'Inps e simili da quelli dell'assistenza e sostegno all'occupazione che sono di competenza dei ministeri, e l'eliminazione dei privilegi pensionistici ai parlamentari, ministri e alle cariche pubbliche locali, ai manager pubblici e privati.

 
30 Sicurezza sul lavoro

In Italia andare al lavoro significa rischiare la vita più che altrove. Il nostro Paese detiene infatti il primato in Europa delle "morti bianche". Stragi operaie come quelle accadute alla Thyssen di Torino e alla Truckcenter di Molfetta che per modalità e tributo di sangue hanno suscitato rabbia e indignazione generalizzata sono solo episodi più eclatanti di un'ecatombe senza fine. Un lavoratore ucciso ogni 7 ore, oltre un milione di incidenti e circa mille e trecento morti l'anno: ecco il pesantissimo tributo di sangue che la classe operaia versa sull'altare del massimo profitto capitalistico. Secondo i dati forniti dall'Inail, dal 2001 al 2006 si sono verificati più di un milione di infortuni all'anno, con oltre 1.200 morti e 30.000 invalidi. Nel 2007 le cose non sono migliorate. Per avere un quadro completo degli infortuni sul lavoro bisogna aggiungere la quantità enorme di casi di malattie professionali, ad esempio quelli dovuti a esposizione all'amianto. Alla fine del 2006 l'Inail ha erogato quasi 200.000 rendite per invalidità di malattia. Secondo i dati forniti dall'Ilo (l'organizzazione mondiale del lavoro) nel 2006 sono avvenuti nel mondo 270.000.000 di infortuni. E sono morti per infortuni e malattie professionali 2.200.000 lavoratori. Inoltre sono stati registrati 160.000.000 di casi di malattie professionali.
La fatalità non c'entra nulla. Per lo più sono morti annunciate e procurate: dalla mancanza di adeguati strumenti infortunistici, dalla violazione delle norme legislative in materia di lavoro e sicurezza, dall'insufficiente manutenzione delle macchine e degli strumenti antincendio, dall'uso di materiali e sostanze pericolose e nocive, dalla carenza di personale specializzato di pronto intervento, dalla carenza-assenza di formazione di prevenzione dei lavoratori, dai cottimi, dall'intensificazione dei ritmi di lavoro e dall'allungamento della giornata lavorativa. Dopo 12 ore di lavoro l'attenzione e i riflessi calano in modo verticale. Morti, infortuni invalidanti e malattie professionali anch'esse invalidanti quando non mortali sono una responsabilità dei padroni che risparmiano sui mezzi infortunistici, non investono in formazione preventiva dei lavoratori, non si peritano a usare materie prime che infettano la salute, pretendono flessibilità orarie estreme e livelli di produttività intensi; usano inoltre a piene mani il lavoro precario e "nero", dove il ricatto del posto del lavoro è pesante e l'assenza dei diritti la fa da padrona. Per responsabilità del governo, del ministero del lavoro e delle altre istituzioni preposte, compresa la magistratura, che non danno l'importanza necessaria al problema in sede legislativa, non garantiscono i controlli necessari e non puniscono con la dovuta durezza i padroni che violano le regole e provocano, di fatto, incidenti sul lavoro. Per responsabilità dei vertici sindacali confederali che al di là delle parole poco fanno nel concreto e si rendono complici.
Dopo ripetute proteste dei lavoratori, l'ultimo governo Prodi non è andato oltre al varo, il 13 aprile scorso, di un disegno di legge per raccogliere in un testo unico le norme sulla sicurezza sui posti di lavoro. Un testo di legge ammorbidito su pressione della Confindustria, rispetto al progetto originale, specie per quanto riguarda le sanzioni. Che per lo più non vanno oltre una semplice ammenda da 8.000 a 24.000 euro per gravi inadempienze e fino a 1.500.000 euro per incidenti gravi, con morti e feriti. Ma i padroni sono contrari. Pretendono l'impunità!
Fermo restando che siamo contrari a peggiorare ulteriormente il suddetto disegno di legge, come si accinge a fare il governo del neoduce Berlusconi, pensiamo che ci voglia ben altro per fermare questo massacro operaio, per avviare un processo positivo tendente e ridurre drasticamente gli infortuni e a rendere sicuri i luoghi di lavoro e le attività lavorative. Riteniamo necessari: la riorganizzazione e il potenziamento di una capillare ed efficace medicina preventiva, con adeguati strumenti di indagine e di controllo; imporre alle aziende l'obbligo di assicurare condizioni ambientali di lavoro idonee a garantire l'integrità psico-fisica delle lavoratrici e dei lavoratori; il diritto per i rappresentanti sindacali dei lavoratori a contrattare tutte le misure necessarie nell'ambiente di lavoro e nelle lavorazioni per evitare infortuni e tutelare la salute; conferire agli stessi i poteri derivanti dalla legge in materia di sicurezza sul lavoro; una informazione-formazione preventiva continua dei lavoratori sui rischi e i modi per evitarli, da farsi in orario di lavoro; pene adeguate, anche detentive, per i datori di lavoro che violano le norme di legge e non mettono in sicurezza i luoghi di lavoro e le attività lavorative.
Contestualmente riteniamo necessari interventi efficaci in altri campi che incidono non poco sul problema e che riguardano gli orari e i ritmi di lavoro, i cottimi, il lavoro precario e a "nero".

31 Casa

 
Il diritto alla casa è uno dei tanti diritti disattesi nell'Italia capitalistica, nonostante il diritto ad avere un'abitazione dignitosa sia affermato dalla "Carta universale dei diritti dell'uomo" e recepito come tale con una legge del 1976 dallo Stato italiano. La forbice tra la domanda abitativa e il mercato dell'offerta è molto forte, da una parte si richiedono case a prezzi contenuti per i lavoratori e famiglie a basso reddito, sul mercato esistono invece prezzi inaccessibili sia per gli acquisti che per le locazioni. In Italia si è sempre favorito la casa di proprietà rispetto a quella in affitto e i dati lo confermano: il 71% delle famiglie ha una casa di proprietà, il 20% occupa una casa in affitto (il restante a titolo gratuito o di prestazione di servizio). L'intervento pubblico è ridottissimo, gli alloggi "sociali" in affitto sono solo il 5% del totale mentre in Olanda sono il 36%, nel Regno Unito, Svezia e Danimarca si aggirano attorno al 20%.
Le case in affitto sono comunque abitate da 11 milioni di persone (quelle censite), un numero considerevole e stabile, a causa dell'attuale crisi economica. Questo perché c'è correlazione col reddito: le famiglie che abitano in affitto per l'85% si collocano sotto la soglia dei 30.000 euro lordi annui e ben difficilmente avranno le possibilità di acquistare una casa. Inoltre dobbiamo considerare una sorta di "coabitazione forzata" tra genitori e figli sopra i 25 anni (2 milioni di persone) i quali, probabilmente, si separerebbero dal nucleo d'origine se avessero la possibilità di comprare una propria abitazione o trovarne una in locazione.
Soprattutto a partire dagli anni '90 la legislazione ha favorito la speculazione edilizia e i padroni delle case date in affitto a discapito degli inquilini e delle famiglie meno abbienti. Il colpo più devastante è stato messo a segno con l'eliminazione dell'"equo canone" che era stato introdotto nel 1978. Questo stabiliva tetti massimi, coefficienti e quote anche in relazione al valore dell'immobile. Prima i "patti in deroga" e poi la "legge Zagatti" hanno portato alla liberalizzazione degli affitti e il loro vertiginoso e inarrestabile aumento. Tutto è lasciato al mercato: anziché creare case popolari si favoriscono la grande proprietà immobiliare con la liberalizzazione dei fitti, gli sfratti più facili, la rescissione dei contratti più agevole.

Affitti a nero e case sfitte
L'equo canone è stato eliminato con la giustificazione che era necessario sbloccare il mercato degli affitti. È sotto gli occhi di tutti che questo non si è minimamente avverato. Si stima che un contratto di locazione su due è a nero e alla fiscalità generale vengono sottratti 5-6 miliardi di euro di tasse l'anno. Il canone esentasse non riguarda solo le case al mare ma è comunemente usato in tutta Italia, in particolare nei confronti di alcune categorie deboli come gli immigrati e gli studenti. In tutto il Paese ogni giorno vengono scoperti centinaia di extracomunitari, regolari e clandestini, che pagano dai 500 ai mille euro mensili per un posto letto, stipati a decine negli appartamenti che fanno guadagnare ai proprietari migliaia di euro al mese.
Nelle città universitarie sono invece presi di mira gli studenti. In città come Milano e Roma gli affitti al nero raggiungono cifre scandalose, oltre 500 euro per un monolocale. Nei centri minori invece, i residenti si spostano in periferia e nel centro "liberato" vengono affittati vecchi locali per le stesse cifre, dove i giovani sono costretti al sovraffollamento per dividere le spese. Il tutto mentre le amministrazioni locali permettono che centinaia di migliaia di appartamenti rimangano sfitti, che le vecchie aree dismesse e già cementificate anziché essere destinate a edilizia pubblica siano consegnate alla speculazione edilizia che realizza altissimi profitti con centri commerciali o palazzi di lusso.

Affitti alle stelle
Anche quando sono regolari gli affitti sono talmente cari da condizionare la vita dei nuclei familiari. Il 70% degli sfratti ha come causa la morosità dell'inquilino mentre solo 7 anni fa la quota era del 50%. A Firenze ne è vittima una famiglia su 50, a Roma e Genova una su 60. Del resto dal 2000 agli stipendi stazionari dei lavoratori corrisponde un aumento del 35% del costo delle aree edificabili, del 18% della costruzione, del 70% del prezzo medio delle case, del 115% delle locazioni.
Un affitto mensile ha ormai raggiunto la cifra di una rata di un mutuo. La forbice tra il reddito annuo familiare e il prezzo delle abitazioni si è paurosamente allargata e così in pochi anni si è allungata enormemente la durata del mutuo. Mentre negli anni '80 e '90 raramente superava i 15 anni adesso quasi sempre raggiungono 25-30 anni e finiscono per gravare su più generazioni. E tuttavia aumentano gli insolventi, anche perché in due anni l'aumento dei tassi d'interesse ha fatto crescere la rata fino al 40%. Su circa 3,5 milioni di mutui ben 1,9 milioni di contraenti paga a fatica, ma a più di 100.000 ammontano le insolvenze. Le procedure immobiliari o i pignoramenti sono aumentati fortemente fino a raggiungere il 3,5% del totale. Anziché aiutare le famiglie a trovare soluzioni le banche trasferiscono immediatamente sui debitori ogni ritocco del costo del denaro e le spingono al fallimento, per poi rivendere gli immobili a prezzi stracciati, come stanno dimostrando le denunce contro Asteimmobili, società operante nei tribunali gestita dall'Abi e dalle banche.

Le nostre principali proposte
La drammaticità della situazione richiede interventi immediati. Occorre un sostanzioso aumento dei finanziamenti pubblici destinati dal governo alla politica abitativa, almeno ai livelli esistenti nei principali paesi europei e comunque adeguato a rilanciare l'edilizia popolare e a sostenere i senza tetto e le famiglie più bisognose. Servono piani dei comuni mirati a soddisfare il fabbisogno abitativo attraverso la ristrutturazione e il risanamento di vecchi edifici, l'utilizzo delle case sfitte e la costruzione di nuove case popolari con fitti accessibili a tutti, immigrati e Rom compresi. Costringere, ricorrendo anche alla leva fiscale e alla requisizione, le banche, le società di assicurazioni e i grandi proprietari immobiliari ad affittare, come prima abitazione, le case di loro proprietà a canoni popolari.
Tutti, anche le famiglie di fatto, comprese le coppie omosessuali, lesbiche, transessuali, devono poter accedere ai bandi di concorso per l'assegnazione delle case popolari. Il PMLI chiede l'abrogazione della legge Zagatti 431/98 sulla liberalizzazione degli affitti e divieto di sfratto fino a che non sia offerta un'adeguata abitazione alternativa, specie per le coppie di anziani soli e le famiglie a basso reddito. I comuni devono requisire le case sfitte da oltre un anno, i locali pubblici dismessi o inutilizzati e i palazzi nelle medesime condizioni da destinare, dopo i necessari lavori, alle famiglie sfrattate e senza casa.

32 Povertà

 
Le difficoltà in cui versano milioni di famiglie sono sotto gli occhi di tutti. L'aumento della povertà ha come causa principe la perdita del potere d'acquisto del salario dei lavoratori dipendenti conseguente all'eliminazione della "scala mobile", all'aumento vertiginoso del lavoro precario, alla contrattazione collettiva meno diffusa, alla politica della "concertazione" che ha chiuso gli aumenti salariali nella gabbia di un'"inflazione programmata" assolutamente irreale, alla riduzione della progressività della tassazione (meno scaglioni e tetto massimo più basso) e alla minore conflittualità di sindacati e partiti di "sinistra" che ormai accettano supinamente le disuguaglianze.
L'Italia è tra i paesi occidentali quello con le maggiori disuguaglianze assieme a Stati Uniti e Regno Unito. Dai primi anni '70 a oggi la linea che segnala la distanza tra i più ricchi e i più poveri ha subito un tragitto a "V", riducendosi progressivamente fino a metà degli anni '80 per risalire fino ai primi anni 2000 e poi stabilizzarsi. Un altro indicatore è il divario tra i profitti e i salari che si è notevolmente allargato e ha subito all'incirca lo stesso andamento. Negli ultimi 20 anni i profitti dei capitalisti hanno sottratto ben 8 punti del Pil al monte salari, cioè sono aumentati dal 23,12 al 31,34%.
Naturalmente non tutto si misura con il livello dei salari, che pure è un metro importante. L'abbandono quasi totale dell'intervento pubblico ha praticamente annientato il vecchio "stato sociale" che equivaleva a: più soldi per mandare i bambini all'asilo e i giovani a scuola e per le spese legate all'abitazione, più soldi per le prestazioni sanitarie e per i servizi pubblici locali, maggiori ricadute sulle famiglie per l'assistenza agli anziani e via dicendo. Poi ci sono l'aumento della disoccupazione e il reddito da lavoro sempre più incerto, l'inflazione, l'impennata delle tariffe, la miseria nel Mezzogiorno.
Questa miscela esplosiva crea maggiori situazioni di disagio e, se si eccettua una ristretta cerchia di ricchi, spinge tutti gli altri verso il basso con un "effetto domino": nuove famiglie che devono tirare la cinghia, altre in difficoltà a saldare i debiti e a fare sacrifici anche sui beni primari, le persone con redditi bassissimi spinti all'indigenza, nuovi senza tetto ed emarginati, immigrati e italiani poveri in stato di miseria.
L'Italia si dimostra tra i paesi più diseguali anche territorialmente, difatti le retribuzioni del Centro-Nord si avvicinano alla media europea, nel Mezzogiorno calano a precipizio verso i paesi del Terzo mondo. La provincia di Bolzano e la Lombardia ai primi posti, la Sicilia e il Sud agli ultimi, tanto che è ripresa una forte immigrazione interna Sud-Nord, che comunque non si era mai fermata del tutto.
L'inflazione ha ripreso a galoppare e si ripercuote non solo sui ceti meno abbienti ma anche sul "ceto medio". Era dal 1996 che non si registrava un'impennata così forte e i prodotti energetici come la benzina sono aumentati in un anno dell'11% mentre il gasolio addirittura del 26,2%, tra gli alimentari la pasta, il pane e il latte tra l'11 e il 20%. Il 14,6% delle famiglie arriva con molta difficoltà alla fine del mese e il 24,4% non riesce a fronteggiare una spesa imprevista di 600 euro. Ci sono famiglie che non hanno denaro sufficiente per comprare il cibo, chi per le spese mediche, per i trasporti, per pagare le tasse, mentre, come abbiamo già visto, c'è un forte aumento di chi non riesce a pagare l'affitto o il mutuo e le bollette. Tra i più colpiti sono gli anziani soli, le famiglie numerose, i precari, le donne sole, i migranti.
Il governo Berlusconi segue una politica neoliberista, che consiste nel lasciare tutto al mercato e alla domanda-offerta senza interventi dello Stato, privatizzare e far pagare tutto alle masse, "aiutare" infine con elemosine solo un ristrettissimo numero di indigenti e di più poveri. Ma la povertà non può essere combattuta con fuorvianti proposte di "salario sociale", come sostengono i partiti falsi comunisti e alcuni movimenti "antagonisti". Si tratta di vecchi slogan riformisti non dissimili da quelli neoliberali perché non mettono in discussione il sistema economico e politico vigente e si riducono a richiedere una modifica del "patto sociale" e della "politica dei redditi" e sussidi ed elemosine per i meno abbienti.
Sappiamo benissimo che povertà e disuguaglianze saranno combattute efficacemente solo nel socialismo però già adesso non ci dobbiamo lasciare distogliere dagli obbiettivi principali: lottare risolutamente contro la politica economica liberista e controriformatrice dei governi borghesi, rivendicare il lavoro stabile e a tempo pieno per tutti e aumenti effettivi e consistenti per le pensioni minime e sociali e per l'indennità della disoccupazione, rivendicare forti riduzioni dell'Irpef per i lavoratori a basso reddito, il rilancio della sanità pubblica e gratuita, misure straordinarie per lo sviluppo del Mezzogiorno, rinnovi contrattuali con forti aumenti salariali.

33 Riforma e controriforma della sanità

Ogni ammalato, soprattutto se non appartenente alla classe dominante, può rendersi conto che la sua salute, intesa come stato di benessere psicofisico e sociale, non è affatto tutelata né dalla medicina borghese né in generale dalla categoria medica.
Certo la legge 883 del 1978, che aveva cancellato il sistema mutualistico e istituito il Sistema sanitario nazionale (Ssn), è stata una riforma importante se si guarda alla medicina spietatamente di classe delle epoche precedenti.
Essa non fu concessa dai governanti ma piuttosto fu il risultato della dura lotta del proletariato e delle masse popolari per "il diritto alla salute" sull'onda della Grande Rivolta del '68. Era un periodo storico nel quale lo Stato democratico-borghese, o meglio quella parte dello Stato non stragista e terrorista, era costretta a scendere a compromessi con le classi oppresse. Unica scelta alternativa al golpismo per scongiurare l'avvento della rivoluzione socialista ed imbrigliare nel riformismo la lotta di classe. Non a caso di quella "mediazione" tra le classi sociali che diede vita alla versione italiana del cosiddetto "Stato sociale" si fecero interpreti gli strateghi del "compromesso storico", in particolare la "sinistra" DC e la dirigenza borghese e revisionista del PCI.
Il nostro giudizio è che si è trattato di una conquista insufficiente e basata su pilastri d'argilla. Le parti più avanzate del testo di legge, come quelle che riguardano la prevenzione delle malattie, la sicurezza sui luoghi di lavoro o le forme di partecipazione popolare alla gestione dei servizi sanitari, non sono mai state applicate, tante altre lo sono state solo in minima parte. Ne consegue che l'art. 32 della Costituzione che sancisce "il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività" diviene carta straccia già in era "craxiana", non appena cioè la lotta di classe comincia a refluire, i neofascisti-piduisti a rialzare la testa e la nascente Europa delle banche e dei padroni a premere per smantellare nei singoli paesi dell'Unione i "sistemi di protezione sociale".
Nell'ultimo ventennio, in parallelo alla costruzione della seconda repubblica, si sono susseguite soltanto picconate allo "Stato sociale", come la controriforma sanitaria "De Lorenzo" del governo Amato-Ciampi ('92-'93) e la "Bindi ter'' del governo D'Alema ('99), come la controriforma del ministro Livia Turco (2000) che ha affossato il sistema di assistenza sociale.
I fondamentali principi che ispiravano la legge 833 sono venuti uno ad uno a cadere. L'universalità del SSN è stata messa in discussione dall'introduzione del "sanitometro'' che ha inaugurato la sanità a pagamento, con esenzioni solo per i più poveri. Il suo carattere pubblico è stato smentito dalla conferma del doppio lavoro dei medici, dalle convenzioni e dall'accreditamento generalizzato dei privati. La gratuità polverizzata dai ticket, dalla "attività privata intramuraria'', "dalla compartecipazione alla spesa" da parte degli utenti per un numero sempre maggiore di prestazioni e dalla re-introduzione strisciante delle mutue assicurative. L'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale contraddetta dai "Lea" (cosiddetti "livelli essenziali di assistenza") che, abbinati alla riorganizzazione federalista del sistema sanitario hanno accentuato le disuguaglianze tra le regioni del Sud e quelle del Nord nonché dall'"autonomia aziendale'' che diversifica le prestazioni di territorio in territorio. La capillarità dei servizi prosciugata dal sovradimensionamento delle Asl e dei distretti sanitari, dalla chiusura dei "piccoli ospedali", dal taglio dei posti letto, dal "numero chiuso" per l'accesso alle professioni sanitarie.
I soldi destinati ai servizi sanitari e socio-sanitari sono stati sistematicamente dirottati sulle avventure militari dell'imperialismo italiano, per finanziare i pescecani monopolisti impegnati nella selvaggia competizione economica a livello mondiale, per ingrassare il settore della sanità privata e il cosiddetto "Terzo settore". Il processo di aziendalizzazione e privatizzazione delle strutture pubbliche, e di finanziamento con soldi pubblici di quelle private, non si è limitato al campo della sanità, ma ha investito la scuola, l'università, la rete dei trasporti e dell'energia, i servizi pubblici locali, ecc.
Ora il 4° governo del neoduce Berlusconi, grazie alla complicità del presidente Napolitano e dell'opposizione di cartone del PD di Veltroni, sta puntando i suoi carri armati sulle macerie del settore terziario di carattere pubblico. Con la martellante campagna mediatica contro "i fannulloni", intende incatenare anche i lavoratori della sanità alle direzioni aziendali, incentivare il crumiraggio aziendale e il totale asservimento dei sindacati collaborazionisti alle leggi della produttività, del risparmio e della competizione aziendale. In prospettiva il suo scopo è arrivare alla libertà di licenziamento e all'abolizione del contratto nazionale di lavoro del pubblico impiego.

34 La privatizzazione e il federalismo fiscale affossano il Ssn

Se passeranno anche le controriforme costituzionali leghiste sul federalismo fiscale assisteremo al dissolvimento dell'unità d'Italia, la sanità sarà frantumata in almeno 20 pezzi e al Sud assomiglierà sempre più a quella del Terzo mondo.
Il meccanismo di finanziamento della sanità è il fulcro sul quale tutti i governi del regime neofascista hanno agito per radere al suolo il Sistema sanitario nazionale. In una prima fase la quasi totale copertura della spesa era affidata al Fondo sanitario nazionale (Fsn), prelevato dalla fiscalità generale e a destinazione vincolata. Più della metà del totale era garantito dai contributi sanitari che gravano sul lavoro dipendente. In una seconda fase si è passati ad un finanziamento basato prevalentemente sulle imposte regionali, Irap e addizionale Irpef e su di un'integrazione statale prelevata dal gettito dell'Iva, dalle accise sulla benzina, bollo auto, ecc. Il risultato è stato il cronico, e sempre più grave, sottofinanziamento del fondo sanitario nazionale rispetto al Pil ed ai bisogni della popolazione. L'ultima fase segue la modifica del titolo V della Costituzione (L. cost. 3/2001) realizzata dal "centro-sinistra" che anticipa il federalismo fiscale e la diversificazione dei Lea, i grimaldelli attraverso cui il governo neofascista guidato da Berlusconi vuole far scomparire il Fsn e dare totale autonomia alle regioni in materia di organizzazione e finanziamento della sanità.
Il modello a cui si ispira è quello del clerico-confindustrial-fascista Formigoni chiamato "sistema misto", nel quale la sanità è un grande supermarket in cui i servizi sono una merce da vendere come le altre, i pazienti sono clienti da ingannare e circuire. Dove tutto ruota intorno al profitto delle assicurazioni e delle strutture private "accreditate" che formano alleanze e monopoli nei settori più redditizi. È un sistema che lucra sullo stato comatoso del sistema sanitario nel Mezzogiorno d'Italia per depredargli i fondi della "mobilità sanitaria", per spingere i malati a rivolgersi ai "centri d'eccellenza", del tipo clinica S. Rita o dell'Azienda S. Raffaele di Milano, il tempio dell'ultraliberismo e dell'oscurantismo cattolico.
Nel 2006 il taglio dei fondi nazionali e regionali e il cronico sottosviluppo economico e sociale, hanno fatto sì che le regioni del Sud hanno potuto attingere e destinare alla spesa sanitaria appena 1/5 del gettito fiscale delle regioni del Nord ed appena un 1/3 di quelle del Centro. La Lombardia si collocava al primo posto con un finanziamento regionale al 73,6% del totale e un finanziamento regionale medio per abitante di 982,6 euro, la Calabria all'ultimo con l'8,7% del totale ed un finanziamento regionale medio procapite di appena 101,7 euro per abitante.
Del resto l'espansione delle convenzioni con i privati, foraggiati con il sistema truffaldino dei "Drg" (Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi), la gestione mafiosa delle Asl e degli ospedali pubblici, con i direttori sanitari e i baroni della medicina che dirigono i reparti che pensano solo ad arricchirsi e a servire gli interessi delle cosche mafiose e politiche che li hanno nominati, stanno provocando voragini nei bilanci regionali. Le "affannose" manovre regionali di rientro dal deficit prevedono il blocco delle assunzioni e del turn over, ulteriori riduzioni di posti letto, uso sempre più selvaggio del day hospital e del day surgery, le proposte di introdurre gruppi di medici di famiglia con budget di spesa, sul modello inglese, ticket su farmaci, diagnostica, ricette e pronto soccorso, prescrizioni limitate per ricetta e delisting dei farmaci in fasce a pagamento, aumento delle tasse e dei balzelli locali, esternalizzazione di servizi (in molte zone persino il parco ambulanze è in mano al racket dei privati), svendita di beni mobili ed immobili. Nelle Asl e nelle aziende ospedaliere pubbliche la parola d'ordine è tagliare le forniture, i servizi, il personale, i posti letto, a tutto vantaggio degli avvoltoi privati che si accalcano nei dintorni delle aziende "pubbliche'' in difficoltà finanziarie per acchiapparne la clientela.
Negli ospedali del Sud è ormai consuetudine il ricovero in barella nei corridoi. Il risultato è che nei nosocomi campani, calabresi o siciliani si muore ancora per un'appendicite, una tonsillite, una broncopolmonite o un piccolo ematoma, non ci sono sale operatorie attrezzate, mancano le sale di rianimazione. I servizi di prevenzione sono azzerati, quelli di riabilitazione sono azzerati. Di fronte a questo scempio, il PD e i governatori Vendola, Bassolino, Loiero si sono subito accodati al governo, a Bossi e Calderoli. Che i fondi siano pochi o tanti a loro non importa, quel che conta è mantenere le mani sulla sanità regionalizzata, sulla quale hanno costruito in questi anni le proprie clientele elettorali grazie al potere di arbitrio nella spartizione degli incarichi manageriali, dei finanziamenti, degli appalti e dei subappalti a favore delle multinazionali e delle mafie della sanità privata (clamoroso il recente arresto del governatore del "centro-sinistra" Del Turco).

