Il "tesoretto" di Mao: Un'invenzione degli anticomunisti

Quella del "tesoretto" segreto è solo l'ultima delle invenzioni degli anticomunisti per calunniare, infangare e demonizzare Mao e il comunismo e impedire che sia conosciuto, studiato e amato dal proletariato, dai giovani e dai popoli del mondo. È l'ennesima bufala che va ad aggiungersi alla montagna di rivelazioni e "testimonianze" fasulle e fantasiose prodotte in quantità industriale dalla reazione internazionale alla quale attingono i politicanti borghesi nostrani della destra come della "sinistra" del regime neofascista.
Tanto per citarne alcune, c'è la biografia pubblicata in Gran Bretagna dal titolo "Mao, la storia sconosciuta", secondo la quale egli sarebbe stato nient'altro che "uno psicopatico" che ha "sterminato almeno 70 milioni di persone". C'è la versione della ricercatrice laureata all'università di Pechino, Sun Shuyun, oggi producer della BBC che cerca di liquidare la Lunga Marcia come una carneficina consumata all'ìnterno dell'Esercito Rosso da parte di "aguzzini e drogati" alla cui testa ovviamente pone Mao, alla ricerca "dei fantasmi della cricca antibolscevica, che si risolse in 20 mila morti". E come non citare la viscerale sortita del neoduce Berlusconi che farneticava che "sotto la Cina di Mao i bambini non li mangiavano, ma li bollivano per concimare i campi"?
Poi ci sono le false ricostruzioni e "testimonianze" sulla vita privata e familiare che lo descrivono come un mostro, un satana, un assassino al pari di Hitler, un megalomane, un maniaco sessuale e depravato.
Ora con la rivelazione dei "conti segreti" fatta da una rivista del PCC revisionista, lo "Dangshi Wenyuan", e prontamente rilanciata dal megafono berlusconiano Il Giornale, ma anche dal Corriere della Sera, dove si tenta di infangare la statura morale, l'onestà e la rettitudine di Mao insinuando malignamente l'idea che colui che al mondo si presentava come il peggior nemico della proprietà privata ed ebbe il coraggio di abolirla, di nascosto si arricchisse alle spalle del proprio popolo costruendosi un "tesoretto" segreto e privato.
Si sostiene infatti che Mao, al momento della morte, avesse due conti bancari segreti, uno con meno di 700 mila yuan, pari a 700 mila euro, e l'altro addirittura con 75 milioni di yuan, custoditi in due filiali di una banca di Pechino.
Sennonché la notizia pietra dello scandalo si smonta praticamente da sola perché non solo in questi conti, per stessa ammissione dell'articolista, non ci sarebbe nessun arricchimento illecito, ma sarebbero solo il frutto dei proventi diritti di autore, che tutt'oggi continuano ad affluire sui milioni di copie di libri che in questi decenni sono state vendute, e si continuano a vendere nel mondo. Proventi che presumibilmente vengono soprattutto dalle vendite fuori dalla Cina visto che la legge sul diritto di autore in Cina è stata reintrodotta a partire solo dai primi anni '80, cioè quando Mao era morto e sepolto e la Cina aveva cambiato colore. E possiamo capire quanto poco digeriscano i reazionari il successo della diffusione planetaria dei libri di Mao. Stando alle cifre citate nell'articolo, solo il suo libro di poesie fu stampato in una tiratura che "già batté ogni record del genere" con "85 milioni di copie". 325 milioni la tiratura delle "Opere scelte", oltre 1 miliardo la tiratura del "Libretto rosso" a cui vanno aggiunte i milioni di copie vendute all'estero, in 14 lingue, e che "per alcuni anni è stato un best seller" i cui diritti d'autore da soli ammonterebbero a "175 milioni di yuan".
Non solo. Se davvero Mao avesse voluto assicurarsi il "tesoretto personale", non si capisce perché tali conti fossero intestati non a lui ma alla "Cellula numero uno del Comitato Centrale" del PCC. E il fatto che della sua esistenza sarebbero stati a conoscenza solo "Mao, Zhou Enlai finché campò e due 'guardie del corpo'", ma non la moglie o familiari, caso mai dimostrerebbe che quei soldi derivanti dalla sua attività di scrittore erano a disposizione del Partito e non sua, visto che egli riceveva dallo Stato solo uno stipendio simbolico.
La verità è che Mao visse e morì povero. In ogni periodo della sua vita compreso quello in cui occupava la più alta carica dello Stato, ha praticato uno stile di vita fatto di semplicità e di ardua lotta. Egli formava un corpo unico col Partito, l'Esercito popolare e con le masse popolari cinesi, quasi respirasse con gli stessi polmoni e avesse lo stesso cuore. Fino a quando le forze glielo hanno concesso ha continuato a coltivare il suo modesto orto e dopo che è morto non gli hanno trovato né oro né ricchezze ma delle pantofole riparate più volte, una veste da camera rammendata sui gomiti, un paio di scarpe di cuoio che portava dal 1949 e una coperta di spugna rammendata venti volte.
La favola del "tesoretto privato" rischia di diventare, parafrasando una citazione dello stesso Mao, l'ennesima pietra che la reazione ha alzato per farsela ricadere sui piedi: più lo attaccano e lo denigrano, come avviene per anche per gli altri Maestri del proletariato a partire da Stalin, e più attirano l'attenzione, la curiosità di conoscerlo e la simpatia dei giovani che aspirano al socialismo e di coloro che non hanno rinunciato alla volontà di cambiare il mondo.
8 gennaio 2008