35 Le lotte per la sanità pubblica, gratuita e universale

Il PMLI si batte perché la sanità sia pubblica, gratuita, universale, controllata e cogestita dai lavoratori del settore, dalla popolazione e dai pazienti, perché si avvalga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e sia finanziata tramite la fiscalità generale. In quest'ottica occorre abolire subito le addizionali Irpef, ogni altro balzello regionale e bocciare qualsiasi forma di federalismo fiscale. L'intero ammontare della spesa sanitaria deve essere svincolata dalle compatibilità capitalistiche (Dpef e finanziarie varie) per essere agganciata al Pil, del quale dovrà essere una percentuale non inferiore al 10%. I parametri di distribuzione del fondo sanitario nazionale vanno cambiati tenendo conto della situazione dei servizi pubblici, delle differenze tra le zone centrali e periferiche delle città, del tasso di disoccupazione, sottoccupazione, lavoro nero, i diritti delle donne, degli anziani, degli emarginati e degli immigrati, privilegiando in ogni caso le zone più povere e depresse del Sud e delle Isole. Solo per la "non autosufficienza" mancano all'appello almeno 10mila miliardi di vecchie lire.
Le nomine dei dirigenti della sanità pubblica va sottratta ai politicanti borghesi ed affidata alle assemblee generali dei lavoratori, alle quali deve essere anche dato il potere di esprimere i propri delegati nelle commissioni concorsuali.
Tutte le strutture private vanno riconvertite in strutture pubbliche, comprese le farmacie e le industrie farmaceutiche, che devono essere accorpate e nazionalizzate, senza che scompaia un solo posto di lavoro. Va cancellata la aziendalizzazione di Asl e ospedali e con essi i manager e i criteri privatistici di gestione. Deve essere vietata la trasformazione delle aziende universitarie e degli istituti di ricerca a carattere scientifico in Fondazioni. Le facoltà di medicina vanno aperte a tutti e garantito l'accesso e il proseguimento degli studi ai figli del proletariato. I baroni reazionari e il loro sfacciato nepotismo vanno messi all'indice anche cambiando radicalmente l'organizzazione e il contenuto della didattica.
Va abolito il sistema dei "Drg" e l'attività privata dei medici del Ssn, mentre vanno garantiti aumenti di stipendio legati all'inflazione reale per le altre categorie, come gli infermieri, i tecnici, gli amministrativi, ecc. Ogni forma di collusione tra la dirigenza medica ed universitaria con le aziende farmaceutiche e biomediche va severamente punita così come le criminali sperimentazioni farmacologiche che avvengono all'insaputa dei pazienti più indifesi nei reparti ospedalieri, mentre occorre procedere all'assunzione stabile di tutti i lavoratori della sanità attualmente sottoccupati o precari.
In via prioritaria e soprattutto nel Sud e nelle Isole occorre battersi per aumentare il numero dei distretti, dei consultori, degli ambulatori polispecialistici, dei Servizi per le tossicodipendenze (Sert), delle strutture residenziali e semiresidenziali aperte per "malati di mente", disabili, tossicodipendenti, dei servizi di guardia medica e continuità assistenziale, anche procedendo all'occorrenza all'esproprio di strutture private ed ecclesiastiche. Occorre battersi per costruire una rete capillare di servizi di assistenza domiciliare integrata e di presidi ispettivi e medico-preventivi con ampi poteri di intervento a tutela della salute dei lavoratori e dell'ambiente. Perché sia garantito un servizio di emergenza territoriale efficiente che tramite centrali operative e collegamenti informatici coordini le disponibilità di posti letto delle strutture pubbliche e lo smistamento dei pazienti "urgenti''. Affinché nelle Isole minori e nelle zone scarsamente collegate alla rete di trasporto, sia istituito un servizio di Pronto Soccorso di alto livello e un servizio pubblico efficiente di eliambulanze.
La "fascia C" e "le note Cuf" del Prontuario farmaceutico vanno abolite, tutti i farmaci devono essere gratuiti, la montagna di confezioni attualmente immesse in commercio vanno drasticamente ridotte, selezionando, attraverso una efficiente ed indipendente rete di sorveglianza farmacologica, quei "principi attivi" con minori "effetti collaterali" e con brevetto scaduto, equivalenti ai griffati ma dal costo più basso (cosiddetti "generici"). Vanno altresì aperti un gran numero di corsi di laurea e servizi di "medicina alternativa", preventiva e lenitiva del dolore. Gli studi dei dentisti devono diventare ambulatori pubblici.
Sull'onda degli scioperi d'autunno i lavoratori della sanità hanno la possibilità di ispirare un grande fronte di lotta per fermare la privatizzazione e demolizione del Ssn, per respingere qualsiasi tentativo di restaurare il sistema mutualistico, per rigettare il sistema del "no-profit" e del volontariato, per abolire gli odiosi ticket e ottenere la totale gratuità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, per scongiurare la chiusura degli ospedali e degli altri servizi pubblici essenziali.

36 Il lavoro di massa

Sviluppare il lavoro di massa con giuste strategie e tattica, con una corretta conoscenza dei problemi economici, sociali e sindacali, e con una adeguata piattaforma rivendicativa applicando i 3 elementi chiave e le 4 indicazioni per il radicamento è di fondamentale importanza per il nostro Partito. Senza di che è impossibile aiutare le masse lavoratrici e popolari a conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro possibili sotto il capitalismo; penetrare e gradualmente affermare tra di esse le parole d'ordine e la linea del PMLI; elevare la loro coscienza politica anticapitalista e anti-istituzionale e di conseguenza far crescere la lotta di classe; ampliare l'influenza e il livello di consenso del Partito; attirare nuovi simpatizzanti e nuovi militanti nell'ambito del progetto strategico di fare del PMLI un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista.
Per fare bene il lavoro di massa, occorre praticare una corretta politica delle alleanze e di fronte unito. Non c'è materia in cui non si possa e non si debba praticare una larga politica di fronte unito. Oggi è di viva attualità la lotta contro le discariche e gli inceneritori in cui stanno dando un grande esempio i compagni napoletani e campani. Sviluppare il lavoro di massa, senza praticare una politica di alleanze e di fronte unito, in particolare quello per le lotte immediate, impedisce di realizzare gli obiettivi posti dal Partito. "Il fronte unito per le lotte immediate - ha detto il compagno Scuderi nel suo discorso 'Applichiamo gli insegnamenti di Mao sulle classi e il fronte unito' -, deve essere realizzato sempre e in ogni campo, da quello politico a quello sindacale e sociale, da quello femminile a quello giovanile e studentesco, da quello ambientale ed ecologico a quello culturale. Il che significa che dobbiamo unirci con tutti coloro che su questioni specifiche portano avanti le nostre stesse rivendicazioni". Perciò il Partito, i suoi militanti e simpatizzanti devono praticare una larga politica di alleanze, e quindi di fronte unito, in particolare nel sindacato, nel movimento operaio, nei luoghi di lavoro per aiutare le masse lavoratrici, disoccupate e pensionate a risolvere i loro problemi, per aumentare la nostra influenza su di loro, ottenerne il consenso e conquistarle alla nostra causa. "Quando riusciamo a creare delle organizzazioni di massa, come i comitati di lotta - prosegue Scuderi - su questioni per cui le masse sono decise a battersi, bisogna allargarle al massimo ad altre forze politiche e sociali, facendo bene attenzione a non restringerle ai soli militanti e simpatizzanti del Partito". Il Partito direttamente o attraverso i suoi militanti e simpatizzanti "deve tendere ad avere la direzione del fronte unito lottando per conquistarne l'egemonia, non facendosi condizionare dagli attuali rapporti di forza sfavorevoli. Indipendentemente dalla nostra consistenza numerica, la nostra direzione può emergere e imporsi in base alle nostre idee, alle nostre proposte, al nostro impegno alla nostra coerenza e alle nostre capacità politiche e organizzative".
Questi insegnamenti, sperimentati nel corso degli anni, sono tuttora pienamente validi e estremamente utili per combattere il governo del neoduce Berlusconi che, assieme alla Confindustria della neo-presidente Marcegaglia, perseguono in campo economico, sociale e del lavoro, politiche liberiste, sfacciatamente filopadronali e ferocemente antipopolari.

37 Il lavoro sindacale

Al primo posto del lavoro di massa del PMLI sta il lavoro tra la classe operaia e, quindi, il lavoro nel suo principale organismo di massa, il sindacato. "Il nostro lavoro sindacale - ebbe a dire il nostro Segretario generale nel suo saluto a una riunione della CdM del CC del PMLI del 2004 - è fondamentale per migliorare le condizioni della classe operaia, dei lavoratori e dei pensionati; per sviluppare la lotta di classe; per spostare a sinistra la lotta sindacale, la Cgil e il movimento sindacale; per unire tutta la sinistra sindacale dentro e fuori la Cgil per realizzare il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori; per combattere governo e padroni; per costruire un grande, forte e radicato PMLI. Dall'esterno del mondo del lavoro - aggiunse - il Partito può fare molto per orientare correttamente la lotta sindacale, ma un ruolo veramente influente e incisivo lo possono svolgere solo i lavoratori, i disoccupati, i pensionati marxisti-leninisti all'interno delle fabbriche, in ogni luogo di lavoro, della Cgil, del movimento sindacale e dei movimenti per il lavoro". "Il nostro strumento sindacale organizzativo - precisava - è la Corrente sindacale di classe (CSC) composta dai militanti e dai simpatizzanti del Partito attraverso la quale dobbiamo tentare di riunire tutta la sinistra sindacale esistente dentro e fuori la Cgil che continua ad essere il nostro principale sindacato di riferimento, su una piattaforma comune e condivisa e di far maturare le condizioni per la creazione del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori. La CSC - concludeva - non esclude che si possano creare con altri lavoratori - a qualsiasi corrente politica appartengono - dei gruppi e dei movimenti di lotta sindacale".
Questa mirabile sintesi del compagno Scuderi è da confermare e riproporre per definire la linea sindacale, il lavoro sindacale dei militanti e dei simpatizzanti del Partito e, soprattutto, la proposta del modello di sindacato, che è quella di "costruire dal basso un grande sindacato - sancito nel Nuovo Programma d'azione del PMLI - delle lavoratrici e dei lavoratori (SLL), fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori".
Il modello di sindacato che il PMLI propone, oltre a quanto detto, si basa sul sistema di elezione dei delegati di fabbrica su scheda bianca e sul principio: tutte le lavoratrici e i lavoratori sono elettori ed eleggibili; i delegati agiscono su mandato dei lavoratori e da questi possono essere revocati in ogni momento; opera in modo indipendente e autonomo dai governi, dal padronato e dai partiti; poggia la sua azione sulla lotta di classe; ha come asse, per le sue politiche rivendicative e finalità strategiche, la centralità della classe operaia; rifiuta per principio la concertazione, la cogestione, il "patto sociale", il neocorporativismo, le compatibilità economiche capitalistiche, la subordinazione dei salari ai profitti e degli interessi generali delle masse lavoratrici alle esigenze dello Stato borghese.
Combatte inoltre le liberalizzazioni e le privatizzazioni, la deregolamentazione del lavoro e la precarizzazione. Un forte aumento delle retribuzioni e delle pensioni, la lotta per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, la difesa del contratto nazionale e provvedimenti efficaci per la sicurezza sul lavoro sono oggi quanto mai urgenti.

38 Fronte unito sindacale

Alla realizzazione di questi obiettivi, la difesa dei diritti economici, sociali e sindacali dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari e dei pensionati di ambo i sessi, la costruzione dal basso del Sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori e, in questo ambito, la costruzione della Corrente sindacale di classe il PMLI ha finalizzato la sua azione sindacale. L'elaborazione del Programma d'azione del PMLI (17 febbraio 2001) contenente una piattaforma di 588 rivendicazioni, rappresenta il punto più alto di questa azione. Contemporaneamente il PMLI, tramite i suoi militanti e simpatizzanti impegnati nel lavoro sindacale, si è reso disponibile e ha ricercato attivamente il fronte unito con le altre forze della sinistra della Cgil, rappresentata dall'Area programmatica "Lavoro e Società-cambiare rotta" di Patta e Nicolosi fino al XV congresso della Cgil allorché si alleò con Epifani per la spartizione delle poltrone e, dopo, da "Rete 28 aprile per l'indipendenza e la democrazia sindacale in Cgil" guidata da Giorgio Cremaschi. Non ci sono sfuggite le recenti prese di distanza di "Lavoro e Società" dalla destra della Cgil su questioni importanti come il Protocollo Prodi e la "riforma" della contrattazione. Ma a tutt'oggi e fino a prova contraria "Rete 28 aprile", per quanto non ci rappresenti appieno e non ne condividiamo interamente la linea sindacale, si conferma l'organismo sindacale in Cgil più indicato e conveniente per svolgere il lavoro sindacale dei militanti e simpatizzanti del PMLI, per partecipare in prima fila alle battaglie sindacali presenti e future contro il governo e il padronato, per partecipare in modo attrezzato al XVI congresso nazionale della Cgil in programma nel 2009. L'adesione a "Rete 28 aprile" è di natura tattica e rientra nella politica di fronte unito. Ha lo scopo di portare avanti la linea sindacale e la proposta di sindacato del PMLI. Ha lo scopo di creare le condizioni per dare vita concretamente alla Corrente sindacale di classe. Partendo dai luoghi di lavoro, dalle zone, dalle categorie dove queste condizioni sono più avanzate. Ciò non esclude la ricerca di fronte unito con i sindacati non confederali che si collocano a "sinistra" della Cgil. Peraltro non è preclusa la possibilità che militanti e simpatizzanti del PMLI scelgano tatticamente di militare, invece che nella Cgil, in uno di questi sindacati, là dove hanno un seguito di massa superiore e sono migliori le condizioni per svolgere il nostro lavoro sindacale. Naturalmente resta la nostra critica di fondo alla strategia dei suddetti sindacati, finalizzata più a dividere che a unire i lavoratori, con una concezione operaista, settaria e anarchica.


 
 
V Questione femminile e diritti civili

39 Origine della questione femminile

 
La questione femminile, ossia la peculiare oppressione economica, sociale, familiare, maritale e personale della donna, trae origine dalla nascita e dall'avvento della proprietà privata dei mezzi di produzione e dalla divisione in classi della società che ha prodotto la rigida divisione di ruoli fra uomo e donna nella società e nella famiglia. Le forme che questa oppressione ha assunto nella storia riflettono il passaggio del potere da una classe sfruttatrice all'altra: da quella schiavistica a quella feudale, da quella feudale alla presente borghese capitalistica.
La contraddizione uomo-donna, e in concreto l'oppressione del sesso femminile da parte di quello maschile, è la conseguenza della necessità delle classi sfruttatrici di tenere la donna in una condizione di soggezione nella famiglia e rispetto all'uomo, privandola di una propria autonomia economica e di un proprio ruolo sociale indipendente rispetto alla famiglia stessa. La contraddizione fra le classi è dunque la principale, la contraddizione uomo-donna è secondaria e subordinata alla prima. Solo risolvendo la contraddizione di classe potrà essere risolta anche la contraddizione fra i sessi.
Questa analisi marxista-leninista dell'origine e delle cause della schiavitù della donna è tutt'ora valida e inconfutabile. Non la società maschilista ma la società divisa in classi, dove domina lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla donna, sono la causa dello stato di soggezione delle masse femminili.

40 La doppia schiavitù della donna nel capitalismo

Il capitalismo non ha eliminato lo stato di soggezione e di inferiorità in cui le donne sono state mantenute per millenni in tutte le società sfruttatrici, esso ha solo aggiunto alla tradizionale schiavitù domestica e familiare quella salariata.
Le donne sotto il capitalismo continuano ad essere essenzialmente delle schiave domestiche, escluse in massa dal lavoro, retribuite meno degli uomini, relegate ai livelli professionali più bassi, nel precariato, nel part-time, nel lavoro stagionale, saltuario e a nero. Il tasso di occupazione femminile è al di sotto del 50% in Italia e il 38% al Sud. Negli ultimi dieci anni le lavoratrici dipendenti a part-time sono aumentate di oltre il 70%. Il ruolo che il capitalismo assegna alle donne è pressoché immutato: fare figli, accudirli, essere al servizio esclusivo del marito, della famiglia e della casa.
Questa condizione viene presentata come un destino ineludibile delle donne, inscindibile dalla loro funzione riproduttiva e, aggiungono gli ideologi borghesi e cattolici, conseguenza della loro "naturale vocazione" alla maternità e alla famiglia.
Ciò che le condanna a questa schiavitù in verità è esclusivamente la legge del massimo profitto capitalistico. Le donne nel capitalismo sono infatti la colonna portante della famiglia borghese intesa come cellula economica di base della società. Questa famiglia, gerarchizzata al suo interno, è come una piccola azienda inserita nella più grande produzione capitalistica. Attraverso questo tipo di famiglia, e la schiavitù della donna al suo interno, il capitalismo si assicura infatti ogni giorno la riproduzione della forza-lavoro, intesa come riproduzione della specie e rigenerazione della forza-lavoro stessa. Invece di garantire servizi sociali pubblici per soddisfare i bisogni dei lavoratori, a scapito dei profitti, i capitalisti si assicurano attraverso la schiavitù domestica e familiare delle donne servizi privati e gratuiti. Questo è tanto più necessario se il capitalismo, come nella fase attuale, ha bisogno di concentrare le proprie risorse nella competitività delle aziende e nelle imprese militari imperialiste alla ricerca di nuovi mercati.
La schiavitù domestica della donna non muta nemmeno se la donna lavora fuori casa. La forza-lavoro femminile infatti è ritenuta dal capitalismo una forza-lavoro di riserva da utilizzare nei momenti di bisogno e da ricacciare in casa appena mutano le esigenze della produzione capitalistica. Il lavoro femminile comunque viene considerato secondario rispetto alla sua primaria funzione materna e familiare ed è tollerato solo se serve a integrare il reddito familiare insufficiente a sopperire ai bisogni della famiglia stessa. Tant'è che la stessa Costituzione del '48 sancisce all'art. 37 questo principio reazionario e antifemminile là dove afferma che: "le condizioni di lavoro (delle donne) devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare".
La doppia schiavitù della donna nel capitalismo, che la rende la più sfruttata fra gli sfruttati e la più oppressa fra gli oppressi, mentre la sottopone a una condizione barbara e disumana, ha posto al tempo stesso le basi perché si sviluppasse storicamente il movimento delle donne per la conquista della parità fra i sessi e della propria emancipazione. Un movimento che ha avuto una spinta decisiva con la nascita dei primi Stati socialisti nell'Urss di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao e, in Italia, con lo sviluppo e l'azione dei movimenti operaio, popolare e giovanile nella Resistenza antifascista, nelle Grandi Rivolte del Sessantotto e del Settantasette.

41 L'emancipazione delle donne

Secondo la concezione del marxismo-leninismo-pensiero di Mao l'emancipazione delle donne non si riduce al semplice riconoscimento formale della parità di diritti fra uomo e donna. L'emancipazione della donna si sostanzia nella realizzazione della più assoluta eguaglianza economica, sociale, politica, giuridica, morale e culturale tra i due sessi, nelle piccole come nelle grandi cose, nella vita privata come nella vita pubblica.
La questione femminile non può essere vista in modo a sé stante, staccata e indipendente dalla questione sociale generale. La lotta per l'emancipazione della donna è parte integrante della lotta del proletariato per l'abbattimento del capitalismo e la conquista del potere politico, che è la madre di tutte le questioni.
La lotta per l'emancipazione comincia infatti nel capitalismo, passa attraverso tutta una serie di conquiste intermedie di carattere economico, politico, sindacale, sociale e civile, subisce un salto di qualità con l'avvento del socialismo e imbocca la via della risoluzione con la costruzione di questa nuova società. Solo il socialismo pone le basi materiali, oltreché giuridiche e statali, perché l'eguaglianza fra i sessi si realizzi in modo concreto. Solo il socialismo potrà far partecipare pienamente la donna al lavoro produttivo e sociale e strapparla alla schiavitù domestica socializzando il lavoro domestico e familiare per tutti, donne e uomini. Solo il socialismo opera culturalmente e materialmente per abbattere la famiglia borghese e cattolica cancellandone le norme giuridiche e statali e i presupposti economici, morali e sociali.
La lotta per l'emancipazione femminile è parte integrante e qualificante del processo di emancipazione generale. Essa distruggendo le basi materiali dell'oppressione e della schiavitù domestica della donna, mira a rivoluzionarizzare radicalmente il rapporto uomo-donna, ma anche l'intera organizzazione economica e sociale capitalistica e la sua sovrastruttura statale, familiare, morale, etica e culturale borghese.
La lotta per l'emancipazione femminile non riguarda solo le masse femminili che sono le prime interessate a conquistarla, ma l'intero proletariato rivoluzionario e il suo Partito. Le masse femminili hanno bisogno del socialismo per emanciparsi, ma anche il proletariato ha bisogno della partecipazione determinante delle masse femminili alla lotta di classe e alla lotta per il socialismo, fino all'insurrezione socialista, per far tabula rasa del capitalismo e costruire la nuova società socialista. Nella lotta per il socialismo le masse femminili sono un fondamentale alleato del proletariato, come il proletariato è un alleato determinante delle masse femminili nella lotta per l'emancipazione delle donne. Ogni teoria e pratica che tendono a dividere e frammentare questo fronte, o addirittura a contrapporre gli interessi delle masse femminili a quelli del proletariato, sabotano la lotta di classe, la lotta per il socialismo e la lotta per l'emancipazione femminile.
Il movimento delle donne per la propria emancipazione sarà tanto più forte, incisivo e vincente quanto più le masse femminili riusciranno ad attrarre e coinvolgere in esso la componente maschile delle varie classi e gruppi sociali interessati a combattere la società capitalistica e la sua sovrastruttura e a conquistare una reale uguaglianza fra i sessi e una nuova società socialista.

42 La linea femminile borghese

Familismo cattolico e borghese
La linea femminile borghese ricalca sostanzialmente la linea femminile mussoliniana fondata sulla triade "dio, patria, famiglia". Una linea fatta propria sia dai governi di "centro-destra" sia di "centro-sinistra" negli ultimi quindici anni e supportata da una martellante campagna del papa, del Vaticano e delle alte gerarchie ecclesiastiche che intendono rilanciare e imporre allo Stato e all'intera società italiana, credente e non, la famiglia cattolica come unico e universale modello di famiglia.
Il familismo cattolico e borghese considera la famiglia come una "società naturale", un luogo sacro e inviolabile, benché essa sia il prodotto storicamente determinato dagli attuali rapporti di produzione capitalistici e sia fondata sull'interesse economico, sull'ereditarietà, la disparità e l'oppressione della donna, su una concezione della riproduzione, della sessualità e della vita oscurantista, dogmatica e medievale. Una famiglia borghese e cattolica fondata sul matrimonio indissolubile esclusivamente eterosessuale e la cui stabilità e unità prevarica qualsiasi diritto delle donne e dei suoi singoli componenti.
In difesa e a supporto di questo tipo di famiglia destra e "sinistra" borghese hanno sviluppato una politica economica, sociale, demografica e fiscale di stampo apertamente familista, che pone al centro i diritti soggettivi della famiglia in luogo dei diritti economici e sociali universali delle lavoratrici e dei lavoratori. Rientrano nella politica di difesa della famiglia borghese e cattolica anche l'opposizione al riconoscimento delle coppie di fatto, gli attacchi al diritto di divorzio, di aborto, la legge medievale sulla fecondazione assistita.
D'altro canto, la precarietà delle forme di lavoro e la privatizzazione dei servizi sociali pubblici ricacciano pesantemente le donne entro le mura domestiche e comunque in un ruolo subalterno e discriminato nella famiglia e nella società.
La politica borghese delle "pari opportunità" è tutta interna al sistema economico e sociale capitalistico perché non pone affatto l'eliminazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e della proprietà privata che sono le vere cause della disuguaglianza economica e sociale delle donne. Essa mira a dare l'illusione alle masse femminili che i governi borghesi possano riuscire a rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una vera uguaglianza fra i sessi. Alla luce dei fatti non solo questo non è avvenuto in nessun campo e in nessun paese capitalistico, ma le "pari opportunità" sono state utilizzate per far passare la politica di flessibilità, mobilità e precarizzazione del lavoro femminile al fine di poterlo conciliare con il "primario" lavoro materno e familiare.

Il femminismo e la teoria della "differenza sessuale"
A parte una breve fase in cui ha subito l'influenza positiva del movimento operaio e giovanile, il femminismo borghese ha prodotti molti danni e fallimenti al movimento delle donne, a cominciare dalla deleteria teoria della "differenza sessuale" che di fatto ha spalancato le porte al familismo dilagante.
Fatta propria oggi da tutti i partiti falsi comunisti, PRC e PdCI in testa, questa teoria assume la "diversità" biologica e culturale della donna rispetto all'uomo come un valore universale. Attribuisce alla contraddizione di sesso la causa prima ed esclusiva dell'oppressione della donna e cancella qualsiasi e seppur flebile riferimento o collegamento alla contraddizione di classe. Alla lotta per l'emancipazione e per la parità fra i sessi, contrappone l'obiettivo dell'affermazione della "differenza sessuale" che non implica alcun capovolgimento degli attuali rapporti di produzione capitalistici, né l'eliminazione della schiavitù domestica che anzi rivaluta insieme alla maternità. Logica conseguenza di questa teoria è una pratica organizzativa di tipo separatista e individualista che pur avendo già mostrato il proprio fallimento politico, vorrebbe oggi riproporre alle masse femminili.

43 Le due leve fondamentali dell'emancipazione

Le due leve fondamentali per sollevare e ribaltare la secolare oppressione e schiavitù delle donne sono il lavoro e la socializzazione del lavoro domestico. Si tratta di due grandi battaglie ideali, politiche e rivendicative strategiche.
Pur consapevoli che questi obiettivi potranno essere pienamente realizzati solo nel socialismo, queste due leve vanno impugnate contemporaneamente e fin da subito per infliggere colpi durissimi alla classe dominante borghese, al suo sistema economico e politico, alla sua organizzazione sociale e alla sua sovrastruttura ideologica e morale, alla concezione borghese e cattolica della donna, della famiglia e della vita; per combattere la politica economica e sociale liberista e privatizzatrice; per contrattaccare la campagna e la politica familista e mussoliniana; per far crescere la coscienza emancipatoria, anticapitalista e rivoluzionaria delle masse femminili.

Il lavoro
La battaglia per il lavoro è decisiva perché distrugge l'isolamento patriarcale e la subalternità delle donne. Il lavoro perché, pur trattandosi nel capitalismo di lavoro sfruttato e quindi non emancipato, rende le donne autonome e indipendenti economicamente rispetto al marito e alla famiglia; dimostra nella pratica alle donne e alla società che le donne e gli uomini hanno le stesse capacità oltreché gli stessi diritti; allarga le occasioni di vita politica, sindacale, sociale e culturale delle donne.
Il lavoro che rivendichiamo è però un lavoro vero, un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, con salario pari a quello degli uomini, altrimenti si tratta di forme di sottoccupazione e sottosalario che favoriscono solo gli interessi dei capitalisti e la conservazione della doppia schiavitù della donna. Siamo contrari al casalingato e alla sua monetizzazione anche attraverso la leva fiscale. La schiavitù domestica non va istituzionalizzata ed equiparata al lavoro sociale, né va estesa agli uomini, ma abolita per entrambi i sessi. Per le casalinghe in età lavorativa noi rivendichiamo un lavoro al di fuori dalle mura domestiche e in sua assenza vogliamo che esse siano equiparate ai disoccupati. Pertanto, per le casalinghe che non hanno alcun reddito - salvo quello da pensione di reversibilità e di invalidità e della prima casa - noi chiediamo un'indennità di disoccupazione da revocare in caso di rifiuto di un lavoro extradomestico adeguato alle capacità effettive della casalinga.

La socializzazione del lavoro domestico
Bisogna che monti l'odio delle donne contro la schiavitù domestica. Non si tratta semplicemente di ripartire le faccende domestiche all'interno della famiglia, ma di trasformare il carattere privato e individuale di questo tipo di attività, che in realtà è di interesse collettivo, in un'attività che può e deve essere soddisfatta socialmente attraverso i servizi sociali pubblici garantiti e finanziati dallo Stato. Senza la socializzazione del lavoro domestico anche la battaglia per il lavoro diventa parziale e perdente. Rivendichiamo pertanto la costruzione di una fitta rete di servizi sociali pubblici a basso costo su tutto il territorio nazionale, specie nel Mezzogiorno, e autogestiti dalle masse stesse. Con particolare attenzione ai servizi per l'infanzia, gli anziani e i diversamente abili come asili nido, scuole dell'infanzia, refezioni scolastiche, centri estivi e per l'orario extrascolastico, assistenza domiciliare per persone non autosufficienti, centri di riabilitazione psico-motoria e per la cura e la disintossicazione dei tossicodipendenti, servizi di trasporto e accompagnamento pubblici e gratuiti per anziani e invalidi in caso di visite, analisi e cure sanitarie. Rivendichiamo inoltre l'aumento delle mense aziendali e scolastiche, la costruzione di mense di quartiere, lavanderie e stiratorie pubbliche, centri di rammendo e di manutenzione degli indumenti, squadre pubbliche di pulizie degli alloggi a prezzi popolari. Rivendichiamo l'aumento e il potenziamento dei consultori pubblici per garantire la prevenzione e la salute delle donne su tutto il territorio nazionale e impedire ad ogni costo che nei consultori pubblici entrino le armate nere del "Movimento per la vita".

44 L'emancipazione femminile e i diritti civili

Fermo restando che la parità di diritti non equivale affatto, nel sistema capitalistico, a una vera e concreta uguaglianza fra donne e uomini, e che questi diritti per lo più rimangono nel capitalismo puramente formali, parziali e non definitivi, come dimostrano gli incessanti attacchi alle conquiste strappate dalle masse femminili negli ultimi decenni, la lotta per i diritti civili delle masse femminili è parte integrante della battaglia per l'emancipazione delle donne. Questa lotta infatti rende ancor più evidente che non è la mancanza di diritti ma l'esistenza stessa del capitalismo la causa dell'oppressione e della discriminazione della donna, si contrappone alla concezione e al modello reazionario, medievale e oscurantista della donna, della vita e della famiglia e quindi contribuisce alla crescita delle coscienze sociali e politiche delle masse femminili e popolari. Infine essa allarga il fronte delle masse coinvolte nella lotta.
La lotta per i diritti civili noi la concepiamo nel quadro della lotta di classe e della strategia della conquista del socialismo. Essa non si fonda sui principi liberali borghesi dell'individualismo, dell'interclassismo e dell'"autodeterminazione", ma su quelli che hanno a fondamento gli interessi e i diritti di classe, collettivi e universali delle masse lavoratrici e popolari.
Il principio della "autodeterminazione" non fa parte del patrimonio ideologico del proletariato. Si tratta di un principio democratico borghese che muove dall'idea che la libertà di scelta dell'individuo è primaria e prevalente su ogni altra e contrasta con una visione collettiva e universale dei diritti. Il principio di "autodeterminazione" viene sostenuto dalla classe dominante borghese ogni qual volta ha bisogno di negare o cancellare diritti economici e sociali acquisiti come la scuola e la sanità pubbliche, i servizi sociali pubblici. In nome dell'"autoderminazione" delle donne è stata persino esclusa dalla legge sulla violenza sessuale la procedura d'ufficio in caso di stupro in famiglia.

Diritto di famiglia
Nonostante la riforma del 1975, il diritto di famiglia in Italia è ancora un diritto borghese, retrivo e antifemminile. Esso risente fortemente della sua origine nel diritto canonico e della struttura fascista, sostanzialmente immutata, risalente al codice Rocco.
Il principio fondante è comunque quello contenuto nella Costituzione del '48, nel suo articolo 29, che sancisce che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Sulla base del principio borghese e cattolico, frutto del compromesso raggiunto all'epoca fra la DC e il PCI revisionista, lo Stato riconosce unicamente la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, esclusivamente eterosessuale e preferibilmente indissolubile e prolifico.
Esso esclude a priori e giuridicamente i diritti di tutti gli altri tipi di famiglia, da quelle di fatto a quelle gay, allargate, ecc. Con ciò vuole perpetuare un modello di famiglia fondata sulla proprietà privata, l'ereditarietà, la gerarchizzazione interna, la subordinazione della donna e dei figli al marito e al padre.
Nel diritto familiare borghese italiano non è ammesso il matrimonio fra gay, né il riconoscimento delle coppie di fatto, eterosessuali e omosessuali con tutto ciò che ne consegue in materia di diritti di successione, previdenziali, fiscali, ecc. Le coppie gay sono escluse dal diritto di adozione così come i single. Nonostante sia stabilita formalmente l'uguaglianza dei coniugi, numerose sono ancora le disparità come quella dell'attribuzione automatica del cognome del padre ai figli e alla moglie. Anche l'uguaglianza fra figli legittimi e naturali è solo formale nella definizione e nell'attribuzione di diritti, specie ereditari. La patria potestà è stata sostituita con la patria genitoriale, che implica ancora il riconoscimento ai genitori di un potere sui figli che esula dalla semplice tutela. Il divorzio, l'aborto, la fecondazione artificiale sono regolamentati da leggi speciali e sono stati esclusi non a caso dai codici.
Occorre superare totalmente questo diritto di famiglia poiché esso non risponde alle aspirazioni di uguaglianza, di giustizia e di emancipazione delle masse femminili e popolari e alla stessa realtà. Innanzitutto occorre cancellare l'articolo 29 della Costituzione e rimuovere tutte le norme che di fatto lasciano inalterato il potere maritale, la potestà sui figli, le disuguaglianze fra figli legittimi e naturali, la discriminazione e la mancanza di diritti per le coppie di fatto, etero e omosessuali, il divieto di matrimonio, di adozione e di ricorrere alle tecniche di fecondazione artificiale per le coppie gay.

Aborto
Da tempo è in atto in Italia una crociata in grande stile da parte della destra borghese e cattolica, del papa nero Ratzinger e della Cei di Ruini e Bagnasco contro la legge 194 sull'aborto allo scopo di cancellarla o quanto meno di rivederla in senso ancor più restrittivo e di criminalizzare le donne che abortiscono paragonandole a delle assassine. Questa intollerabile crociata ha peraltro trovato nella "sinistra" borghese un interlocutore connivente, disposto al dialogo e al compromesso.
La legge 194 è una legge parziale e fortemente condizionata dalla mediazione e dal compromesso raggiunti nel 1978 fra l'allora DC e il PCI revisionista in piena era di "solidarietà nazionale". Essa non ha mai riconosciuto il diritto di aborto, tant'è vero che non ammette l'aborto su semplice richiesta delle donne come accade in altri paesi. Essa è stata spesso in questi anni vanificata da mancanza di mezzi, strutture e personale medico non obiettore, da un iter lungo e farraginoso soprattutto per le minorenni. Al servizio di assistenza all'aborto sono state negli anni tolte risorse umane ed economiche. Le donne sono state lasciate sole di fronte all'aborto o, peggio, lasciate nelle mani di chi le colpevolizza. Fatto è che l'aborto clandestino è ancora una realtà, specie nel nostro Meridione.
Ben sapevamo, fin dalla sua approvazione, che la "prevenzione" prevista dalla legge rappresentava il cavallo di Troia per manovre tese a svuotare e liquidare la legge dall'interno. Tant'è vero che oggi la "prevenzione" è del tutto equiparata alla necessità di "dissuadere" le donne dall'aborto e rappresenta la chiave per spalancare le porte ai crociati del "Movimento per la vita" nei consultori pubblici, dopo che già costoro spadroneggiano negli ospedali, nelle scuole e ovunque è loro concesso.
Nonostante ciò oggi occorre difendere la 194 per quello che di positivo essa contiene, ma anche perché essa è un simbolo delle conquiste sociali e civili delle masse femminili, costate anni e anni di lotte e sacrifici. Una conquista, quella dell'aborto, che è stata già posta al vaglio della volontà popolare col referendum del 1981.
La legge 194 può essere toccata solo per essere migliorata soprattutto per quanto riguarda l'iter burocratico e la cancellazione della scandalosa "obiezione di coscienza". Chi non vuol praticare aborti scelga un'altra specializzazione medica. Occorre respingere ogni tentativo di porre limiti all'aborto terapeutico, che già viene ammesso solo in caso di gravi motivi di salute fisica e psichica della donna, e pretendere l'introduzione della pillola abortiva RU 486 in tutte le strutture sanitarie pubbliche.

Divorzio
Il divorzio, a parte la doverosa tutela delle parti più deboli, in genere la donna e i figli, dovrebbe essere semplicemente il riconoscimento della conclusione di un rapporto d'amore e di affetto. In realtà per la morale cattolica, e la legislazione italiana che la riflette, ciò non è concepibile poiché mette in discussione il principio dell'indissolubilità del matrimonio e dell'unità familiare. Per questo il papa e la Cei si ostinano, nonostante il plebiscitario risultato referendario del 1974 che ne impedì la cancellazione, a pretendere l'abolizione della legge sul divorzio o almeno una sua modifica in senso restrittivo.
Non è sufficiente alla destra borghese e cattolica che in Italia il divorzio non sia ancora un diritto pienamente riconosciuto, specie per le masse popolari. In primo luogo perché esso è condizionato dalle misere condizioni economiche e sociali che spesso impediscono, specie alle donne, di godere pienamente di questo diritto. In secondo luogo, la legge sul divorzio è ispirata più alla dissuasione che al riconoscimento di tale diritto. L'obbligo di una separazione di tre anni prima della sentenza di divorzio, il doppio giudizio e quindi il doppio costo dei processi, l'impossibilità di accedervi con un atto amministrativo in caso di divorzio consensuale e in presenza di accordo tra i coniugi rendono lungo, farraginoso e economicamente oneroso l'accesso all'istituto del divorzio. Occorre quindi difendere la legge sul divorzio dagli assalti della destra cattolica e del Vaticano, ma contemporaneamente battersi perché tale legge venga modificata nel senso di rendere più breve, semplice, accessibile e gratuito l'esercizio di tale diritto.

Fecondazione assistita
Noi marxisti-leninisti ci battiamo per la cancellazione della legge fascista, oscurantista, antiscientifica e antifemminile sulla fecondazione assistita voluta e imposta caparbiamente dalla destra politica e cattolica italiana, presente trasversalmente in parlamento, e dal Vaticano in prima persona per imporre allo Stato italiano la morale, l'etica e i dogmi oscurantisti della dottrina cattolica in tema di scienza, famiglia e sessualità.
La legge 40 infatti per la prima volta al mondo riconosce e sancisce giuridicamente il dogma cattolico secondo cui "l'embrione è una persona" con pari diritti e dignità della madre e dei già nati. Inoltre, questa legge vieta la fecondazione assistita eterologa (con donatori esterni alla coppia) e alle coppie gay e ai single; vieta il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche o infettive che potrebbero avere così figli sani; lede gravemente la salute delle donne e dei bambini costringendo i medici a produrre un massimo di tre embrioni per volta e a impiantarli nell'utero materno in un'unica e contemporanea soluzione; vieta la diagnosi pre-impianto degli embrioni e la possibilità di revoca della volontà delle donne all'impianto dopo la fecondazione anche in presenza di embrioni malati e malformati; vieta la produzione di embrioni e la clonazione umana anche a fini terapeutici e l'utilizzo a scopo di ricerca degli embrioni già congelati e destinati alla distruzione; lascia la fecondazione assistita e la ricerca scientifica in balia della speculazione privata.
Noi non siamo affatto d'accordo che la vita umana inizi all'atto della fecondazione. Tale dogma cattolico non è una verità scientifica. La fecondazione è semplicemente l'inizio della vita biologica di un nuovo organismo, ma siamo ancora lontani da un vero e proprio embrione umano e ancor di più da un vero e proprio essere umano.
Da materialisti noi consideriamo l'uomo essenzialmente un essere sociale, un essere cioè in grado di instaurare autonomamente determinati rapporti sociali, più o meno mediati, più o meno elementari in base all'età, alle sue effettive capacità e alle condizioni specifiche. Per noi la vita umana inizia con la nascita poiché è con questo atto che l'essere vivente compie un salto di qualità fondamentale e determinante che lo distingue da ogni altro essere. In nessun caso riconosceremo un diritto soggettivo dell'embrione peraltro prevalente rispetto a quello delle donne.
Noi siamo favorevoli alla ricerca sulla clonazione umana sia terapeutica sia riproduttiva. Siamo consapevoli che in questo campo esiste il rischio non solo di manipolazioni e di usi impropri e non leciti, ma anche di speculazioni da parte del mercato capitalistico. Questo non è tuttavia un motivo sufficiente per impedire la ricerca e la sperimentazione scientifica in questo campo.
La soluzione non sta nel fermare il progresso scientifico, ma nel lottare per imporre per quanto è possibile alla classe dominante borghese un uso non nocivo della ricerca scientifica nella prospettiva di porla completamente al servizio dell'umanità una volta che il potere politico sarà saldamente in mano alla classe operaia.
La ricerca sulla clonazione umana, proprio per la delicatezza della materia, dovrebbe essere appannaggio esclusivo della ricerca scientifica pubblica adeguatamente sostenuta e finanziata, svincolata quindi dai capitali privati speculativi della borsa e multinazionali. Dovrebbero essere inoltre vietati la brevettabilità delle scoperte genetiche di qualsiasi tipo e il loro uso a scopo di lucro.

Violenza sessuale
Le radici delle violenze maschili sulle donne stanno nella cultura borghese e nella mancanza di diritti per le donne, considerate un oggetto sessuale e completamente subalterne al potere maritale e familiare. Non a caso la violenza sulle donne viene perpetrata soprattutto in famiglia, da parte di mariti, padri, fidanzati o ex partner.
La concezione borghese e reazionaria della famiglia e del ruolo della donna al suo interno informa di sé anche la legge sulla violenza sessuale varata nel 1996 con un'intesa trasversale delle forze politiche parlamentari, figlia di un'omologazione ideologica e culturale neofascista. Se da una parte la legge riconosce il reato non più contro la morale ma contro la persona, essa è sostanzialmente una legge repressiva e oscurantista che salvaguarda i cardini della morale sessuale e familiare borghese e cattolica che avevano ispirato fino ad allora il codice Rocco. Infatti, eccellendo in ipocrisia, la legge prevede sì l'inasprimento delle pene ma prevede anche il riconoscimento di "casi di minore gravità" di violenza sessuale che lascia ampia discrezionalità ai tribunali e facili scorciatoie penali agli stupratori. Non prevede neanche la querela d'ufficio. Inoltre la legge limita e punisce la sessualità dei minorenni anche quando essa è basata sulla libera volontà e la consensualità.
La battaglia contro la violenza degli uomini sulle donne è dunque parte integrante della battaglia contro la cultura borghese e cattolica e il suo modello di famiglia e per difendere i diritti femminili acquisiti e conquistarne dei nuovi

Prostituzione
La prostituzione è una inaccettabile mercificazione del corpo femminile che spesso si associa a forme di vera e propria schiavitù. Essa è l'altra faccia della morale borghese e cattolica che divide le donne in madri e mogli, sante e madonne, da una parte, e prostitute, dall'altra. Le radici della prostituzione stanno nell'esistenza stessa del capitalismo, della sua economia, della sua cultura e della sua morale sessuale e familiare borghese, cattolica e oscurantista.
La prostituzione non potrà essere sconfitta se non tagliando alle radici le cause che spingono tante donne e giovani a praticarla. Ciò sarà possibile pienamente solo nel socialismo. Ma fin da ora dobbiamo batterci per spuntargli gli artigli. Non con la repressione indiscriminata, che finisce solo per colpire le prostitute. Occorre distinguere fra le donne, spesso giovanissime e migranti, che si prostituiscono e gli sfruttatori della prostituzione che gestiscono dei veri e propri racket internazionali di donne e bambine.
Per combattere la prostituzione occorre impedire l'approvazione di provvedimenti di legge finalizzati a cancellare la legge Merlin, a ripristinare, in vario modo, le "case chiuse" e a istituzionalizzare la prostituzione. È altresì necessario: abrogare il reato di adescamento e di favoreggiamento; eliminare ogni discriminazione verso chi si prostituisce (di ambo i sessi e i transessuali) garantendo loro tutti i diritti economici, sociali e politici; infliggere il sequestro dei beni e il carcere ai trafficanti e agli sfruttatori della prostituzione; favorire l'abbandono della prostituzione offrendo a chi la pratica una sistemazione abitativa e lavorativa dignitosa; fornire documenti e permesso di soggiorno alle immigrate e agli immigrati che si prostituiscono ricattati e schiavizzati dalle organizzazioni criminali e dagli sfruttatori; strappare dal giro della prostituzione le minorenni e i minorenni per ricongiungerli alle famiglie di origine o, in assenza, mettere in atto un progetto di recupero sociale attraverso l'affidamento, la ripresa degli studi, corsi di formazione professionale, offerte di lavoro, inserimento in ambienti di socializzazione giovanili.

Diritti dei LGBT
Lo Stato borghese italiano, con le sue norme giuridiche e amministrative, discrimina i rapporti consensuali omosessuali, negandone parità di trattamento in relazione alla sicurezza sociale, all'assicurazione delle malattie, alle prestazioni sociali, al sistema educativo, al diritto professionale, matrimoniale e di successione, al diritto di adozione, alla legislazione sui contratti d'affitto.
I marxisti-leninisti rivendicano il riconoscimento, da parte delle istituzioni dello Stato e amministrative, delle unioni civili e di fatto, comprese quelle tra omosessuali di ambo i sessi. Siamo nettamente contrari che la materia sia regolata attraverso contratti privati, che la escludono dal diritto pubblico e dall'intervento dello Stato e rendono così impossibile che alle coppie di fatto siano garantiti gli stessi diritti ascrivibili alle coppie "legali". Tutti i nuclei familiari, comunque costituiti, devono essere considerati alla pari, con gli stessi diritti e gli stessi trattamenti sociali, economici e fiscali.
Occorre favorire chi richiede il cambiamento di sesso, nelle strutture pubbliche e gratuitamente, e il cambio di identità anagrafica.
Alle coppie lesbiche, gay, bisessuali e transessuali va garantito pure il diritto di avvalersi gratuitamente in strutture sanitarie pubbliche delle tecniche per la fecondazione assistita e di accedere senza discriminazioni all'istituto delle adozioni.
Ai LGBT vanno riconosciuti anche tutti gli altri diritti in materia sociale, assistenziale, lavorativa, previdenziale e ereditaria. Per questo motivo, occorre cancellare dai codici penale e civile ogni norma repressiva e discriminatoria basata espressamente sull'orientamento sessuale.

 
VI Questione ambientale, acqua e rifiuti

45 L'"effetto serra"

 
L'intero pianeta è sull'orlo del baratro. E non è catastrofismo. La temperatura dell'atmosfera sta aumentando in modo esponenziale per l'immissione di gas serra e i primi drammatici effetti si fanno già sentire ad ogni latitudine e longitudine.
L'"effetto serra" è causato dal sistema di produzione capitalistico e dalle scelte di sviluppo energetico e produttivo dei governi e delle multinazionali dell'energia, tutte centrate sui combustibili fossili e la deforestazione.
La grande maggioranza degli scienziati concorda che, entro il 2100, assisteremo allo scioglimento dei ghiacciai e dei poli, che provocherà l'innalzamento dei mari, inondazioni, cicloni e uragani sempre più frequenti e devastanti. L'aumento della temperatura degli oceani causerà la scomparsa delle barriere coralline, la massima fonte di biodiversità nei mari. La siccità dei terreni fertili, causata dall'evaporazione dei corsi d'acqua, provocherà l'estensione delle aree desertiche, la riduzione delle aree agricole e le estinzioni di specie vegetali ed animali, l'aumento della fame, della sete, delle epidemie, ondate migratorie bibliche dal Terzo mondo verso i paesi "più ricchi".
Per quanto riguarda l'Italia, si prevede che Venezia sprofonderà. Il faraonico "Mose", tanto sbandierato come "soluzione al fenomeno ciclico dell'acqua alta", tutto farà tranne che prevenire un innalzamento stabile del livello della laguna. Verrebbero allagate città come Livorno, Pisa, Latina, la costa dell'Alto Adriatico fino a Ferrara, la costa toscana da Tombolo all'Arno, il golfo di Gaeta, le coste della Puglia da Barletta a Manfredonia, il golfo di Oristano con parte della penisola del Sinis e lo stagno di Cagliari. Il fenomeno sarà più intenso e rapido laddove è più grave il fenomeno della subsidenza, erosione, instabilità dei litorali dovuta alla cementificazione. L'infiltrazione di sale nelle falde acquifere comprometterà le risorse idriche in Puglia e in Sicilia con il rischio di mancanza d'acqua potabile e per l'irrigazione e conseguente desertificazione. Con l'innalzamento delle precipitazioni e dei periodi di siccità anche i fiumi italiani, supercementati e disboscati negli argini, rischiano di straripare in inverno e di asciugarsi completamente in estate, come già sta avvenendo da qualche anno per il Po.
L'Italia imperialista di Prodi e Berlusconi si è disinteressata totalmente del problema, non rispettando neanche il pur modesto protocollo di Kyoto, non ha mosso un dito per dotarsi di una legislazione efficace per ridurre le emissioni ed è agli ultimi posti in Europa per utilizzo di fonti rinnovabili. La Germania produce quindici volte più energia eolica dell'Italia; la Spagna cinque. Lo stesso l'Inghilterra, la Danimarca e gli Usa. Anche nella produzione dell'energia solare l'Italia è ferma all'anno zero rispetto a paesi che di sole ne hanno senz'altro di meno.
Occorre quindi far presto a risalire la china cominciando a finanziare adeguatamente le ricerche statali per migliorare il rendimento delle centrali idroelettriche e della tecnologia fotovoltaica, incentivare ed agevolare l'installazione di impianti ad energia solare nelle abitazioni e negli edifici pubblici (scuole, ospedali, ecc.), utilizzare le fonti geotermiche, il moto ondoso, le maree, le correnti marine, promuovere i mezzi di trasporto ad idrogeno e le cosiddette "abitazioni ecologiche". Si tratta di tecnologie già disponibili ma boicottate attivamente dai governi e dalle multinazionali. Per ridurre drasticamente l'inquinamento dell'aria occorre spostare il trasporto commerciale su ferro invece che su gomma, pedonalizzare le città liberandole dalla morsa delle automobili, potenziando le tranvie ed ogni forma di mezzo pubblico pulito e collettivo, mettere al bando le industrie che avvelenano, gli aerei chimici che imperversano nei cieli e la produzione di fluorocarburi responsabili dell'enorme buco dell'ozono nella stratosfera che sovrasta l'Antartide.
Tanto c'è da fare per i militanti e i simpatizzanti del PMLI sul tema dell'ambiente. Essi hanno il compito di unirsi ai gruppi ambientalisti, in primo luogo quelli più coerentemente antistituzionali, per promuovere un grande fronte unito di tutte le forze ambientaliste, guidato dalla classe operaia.
Per scongiurare gli apocalittici scenari appena accennati è necessario infatti cambiare completamente il sistema economico, e i veri comunisti devono progressivamente e man mano che si sviluppano le lotte e le coscienze spiegare e convincere il nostro popolo che l'unica alternativa storicamente provata al capitalismo, per sua natura intrinseca miope e vorace dissipatore di risorse ed equilibri vitali, è solo il sistema socialista e che tutte le altre "soluzioni", come gli accordi basati sull'inaccettabile mercato delle quote di Co2, o come gli improbabili progetti volti a sequestrare le emissioni di Co2 sotto terra, sono solo misure tampone. La conquista della dittatura del proletariato, tramite la socializzazione dei mezzi di produzione e una saggia pianificazione della produzione e degli stili di vita, è l'unico modo per cancellare i grandi monopoli imperialisti che attentano alla vita sulla Terra, seppellire la legge del massimo profitto e lo sfruttamento selvaggio dell'uomo sulla natura.

46 I combustibili fossili e il nucleare

Tutte le cosche politiche che si sono avvicendate alla guida del Paese, compresi PRC e PdCI, hanno responsabilità politiche imperdonabili in campo energetico. Per assecondare la sete di profitto delle multinazionali hanno insistito sull'energia combustibile inevitabilmente destinata ad esaurirsi nei prossimi 20-50 anni, riducendo addirittura la quota statale del capitale dell'Ente nazionale idrocarburi (Eni) al di sotto del 38%.
Un primo risultato di questa scellerata politica è che l'Italia, non essendo un paese produttore ma trasformatore, importa oltre l'80% delle risorse energetiche e dipende dal Medio Oriente e Nord Africa per il petrolio, da Algeria e Federazione russa, ma anche Libia, Olanda e Norvegia per il gas naturale. Un secondo è che il "caro carburante" sta mettendo in crisi interi settori, come la pesca ed ogni mese piovono nuove stangate sulle bollette. Un terzo è che al vertice della catena di controllo dell'energia e del gas, come dell'acqua e dei rifiuti, non c'è più lo Stato e i comuni ma i mercati finanziari, che speculano liberamente sui servizi sociali delle masse. Un quarto risultato è che l'Eni si fa sempre più aggressiva e sgomita pericolosamente con gli altri grandi trust petroliferi mondiali per accaparrarsi i giacimenti e oleodotti, dal mare del Nord al Caucaso, dall'Iraq alla Nigeria, dall'Alaska all'Australia, incurante degli spaventosi disastri sociali ed ambientali causati dagli impianti di trivellazione, dalle piattaforme, dalle petroliere, dalle raffinerie, dalle automobili.
Come "alternativa" al petrolio l'Eni punta all'ampliamento, alla costruzione ed al controllo di nuovi gasdotti e a concedere incentivi alle multinazionali per la costruzione dei rigassificatori, che le permetterebbero di comprare il metano anche da altri paesi produttori. Per fortuna di queste infrastrutture assai costose, dannose per l'ambiente, pericolose per la salute e la vita delle persone oggi ne esiste solo una in provincia di La Spezia, di proprietà della Gnl Italia, ma il pacchetto dei nuovi impianti comprende Trieste, Livorno, Rosignano, Brindisi o Taranto, Gioia Tauro, Porto Empedocle, Priolo.
Il governo del dittatore democristiano Prodi non ha certo invertito questa rotta suicida. Ha avallato ad esempio la decisione scellerata dei neopodestà di Milano e Brescia di dar vita alla fusione delle rispettive municipalizzate Aem e Asm che ha creato la più grande Spa dell'energia quotata in borsa controllata dall'Edison e che è pronta a papparsi le altre municipalizzate del Paese.
Il 4° governo del neoduce Berlusconi per non essere da meno ha imboccato una strada ancora più pericolosa, ed arrogante. Scajola e Marcegaglia hanno annunciato di voler rilanciare il nucleare, calpestando la volontà del popolo italiano che si è già espresso con un voto contrario nel referendum del 1987 e con motivazioni tuttora validissime.
La costruzione delle centrali nucleari ha un costo esorbitante e non risolve nemmeno alla lontana il problema del fabbisogno energetico. Non è stato ancora risolto il problema dello stoccaggio e dello smaltimento dei micidiali residui delle centrali nucleari a suo tempo chiuse. Tali centrali, a cui siamo nettamente contrari, rischiano di nascere già vecchie in quanto per realizzarle ci vorranno molti anni mentre la materia prima, l'uranio, andrà ad esaurirsi nel giro di 20-40 anni. Sono molto pericolose per l'ambiente, la salute e la sicurezza delle masse, specialmente in un Paese come l'Italia, altamente sismico. Infine le principali miniere si trovano in paesi del Terzo mondo, come il Niger, che subirebbero nuove depredazioni ed aggressioni imperialiste.
Tra le principali rivendicazioni del PMLI per chiudere con l'era dei combustibili fossili e del nucleare ci sono: 1) La ripubblicizzazione di Eni, Enel, Enichem ed Edison, la nazionalizzazione della Fiat e la loro riconversione nel settore dell'energia pulita e rinnovabile e nel settore dei trasporti pubblici su ferro. 2) Obbligare i governi a varare subito una seria strategia per il risparmio energetico e un nuovo piano energetico che sostituisca il precedente vecchio di 20 anni. 3) Abolire i "certificati verdi" nella bolletta Enel ed ogni altro incentivo e finanziamento ai gruppi industriali inquinanti, come l'industria petrolchimica e gli sciacalli degli inceneritori. 4) Chiudere i mostruosi mega-inceneritori sul modello bresciano, le obsolete e superinquinanti centrali termoelettriche a carbone, come quella di Civitavecchia, le nuove centrali a turbogas, come quella di Montalto di Castro che vanno ad aggravare l'impatto ambientale nella regione. 5) Cambiare le leggi che attentano alla salute pubblica, occupandosi solo della produzione di particolato ultragrossolano emessa dagli impianti e dimenticando i gas serra e l'inquinamento da particolato di piccola taglia prodotto dalla combustione di metano e gasolio, che è il più pericoloso per le vie respiratorie. 6) Mettere in sicurezza e riconvertire, senza far ricadere i costi sulla collettività e sui lavoratori, le mille Seveso petrolchimiche d'Italia, a cominciare dalla Sicilia, la "superpetroliera del Mediterraneo" che tra Priolo, Gela e Milazzo ogni anno lavora più del 60% del petrolio raffinato in Italia. Ma anche gli impianti di Porto Marghera, Ravenna, Mantova, Falconara, Ferrara, Genova, Livorno, Napoli e Taranto. 7) Sciogliere la Sogin, la controllata dal Tesoro di cui è presidente il generale piduista Carlo Jean, che voleva scaricare una montagna di rifiuti cancerogeni in Lucania e che nel 2005 ha firmato un contratto con la Russia che prevede la costruzione da parte della Fincantieri di una nave destinata al trasporto di combustibile irraggiato e rifiuti radioattivi. A tal proposito occorre fare chiarezza su ogni fase delle operazioni di smantellamento e trasporto dei rifiuti dalle quattro centrali nucleari e dei cinque impianti di trattamento e fabbricazione del combustibile nucleare dismessi esistenti in Italia.

47 La devastazione e cementificazione del paese

Dal mare alle montagne l'Italia è stata selvaggiamente cementificata. Nelle grandi città la pianificazione urbanistica è stata affidata dalle istituzioni borghesi alle holding mafiose che controllano, e non solo nel Mezzogiorno, le cave che sventrano le montagne, le discariche stracolme di percolato e l'intero ciclo del calcestruzzo, comprese le aziende del "movimento terra", gli appalti e i subappalti. Il risultato è che ovunque regna il dissesto idrogeologico, interi quartieri sono abusivi, e il popolo italiano è indifeso nei confronti delle "calamità naturali", come dimostra il terremoto dell'Irpinia, la strage di bambini nella scuola a S. Giuliano di Puglia, il terremoto in Umbria, le alluvioni in Piemonte, quelle di Sarno e Soverato, i continui crolli di palazzi per mancanza di manutenzione, materiali e infrastrutture scadenti. Di anno in anno peggiora anche il bollettino della devastazione ambientale: assalti del fuoco e del cemento alle riserve boschive, nuove regimentazioni degli argini che impediscono ai corsi d'acqua di contenere le piene, nuovi scavi per il dragaggio di sabbia e ghiaia dagli alvei fluviali che bloccano il flusso sedimentario lungo le rive intensificando l'erosione delle coste.
Emblematico è il pericolo Vesuvio a Napoli. Un'eventuale eruzione, a causa della cementificazione selvaggia delle pendici del vulcano, dell'altissima densità demografica della zona, degli scempi urbanistici e infrastrutturali, dello stato pietoso in cui versano le cosiddette "vie di fuga", degli altrettanto pietosi "piani di emergenza" predisposti dalla cosiddetta "Protezione civile", rischia di coinvolgere almeno 700mila persone. Fino ad oltre 3 milioni di abitanti nel caso di un'eruzione pliniana con nube piroclastica, come quella apocalittica che rase al suolo Pompei nel '79 e nel 1631 d.c.
Berlusconi invece di affrontare le tante emergenze con dei Piani straordinari ha pensato bene di scardinare anche le norme antiabusivismo e le valutazioni di impatto ambientale, fino a cancellare buona parte dei parchi nazionali. Incurante dei pericoli sismici, dei danni all'ecosistema e degli accaparramenti degli appalti da parte della mafia, è deciso a realizzare l'inutile e dannoso Ponte di Messina e le altri "grandi opere", come la Tav in Val di Susa, il Mose, la Variante di valico Bologna-Firenze, il passante di Mestre, l'autostrada Milano-Bergamo-Brescia, la quarta corsia Modena-Bologna, la terza corsia della tangenziale di Bologna, la Napoli-Salerno-Reggio Calabria, la megaspeculazione per la fiera di Milano e quella a Bagnoli e a Napoli Est, opere che nella maggior parte dei casi servono solo alle multinazionali come Impregilo e Astaldi ed alla criminalità organizzata.
La piattaforma rivendicativa del PMLI per preservare l'integrità del nostro meraviglioso Paese si basa sul fronte unito e sulla lotta di piazza. Tra le battaglie più urgenti ci sono quelle per risanare e disinquinare i grandi fiumi, a partire dal Po, l'Arno, il Tevere, il Volturno, il Sarno, proteggerne le sorgenti dai predoni dell'"acqua minerale", risistemare i loro alvei, ripulire e ricoltivare la vegetazione sulle rive, ripopolare la fauna ittica, favorire l'espansione in aree adatte naturalmente o in casse di espansione artificiale, incrementare le aree protette alle foci. Piantare alberi nelle zone a rischio di valanghe e nelle zone adibite al taglio della legna. Ripascere le spiagge, farle tornare accessibili gratuitamente e balneabili ovunque, strappandole ai privati e agli speculatori dei litorali. Abbattere gli immobili costruiti abusivamente favorendo l'accesso a una abitazione sostitutiva per chi è privo di prima casa. Difendere e ampliare il sistema delle oasi e dei parchi naturali terrestri e marittimi. Istituire, o potenziare, moderni impianti di studio e prevenzione dei terremoti e delle eruzioni. Potenziare i servizi antincendio, soprattutto via terra e via cielo, da coordinare con un sistema di avvistamento dotato di strumenti telematici e satellitari. Censire e mappare le zone colpite da incendi dolosi, vietando per un periodo non inferiore a 10 anni le concessioni edilizie.
Lo sciopero generale sarebbe un'utile arma per coordinare questi fronti delle lotte per l'ambiente con quelle per spazzare via la base Usa di Vicenza e le altri basi Usa e Nato, per cancellare l'infame accordo segreto guerrafondaio siglato da Berlusconi e Prodi che permette lo stoccaggio di quasi 100 bombe atomiche Usa sul territorio nazionale, per ripulire l'Adriatico dalle bombe all'uranio impoverito della Nato, il Tirreno e lo Ionio dalle carrette dei mari cariche di rifiuti industriali e radioattivi. Occorre prendere esempio dalla rivolta del popolo lucano, dal movimento No Dal Molin, "No Tav" e dai movimenti che si battono per l'acqua, i rifiuti, i servizi pubblici, dal movimento campano che si batte contro le magadiscariche e i mostri degli inceneritori e per la bonifica di una regione stuprata fino all'inverosimile dallo smaltimento selvaggio dei rifiuti tossico-nocivi e definita dal Pm Donato Ceglie "la Cernobyl campana". Questo movimento, come già era accaduto negli anni '80 al movimento antimissili ed antinucleare e negli anni '90 al movimento studentesco, è costituito da una agguerrita componente femminile, di giovani e giovanissimi, che ne costituisce la spina dorsale.

48 I piani di Berlusconi contro l'ambiente

Il governo Berlusconi è attualmente il nemico numero uno dell'ambiente. Si propone di attuare una selvaggia deregulation di tutto ciò che nei decenni è stato faticosamente acquisito attraverso mille battaglie ambientaliste in materia di protezione dei beni paesaggistici, culturali, storici e architettonici pubblici, lasciando il privato unico ed esclusivo "regolatore" dei delicati equilibri dell'ecosistema e del territorio antropizzato. Nella precedente legislatura si è fatto una legge su misura che gli assicurava la gestione diretta delle acque, dell'aria, del suolo, dei rifiuti e delle aree protette, sottraendo questi beni ad ogni possibilità di controllo pubblico, in deroga agli stessi limiti posti dalla normativa comunitaria. Ha promosso una raffica di sanatorie per chi ha violato le norme a tutela dell'ambiente, del paesaggio e della salute con la conseguente estinzione di tutti i reati. Con un colpo di mano parlamentare ha concentrato nelle proprie mani tutta la legislazione in materia ambientale, annullando di fatto ogni potere di intervento e controllo da parte del Parlamento, regioni ed enti locali. Una prova ulteriore del regime di stampo mussoliniano che egli ha imposto all'Italia e della urgenza di fare cadere il suo governo con la lotta di massa prima che arrechi danni ancor più gravi e irreparabili al Paese.
Non appena tornato a Palazzo Chigi, Berlusconi ha promesso una nuova colata di cemento sull'Italia da fare impallidire gli anni del "boom economico" e dello strapotere democristiano e mafioso. Ha addirittura autorizzato la riclassificazione in "materia prima" di rifiuti pericolosi, come i metalli ferrosi. Ha fatto regali immensi alle lobby capitalistiche insofferenti ad ogni vincolo che limiti la loro sete di profitto. Ha fatto regali immensi al sistema capitalistico, piduista e mafioso, che lo sostiene e che lo ha mandato al potere. È arrivato persino a istituire la "Patrimonio Spa" che ha dato il via libera alla svendita degli immobili di proprietà statale, anche di valore storico, artistico e culturale autorizzando ad esempio l'assessore regionale Udc ai Beni culturali della regione Sicilia ad annunciare la privatizzazione della valle dei Templi di Agrigento e del teatro greco di Siracusa!

49 L'incenerimento e le megadiscariche

L'incenerimento dei rifiuti comporta un inquinamento grave per l'ambiente non solo per le emissioni delle ciminiere ma anche per la difficoltà di smaltimento delle ceneri. Incenerire i rifiuti solidi urbani e industriali è quindi un metodo miope, vecchio, superato, dannoso per la salute, ed anche antieconomico. Il problema dello smaltimento dei rifiuti può e deve essere affrontato in un'ottica completamente differente. Innanzitutto ridurre la montagna dei rifiuti che giornalmente si producono, combattendo la teoria e il modo di produzione "usa e getta" stimolando la cultura del riciclo e riuso dei materiali. La maggior parte degli imballaggi delle merci sono inutili e quindi facilmente eliminabili, la plastica ad esempio andrebbe drasticamente ridotta, perché è difficilmente biodegradabile e in determinate condizioni può rilasciare sostanze cancerogene, molti altri materiali possono esser facilmente riciclati e riutilizzati, come vetro, carta e cartone, i materiali inerti derivanti dal settore delle costruzioni, ecc. Il rimanente può essere stoccato nelle discariche controllate collocate lontane dall'abitato. Questo sistema ha tra l'altro il pregio di combattere l'infiltrazione mafiosa che, come è noto, fa affari d'oro nel trasporto dei rifiuti alle discariche, nello smaltimento illegale di quelli pericolosi e nella produzione del cemento.
I movimenti di lotta stanno dando gambe a questa strategia battendosi per l'abolizione dei finanziamenti all'incenerimento, per la chiusura degli inceneritori esistenti che bruciano anche scorie e rifiuti pericolosi di origine ospedaliera, spargendo tutto intorno radioattività, metalli pesanti, diossina.
Particolarmente attivi nella lotta alla gestione criminale dell'emergenza rifiuti sono i tanti comitati campani per la difesa della salute e dell'ambiente che hanno dato filo da torcere ai dittatori Prodi e Berlusconi. Non si sono fatti intimidire né dalle cariche poliziesche né dai diktat golpisti del governo che ha vietato le manifestazioni di protesta, militarizzato il territorio per imbavagliare la magistratura e garantire alle cosche mafiose a esso collegate di continuare a gestire i flussi delle bollette Enel e Tarsu e i finanziamenti europei, nazionali e regionali per i Cdr, gli impianti, le "infrastrutture", le "bonifiche".
Le rivolte contro la decisione di aprire le mega-discariche di Chiaiano e Giugliano assieme a quelle contro il mostro di Acerra sono il simbolo della resistenza ai decreti fascisti e golpisti della cupola che dirige da 15 anni il Commissariato di governo. Esse hanno sollevato lo scandalo del sabotaggio della raccolta differenziata e delle bonifiche dei territori inquinati.
Il dramma campano e le lotte conseguenti hanno avuto anche il merito di scoperchiare la tragedia dei tumori, confermando che la stragrande maggioranza di essi sono causati da fattori ambientali e dunque prevenibili, come gli ambienti di lavoro saturi di sostanze chimiche cancerogene, come l'inquinamento dell'aria, come lo smaltimento selvaggio nel suolo e nelle acque dei rifiuti industriali, radioattivi, ospedalieri, come l'avvelenamento dei cibi con diossina, metalli pesanti, ormoni, pesticidi, coloranti, conservanti, addensanti, come le sofisticazioni alimentari (dalla mozzarella alla carne, dall'olio al vino), come le onde elettromagnetiche che hanno invaso l'etere, vedi la strage causata da Radio Vaticano.
Il PMLI, a differenza dei crumiri delle dirigenze del PRC, PdCI e Verdi, ha partecipato e partecipa attivamente alle lotte per salvare la Campania, Napoli, l'Italia, dalla devastazione ambientale dei mafiosi di Stato. Sul piano locale si batte per ottenere l'abrogazione dei decreti Prodi-Berlusconi, per conquistare un nuovo piano regionale che escluda per sempre i privati, le multinazionali e la camorra dal ciclo dei rifiuti. Per un piano di assunzioni trasparenti dei disoccupati nella raccolta differenziata porta a porta, nella rimozione delle montagne di eco balle, nella gestione delle isole ecologiche, nel riciclaggio dei rifiuti e nella bonifica di tutti i territori inquinati. Si batte affinché in ogni decisione, compresa la gestione e destinazione dei fondi, l'ultima parola sia data alle masse popolari e ai comitati di lotta. Per una capillare e scientifica informazione nelle scuole, sui mass-media e nei quartieri.
Il PMLI manifesta sostegno e incoraggiamento ai magistrati campani in prima linea auspicando che, sulla scia del processo "Spartacus", vengano condannati per disastro ambientale e strage i vertici dell'Impregilo e delle banche che la sostengono, i banditi che si sono alternati al vertice del Commissariato di governo, i criminali delle aziende pubbliche e private che hanno aggirato le norme di tutela ambientale e sanitaria servendosi della camorra, i pescecani capitalisti del Centro-Nord che considerano i prodotti di scarto della produzione una zavorra di cui liberarsi con il minimo costo, e che affidano i loro carichi di veleni diretti al Sud alle carovane di camion della camorra. Solo scovando i criminali che hanno coordinato per anni le operazioni di smaltimento, che siano in parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, nelle logge massoniche, nei servizi segreti, è possibile prosciugare la sorgente dell'accumulazione di capitale da parte delle aziende "intermediarie" del ciclo dei rifiuti pericolosi scardinando quel "sistema" che le ha indotte a specializzarsi nelle più svariate tecniche di trasporto, smaltimento e riciclaggio.

50 La privatizzazione dell'acqua e dei servizi idrici

L'acqua è il principio della vita, niente può sostituirla. La sua penuria è la dimostrazione che il capitalismo produce solo scarsità e morte. In meno di venti anni la disponibilità di acqua procapite è diminuita di un terzo, nei prossimi venti anni diminuirà di un altro terzo. Al ritmo attuale oltre la metà della popolazione mondiale non avrà accesso all'acqua potabile entro i prossimi venti anni. Le cause sono la siccità, la desertificazione, l'inquinamento, l'impoverimento delle falde sotterranee, la salinizzazione degli estuari, l'alterazione del ciclo delle acque dovuto all'aumento delle temperatura. La diseguale distribuzione dell'acqua potabile e dei servizi è una ecatombe per il Terzo mondo: un miliardo e quattrocento milioni di persone che non hanno accesso ad acqua sicura, due miliardi e 400 milioni di persone che non dispongono di impianti igienici adeguati, 2 milioni e 200mila persone, circa 6 mila bambini al giorno, che muoiono a causa di malattie legate alla scarsa igiene dell'acqua. In pratica l'80% delle malattie presenti nei paesi poveri è causato dall'acqua non potabile e da impianti igienici carenti.
La colpa di questo disastro è della "globalizzazione" capitalista e imperialista, forgiata dalle selvagge politiche neoliberiste di rapina, saccheggio e sfruttamento, proposte e praticate attraverso le istituzioni preposte dall'imperialismo mondiale, quali l'FMI, la Banca mondiale, il WTO, al fine di mettere il loro lucchetto ai mari, fiumi e laghi dell'intero pianeta. È opera di questi vampiri la subordinazione della concessione di prestiti a paesi poveri in cambio della gestione dei servizi idrici a società private estere che controllano l'acqua in gran parte dei paesi del mondo. Esse cercano cinicamente di approfittare della penuria d'acqua per trasformarla in un oggetto di mercato, facendo delle privatizzazioni delle fonti e dei servizi la leva del loro dominio. La liberalizzazione e la privatizzazione su scala planetaria dei servizi idrici sta avvenendo a ritmo sostenuto attraverso la trasformazione della personalità giuridica dell'ente gestore, da pubblica a Spa privata, operante con le regole e le finalità del mercato capitalista e dove il pubblico, anche se mantiene la maggioranza del pacchetto azionario, diviene un imprenditore privato, la cui finalità principale è quella dei dividendi e della conquista di nuovi mercati.
Nella Costituzione europea, bocciata dai referendum popolari di Francia e Olanda, e nel nuovo Trattato di Lisbona, ancora alla ratifica dei 27 Stati dell'Ue, l'acqua non viene considerata come bene pubblico inalienabile e come diritto per tutti, nella direttiva Bolkestein la quasi totalità dei beni comuni e dei servizi pubblici diventano privatizzabili, mentre i poteri degli enti locali sono ridotti a zero. L'Italia, anche in questo campo, è all'avanguardia per ultraliberismo tra i paesi industrializzati. Prima la legge Galli e poi il Ddl "Lanzillotta" hanno realizzato gli infami accordi "Gats" del Wto, definendo "eccezionale" l'affidamento diretto dei servizi a società a capitale pubblico, come le ex-municipalizzate e i consorzi intercomunali, rendendone di fatto obbligatoria la privatizzazione. Gli effetti sono la svendita di strutture, infrastrutture, immobili, personale ad una giungla di trust che si affollano per ottenere affidamenti e gare di appalto, preludio dell'era delle guerre regionali per l'accesso alle fonti ed alle utenze da parte dei vari predoni imperialisti. Aumenta la disoccupazione e lo sfruttamento dei lavoratori, si impennano le tariffe, peggiora la qualità dei servizi e dei controlli, un flusso di denaro pubblico finisce nelle fauci di padroni e mafiosi che impongono prezzi di monopolio.
Nel Mezzogiorno d'Italia, Sicilia e Puglia in testa, si aggrava la penuria d'acqua perché le multinazionali e le mafie la fanno da padrone, si appropriano dei pozzi, delle infrastrutture e dei servizi idrici, trasformano persino i "depuratori" in discariche, il 50% dell'acqua potabile viene sprecato per dispersioni e carenze degli impianti.
La lotta per la riappropriazione delle risorse idriche, sottraendole al selvaggio sfruttamento capitalistico, per garantire un reale diritto all'acqua alle generazioni attuali e future deve essere portata avanti attraverso la mobilitazione di piazza. I teorici "new-global" della ex "sinistra radicale" non sono credibili perché riconducono tutto in sedi legalitarie e istituzionali, a un tavolo di confronto che non esclude governi e multinazionali. E nemmeno è credibile chi parla di "oligarchia mondiale dell'acqua'', denunciando le multinazionali, ma senza chiamare in causa il loro mandante, ossia l'imperialismo.

51 Gli Ogm, i "brevetti di specie" e i bio-combustibili

Gli Ogm sono degli organismi viventi con un patrimonio genetico modificato dalle tecniche di ingegneria genetica consistenti nell'aggiunta, nella modifica o nell'eliminazione di prodotti genici. A farla da padrone nella produzione sono ancora una volta le fameliche multinazionali, come l'americana Monsanto e l'europea Simgenta, in guerra per ottenere il monopolio sui brevetti di sementi, quali soia, mais, cotone e colza. Si chiamano "brevetti di specie" e servono a imporre e controllare le monocolture agricole dei prodotti alimentari Ogm, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
A causa dell'utilizzo speculativo che ne fanno le multinazionali e contrariamente a quanto sostengono le organizzazioni mondiali dell'imperialismo, gli alimenti Ogm non hanno inciso minimamente sulla fame nel mondo, non hanno ridotto l'uso criminale di pesticidi e diserbanti, mentre stanno attentando alla salute della popolazione, alla biodiversità delle specie, sterminando la fauna e la flora, le piantagioni autoctone. Come già avviene per i farmaci, ai popoli del Terzo Mondo è stato assegnato il compito di fare da cavie per gli esperimenti sulle coltivazioni.
Anche gli Ogm distribuiti nel mondo occidentale non sono sicuri per la salute degli esseri umani e degli animali, in quanto nella maggioranza dei casi non sono stati testati ufficialmente in vivo. In Russia ad esempio si è svolta una sperimentazione di massa all'insaputa della popolazione, si trattava di omogeneizzati per neonati commercializzati dalla Nestlé. In Italia il frumento "Creso", derivato negli anni '70 dall'irradiazione radioattiva della varietà naturale nei laboratori dell'Enea, è stato seminato, coltivato e commercializzato nelle piantagioni di frumento di tutto il paese e avrebbe comportato l'aumento vertiginoso di casi di intolleranza al glutine (celiachia). Sempre nel nostro Paese oltre un terzo dei prodotti alimentari in vendita sarebbero Ogm, senza comunicazione sulla confezione.
Un altro mostruoso capitolo dell'economia imperialista che affianca e si intreccia ai "brevetti di specie" sono i cosiddetti "bio-combustibili", ossia il sequestro di grandi piantagioni in precedenza destinate alla alimentazione umana da trasformare in monoculture di barbabietola, girasole, colza per produrre energia e carburante. L'agricoltura dei paesi del Sud America e del Terzo mondo è già in ginocchio e le già scarse fonti di cibo sono minacciate, mentre il numero delle persone colpite da malnutrizione ha superato quota 800 milioni.

VII Scuola e università

52 Le controriforme scolastiche
 
La borghesia utilizza l'istruzione per inculcare alle nuove generazioni la propria ideologia, concezione del mondo, visione dell'economia, dello Stato, del diritto, della storia, della morale, della scienza, della letteratura, dell'arte e così via, e al contempo per sfornare gli operai, i lavoratori, i quadri, gli scienziati, i professionisti, i tecnici che le necessitano nell'economia, nella finanza, nelle istituzioni e in tutte le altre sovrastrutture.
Negli ultimi anni i ministri dell'Istruzione Berlinguer, De Mauro, Fioroni si sono alternati alla Moratti per varare una lunga serie di controriforme scolastiche che hanno fatto tabula rasa delle conquiste degli anni '60 e '70, di cui le più significative sono: trasformazione dell'esame di Stato in una dura selezione meritocratica per gli studenti della scuola pubblica, parificazione e legittimazione di quelle private come sicuri "diplomifici", istituzione del "doppio canale" alle superiori per ripristinare la separazione classista tra istruzione liceale e formazione professionale, trasformazione della scuola in azienda autonoma con a capo il preside-manager e in fondazione privata mediante la detassazione delle donazioni private e l'entrata dei padroni nei Consigli di istituto, che diventano Consigli di amministrazione, innalzamento del numero degli alunni per classe, abolizione delle graduatorie provinciali permanenti dei precari, dimezzamento delle immissioni in ruolo dei docenti e degli insegnanti di sostegno per alunni "diversamente abili", istituzione di un canale privilegiato per migliaia di insegnanti di religione che non solo vengono immessi in ruolo, ma addirittura possono andare ad occupare cattedre di altre classi di concorso, scavalcando chi attende inutilmente da anni nelle graduatorie di Stato.
Il "centro-sinistra" si è totalmente omologato al "centro-destra" dando vita ad una odiosa continuità nelle scelte, negli indirizzi, negli obiettivi: mentre esaltava la scuola come "centro di sapere, uguaglianza e pari opportunità", in realtà la concepiva come un'azienda capitalista specializzata nella "formazione" della futura forza-lavoro, un'azienda rigidamente subordinata, negli ordinamenti e nei contenuti didattici, alle esigenze della Confindustria e della Chiesa cattolica. Anche i termini che già abbondano nel linguaggio scolastico la dicono lunga in tal senso: mète, traguardi, debiti, crediti, offerta, domanda, flessibilità, clienti.
Lo studente è un "soggetto-oggetto", senza personalità, senza interessi, un contenitore da riempire con ordini e nozioni, il cui curriculum è schedato nel "portfolio", strumento di controllo nelle mani della "figura nuova" del mondo della scuola, il "tutor". È il giovane prodotto dei "piani individualizzati", improntati su "rigore, disciplina e selezione" per entrare in quel "mondo del lavoro" appositamente controriformato per renderlo pienamente funzionale alle esigenze di sfrenata competizione mondiale delle imprese italiane.
Condivisa appieno da Napolitano e benedetta dal papa nero Ratzinger la nuova trilogia reazionaria della ministra dell'Istruzione Mariastella Gelmini parla di "meritocrazia, autonomia e valutazione". La missione che il neoduce Berlusconi ha affidato alla sua pupilla è quella di affossare definitivamente la scuola pubblica e completare la scuola della terza repubblica: privatizzata, federalista, classista, aziendalista, meritocratica e clerico-fascista.
Istituire dalle elementari all'università un sistema basato sulla meritocrazia, il nozionismo, l'autoritarismo, il clericalismo, la xenofobia e la totale subalternità degli studenti alle autorità scolastiche e accademiche, con libri sempre più pieni di omissioni e stravolgimenti a sfondo politico reazionario, ultraliberista e religioso.
L'inasprimento dei provvedimenti disciplinari già sta colpendo gli studenti più attivi e impegnati nella protesta contro le ingerenze vaticane e la riscrittura della storia per denigrare i partigiani e riabilitare il fascismo, ma a farne le spese sono anche i docenti e il personale Ata su cui si è abbattuto un taglio di oltre 100 mila posti, il ridimensionamento del CCNL e l'introduzione di "sistemi premianti" basati sul carrierismo, la meritocrazia e le "capacità manageriali".

53 Le controriforme universitarie

I primi decisivi tasselli della controriforma dell'università sono messi a segno dai governi Amato, Ciampi e Prodi, nonché dallo stesso 1° governo Berlusconi, con la famigerata "autonomia" universitaria, ossia la completa libertà degli atenei in campo finanziario, didattico, gestionale, patrimoniale, tecnico e amministrativo. E così gli studenti hanno dovuto versare "tasse di iscrizione", "tasse annuali", "contributi per biblioteche ed altre strutture scientifiche", nelle casse dei propri atenei, che a loro volta, per i tagli del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), sono stati indotti ad aprire le porte ai finanziamenti dei privati. Le università che non riescono a procacciarsi fondi dai privati se non vogliono chiudere bottega devono aumentare ancora le tasse, esternalizzare altri servizi, svendere ai privati altro patrimonio pubblico, mobile ed immobile. L'"autonomia" ha creato atenei di serie A e di serie B e favorito il proliferare di corsi di laurea fittizi, utili solo a regalare cattedre ai baroni e ai loro parenti e amici, ha dato facoltà agli atenei di non riconoscere gli esami sostenuti in un'altra Università, di fatto abolendo il valore legale del titolo di studio.
Inoltre il sistema che dovrebbe garantire a tutti il diritto allo studio è stato sostituito da "agevolazioni", peraltro misere, basate non più sul reddito ma sul concetto borghese dei "capaci e meritevoli" per non parlare delle condizioni in cui sono abbandonati la stragrande maggioranza degli studenti universitari "fuori sede" che è costretta a fare i salti mortali per trovare un alloggio in affitto, con oltre il 95% dei contratti a nero senza alcuna garanzia sul rispetto delle più elementari norme di igiene, sicurezza e abitabilità.
Un altro devastante tassello è la legge del 2 agosto 1999 varata dal governo D'Alema che imponendo il numero chiuso e programmato sbatte fuori dalle facoltà decine di migliaia di studentesse e studenti, soprattutto di estrazione popolare.
Le gabbie dei "requisiti minimi" inventate dal rinnegato del comunismo si stringono come un cappio intorno al collo delle università pubbliche. Nelle università più povere, prevalentemente del Sud e delle aree sottosviluppate, è un vero boom dei corsi a numero chiuso e delle tasse, nonostante i servizi siano sempre più scadenti. Con le controriforme didattiche Zecchino (3+2) e Moratti (1+2+2) l'università del regime neofascista prende forma compiuta: 1) taglia e seleziona le iscrizioni ancor prima che avvengano, tramite il cosiddetto "orientamento" da svolgersi nell'ultimo anno della scuola superiore; 2) crea una serie di sbarramenti lungo il percorso di studi per sfollare le università dagli indesiderati, soprattutto gli studenti-lavoratori di estrazione proletaria; 3) crea le condizioni per costringere le aziende a scegliere personale giovanissimo e debitamente ammaestrato per inserirlo nella produzione secondo criteri di massima disponibilità e flessibilità (laurea breve); 4) sollecita le aziende e gli ordini professionali a pescare nel bacino di chi frequenterà i costosi corsi di specializzazione, di dottorato e i master per le qualifiche superiori.
Per attuare questa programmazione fino in fondo il 2° e 3° governo del neoduce Berlusconi promuove: il blocco delle assunzioni e del turn over, la diminuzione delle borse di studio, la precarizzazione selvaggia dei "ricercatori", il taglio drastico dei fondi di sostentamento alle università e agli enti di ricerca "pubblici", la privatizzazione del Cnr e degli altri enti nazionali di ricerca, il dirottamento dei soldi pubblici verso i cosiddetti "centri educativi e di ricerca d'eccellenza", controllati dai potentati economici e finanziari, dal governo, dal Vaticano e dall'Opus Dei.
Il governo del DC Prodi inasprisce i criteri di sbarramento alle facoltà, conferma gli odiati quiz di ingresso e le cattedre d'azienda, stabilisce che per accedere all'università conterà il percorso scolastico, la scelta precoce della facoltà e il forcaiolo esame di Stato, istituisce due agenzie per controllare l'operatività delle controriforme cercando di coinvolgervi anche il personale docente, dà il benservito, dopo averli illusi, ai docenti precari, nega i fondi e minaccia il commissariamento per 19 atenei pubblici al collasso. Al 4° governo del neoduce Berlusconi non resta che completare la "riforma della governance" per trasformare gli atenei in Fondazioni private e aprire i cantieri dell'"Università del pensiero liberale", il modello di università del regime neofascista e della terza repubblica per la formazione dei futuri quadri e manager delle aziende capitalistiche e dello Stato borghese. E con la devoluzione federalista che spezzetta il paese in 20 stati-regione è all'orizzonte la nascita di scuole ed università "padane".

54 Scuola e università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti
 
La scuola e l'università come le intendiamo noi marxisti-leninisti sono agli antipodi di quelle del regime neofascista, devono essere un servizio sociale che abbia come padroni le studentesse e gli studenti, protagonisti attivi da sottrarre al controllo del governo, del padronato, della Chiesa e della classe dominante borghese in genere. Per questo invitiamo il movimento studentesco a battersi per una scuola e una università pubbliche, gratuite, unitarie, aconfessionali, governate dalle studentesse e dagli studenti, e intese come servizio sociale goduto dal popolo e dal popolo controllato.
La scuola deve essere unitaria, ossia senza percorsi didattici differenti e discriminanti che abbia una comune istruzione di base e non istituisca percorsi discriminatori.
Bisogna assolutamente battersi per arrestare il processo di privatizzazione e fascistizzazione della scuola e dell'università, e contemporaneamente cambiarne i contenuti, i metodi, gli ordinamenti e la didattica. Bisogna ottenere la cancellazione delle controriforme scolastiche ed universitarie, ma soprattutto portando fino in fondo la lotta di massa, non solo studentesca, per la scuola e l'università pubbliche e gratuite. Noi aggiungiamo "governate dalle studentesse e dagli studenti". Il che significa che, in alternativa agli "organi collegiali", devono essere istituiti nuovi organi di governo delle scuole e degli atenei in cui le studentesse e gli studenti siano la maggioranza e che dispongano di poteri vincolanti. Ne devono far parte anche i rappresentanti del personale docente e non docente, come minoranza. Tutti i membri devono essere eletti dalle rispettive Assemblee generali che potranno revocarli in qualsiasi momento. Le Assemblee generali devono ispirarsi ai principi della democrazia diretta. Senza questo tipo di governo, nessuna legge potrà mai assicurare che la scuola e l'università siano un vero servizio sociale goduto dal popolo, in primo luogo da chi lo usufruisce direttamente. Senza questo tipo di governo è impossibile liberare le aule dall'autoritarismo, ossia da quel modello borghese unidirezionale d'insegnamento docente-discente che alimenta lo strapotere di stampo feudale dei primi sui secondi, e il nozionismo, riflesso della divisione del lavoro, causa ed effetto della parcellizzazione del sapere.
La forza per condurre queste battaglie c'è. Le masse studentesche infatti non sono state indifferenti e inermi dinanzi agli scempi governativi.
La scuola e l'università governate dalle studentesse e dagli studenti è un obiettivo strategico. Non va però separato e messo in contraddizione con le lotte studentesche per i problemi immediati, come ad esempio il costo del materiale didattico, l'esame di Stato forcaiolo, le tasse universitarie, i "crediti formativi'', il numero chiuso e programmato e le altre limitazioni per gli accessi e il proseguimento degli studi, i finanziamenti ai privati ed alla Chiesa e l'aziendalizzazione.
I marxisti-leninisti italiani sono pronti a unirsi in un vasto fronte unito alle studentesse e agli studenti, alle lavoratrici e ai lavoratori in battaglie concrete che vadano nella direzione di una scuola ed università pubbliche e gratuite.
Il compito delicato che spetta alle studentesse e agli studenti militanti e simpatizzanti del PMLI consiste proprio nella capacità di sapersi integrare tra le masse studentesche, conoscere i loro problemi ed esigenze e unire la sinistra del movimento studentesco, conquistando il centro, isolando la destra e mettendo in condizioni di non nuocere gli "ultrasinistri"; innalzare la coscienza politica media delle masse studentesche in lotta, senza adeguarsi ad essa e senza sopravanzarla troppo, e attenersi ad analisi concrete delle situazioni concrete che variano di periodo in periodo, di luogo in luogo, di territorio in territorio, di scuola in scuola, di ateneo in ateneo.
Oggi ad esempio contro la politica di tagli e stangate perseguita dal governo Berlusconi non dovrebbe essere difficile costituire un fronte unito allargato anche ai lavoratori Ata, ai ricercatori, a buona parte dei docenti e persino ad alcuni presidi e rettori meno asserviti.
Su altri punti, come ad esempio la lotta contro le basi Usa e Nato, il G8 e il rifinanziamento delle missioni di guerra su cui viene dirottata la spesa sociale, il fronte unito potrebbe essere ancora più ampio e uscire più facilmente dall'Università.
L'Assemblea generale delle studentesse e degli studenti di ogni scuola, facoltà e Ateneo, basata sulla democrazia diretta, dovrebbe essere il luogo per definire la piattaforma comune, i metodi e le iniziative di lotta e le questioni organizzative per poterla realizzare. Non sono sufficienti i collettivi studenteschi, occorre una Organizzazione comune e unitaria, qual è appunto l'Assemblea generale, che consenta di confrontarsi, ricercare l'intesa e le convergenze più larghe possibili. I collettivi possono avere un ruolo decisivo nel risvegliare e promuovere le assemblee generali. La politica di fronte unito diviene in questo senso essenziale per raggiungere degli obiettivi concreti che diano fiducia alle masse in lotta e arricchiscano la mobilitazione. La democrazia diretta e l'Assemblea generale sono indispensabili anche per sottrarre il movimento studentesco al controllo e ai condizionamenti dei partiti governativi, dei revisionisti di destra e degli "ultrasinistri", per far crescere la coscienza politica delle masse studentesche, per elaborare le piattaforme rivendicative e per organizzare, dirigere e portare al successo le lotte avvalendosi di tutti i metodi di lotta, legali e illegali a cominciare dalle occupazioni delle scuole e delle università.
Per contro i fatti dimostrano che per rendere le studentesse e gli studenti davvero padroni delle scuole e delle università non serve affatto entrare negli "organi di governo'', sia a livello di scuola e ateneo sia a livello nazionale, come ha dimostrato il caso del fallimentare Cnsu, che non ha portato il benché minimo beneficio al movimento studentesco, anzi, ha contribuito a deviare e sabotare la lotta incanalandola in illusioni concertative con quelle stesse forze che si vorrebbero combattere. Per questo continuiamo a sostenere, e la stragrande maggioranza degli studenti dimostra di condividere, che un alto astensionismo (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni scolastiche ed universitarie rappresenta un'inequivocabile delegittimazione di chi vorrebbe carpire un consenso di massa, una ratifica indiretta alla scuola e all'università della terza repubblica.

55 Il movimento studentesco

Una muraglia umana di milioni di manifestanti ha occupato le città e si è riversata come un'onda lungo la Penisola e a più riprese nella capitale per gridare fin sotto Palazzo Chigi un netto No al maestro unico, alle classi ghetto per migranti, alla trasformazione delle Scuole e dell'Università in Fondazioni private.
ll PMLI appoggia con tutte le sue forze il movimento studentesco e ritiene nevralgico un argomento su cui esso ha cominciato a discutere nella grande assemblea nazionale della Sapienza occupata del 15 e 16 novembre scorsi: "la crisi del sistema di 'rappresentanza' studentesca". La nostra proposta è che in alternativa ai vari "organi collegiali" siano istituiti nuovi organi di governo in cui gli studenti siano la maggioranza e dispongano di poteri vincolanti. Ne devono far parte anche i rappresentanti del personale docente e non docente, come minoranza e tutti i membri devono essere eletti dalle rispettive Assemblee generali, fondate sul principio della democrazia diretta, che potranno revocarli in qualsiasi momento. Siamo convinti infatti che senza questo tipo di governo, nessuna legge potrà mai assicurare che scuola e università siano un vero servizio sociale goduto dal popolo ed è impossibile liberare le aule dall'autoritarismo di stampo feudale tanto dei vecchi quanto dei nuovi baroni-manager. Spetta dunque alle studentesse e agli studenti marxisti-leninisti nell'ambito della battaglia contro il governo e "per l'autoriforma" fare conoscere, apprezzare ed impugnare alle masse in lotta la proposta strategica del governo studentesco della scuola e dell'università.
Gli studenti in quanto tali non hanno alcun tipo di rapporto diretto con i mezzi di produzione e, dunque, non costituiscono né una classe né un gruppo sociale omogeneo. All'interno del movimento studentesco si riflettono le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe.
Dal punto di vista politico gli studenti si collocano a sinistra, al centro o a destra in base alla posizione che assumono rispetto alla contraddizione principale che oggi è costituita dalla lotta per la scuola e l'università pubbliche e gratuite e per abrogare tutta la legislazione controriformatrice e la politica scolastica governativa rilanciata dalla trilogia clerico-confindustrial-fascista del ministro Gelmini. Il nemico principale degli studenti oggi come ieri è la classe dominante borghese e il suo governo, le cui redini sono saldamente in mano al neoduce Berlusconi.
È necessario quindi che nel movimento studentesco prevalgano gli studenti di sinistra più coscienti, più combattivi e avanzati politicamente. Essi devono unirsi per battere la destra studentesca, neutralizzare il centro ed egemonizzare l'intero movimento. La sinistra studentesca vede al suo interno la presenza di una componente più avanzata e suscettibile d'essere conquistata alla lotta anticapitalista e antimperialista, la più ricettiva al messaggio e alla strategia della linea politica del PMLI. È facendo leva su questa componente che gli studenti marxisti-leninisti possono aumentare la loro egemonia e influenza e gradualmente vincere la battaglia per conquistare e unire la gioventù di sinistra, dare una direzione proletaria ai movimenti di massa giovanili e trasmettere alle nuove generazioni gli ideali del socialismo affinché la lotta degli studenti torni a essere parte integrante della lotta antifascista e della lotta di classe contro il capitalismo.
Spetta agli studenti marxisti-leninisti contrapporsi alla devastazione ideologica, politica e organizzativa operata dai revisionisti, dai trotzkisti e dai volponi "ultrasinistri". Il revisionismo storico e le falsità sulla lotta antifascista, la Resistenza e la gloriosa storia del movimento operaio nazionale e internazionale, sparse a piene mani dalla borghesia con la compiacenza attiva della "sinistra" del regime neofascista, hanno finito per ringalluzzire le componenti di "centro-destra" del movimento studentesco. La classe dominante borghese d'altronde si rende conto che, per far passare il suo nero disegno, ha bisogno di creare delle basi di consenso di massa all'interno delle scuole e delle università facendo leva sulla destra del movimento studentesco, sugli elementi più reazionari che fungono da veicolo, talvolta inconsapevoli, di sostegno alla scuola e all'università della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista. Solo le studentesse e gli studenti marxisti-leninisti potranno strappare la sinistra studentesca al parlamentarismo, al legalitarismo e al pacifismo a cui è condannata dalla nefasta opera di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione operata dai revisionisti, dai falsi partiti comunisti e da tutta la "sinistra" borghese e all'isolamento in cui finiscono per confinarla "collettivi" troppo slegati dal resto delle masse studentesche.
Le nuove generazioni devono recuperare la memoria storica, lo spirito, la combattività e gli obiettivi delle esperienze storiche della Grande Rivolta del Sessantotto, di quella del Settantasette e, poi, dal movimento dei "Ragazzi dell'85", delle "Tigri" e "Pantere" del 1990 e, infine, del movimento anti Moratti del 2001.
Devono imparare da quelle grandi esperienze per rinverdirne le gesta, non ripeterne gli errori e ricavarne nuova forza e nuova ispirazione per proseguire nella lotta incessante contro la classe dominante borghese e i suoi lacché. In questo compito la prima linea spetta alle studentesse e agli studenti marxisti-leninisti.

 
 
VIII I giovani

56 Il ruolo dei giovani

 La storia della partecipazione dei giovani alla lotta di classe in Italia nel secondo dopoguerra può essere divisa in tre fasi.
a) Prima fase, durata fino al 1977. Ha avuto un carattere rivoluzionario poiché era forte e incessante l'influenza del socialismo e della lotta per il socialismo.
b) Seconda fase, durata dal 1978 al 1990. Fase intermedia, poiché costituisce un passaggio tra la fase rivoluzionaria e quella attuale riformista.
c) Terza fase, iniziata a fine 1990 e tuttora in corso. Ha un carattere riformista poiché è netta l'influenza della classe dominante borghese e dei suoi partiti sui giovani.
La terza fase è contraddistinta dalla nascente terza repubblica, attualmente guidata dal neoduce Berlusconi, che cerca di crearsi una base di massa di nuovi balilla anche imponendo ai giovani i propri modelli cui ispirarsi, spingendoli all'arricchimento individuale, alla divisione su base nazionale, regionale e di razza, allo squadrismo fascista e al "bullismo", facendone il proprio braccio per reprimere i giovani più avanzati e combattivi e tutti coloro che non si piegano agli schemi della vita borghese fondati sull'individualismo, l'egoismo e l'arrivismo, e ai dogmi retrogradi e oscurantisti della chiesa cattolica medievale di Ratzinger.
Per combattere questo nero progetto e per costruire un grande forte e radicato PMLI, ci rivolgiamo principalmente ai giovani, in particolar modo alle studentesse e agli studenti d'avanguardia e più combattivi, che sono i più aperti e disponibili verso le idee e le proposte progressiste e rivoluzionarie, i più liberi da condizionamenti, pieni di vigore e vitalità, e quindi potenzialmente interessati a conoscere ed appoggiare la nostra strategia generale e la nostra linea scolastica e universitaria.
Noi abbiamo assolutamente bisogno delle studentesse e degli studenti di avanguardia e combattivi per avere delle forze e delle energie fresche da utilizzare per il lavoro di Partito e di massa.
La stessa composizione del Partito, in buona parte giovanile, lo spazio che questi occupano anche con importanti cariche dirigenti, il numero di giovani simpatizzanti, amici e contatti, dimostra l'interesse dei giovani verso il Partito e la grande fiducia che il PMLI ripone in loro.
I giovani operai e gli studenti sono i principali interlocutori del Partito: dipende dalla nostra capacità di trasmettergli la linea proletaria rivoluzionaria del PMLI, il loro schieramento nel campo del socialismo piuttosto che in quello del capitalismo.

57 I giovani meridionali

I giovani del Meridione potenzialmente rappresentano una delle avanguardie più potenti e decisive nel movimento giovanile, essi sono infatti fra i più martoriati e colpiti dal flagello sociale, politico ed economico del capitalismo, giacché proprio nel Sud esistono le più spaventose e aberranti condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari. Le masse meridionali, sottoposte all'umiliazione e alla vessazione crudele del sistema capitalistico, soffrono e patiscono per le mafie - fenomeno endemico e in espansione -, la disoccupazione, il sottosviluppo, il peggiore sfruttamento dovuto al lavoro nero, al caporalato e allo sfruttamento minorile, la mancanza di prospettive future, le istituzioni statali e regionali decrepite e colluse pesantemente con le mafie.
I giovani meridionali potrebbero aspirare più degli altri a un vero rivolgimento sociale e politico della situazione presente, ma devono fare i conti con una borghesia mafiosa e fascista che si serve delle mafie, della corruzione e del clientelismo, della mancanza di lavoro, che colpisce in speciale modo le ragazze, e della grave carenza di spazi e strutture pubbliche adeguate per intimidirli e opprimerli.
Nell'ambito scolastico si registrano tassi altissimi di abbandono dopo l'età dell'obbligo, un bassissimo tasso di scolarità, per non parlare delle infrastrutture in generale: carenti, superate, inadatte, inefficienti o in molti casi persino a rischio.
Il degrado ambientale, la mancanza di spazi adatti per socializzare, i quartieri malsani e dormitorio nelle periferie suburbane, un contesto generale contraddistinto dalla legge del più forte la fanno da padroni. Per questo una parte di questi giovani funge da manovalanza per le mafie.
Il PMLI offre ai giovani del Meridione un'alternativa di vita e di società, che passa dalla lotta alle attuali condizioni di vita, di studio e di lavoro, dal contrasto alle mafie e dall'abbattimento del sistema capitalistico e l'instaurazione del socialismo, l'unico sistema che, eliminando il capitalismo, eliminerà lo sfruttamento e l'oppressione sociale e culturale, e le mafie che ne sono espressione.

58 I giovani delle periferie urbane

Le città sono ideate e amministrate per soddisfare le esigenze della borghesia e non quelle delle masse lavoratrici e popolari, soprattutto nelle periferie, dove è forte la mancanza di spazi sociali (servizi e strutture sociali, culturali e ricreative, spazi verdi e sportivi attrezzati) e il degrado urbanistico (mancanza di mezzi pubblici, sporcizia, strade distrutte e piene di buche), mentre quelle esperienze di centri giovanili autogestiti e di occupazioni di stabili dismessi e di case sfitte che esistono in alcune città, sono sotto il costante attacco dei fascisti e delle amministrazioni comunali, le quali spesso provvedono al loro sgombero con la forza. I pochi spazi esistenti sono per lo più privati, e ciò è fonte di corruzione (pubblica e privata) e clientelismo.
Questa situazione, che coinvolge anche la popolazione migrante, incide soprattutto sui giovani e porta all'emarginazione, alla disgregazione, all'imbarbarimento, al disinteresse e al disimpegno politico, culturale e sociale, e alla piccola delinquenza.
Le amministrazioni locali borghesi non intervengono sulle cause di ciò, che minerebbero il capitalismo stesso, bensì reprimendo le manifestazioni di tale malessere, in particolare tramite la militarizzazione dei territori e il ricorso alle "ronde" e allo squadrismo fascista.
Invece il PMLI propone :
a) la realizzazione e il finanziamento pubblico di Centri giovanili autogestiti, di strutture sociali, ricreative, culturali e sportive pubbliche da dare in gestione direttamente ai giovani;
b) la realizzazione di un piano di edilizia popolare per i giovani;
c) la realizzazione e l'attrezzatura di spazi verdi destinati ai giovani e ai bambini;
d) la concessione ai giovani e a tutta la popolazione dell'uso gratuito delle strutture sportive.

59 L'occupazione giovanile

La condizione lavorativa dei giovani è caratterizzata dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro, resi completamente subalterni alle necessità del capitalismo italiano.
Questo perché i vari governi borghesi di "centro-sinistra" e di "centro-destra", succedutisi in particolare negli ultimi 11 anni, hanno portato al progressivo dilagare di molteplici forme di lavoro precario, flessibile, supersfruttato e sottopagato. I principali passi in questo senso sono:
a) Il "pacchetto Treu", varato nel 1997 dal governo Prodi;
b) La Legge 30 varata nel 2003 dal governo Berlusconi;
c) L'accordo governo-padroni-sindacato varato il 13 luglio 2007 dal governo Prodi.
Terminati gli studi, già orientati secondo rigidi canali scolastici, i giovani entrano nell'inferno del precariato, che il capitalismo spaccia per "opportunità" ma che in realtà si traduce nella precarizzazione e nell'instabilità della vita stessa, dovuta al continuo susseguirsi di contratti a termine, part-time, stagionali, di basse retribuzioni, lavori pericolosi o comunque in mancanza delle condizioni di sicurezza, di impieghi nelle qualifiche più basse e comunque estranee agli studi condotti, ricatti e licenziamenti di cui sono vittime in particolar modo le ragazze, soprattutto se in stato di gravidanza, al caporalato che è tornato a dettar legge con le agenzie di collocamento private ma anche con i veri e propri caporali, specie al Sud, ma ormai diffusi anche in tante zone del Centro-Nord.
I giovani lavoratori sono anche, e di conseguenza, i meno tutelati dalle normative.
La mancanza di un lavoro stabile e di una retribuzione adeguata e costante impedisce ai giovani di vivere una vita propria e indipendente, anche questo mantiene in vita il modello di famiglia borghese, che deve sopperire come può alle gravi mancanze del sistema capitalista: una sorta di ammortizzatore sociale a bassissimo costo per lo Stato borghese.
Tanti universitari sono costretti a lavorare, spesso in nero e sottopagati, per permettersi gli studi e i costosi alloggi, trovandosi così penalizzati anche nei percorsi "formativi" in base ad una "meritocrazia" falsa e sbilanciata a favore dei figli della borghesia.
I governi borghesi mirano ad allargare ulteriormente la platea dei giovani precari cancellando ogni residuo dei diritti acquisiti durante le passate stagioni di grandi lotte popolari; e a tantissimi giovani, che così languono nella disoccupazione, non concedono neppure il precariato.
Per questo il PMLI mette al centro della propria piattaforma rivendicativa la richiesta di un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutte le ragazze e i ragazzi al termine degli studi.
Il PMLI, inoltre, invita i giovani lavoratori a battersi fino in fondo:
a) contro qualsiasi forma di lavoro precario e flessibile;
b) contro ogni discriminazione economica e normativa, per l'abolizione dei contratti sfavorevoli per i giovani;
c) per forti aumenti salariali per tutti, slegati dalla produttività e dalla contrattazione;
d) per l'attuazione di piani straordinari mirati all'assunzione dei giovani disoccupati e in cerca di prima occupazione, a partire dal Mezzogiorno e dalle "aree depresse";
e) contro l'impiego di minori di 18 anni in lavori pericolosi e nocivi.
Per fermare l'attacco padronale i giovani lavoratori devono impugnare la linea sindacale del PMLI.

60 La droga

Il problema della droga è un problema innanzitutto politico, perciò non lo si può affrontare con ottiche prettamente giuridiche e mediche. La droga è allo stesso tempo un prodotto e uno strumento di oppressione: da sempre è stata utilizzata dalle classi sfruttatrici allo scopo di frenare la lotta di classe. La droga e il mercato che gli ruota attorno sono funzionali alla classe dominante borghese, la quale, grazie a questo mercato, da una parte si assicura il controllo di migliaia e migliaia di giovani tossicodipendenti, che per forza di cose sono costretti al disimpegno politico e sociale, impossibilitati a lottare contro le vere cause che li spingono nel baratro della droga, e dall'altra parte ingrassa i profitti della criminalità organizzata e frena e impedisce lo sviluppo, il benessere e il progresso sociale e personale del popolo, e finisce per finanziare anche le cosiddette comunità di recupero private dove i tossicodipendenti vengono sfruttati con il lavoro forzato.
La diffusione della droga, particolarmente preoccupante fra le masse giovanili, è il frutto dello sfascio e della degenerazione della società capitalistica in generale, in particolare è il frutto dell'alienazione dalla realtà causata dal malessere sociale delle masse e dallo sfruttamento del lavoro salariato, della decadenza dei "valori" ideali, morali e culturali dominanti, e dell'emarginazione sociale delle masse più deboli. E ciò è tanto più vero se si pensa al concomitante fenomeno dell'abuso dell'alcool.
Il regime neofascista punta alla repressione dei piccoli consumatori, mentre lascia libertà d'azione ai grandi trafficanti, equiparando i consumatori agli spacciatori e concependo la norma penale come strumento repressivo.
Per limitare la diffusione della droga il PMLI rivendica principalmente:
a) una scientifica, capillare e corretta informazione da parte del servizio pubblico sulle caratteristiche e le conseguenze delle sostanze stupefacenti, in particolare nelle scuole;
b) l'istituzione di una politica di "riduzione del danno" per i consumatori di droghe pesanti attraverso la somministrazione controllata di eroina e metadone da parte di strutture pubbliche;
c) la legalizzazione della produzione, della distribuzione e del consumo delle droghe leggere;
d) programmi terapeutici e iniziative finalizzate al recupero medico e sociale dei tossicodipendenti;
e) la depenalizzazione del reato di consumo e di piccola detenzione di droghe come eroina, cocaina, ecc.;
f) l'incarcerazione, forti pene detentive e la confisca dei beni ai produttori e ai grandi trafficanti di sostanze stupefacenti.
Per sconfiggere completamente la piaga della droga occorre risolvere le contraddizioni generate dalla divisione in classi della società borghese e rendere di massa l'approccio materialistico e dialettico alla vita; ma questo potrà avvenire solo con l'avvento del socialismo prima e del comunismo poi.

61 L'amore e il sesso

Oggi i giovani sono fortemente disorientati nel vivere le loro esperienze per quel che concerne l'amore e il sesso da spinte che solo apparentemente sembrano contrapposte.
Da una parte vi è la chiesa cattolica medievale di papa Ratzinger che, complici i governi borghesi di "centro-sinistra" e di "centro-destra", rilancia la propria concezione della famiglia: unita, indissolubile, stabile, prolifica, gerarchizzata, con al suo interno una rigida divisione di ruoli fra donne e uomini, e più precisamente con la subordinazione e l'oppressione maritale delle donne, funzionale al sistema e all'organizzazione economica e sociale capitalistica. In questo quadro vanno intesi i forti richiami alla castità pre-matrimoniale e all'istituzione del matrimonio cattolico, sempre più in crisi, nonché i tabù che ancora vengono imposti sulla sessualità, ma anche l'attacco al diritto di aborto, alla pillola del giorno dopo, ai metodi di fecondazione assistita, ai diritti di gay, lesbiche, transessuali e bisessuali, che sono indotti a vivere di nascosto e con vergogna la propria sessualità
Dall'altra parte vi è la degenerazione dei costumi e della morale tipica della società capitalista, che spinge a una sessualità mercificata attraverso i propri modelli diffusi dalla tv, dalle riviste, dalla moda e che, stante l'oscurantismo religioso, induce i giovani a una sessualità precoce e inconsapevole.
Al fine di rinchiudere i giovani all'interno della medievale morale cattolica, di incrementare l'emarginazione sociale di coppia e dell'individuo, il neofascismo preferisce reprimere e ostacolare con mezzi giuridici e culturali lo sviluppo di una sessualità consapevole. In entrambi i casi il fine è quello di controllare e indirizzare la sessualità dei giovani secondo i canoni borghesi e cattolici.
Se la concezione borghese dell'amore e del sesso ha come base l'istituzione della famiglia e la disparità fra i sessi, quella proletaria ha la produzione e riproduzione della vita reale e la parità fra i sessi in tutti gli ambiti.
Essa considera la maturazione della coscienza sessuale dei giovani parte integrante e imprescindibile della loro maturazione generale, e per questo il PMLI rivendica:
a) l'eliminazione di ogni discriminazione di sesso, a danno delle bambine e delle adolescenti, a scuola, in famiglia, nei servizi sportivi e ricreativi, nella società;
b) una seria, scientifica e democratica informazione sessuale e contraccettiva a partire dalla scuola dell'obbligo;
c) la diffusione gratuita di tutti i mezzi contraccettivi, ivi compresi profilattici e pillola del giorno dopo, nelle scuole e nelle università;
d) l'abolizione di ogni limite alla libertà sessuale dei minorenni;
e) l'individuazione, la denuncia e la punizione con sanzioni adeguate di quanti si rendono responsabili di violenza sessuale, inducono e costringono i minori alla pornografia, e promuovono e sfruttano la prostituzione minorile, e dei pedofili;
f) chiarezza sugli atti di pedofilia commessi dai prelati di ogni ordine e grado, che oggi vengono nascosti con la complicità del Vaticano e delle gerarchie cattoliche e delle istituzioni politiche, e perseguimento penale dei colpevoli.

62 Sport e musica
 
Sport
Lo sport professionistico è preda del mercato capitalistico: profitto, business, sopraffazione del più forte sul più debole, ricerca del primato assoluto costi quel che costi, violenza reazionaria (spesso razzista) ed esasperato individualismo sono le sue caratteristiche principali.
Lo sport dilettantistico è volutamente posto dalla borghesia in posizione di subordine rispetto a quello professionistico e costretto a emularlo: è l'immagine riflessa, più o meno speculare, di quello professionistico; inoltre è anch'esso posto nelle mani del mercato e dei capitalisti privati, che cercano di formare sportivi da impiegare a scopi di lucro nell'ambito delle competizioni dilettantistiche e, in prospettiva, di quelle professionistiche.
La violenza assurda e reazionaria che si consuma dentro e fuori dagli stadi, il clima spesso xenofobo che impera nelle tifoserie e il doping diffuso anche fra gli sportivi più giovani, spinti a ottenere il successo con ogni mezzo, sono conseguenze delle odierne caratteristiche dello sport e della sua gestione capitalistica.
Oggi i giovani che vogliono fare sport sono condizionati secondo criteri meritocratici imposti dal mercato: solo i più bravi possono fare agonismo, mentre gli altri dovranno accontentarsi dello sport dilettantistico, e cioè di strutture, attrezzature e servizi mediamente peggiori.
Anche in questo caso i più "bravi" emergono attraverso la selezione di classe, ad esempio col ricorso al doping, l'utilizzo di attrezzature migliori, ecc.
I giovani figli del popolo spesso non possono fare sport per problemi economici oppure, sempre per questo stesso motivo, devono accontentarsi dello sport dilettantistico.
Per superare le contraddizioni tra professionismo e dilettantismo, e tra sport amatoriale e agonistico, il PMLI ritiene che lo sport debba essere un diritto inalienabile e un'occasione formativa, di socializzazione, di benessere per il corpo per tutti, dai giovani, agli anziani, ai disabili, ecc.
Per questo Il PMLI chiede:
a) una radicale modifica, legislativa e organizzativa, del sistema sportivo pubblico, finalizzata in particolare a favorire e sviluppare la pratica dello sport dilettantistico e non agonistico per tutti;
b) la promozione dello sport dilettantistico e di quello olimpionico da parte dello Stato, delle regioni, delle province e degli enti locali;
c) l'abolizione del Coni e delle relative Federazioni nazionali delle varie discipline sportive e la loro sostituzione con nuove organizzazioni fondate sulla democrazia diretta e autogestite dagli atleti e da tutti gli iscritti;
d) la costruzione, o l'ampliamento, delle strutture sportive pubbliche e la loro diffusione capillare nel territorio, in particolare presso le scuole di ogni ordine e grado e presso le università;
e) il contrasto capillare e rigoroso della deleteria e devastante pratica del doping nello sport;
f) la diffusione dello sport come pratica salutare, ricreativa, sociale e associativa, da cui bandire l'individualismo, il profitto, il razzismo e l'antagonismo spregiudicato e borghese.

Musica
Attraverso i megaconcerti e l'industria discografica la borghesia ha creato un sistema che strumentalizza i giovani trasformandoli in passivi spettatori e consumatori, e con ciò cerca di distoglierli dalle lotte contro le ingiustizie sociali e da quelle riguardanti i problemi scolastici e giovanili.
Tramite la selezione meritocratica e accademica, gli ostacoli sociali e l'arrivismo imposti ai figli del popolo che studiano una disciplina artistica, la borghesia intende controllare al meglio le rappresentazioni artistiche di modo che riflettano la sua cultura. Inoltre, facendo del mondo dello spettacolo professionistico un oggetto d'ammirazione da parte di quello dilettantistico, la classe dominante si è garantita un controllo anche su quest'ultimo.
Nell'ambito del sistema d'istruzione musicale e artistico, la meritocrazia, la selezione censitaria che di fatto avviene e che taglia fuori i figli del popolo, la gestione di fatto, da parte della massoneria, di alcune scuole o settori scolastici, la corruzione, l'arrivismo, - accentuati dall'ultima "riforma" del sistema d'istruzione della musica e delle belle arti, varata dal precedente governo Berlusconi e tuttora in fase d'attuazione - sono fonte come nello spettacolo di un ferreo controllo della classe dominante, che riesce a fare della musica una bandiera di "interclassismo", individualismo e cultura borghese in generale.
Per i marxisti-leninisti, invece, la musica e lo spettacolo devono essere uno strumento goduto e controllato dalle larghe masse popolari che se ne devono servire per soddisfare le proprie esigenze culturali e sviluppare l'influenza della cultura proletaria.
Per questo il PMLI ritiene che:
a) la musica e lo spettacolo vadano tolti dalle mani del mercato capitalista;
b) debbano essere realizzate o attrezzate strutture pubbliche autogestite sulla base della democrazia diretta dove il popolo, e in particolare i giovani, sia nel caso di artisti professionisti sia di dilettanti di qualsiasi livello, possano esprimersi liberamente e gratuitamente.

63 I giovani, i partiti e il volontariato

Da tempo vi è un progressivo distacco dei giovani dai partiti parlamentari e un loro maggior impegno nel campo del volontariato. La borghesia spaccia tale distacco come disinteresse e qualunquismo da parte dei giovani, mentre sfrutta il loro impegno nel volontariato per tirarsi indietro da quelli che dovrebbero essere i compiti dello Stato nel campo dell'assistenza e del sostegno ai bisognosi. In realtà il distacco dalle istituzioni e dai partiti borghesi è causato principalmente dalla consapevolezza da parte dei giovani più coscienti della lontananza di essi dai loro problemi e dalle loro aspirazioni; il volontariato invece è visto da loro come modo concreto per aiutare gli altri cercando di dare una risposta alle piaghe sociali del capitalismo.
I marxisti-leninisti ritengono positivo tale distacco quale prerogativa per la partecipazione dei giovani alla lotta contro lo Stato borghese e il capitalismo, per il socialismo.
Il PMLI inoltre comprende la generosità e l'altruismo con cui tanti giovani si dedicano al volontariato, ma essi devono comprendere che con il volontariato non si combattono le cause della miseria, delle ingiustizie sociali e dello sfruttamento, ma se ne limitano solamente gli effetti più esteriori, col risultato che il loro lavoro non può essere mai neanche lontanamente sufficiente per risolvere i gravi problemi di cui si occupano.
Per questo chiediamo ai giovani di abbandonare il volontariato per unirsi al PMLI, perché la scelta marxista-leninista è la più alta e nobile forma di volontariato.

64 I compiti del PMLI sul fronte giovanile

Attualmente le masse giovanili risentono della deideologizzazione e decomunistizzazione operate dal PCI revisionista e dai partiti da esso derivati che le hanno condotte sui binari del riformismo e del pacifismo imbelli, gettando così acqua sul fuoco rivoluzionario che ardeva in particolare nei giovani protagonisti dei grandi movimenti del '68 e del '77. Restano comunque ancora oggi la sfiducia e la rabbia dei giovani di sinistra verso il sistema capitalista e le sue rovinose conseguenze, anche se gli imbroglioni politici di "sinistra" cercano di ingabbiarli nel riformismo, oppure nell'avventurismo, nell'anarchismo e nel terrorismo.
Il PMLI offre alle masse giovanili un'alternativa concreta di lotta contro il capitalismo, per l'Italia unita, rossa e socialista.
I giovani militanti del PMLI sono fondamentali per il successo del lavoro del Partito sul fronte giovanile e per questo devono trasformare la loro concezione del mondo in base agli insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e alla linea politica e organizzativa del Partito.
I giovani militanti devono inoltre:
1 - Impugnare le 3 consegne ai nuovi militanti del PMLI:
a) vivere per la causa del socialismo;
b) lottare affinché il Partito sia sempre marxista-leninista;
c) adottare tattiche e misure adeguate per ottenere i consensi del proletariato e delle masse alla linea politica del Partito.
2 - Raccogliere i 6 inviti di Scuderi:
a) studiare a fondo la concezione del mondo marxista-leninista e la linea politica del Partito e applicarle con slancio nella lotta per trasformare il mondo e se stessi;
b) essere punti di riferimento e modelli di vita e di lotta per i giovani che vogliono cambiare il mondo;
c) essere costruttori tenaci e risoluti del PMLI senza badare ai necessari e inevitabili sacrifici di questa epica impresa;
d) assicurare la continuità della vita del Partito con lo stesso spirito, con la stessa fiducia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi, con la stessa dedizione dei fondatori del PMLI;
e) prepararsi, immergendosi nello studio del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del Partito e nella lotta di classe, per affiancare i dirigenti storici alla guida del Partito;
f) le giovani militanti siano le più sollecite a recepire e a mettere in pratica le indicazioni del Partito e diano l'esempio alle ragazze nella lotta contro l'influenza, i condizionamenti e i pregiudizi antifemminili della famiglia, della scuola, dei partiti borghesi e della reazione tesi a relegare le donne in ruoli subalterni in famiglia, nel matrimonio, nel lavoro, nella società e in politica.
I giovani militanti del PMLI devono essere capaci di legare il particolare al generale, le rivendicazioni immediate alle rivendicazioni a medio e lungo termine e alla conquista del socialismo, che è il quadro entro cui tali rivendicazioni possono realizzarsi in maniera completa e stabile.
La lotta dei giovani per migliorare la loro condizione non può che trovare sbocco nella lotta col e nel PMLI per l'Italia unita, rossa e socialista e i giovani militanti del PMLI devono essere capaci di indicare loro questa via, lavorando sodo, applicando con intelligenza la linea giovanile e studentesca del PMLI, praticando un'accorta politica di fronte unito nel loro ambiente di vita, di lavoro e di studio.
 
IX Il socialismo in Italia

65 Il socialismo autentico

Il socialismo autentico è quello tracciato da Marx ed Engels e realizzato in concreto da Lenin, Stalin e Mao. Socialismo e capitalismo sono società antitetiche e inconciliabili. L'uno si afferma facendo tabula rasa dell'altro. Il socialismo è il passaggio di tutto il potere dai capitalisti al proletariato. Il capitalismo è la società della borghesia. Il socialismo è anzitutto la società delle lavoratrici e dei lavoratori. Esso rappresenta, come dice Engels, "Il salto dell'umanità dal regno della necessità a quello della libertà". Per la prima volta, nel socialismo, i lavoratori diventano ad un tempo padroni dei mezzi di produzione e padroni dello Stato e di se stessi.
Il socialismo distrugge la vecchia economia, il vecchio Stato, la vecchia democrazia, cultura, ideologia e morale e instaura un nuovo ordine economico, statale, democratico, culturale, ideologico e morale che si fonda sulle esigenze, le aspirazioni, le vedute e gli ideali dei lavoratori.
Il socialismo estirpa le cause della miseria, della disoccupazione, delle diseguaglianze sociali, di sesso e territoriali, della guerra, del fascismo, dell'esistenza delle classi, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, della devastazione dell'ambiente, dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua e della terra. Il socialismo assicura benessere, eguaglianza sociale, legata alla lotta per la soppressione delle classi, piena libertà dei produttori.
Il socialismo è l'unica società che ha la forza, la capacità e la volontà di risolvere gradualmente le contraddizioni fra lavoro manuale e intellettuale, tra industria e agricoltura e tra città e campagna. Il socialismo è l'unica società che ha la forza, la capacità e la volontà di risolvere le contraddizioni etniche, religiose e fra le nazionalità e di operare concretamente per l'unità fra le nazioni e i popoli.
Nel socialismo l'economia ruota intorno ai lavoratori e non viceversa. I lavoratori non sono più schiavi ma padroni dei mezzi di produzione. Sono essi che decidono, tramite gli organi statali ed economici, la produzione, quali merci produrre e dove e come destinarle. Sul piano economico come su quello sociale tutto è disposto a misura delle lavoratrici e dei lavoratori, in modo che possano essere gradualmente soddisfatti tutti i loro bisogni materiali, umani, culturali e spirituali.
Il socialismo non significa livellamento dei bisogni e della vita personale, ma creazione delle condizioni per la piena possibilità di poter soddisfare qualsiasi esigenza e inclinazione personale. Il socialismo non è una caserma, non mortifica, umilia e sopprime le diverse caratteristiche e sensibilità personali, ma anzi si adopera concretamente affinché i lavoratori siano liberi di realizzarsi a loro piacimento conformemente alla società che edificano.
Nel socialismo la classe operaia, una volta che ha preso il potere, instaura la dittatura del proletariato, l'unico mezzo per difendere la nuova società e permettergli di dispiegare completamente le sue potenzialità. Dittatura del proletariato che sostituisce la dittatura della borghesia. La dittatura della maggioranza su una minoranza e non più la dittatura di una minoranza sulla maggioranza degli operai e dei lavoratori com'è nel capitalismo. La dittatura del proletariato è l'elemento distintivo fondamentale del socialismo. Ogni altra concezione del socialismo che non ponga al centro la dittatura del proletariato è una mistificazione, un inganno teso a perpetuare la dittatura della borghesia.
Solo il socialismo può instaurare un sistema economico e uno Stato che, oltre a essere totalmente al servizio del proletariato e delle masse, creino le condizioni per l'avvento del comunismo, la società più completa, progredita, giusta e avanzata di tutta la storia dell'umanità. Nel comunismo spariranno le classi e la lotta di classe, le guerre e la violenza di ogni tipo, giuste e ingiuste, rivoluzionarie e controrivoluzionarie, lo Stato e i partiti e si potrà attuare integralmente i principi elaborati da Marx dell'"autogoverno dei produttori" e "da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni".
Nel comunismo esisteranno sempre delle contraddizioni fra sovrastruttura e base economica e tra i rapporti di produzione e le forze produttive. Ma tali contraddizioni avranno perso la loro natura antagonistica, di classe, saranno solo delle contraddizioni in seno al popolo, come ha teorizzato Mao, delle contraddizioni cioè tra il nuovo e il vecchio, tra il giusto e l'errato, tra il progressivo e il regressivo.

66 La restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti

Attualmente nel mondo non esistono più paesi socialisti. I paesi un tempo socialisti sono stati abbattuti - eccetto il Kampuchea soppresso dall'aggressione da parte del Vietnam in mano ai revisionisti manovrati dal socialimperialismo sovietico - dai revisionisti travestiti da comunisti che, attraverso imbrogli e menzogne e in maniera subdola e surrettizia, hanno prima restaurato il capitalismo in Urss e negli altri paesi socialisti e poi, incapaci di mantenere il potere, sono stati costretti a passarlo alla vecchia borghesia e ad altre correnti borghesi.
Si è avverato ciò che Mao, fin dal 1956, analizzando il colpo di Stato kruscioviano al XX congresso del PCUS, aveva previsto: ossia che sarebbe stato abbattuto il socialismo e restaurato il capitalismo perché "la salita del revisionismo al potere significa la salita della borghesia al potere".
Stessa sorte è toccata alla Cina socialista dove la cricca revisionista e fascista di Deng Xiaoping ha inaugurato la restaurazione capitalista.
Il "crollo" del muro di Berlino nell'89 non ha segnato il crollo storico del socialismo e del comunismo, ma il definitivo e plateale fallimento dei regimi revisionisti. Per il proletariato internazionale non è stata una sciagura, ma una salutare esperienza poiché così è scomparsa un'ambiguità politica e statale che creava confusione, che non aiutava a distinguere il socialismo dal capitalismo e che deturpava l'immagine del socialismo.
Il proletariato internazionale ha fatto una nuova importante esperienza nella costruzione del socialismo verificando nella pratica la necessità che nel socialismo, nelle condizioni della dittatura del proletariato, la rivoluzione deve continuare fino in fondo non scostandosi nemmeno di un millimetro dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non concedendo niente alla borghesia e al revisionismo ricorrendo alla potente arma della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria ideata e sperimentata da Mao.
Mao ha definitivamente chiarito che "La società socialista abbraccia un periodo storico molto lungo, nel corso del quale esistono ancora le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe, esiste la lotta fra le due vie, il socialismo e il capitalismo, ed esiste il pericolo di una restaurazione del capitalismo". Nel socialismo la contraddizione principale continua a essere quella tra il proletariato e la borghesia.
La dittatura fascista dei revisionisti nei paesi già socialisti ha arrecato e sta arrecando dei danni incalcolabili all'immagine, al prestigio e all'onore del socialismo, tuttavia gradualmente e attraverso l'esperienza, i debiti raffronti e lo studio della storia e della lotta tra marxismo-leninismo-pensiero di Mao e revisionismo, i popoli prenderanno coscienza della differenza sostanziale che esiste tra il capitalismo e il socialismo e finiranno per riporre di nuovo la fiducia in quest'ultimo.

67 La strategia del socialismo è una discriminante fondamentale fra veri e falsi comunisti

La strategia del socialismo e del comunismo è una discriminante fondamentale tra veri e falsi comunisti. Laddove nello Statuto, nel Programma, nelle Tesi congressuali o in documenti nazionali la parola d'ordine della conquista della dittatura del proletariato non compare come inevitabile sbocco di un partito che a parole si definisce anticapitalista o addirittura comunista, come nel caso del PRC e del PdCI e delle loro varie correnti, questo si rileva un partito revisionista e controrivoluzionario, un partito borghese, e più esattamente della "sinistra" borghese, che ha come obiettivo, in realtà, il mantenimento del capitalismo come modello politico, economico e sociale.
Per verificare che un partito comunista sia effettivamente rivoluzionario occorre esaminare se è legato alle masse come un pesce nell'acqua e soprattutto se pone in primo piano per la conquista del potere politico da parte del proletariato la contraddizione tra socialismo e capitalismo. Se un partito che "formalmente" si definisce comunista in realtà non pone come punto di discriminazione strategica l'antagonismo tra capitalismo e socialismo, né pone in primo piano la necessità di raggiungere la dittatura del proletariato ma si propone di "riformare" e "umanizzare" lo Stato borghese, che rappresenta l'incarnazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, non può essere considerato un partito realmente comunista.
La strategia rivoluzionaria di un partito comunista si fonda sulla concezione che sarà la democrazia socialista a sostituire la dittatura della borghesia, tramite la distruzione di quest'ultima e la sua sostituzione con la dittatura del proletariato. La centralità strategica della conquista del socialismo, tramite l'abbattimento violento dello Stato borghese e non tramite il mero elettoralismo, la nonviolenza in salsa gandhiana e l'imbelle pacifismo, rappresenta la linea di confine che distingue un partito rivoluzionario da un partito controrivoluzionario.

68 Il "Socialismo del XXI secolo" non è socialismo

Il cosiddetto "Socialismo del XXI secolo" teorizzato in America Latina, e in Italia predicato da correnti revisioniste, trotzkiste e movimentiste, non è autentico socialismo. Si tratta di progetti socialdemocratici e riformistici interni al capitalismo. La storia del socialismo e del movimento operaio internazionale conosce una sola bandiera invincibile e sempre vittoriosa: essa è la bandiera rossa dei cinque grandi Maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao. La bandiera dei riformisti del "Socialismo del XXI secolo" capitanati da Chavez, i cui maestri sono Gramsci e Castro, non fa parte di tale storia e non è conforme ad essa.
Il socialismo non può nascere all'interno del capitalismo. I revisionisti gramsciani, togliattiani e berlingueriani invece sostenevano che era possibile introdurre "elementi di socialismo" nel sistema capitalistico. Il capitalismo non può evolvere, attraverso delle riforme, nel socialismo come sostengono i teorici del "Socialismo del XXI secolo". Il socialismo non si può conciliare con il capitalismo, ma necessita di una rivoluzione socialista guidata dal Partito marxista-leninista diretta a distruggere il capitalismo e l'egemonia della borghesia in tutti i suoi campi.
Il socialismo si costruisce con i metodi di produzione socialista e non coi metodi di produzione della proprietà privata, men che mai della piccola proprietà privata, così come prevede la Costituzione Bolivariana del Venezuela chavista. Questi ultimi sono metodi antagonisti al socialismo che vanno cancellati assieme allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
La costruzione del socialismo su scala mondiale passa per la costruzione del socialismo in ogni singolo paese.

69 Il socialismo è la mèta del proletariato e delle masse sfruttate e oppresse italiane

Il socialismo è l'unica autentica alternativa al capitalismo. O col socialismo o col capitalismo. Non c'è un'altra posizione dal punto di vista di classe. Il socialismo è la prossima mèta che deve raggiungere il proletariato italiano. La storia e l'esperienza hanno dimostrato ampiamente che non esiste una tappa intermedia a questa mèta. Nonostante che il socialismo sia stato gettato alle ortiche dai partiti falsi comunisti, oggettivamente esso è ancora di piena attualità in Italia, e lo sarà finché il proletariato non avrà conquistato il potere politico.
Il socialismo è storicamente e oggettivamente all'ordine del giorno in Italia per motivi economici, politici e sociali. Tanto più oggi che la crisi economica del capitalismo italiano strangola i lavoratori e le masse e incombe la terza repubblica. E inevitabilmente tornerà ad esserlo anche soggettivamente per il proletariato e le masse popolari.
Spetta al PMLI, in quanto avanguardia cosciente e organizzata del proletariato, dare al proletariato italiano la coscienza di essere classe per sé e quindi, risvegliarlo, rilanciarlo, organizzarlo e guidarlo nella lotta per il socialismo. Il PMLI deve educare il proletariato ad allargare i suoi orizzonti e a guardare oltre i confini del capitalismo, renderlo consapevole che i suoi compiti storici sono quelli di trasformare il mondo e se stesso nel corso della lotta di classe. Il PMLI deve far comprendere al proletariato che la conquista del potere politico da parte del proletariato è la madre di tutte le questioni perché senza potere politico il proletariato non ha niente, col potere politico il proletariato ha tutto.

 
70 Il nostro progetto di socialismo

 
Il PMLI si batte per il socialismo classico, autentico, integrale ideato da Marx e Engels e realizzato da Lenin, Stalin e Mao allo scopo di abbattere il capitalismo e di consentire alla classe operaia di esercitare il potere politico.
Il nostro socialismo è ricco dell'esperienza della dittatura del proletariato e in particolare di quella della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, conforme agli interessi, alla natura, all'ideologia, alle aspirazioni della classe operaia. Esso si fonda sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao, la dittatura del proletariato, la direzione del Partito marxista-leninista e l'economia socialista.
I nostri modelli di socialismo sono quelli costruiti da Lenin e Stalin e da Mao, anche se il nostro disegno di socialismo, delineato al III Congresso nazionale del PMLI, svoltosi nel dicembre 1985, corrisponde alla realtà del nostro Paese e non è una loro copia meccanica.
Nel socialismo cambieremo tutto. Dal sistema economico alle istituzioni; dall'ordinamento giuridico, giudiziario e militare all'istruzione. Cancelleremo le differenze tra città e campagna, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. La legge economica fondamentale non sarà più quella della realizzazione del massimo profitto, in vigore nel capitalismo, ma quella del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali, sociali e culturali delle masse. Ognuno darà secondo le proprie capacità e riceverà secondo il proprio lavoro. Creeremo le condizioni per eliminare le classi sociali e quindi arrivare al comunismo.
Al centro di tutte le nostre attenzioni nel socialismo ci sarà la rivoluzione ininterrotta secondo la teoria di Mao, il pieno coinvolgimento delle masse rivoluzionarie nella costruzione del socialismo, la trasformazione della concezione del mondo delle masse, la proletarizzazione del Partito.
Il nostro socialismo sarà una società in cui gli operai e i lavoratori saranno completamente ed effettivamente padroni dell'economia, dello Stato e del loro destino.
Una società in cui il Mezzogiorno avrà le stesse condizioni delle altre regioni del Paese e ovunque regnino nuovi rapporti di produzione, sociali, familiari, di coppia e interpersonali e le donne abbiano lo stesso peso e lo stesso ruolo degli uomini, sia garantita la piena occupazione e la trasformazione del lavoro domestico in una grande industria socialista.
Sul piano economico, strapperemo alla borghesia e ai latifondisti tutto il capitale, tutte le banche, tutti i mezzi di produzione e di scambio, tutta la terra, tutte le fabbriche e le aziende agricole, tutte le miniere, le cave, tutti i mezzi di trasporto via terra, mare e cielo, tutti i mezzi di comunicazione di massa, tutto il patrimonio edilizio urbano e rurale.
Nel nostro socialismo non vi dovranno essere sfruttatori di nessun tipo. All'inizio e per un certo periodo potranno sussistere delle piccole aziende familiari artigiane, commerciali e agricole, ma una volta riorganizzata l'intera produzione nei diversi settori economici, anch'esse dovranno sparire ed essere assorbite dalla produzione socialista.
Non più proprietà privata capitalistica, non più mercato, non più ricerca del massimo profitto, non più accumulazione privata, non più anarchia della produzione e crisi cicliche di sovrapproduzione, non più disoccupazione; ma proprietà collettiva socialista, scambio equo tra città e campagna, massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali delle masse, pianificazione economica nazionale e sviluppo ininterrotto della produzione e delle forze produttive, piena occupazione.
Sarà gradualmente cancellata la divisione del lavoro attraverso lo sviluppo in tutti i sensi delle attitudini degli uomini e delle donne e mediante l'organizzazione della rotazione dei compiti e delle funzioni dei lavoratori. La scuola socialista dovrà formare i giovani in modo tale da renderli capaci di adempiere a qualsiasi lavoro in città come in campagna e di ruotare a turno da questo a quel ramo di produzione, secondo i bisogni della società e le loro inclinazioni.
L'agricoltura non dovrà essere separata dall'industria e le campagne dalle città. Gli stessi lavoratori dovranno essere in grado di occuparsi a turno dei due settori economici e le campagne dovranno essere in armonia con la città. Il livello culturale e tecnico degli operai e dei contadini dovrà essere elevato rispettivamente fino al livello degli ingegneri e dei tecnici e degli agronomi e dei periti. Tutti i lavoratori manuali dovranno essere messi in condizione di partecipare all'amministrazione delle fabbriche e delle aziende, mentre i quadri a ogni livello dovranno partecipare al lavoro produttivo manuale.
Sul piano politico e istituzionale il nostro principale obiettivo è di creare un nuovo tipo di Stato in cui i lavoratori si amministrino da sé e insieme amministrino gli affari economici e politici dello Stato socialista.
I lavoratori attraverso l'autogoverno devono amministrare e dirigere le fabbriche, le aziende agricole e commerciali, gli organi elettivi centrali e locali, la sanità, la cultura, la scuola, l'università e ogni altro settore statale e pubblico.
Autogoverno e dittatura del proletariato, iniziativa delle masse e direzione del Partito, esercizio della democrazia socialista e centralismo democratico statale: sono unità dialettiche da coniugare senza forzature e in un giusto equilibrio in modo tale da avere sempre di fronte un quadro socialista.
La Repubblica socialista italiana sarà uno Stato a dittatura del proletariato, diretto dalla classe operaia e basato sull'alleanza degli operai e dei contadini.
A livello statale, l'instaurazione della dittatura del proletariato costituisce l'elemento fondamentale, per assicurare l'autogoverno dei lavoratori sotto la direzione della classe operaia, difendere le conquiste della rivoluzione socialista ed edificare un'economia, uno Stato e una società socialisti.
Lo Stato socialista sarà difeso dall'Esercito rosso e dalla milizia popolare, composti anche dalle donne. Tutto il popolo sarà armato per vigilare sulla rivoluzione e per impedire ai nemici esterni di invadere l'Italia e occuparla. L'Esercito rosso sarà fuso con le masse, equipaggiato, armato e addestrato per la guerra popolare, e non si occuperà solo della difesa della penisola, ma parteciperà anche, come compito secondario, al lavoro produttivo. Il militarismo, l'egemonismo, l'espansionismo, le guerre di conquista e rapina, il colonialismo saranno per sempre banditi dal nostro Paese.
Nel nuovo Stato tutto il potere apparterrà ai lavoratori e al popolo che lo eserciteranno attraverso le assemblee popolari ai diversi livelli.
Le assemblee popolari, elette periodicamente dal popolo in base al regolamento e alle leggi elettorali, gestiranno il potere statale, economico, legislativo, amministrativo, giudiziario e repressivo nell'ambito della propria giurisdizione e conformemente alle leggi e ai piani statali e nazionali.
Le assemblee popolari dovranno essere composte prevalentemente da operai e contadini sulla base della triplice unione degli anziani, delle persone di età media e dei giovani, con una rappresentanza paritetica di donne e uomini.
I candidati alle assemblee popolari dovranno essere presentati, discussi e approvati dalle assemblee delle masse interessate mediante la democrazia diretta. Avranno diritto di essere eletti anche le ragazze e i ragazzi di 16 anni.
Ogni deputato avrà l'obbligo di rispettare il mandato ricevuto dai suoi elettori, di rendere a loro conto periodicamente della propria attività e di quella dell'assemblea popolare di cui fa parte, e potrà essere revocato in qualsiasi momento su decisione della maggioranza dei suoi elettori.
La retribuzione dei deputati anche nazionali non dovrà superare il salario medio degli operai dell'industria.
Gli ex sfruttatori e oppressori borghesi verranno esclusi dai diritti elettorali finché non saranno stati rieducati e non saremo sicuri che non vogliono più nuocere al socialismo.
Il diritto al lavoro, alla casa, alla parità dei sessi, all'istruzione e alla cultura, all'assistenza sanitaria e previdenziale gratuita, alla pensione adeguata, al riposo, alla tutela della maternità, dei minori, dei diversamente abili e degli invalidi sono gli altri diritti che il socialismo mette in primo piano e che dovremo soddisfare nella pratica.
Sul piano filosofico e ideologico le religioni saranno combattute, ma sarà assicurato ai credenti il rispetto della loro libertà religiosa. Separeremo però la Chiesa dallo Stato, abrogheremo il Concordato e ogni privilegio ecclesiastico. Di fronte allo Stato la Chiesa cattolica sarà messa sullo stesso piano delle altre religioni presenti in Italia.
L'istruzione sarà totalmente rivoluzionarizzata sulla base dell'ideologia proletaria, del materialismo storico e dialettico, delle più avanzate scoperte scientifiche e tecnologiche, del criterio studio-lavoro e teoria-pratica, dell'interscambiabilità dei ruoli e delle mansioni professionali. Le studentesse e gli studenti dovranno avere un ruolo attivo nella vita scolastica. Inviteremo la classe operaia e i contadini a entrare nelle scuole e nelle università per dirigerle allo scopo di infondere ai giovani un'educazione proletaria rivoluzionaria, scientifica e socialista e per cambiare radicalmente l'orientamento, i contenuti e i metodi dell'insegnamento.

71 La via per conquistare il socialismo

Il passaggio dal capitalismo al socialismo non è un passaggio meccanico e indolore, ma la conseguenza di un grande sconvolgimento sociale, di una rottura rivoluzionaria che distrugge il vecchio mondo e ne edifica uno completamente nuovo. Come dimostra la storia il socialismo non si conquista pacificamente, legalmente e per via parlamentare ma attraverso la rivoluzione socialista.
Nel nostro Paese per conquistare il socialismo non c'è altra via che quella rivoluzionaria. La via elettorale e parlamentare è assolutamente preclusa. È impossibile conquistare elettoralmente la maggioranza parlamentare e governativa. E anche se lo fosse la classe dominante borghese non permetterebbe mai di essere scalzata dal potere per via parlamentare e pacifica e ricorrerebbe al golpe con i carri armati. Con l'attuale legge elettorale neofascista è persino problematico per il PMLI accedere al parlamento.
Le esperienze governative dei partiti riformisti e revisionisti vecchi e nuovi, comprese quelle dei governi di "centro-sinistra" con la partecipazione dei falsi partiti comunisti, dimostrano che nel capitalismo i governi non possono che fare i suoi interessi e gli operai rimangono ai margini della vita economica, politica e sociale e per di più subalterni e prigionieri di un sistema congegnato in modo tale da negar loro ogni possibilità legale di diventare classe dominante. Valga su tutte la recente disastrosa esperienza del governo Prodi.
Al di fuori della via dell'Ottobre e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, che ne è lo storico prolungamento politico, è impossibile per il proletariato usare ai propri fini i governi borghesi, conquistare il potere politico, mantenerlo, costruire il socialismo e marciare verso il comunismo.
La rivoluzione proletaria italiana sarà un'insurrezione di massa guidata dal proletariato con alla testa il suo Partito La rivoluzione socialista non è né un colpo di Stato né un atto spontaneo e avventuristico di un piccolo gruppo o di una minoranza di proletari, ma un'azione cosciente, scientificamente preparata e che scoppia al momento in cui si hanno la forza e la coscienza di masse adeguate, la congiuntura nazionale e internazionale è favorevole e si è sicuri della vittoria finale.

72 La tattica elettorale astensionista

Le istituzioni rappresentative borghesi a tutti i livelli, non sono altro che orpelli con cui la classe dominante borghese maschera la propria dittatura sul proletariato e le masse popolari. Anche quando esse sono governate dalla "sinistra" borghese.
I marxisti-leninisti italiani non aspirano a entrare nelle istituzioni rappresentative borghesi, nazionali, regionali e locali e a governarle, ma piuttosto a combatterle, disgregarle e distruggerle per aprire la strada al socialismo.
Attualmente l'unica tattica elettorale valida per raggiungere questo scopo è quella dell'astensionismo (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco).
Il nostro astensionismo per le elezioni nazionali, regionali, provinciali e comunali è tattico, non strategico e di principio, corrisponde alla situazione del nostro Paese e all'esperienza politica e parlamentare del movimento operaio italiano ed è in funzione della nostra strategia anticapitalista e per il socialismo. Solo nel caso delle elezioni europee il nostro astensionismo è di principio, strategico, non tattico, in quanto noi rifiutiamo totalmente l'unione dei paesi imperialisti europei e chiediamo l'uscita dell'Italia da essa.
Dopo un attento studio degli insegnamenti di Lenin sul parlamentarismo e sul partecipazionismo elettorale borghesi, nonché della situazione concreta esistente nel nostro Paese, abbiamo concluso che oggi non è più conveniente per il proletariato e il suo Partito utilizzare anche il parlamento per criticare e combattere la borghesia, il capitalismo e le sue istituzioni e lo stesso parlamentarismo, per elevare la coscienza e combattività politica delle masse e accumulare le forze necessarie alla rivoluzione socialista.
Oggi che il proletariato industriale, agricolo e del terziario ha un assoluto bisogno, da una parte, di conquistare la piena autonomia e indipendenza ideologica, politica e organizzativa nei confronti della borghesia e dei suoi partiti, e, dall'altra, di acquisire la coscienza di essere una classe per sé con il suo ruolo generale e con i suoi compiti rivoluzionari. Oggi che le istituzioni rappresentative borghesi in camicia nera e l'elettoralismo borghese sono completamente degenerati nel presidenzialismo, nella corruzione e nell'arrivismo. Oggi che la lunga pratica parlamentare ha dimostrato che il parlamento e le altre istituzioni rappresentative borghesi costituiscono una prigione e una fonte di corruzione per il Partito del proletariato, nonché un fattore che accresce le illusioni elettorali, riformiste, governative, pacifiste e legalitarie dell'elettorato di sinistra. Oggi che milioni e milioni di elettrici e di elettori scelgono consapevolmente l'astensionismo elettorale. Oggi è più utile, più efficace alla nostra strategia rivoluzionaria utilizzare l'arma dell'astensionismo per abbattere le illusioni elettorali, parlamentari, governative, riformiste e pacifiste che frenano pesantemente la lotta contro il capitalismo, il suo Stato e i suoi governi; per infondere nel proletariato, nelle masse e nelle nuove generazioni la coscienza, la cultura, la mentalità, la pratica sociale rivoluzionarie, anticapitaliste, antistituzionali e marxiste-leniniste; per delegittimare, isolare, indebolire e disgregare le istituzioni rappresentative borghesi e i partiti che le appoggiano e ne fanno parte; per trasformare l'astensionismo spontaneo, in astensionismo organizzato, l'astensionismo generico in astensionismo politicamente qualificato dal punto di vista anticapitalista, antiparlamentare, antistituzionale, antigovernativo, antiregime e per l'Italia unita, rossa e socialista.
Noi usiamo l'astensionismo elettorale fino a che serve ai nostri fini rivoluzionari e strategici, pronti ad accantonarlo, per poi magari rilanciarlo successivamente se dovesse cambiare la situazione. Può trasformarsi nel partecipazionismo parlamentare e nella presentazione di liste elettorali sull'intero territorio nazionale o in qualche circoscrizione, qualora lo ritenessimo utile per qualche operazione politica o se le circostanze e la situazione politica lo richiedessero. Tuttavia, perdurando questa situazione politica, elettorale, parlamentare e istituzionale e i problemi soggettivi della classe operaia e delle masse, è impensabile che si possa fare a meno della nostra tattica elettorale astensionista. Oggi la lotta di classe va portata tutta quanta al di fuori delle istituzioni rappresentative borghesi.
L'astensionismo elettorale non è un rifugio nel non voto. Che se ne abbia consapevolezza o meno, è un voto che esprime una protesta, un dissenso, una sfiducia, una dissociazione dai partiti parlamentari e dalle istituzioni borghesi. I marxisti-leninisti lavorano perché esso sia concepito e utilizzato dall'elettorato di sinistra come un voto cosciente dato al PMLI e al socialismo.

 
73 Le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo

Lo sviluppo della lotta di classe, la lotta per la disgregazione e l'abbattimento dello Stato borghese e per il cambiamento del sistema economico, istituzionale e sociale, ormai richiedono nel nostro Paese una netta separazione, anche sul piano istituzionale, tra il proletariato e i suoi alleati e la borghesia e i suoi alleati. A ciascuno i propri sistemi elettorali e regole assembleari: il parlamentarismo alla borghesia, la democrazia diretta al proletariato.
Per realizzare ciò abbiamo proposto di creare ovunque le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo costituite dalle Assemblee popolari e dai Comitati popolari basati sulla democrazia diretta.
Le Assemblee popolari devono essere costituite in ogni quartiere da tutti gli abitanti ivi residenti - compresi le ragazze e i ragazzi di 14 anni - che si astengono alle elezioni, che si dichiarano anticapitalisti, antifascisti, antirazzisti e fautori del socialismo e sono disposti a combattere politicamente ed elettoralmente le istituzioni borghesi, i governi centrale e locali borghesi e il sistema capitalista e il suo regime.
Ogni Assemblea popolare di quartiere elegge il suo Comitato popolare e l'Assemblea dei Comitati elegge, sempre attraverso la democrazia diretta, il Comitato popolare cittadino. E così via fino all'elezione dei Comitati popolari provinciali, regionali e del Comitato popolare nazionale.
I Comitati popolari devono essere composti dagli elementi più combattivi, coraggiosi e preparati delle masse anticapitaliste, antifasciste, astensioniste fautrici del socialismo eletti con voto palese su mandato revocabile in qualsiasi momento dalle Assemblee popolari territoriali. Le donne e gli uomini - eleggibili fin dall'età di 16 anni - devono essere rappresentati in maniera paritaria.
I Comitati popolari di quartiere, cittadino, provinciale e regionale e il Comitato popolare nazionale rappresentano il contraltare, la centrale alternativa e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e dei governi regionali e centrale. Sono i governi delle masse fautrici del socialismo che si contrappongono a quelli della borghesia.
Lo scopo fondamentale dei Comitati popolari è quello di guidare le masse, anche se non fanno parte delle Assemblee popolari, nella lotta politica per strappare al potere centrale e locale opere, misure e provvedimenti che migliorino le condizioni di vita e che diano alle masse l'autogestione dei servizi sanitari e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi di carattere pubblico.
I Comitati popolari devono battersi affinché le città siano governate dal popolo e al servizio del popolo. Il che può avvenire solo nel socialismo.
Lo strumento organizzativo, il principio regolatore della vita, delle attività, delle decisioni e dell'azione dell'Assemblea popolare e dei Comitati popolari è costituito dalla democrazia diretta.
La democrazia diretta mette al centro la volontà delle masse organizzate e subordina a questa volontà chi è di volta in volta, o per un certo tempo, delegato a rappresentarle. Esclude la delega in bianco e permanente, senza controlli e verifiche, l'egemonismo e la prevaricazione di singoli e gruppi di potere. Pratica un rapporto stretto tra eletto ed elettore e si basa sul coinvolgimento costante delle masse e sul loro protagonismo.
I Comitati popolari non devono essere confusi con i comitati di lotta o altri tipi di comitati, come i comitati civici, i comitati popolari spontanei, ecc. Mentre i Comitati popolari sono a carattere permanente e costituiscono gli organismi di direzione politica delle masse fautrici del socialismo, gli altri tipi di comitati sono in genere a carattere temporaneo, sono costituiti da chi accetta o non accetta il capitalismo e il partecipazionismo elettorale borghese, nascono su questioni particolari e specifiche e muoiono quando hanno raggiunto il loro scopo o hanno finito le loro funzioni.
La nostra strategia delle Assemblee popolari e dei Comitati popolari non va inoltre confusa e si contrappone alla strategia della "democrazia partecipata" e dei "nuovi municipi" che ha lo scopo di tenere legato l'elettorato di sinistra alle istituzioni rappresentative borghesi in camicia nera e di ingabbiare su un terreno istituzionale borghese gli astensionisti e i movimenti di massa giovanili e popolari.

 
X Il PMLI


74 Il Partito marxista-leninista

Nell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria è necessario un partito proletario rivoluzionario e marxista-leninista che tuteli in ogni fase della lotta di classe gli interessi politici, economici e sociali della classe operaia, dei lavoratori e delle masse popolari in contrapposizione a quelli della classe dominante borghese e che guidi le masse sfruttate e oppresse nella guerra di liberazione nazionale, nella rivoluzione democratica borghese e nella rivoluzione socialista.
Il Partito marxista-leninista è l'avanguardia cosciente e organizzata del proletariato.
Il Partito marxista-leninista è la forma suprema di organizzazione del proletariato.
Il Partito marxista-leninista è lo strumento politico-organizzativo fondamentale dell'emancipazione del proletariato.
Il Partito marxista-leninista è l'elemento determinante delle avanzate e delle vittorie del proletariato nel capitalismo come nel socialismo.
Il Partito marxista-leninista è il tessitore e coordinatore di tutte le alleanze di classe e dei suoi piani per la conquista del potere politico da parte del proletariato, che è la madre di tutte le questioni.
Il Partito marxista-leninista è un corpo vivo con delle inevitabili contraddizioni come riflesso delle contraddizioni di classe esistenti nella società, in cui vige la lotta tra le due linee, quella marxista-leninista e quella revisionista.
Il Partito marxista-leninista si muove sulla base della teoria e dello spirito proletari rivoluzionari del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Il Partito marxista-leninista, una volta esaurito il suo ruolo, portando a termine il socialismo, che ricopre un'intera epoca storica, nel comunismo si estinguerà, insieme allo Stato, e non avrà più necessità di esistere.

75 Il nostro Partito

Il nostro Partito, il PMLI, contiene tutti i suddetti elementi comuni ai partiti autenticamente marxisti-leninisti dei vari paesi.
Il PMLI è l'espressione politico-organizzativa più avanzata dell'esperienza accumulata dal proletariato italiano lungo tutta la sua storia. La sua fondazione, il 9 Aprile 1977, ha aperto storicamente la terza fase della storia del movimento operaio italiano organizzato, quella del trionfo del marxismo-leninismo-pensiero di Mao nella classe operaia. La prima fase, che va dal 1892 al 1920, è stata dominata dalla socialdemocrazia predicata dal PSI; la seconda fase, che è iniziata il 21 gennaio 1921, è stata dominata dal revisionismo predicato dal PCI. Il rafforzamento e lo sviluppo del nostro Partito consentirà che la terza fase si realizzi concretamente, ponendo così fine al predominio dell'ideologia borghese e del revisionismo nel proletariato.
La teoria che guida e ispira il PMLI è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, una teoria scientifica che dà l'orientamento ideologico, politico, organizzativo e pratico di classe. Una teoria che esprime la cultura del proletariato, l'unica in grado di combattere e sconfiggere la cultura della borghesia, di armare ideologicamente in senso rivoluzionario le operaie e gli operai, tutti gli sfruttati e gli oppressi, i rivoluzionari, gli intellettuali del popolo, le ragazze e i ragazzi che lottano per un nuovo mondo e di assicurare la natura marxista-leninista del Partito e la continuità del socialismo. Il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una scienza universalmente valida e al tempo stesso in continua crescita e sviluppo sulla base delle nuove esperienze della lotta di classe e delle rivoluzioni.
Lo Statuto e il Programma del PMLI si basano sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Lo Statuto è la legge suprema del Partito senza cui la sua vita esterna e la sua vita interna mancherebbero, a livello organizzativo, di quella salda impostazione di principio e di quelle norme direttrici generali e particolari che gli sono indispensabili.
Finché perdurerà il capitalismo e rimane aperta la fase della lotta per il socialismo e finché il proletariato non avrà conquistato il potere politico, il Programma generale del PMLI costituisce un documento strategico di carattere storico e permanente ed è una potente arma anticapitalista, antimperialista, antifascista e antirevisionista per i marxisti-leninisti e per tutti i fautori del socialismo, gli sfruttati e gli oppressi che vogliono liberarsi dalla dittatura borghese.
Il PMLI lotta contro il revisionismo moderno, corrente ideologica borghese che cancella la differenza tra socialismo e capitalismo, tra la dittatura del proletariato e quella della borghesia.
Il PMLI combatte il ribellismo piccolo borghese, anarchico e avventurista, il terrorismo e l'"ultrasinistrismo" che non portano forze al mulino della rivoluzione ma bruciano inutilmente le preziose energie dei giovani rivoluzionari e isolano le avanguardie rivoluzionarie dal grosso delle masse proletarie.
Il PMLI educa i suoi militanti e simpatizzanti a non avere una concezione idealistica del Partito, dei suoi dirigenti e dei suoi membri. A causa dell'influenza della borghesia e dei riformisti gli errori collettivi e individuali sono sempre possibili, e quindi bisogna vigilare e combatterli affinché il Partito non cambi mai di colore.
La composizione
Il PMLI deve essere composto soprattutto da elementi avanzati della classe operaia che rappresentano la testa e la colonna vertebrale del Partito.
Non può essere membro del PMLI chi sfrutta lavoro altrui, chi ha e professa una religione o una filosofia non marxista.
Nel PMLI vi è posto anche per gli intellettuali autenticamente rivoluzionari, disposti ad assolvere tutti i compiti dei marxisti-leninisti e non solo quelli teorici e burocratici.
I membri del PMLI devono essere con e del Partito assimilando e difendendo la sua linea, seguendola e applicandola nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, negli ambienti di vita, nelle assemblee e nelle piazze.
I membri del PMLI devono essere con e del Partito studiando il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non come un dogma ma come una guida per l'azione, uniformando le idee, la pratica sociale, lo stile e i metodi di lavoro e lo spirito di Partito agli insegnamenti dei Maestri Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e del Partito.
I membri del PMLI devono applicare un corretto e giusto stile di lavoro marxista-leninista in ogni settore di lavoro politico cui vengono assegnati, trasformando costantemente la propria concezione del mondo in senso proletario rivoluzionario, conoscendo e applicando bene lo Statuto, il Programma generale e il Programma d'azione del Partito.
La struttura
La struttura organizzativa del PMLI è di tipo bolscevico, ideata da Lenin e sviluppata da Mao con riferimento in particolare alla lotta tra le due linee all'interno del Partito, al centralismo democratico e alla critica e autocritica.
L'organizzazione del PMLI è basata sulla doppia struttura - in modo da poter svolgere efficacemente la sua attività in qualsiasi condizione, nella legalità come nell'illegalità -, sulla vigilanza rivoluzionaria, sui quadri e militanti di riserva. Tale organizzazione demarca assolutamente il PMLI dai partiti falsi comunisti.
Il principio organizzativo che regge l'intera struttura del PMLI è il centralismo democratico. Ossia l'unità dialettica fra disciplina e libertà, tra il centralismo e la democrazia. L'individuo è subordinato all'istanza, la minoranza è subordinata alla maggioranza, l'istanza inferiore è subordinata all'istanza superiore, tutto il Partito è subordinato al Comitato centrale.
Il punto chiave del centralismo democratico è costituito dal carattere totalmente vincolante di tutte le direttive impartite dal Comitato centrale e si concretizza nel rispetto consapevole, cosciente e responsabile di tali direttive da parte di tutte le istanze e di tutti i militanti.
Il centralismo democratico richiede la lotta contro l'individualismo, il liberalismo, il frazionismo, lo scissionismo, il familiarismo, il lassismo e ogni manifestazione di indisciplina e di insofferenza piccolo borghesi.
Il centralismo democratico deve essere rispettato a ogni livello da tutti i militanti e i quadri. Si può infrangere solo se il proletariato perde il potere politico nel Partito e viene rovesciata la linea proletaria rivoluzionaria e marxista-leninista.
La vigilanza rivoluzionaria è un principio rivoluzionario del Partito che permette di non subire gravi e irreparabili danni a causa di attacchi condotti sia dall'esterno sia dall'interno delle sue stesse file dal nemico di classe e dai suoi agenti.
La critica e l'autocritica sono un diritto e un dovere marxisti-leninisti, armi potenti per mantenere l'unità del Partito, combattere il frazionismo, migliorare e correggere il Partito e i suoi membri, avere rapporti chiari, sinceri e leali all'interno del Partito, evidenziare e correggere gli errori di carattere ideologico, politico e organizzativo. Nessun membro del Partito può essere sottratto alla critica e all'autocritica e per nessuna ragione: legami familiari, motivi affettivi, amicizie personali, meriti acquisiti, anzianità di Partito, alti incarichi ricoperti.
I militanti
La militanza marxista-leninista è una scelta di vita che comprende il pieno coinvolgimento ideologico, politico e pratico dei membri del PMLI. Essa non è un generico e interclassista impegno sociale, non è "solidarietà cristiana", "cittadinanza attiva", non è una forma di volontariato com'è comunemente inteso. È la manifestazione concreta e di classe a servire con tutto il cuore la causa del Partito, del proletariato e del socialismo.
Marxisti-leninisti non si nasce ma lo si diventa militando nel PMLI con franchezza, lealtà, dinamismo, fedeltà ai principi giusti e lotta instancabile contro ogni idea o azione errate.
La militanza nel PMLI ha inizio per tutti con la candidatura, un istituto usato dai partiti marxisti-leninisti storici, secondo la durata prevista dallo Statuto. Se la candidatura viene superata positivamente si diventa membri effettivi del Partito.
Il Partito deve formare il candidato e trasformarlo in un militante forte e rosso, fornendogli tutto il patrimonio storico, politico, programmatico e culturale rivoluzionario del Partito.
Il candidato ha il compito di stringersi saldamente al Partito acquisendone rapidamente l'esperienza e facendo propri i diritti e i doveri di tutti i membri del Partito enunciati nello Statuto.
I nuovi membri del Partito devono dare massima fiducia al PMLI e affidarsi ad esso nel lavoro di trasformazione della loro concezione del mondo e di rivoluzionarizzazione della loro coscienza e pratica politiche.
I nuovi membri del Partito devono occuparsi degli affari della loro Cellula e di tutto il Partito, essere combattenti di avanguardia dentro e fuori il Partito, essere dirigenti competenti, amati e stimati dalle masse, sempre aggiornati sulla situazione politica nazionale e internazionale, sulla situazione locale e dell'ambiente dove operano e sulla linea politica del Partito.
Il PMLI ha bisogno di molti militanti ma anche moltissimi simpatizzanti ancor di più amici e quanti più alleati è possibile.
Il simpatizzante, anche il più stretto, non è vincolato dai doveri e diritti della militanza formulati nello Statuto e non può partecipare all'attività interna del Partito.
Il simpatizzante, che può essere anche credente, se vuole può pensare e agire politicamente come membro del Partito: seguire le indicazioni politiche, sindacali, femminili, studentesche, elettorali e rivendicative del Partito, entrare nelle Organizzazioni di massa e nelle correnti promosse dal Partito, essere corrispondente de Il Bolscevico, partecipare alle iniziative pubbliche del Partito, portare nelle manifestazioni di piazza le bandiere dei Maestri e del Partito, sostenere le campagne elettorali e le battaglie politiche del Partito, diffondere la stampa e sostenere il Partito economicamente, ricercare nuovi proseliti, alleati e amici del Partito.
I dirigenti
I dirigenti del PMLI a ogni livello, specie quelli nazionali, svolgono una funzione fondamentale nel costruire un grande, forte e radicato Partito.
I dirigenti del PMLI devono essere primi in tutto: nella lotta, nel sacrificio, nell'impegno politico, nello studio e nell'elevare costantemente la propria coscienza politica e il bagaglio della cultura rivoluzionaria fino al giorno dell'ultimo respiro. Non tirarsi indietro quando il Partito affida loro dei compiti nuovi a cui non sembra di esservi portati.
I dirigenti del PMLI non devono mai staccarsi dalla base del Partito e dalle masse, demoralizzarsi per gli insuccessi, montarsi la testa per i successi e devono combattere il soggettivismo, l'individualismo e il burocratismo.
I dirigenti del PMLI devono tenere viva la coscienza che la loro vita appartiene oltre che a se stessi al Partito, al proletariato e alla causa. Perciò hanno il dovere di tutelarla da tutti i pericoli materiali e da tutte le influenze borghesi, piccole borghesi e revisioniste di destra e di "sinistra", dalle pratiche sociali e familiari e dalle amicizie che possano nuocere alla loro militanza marxista-leninista e al loro ruolo di dirigenti.
I vecchi dirigenti del PMLI devono accogliere bene i nuovi dirigenti, gli uni e gli altri devono avere rispetto reciproco, saper essere maestri e allievi, correggere i propri difetti e trasmettersi le buone qualità, con fraterno spirito di unità marxista-leninista.
Le Cellule
Nella costruzione e crescita del PMLI, un ruolo fondamentale lo hanno le Cellule.
Le Cellule del PMLI sono le istanze di base fondamentali, le gambe e le braccia del Partito. Sono le rappresentanti e portavoce del Partito tra le masse. Ad esse spetta il compito di agitazione e propaganda della linea politica del Partito e la sua applicazione nella rispettiva situazione specifica. Esse sono le fucine in cui si forgiano i militanti del Partito.
Le Cellule del PMLI devono marciare sulle proprie gambe, assumendo fino in fondo il loro ruolo e la loro funzione. Esse non devono limitarsi alla sola propaganda, pur sempre essenziale e irrinunciabile, ma lanciarsi nel lavoro di conoscenza approfondita del proprio territorio, agitazione, mobilitazione e organizzazione delle masse senza attendere l'indicazione e la sollecitazione delle istanze superiori. Le Cellule devono comunque osservare e applicare il centralismo democratico per evitare errori di localismo, frazionismo e azioni slegate dalla complessiva opera del Partito e per far sì che tutte le Cellule si muovano all'unisono, come le dita di una mano.
Spetta alle Cellule promuovere incontri con i simpatizzanti e gli amici, per discutere la linea politica e organizzativa del Partito, approfondire i capisaldi del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, coinvolgerli nel lavoro politico e organizzativo, valutare tempi, modi e forme per la loro eventuale adesione al PMLI.

76 Il PMLI, il lavoro di massa, il fronte unito, le organizzazioni di massa

Il lavoro di massa
Il lavoro di massa, terzo dei tre livelli d'azione del Partito, è fondamentale per lo sviluppo e il radicamento del Partito. Esso ci permette di avere un rapporto costante e diretto con la classe operaia, i lavoratori, i precari, i disoccupati, le donne, i pensionati, i giovani, gli studenti nonché con le masse in lotta per risolvere i problemi da cui sono afflitte.
Occorre aver fiducia nelle masse, aver cura dei loro interessi, mettersi alla loro testa, partire dalle loro esigenze e non dai nostri desideri, tener conto del loro attuale livello di coscienza, avere un corretto metodo di direzione, praticare un'abile e larga politica di fronte unito.
Per svolgere con successo e correttamente il lavoro di massa, occorre impugnare con forza le Coordinate del lavoro politico e di massa del PMLI con particolare attenzione ai quattro obiettivi strategici e ai quattro insegnamenti della lotta delle masse, ai 3 elementi chiave e alle 4 indicazioni per il radicamento.
Il Programma d'azione del Partito è un potente strumento di lotta per fare bene il lavoro di massa e perseguire con successo gli obiettivi di sviluppo e radicamento del PMLI.
Ciascun militante deve svolgere il lavoro di massa in base alle direttive della propria istanza e alla propria collocazione di lavoro, di vita, di residenza nonché secondo le valutazioni politiche generali e tattiche da aggiornare con un approfondito e continuo bilancio critico e autocritico dell'esperienza compiuta.
La linea di massa del Partito è antitetica a quella dei partiti falsi comunisti perché è volta a difendere effettivamente e in ogni momento gli interessi materiali del proletariato e delle masse popolari e nel contempo mira ad accumulare le forze necessarie per la rivoluzione socialista, mentre i partiti della "sinistra" borghese non hanno veramente a cuore gli interessi delle masse, si occupano in maniera strumentale dei loro problemi e allo scopo non dichiarato di frenarne e deviarne la carica antigovernativa, antistituzionale e anticapitalista, per ingabbiarne le lotte all'interno di logiche riformiste, istituzionali, parlamentari ed elettorali, in definitiva di salvaguardia della classe dominante borghese e del suo regime capitalista in camicia nera.
Il nostro lavoro di massa deve concentrarsi soprattutto nel movimento operaio e sindacale e in quello studentesco. I due movimenti di massa principali dove sono concentrate le forze sociali fondamentali per la costruzione del Partito, oltre che per lo sviluppo della lotta di classe.
Il nostro lavoro di massa è importante anche nei movimenti in difesa dell'ambiente e della salute pubblica, in quelli contro la guerra imperialista e l'interventismo e nei movimenti per i diritti civili.
Il fronte unito
Il Partito svolge un ruolo fondamentale nelle lotte immediate e a lungo termine del proletariato e delle masse, ma in queste lotte da solo può arrivare fino a un certo punto. Ha quindi bisogno di allearsi con altri partiti, gruppi e movimenti sulle questioni politiche, sindacali, sociali, ambientali, culturali e di comune interesse, al limite anche con delle forze acomuniste e anticomuniste. In questi casi le differenze ideologiche e strategiche vanno poste in secondo piano. Praticare queste alleanze vuol dire fare fronte unito.
Vi sono tre tipi di fronte unito: il fronte unito per le lotte immediate, il fronte unito internazionale contro l'imperialismo e per la libertà dei popoli, il fronte unito rivoluzionario per l'Italia unita, rossa e socialista. I primi due fronti li dobbiamo praticare tutti i giorni, il terzo non è ancora maturo pur se ne abbiamo già definiti gli aspetti essenziali e i principi irrinunciabili sia nel Programma generale del Partito, capitolo VI, sia nel discorso del Segretario generale del PMLI per il trentesimo della scomparsa di Mao "Applichiamo gli insegnamenti di Mao sulle classi e il fronte unito".
La politica di fronte unito la deve praticare non solo il Partito in generale ma ogni sua istanza, ogni militante e simpatizzante del PMLI all'interno dei propri luoghi di vita, di lavoro e di studio.
Il fronte unito internazionale contro l'imperialismo è composto da tutti i popoli, i movimenti, i partiti e i governi del mondo che lottano contro le aggressioni, le occupazioni, le rapine e i saccheggi delle risorse, le sopraffazioni e le ingerenze, i soprusi, le imposizioni e i ricatti dei paesi imperialisti. Ne fanno parte anche i popoli, i movimenti e i partiti che combattono contro le dittature borghesi e reazionarie dei propri paesi.
Il nostro Partito è parte integrante di tale fronte e appoggia incondizionatamente tali lotte, indipendentemente dalle forze che le dirigono, anche se sono anticomuniste e non ne condividiamo la politica interna e certi atti di politica estera.
Le organizzazioni di massa
Quando riusciamo a creare delle organizzazioni di massa, come i comitati di lotta, su questioni per cui le masse sono decise a battersi, bisogna allargare al massimo tali organizzazioni verso altre forze politiche e sociali, facendo bene attenzione a non restringerle ai soli militanti e simpatizzanti del PMLI e a non farne una copia del Partito. In ogni caso devono essere delle organizzazioni di massa reali e non fittizie, in cui vi sia un coinvolgimento effettivo di tutte le componenti, anche sul piano della direzione.
All'interno delle organizzazioni di massa, siano esse da noi create o meno, dobbiamo tenere costantemente in pugno l'iniziativa politica, batterci per conquistarne l'egemonia politica nel rispetto del loro carattere, e lavorare sulla base della nostra linea strategica dell'autogoverno, dell'autogestione e della democrazia diretta, mettendo a frutto quanto maturato dal Partito nelle esperienze pilota e nelle esperienze modello che ha realizzato negli anni, con particolare riferimento a quelle storiche di Firenze, Napoli e Palermo.
Indipendentemente dalla nostra consistenza numerica, la nostra direzione può emergere e imporsi in base alle nostre idee, alle nostre proposte, al nostro impegno, alla nostra coerenza e alle nostre capacità politiche e organizzative nella battaglia intrapresa. Comunque, nelle organizzazioni di massa e nei movimenti di massa dobbiamo cercare di unire la sinistra, conquistare il centro e neutralizzare la destra.
Il criterio fondamentale della politica di fronte unito, da applicare nel nostro lavoro di massa e quindi in tutti e tre i tipi di fronte unito, è quello di unire attorno al proletariato tutte le forze che possono essere unite, neutralizzare le forze che possono essere neutralizzate e isolare il nemico principale.

77 Che il PMLI diventi un Gigante Rosso anche nel corpo

Affinché il PMLI possa svolgere appieno il suo ruolo storico, è compito di tutti i suoi militanti lavorare per costruirlo grande, forte e radicato.
Il PMLI è un Gigante Rosso dal punto di vista storico, ideologico, politico e programmatico. Ma è ancora un nano nel corpo perché ha pochi militanti e Cellule. Affinché il PMLI diventi un Gigante Rosso anche nel corpo occorre applicare i 3 elementi chiave, le 4 indicazioni per radicare il PMLI e la parola d'ordine "Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare".
I 3 elementi chiave
I 3 elementi chiave sono: 1) la concezione proletaria del mondo, 2) la corretta concezione del Partito, 3) la conoscenza approfondita della linea generale e della linea di massa del Partito.
Il primo elemento chiave significa studiare e ristudiare le 5 opere fondamentali marxiste-leniniste per trasformare il mondo e se stessi in senso proletario e rivoluzionario:
- Il Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels
- Principi del leninismo e Questioni del leninismo di Stalin
- Stato e rivoluzione di Lenin
- Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo di Mao.
Il secondo elemento chiave significa studiare e fare propria la linea organizzativa del Partito, con particolare riguardo al centralismo democratico, alla disciplina proletaria e alla critica e all'autocritica.
Il terzo elemento chiave significa studiare e fare proprie la linea generale, per non perdere di vista la strategia, e la linea di massa, in riferimento soprattutto alla politica di fronte unito per non cadere in errori di destra o di settarismo.
Le 4 indicazioni
Le 4 indicazioni per radicare il PMLI sono:
1) Operai, lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti marxisti-leninisti diventino dei leader nelle fabbriche, luogo di lavoro, sindacato, movimenti dei disoccupati, scuole e università;
2) Cellule, istanze intermedie, Responsabili regionali devono occuparsi a fondo dei problemi del proprio ambiente di lavoro, studio e vita e proporre soluzioni concrete per risolverli;
3) Le istanze e i singoli militanti del Partito conoscano a fondo i problemi delle masse e quelli politici ed economici del proprio ambiente di lavoro, di studio, quartiere, città, provincia e regione, facendo delle analisi fondate sui fatti e sulla realtà concreta, non sui nostri desideri, sempre veritiere, non forzate, accomodate e abbellite;
4) Unire, guidare e mobilitare le masse sulla base delle loro rivendicazioni e dei problemi del momento attraverso le organizzazioni e i movimenti di massa da noi o da altri promossi, dentro e fuori i luoghi di lavoro e di studio, nei quartieri, nelle città, nelle province e regioni e a livello nazionale.
Per applicare appieno le 4 indicazioni per radicare il PMLI occorre fare proprie fino in fondo tutte le Coordinate del lavoro politico e di massa del PMLI.
Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare
Studiare significa conoscere e applicare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la linea del PMLI in riferimento alle questioni concrete politiche, sindacali, sociali, studentesche, culturali che dobbiamo risolvere e che riguardano il luogo dove siamo presenti. Applicare i metodi di analisi dei Maestri nell'esaminare e risolvere i problemi. Conoscere a fondo la propria città e ambiente di lavoro o di studio con le loro caratteristiche, problemi e contraddizioni. Conoscere la composizione, il programma, i bilanci, i piani urbanistici, le delibere, ecc., dell'amministrazione della propria città e le relative posizioni dei vari partiti, le condizioni di vita e i problemi e le rivendicazioni delle masse, la realtà sindacale del proprio luogo di lavoro e i problemi della propria scuola o università.
Concentrarsi sulle priorità significa stabilire i temi principali su cui centrare e sviluppare il lavoro politico, rivendicativo, di massa, organizzativo, propagandistico e giornalistico, in base alle necessità e ai bisogni più urgenti delle masse della propria città. Bombardare senza soluzione di continuità le giunte comunale, provinciale e regionale.
Radicarsi significa applicare con forza il Programma d'azione in riferimento alle priorità prescelte. Intervenire con volantini, manifesti, documenti, comunicati stampa, conferenze stampa, dibattiti, in base alle possibilità concrete che abbiamo, sulle questioni che fanno parte delle priorità e più esplosive.
Per fare bene il nostro lavoro politico occorre tenere sempre a mente le cinque fiducie: fiducia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi.
Il proselitismo
Il PMLI per essere un Gigante Rosso nella testa e nel corpo ha bisogno di molti e buoni militanti, non "pochi e buoni". Perciò, a chiunque sia d'accordo con lo Statuto, il Programma generale e la linea elettorale astensionista, e abbia i requisiti previsti dallo Statuto e voglia essere membro del Partito occorre chiedere di entrarvi senza indugio.
Per avere molti militanti, occorre estendere il proselitismo, in generale, a tutte le masse, a tutte le età e a entrambi i sessi. Occorre però prioritariamente concentrarsi sulla classe operaia, sui disoccupati, sugli studenti e sui giovani e giovanissimi delle periferie urbane, in base alle diverse situazioni delle città in cui siamo presenti. In particolare i nostri compagni operai, lavoratori e pensionati devono lavorare per conquistare al Partito gli operai più avanzati e combattivi. Consapevoli della nuova fase che si è aperta nel rapporto con i militanti dei falsi partiti comunisti: "Il tracollo elettorale verticale della sinistra arcobaleno - ha spiegato Scuderi nell'8ª Riunione plenaria del 4° UP del PMLI - causato dall'astensionismo, la sua conseguente scomparsa dal parlamento, un fatto storico e senza precedenti, la frantumazione di Rifondazione trotzkista, l'esperienza fallimentare del governo Prodi, in cui erano presenti due partiti falsi comunisti, hanno aperto una nuova e più favorevole fase del rapporto tra il PMLI e le basi del PRC e del PdCI".

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