I titoli tossici sono un prodotto dell'imperialismo

Sessantamila miliardi di dollari: a tanto ammonterebbe secondo le stime internazionali la spaventosa mole dei titoli cosiddetti tossici, o titoli spazzatura nel mondo, per la maggior parte ancora nascosti nei portafogli delle banche. Una sorta di "bomba fine del mondo" che nessuno vuole veramente trovare e far venire alla luce, né i governi, né le autorità monetarie, né tantomeno le banche coinvolte, perché nessuno ha idea di come maneggiarla e disinnescarla. Soltanto in Europa la massa di titoli tossici ammonterebbe a ben 18 mila miliardi di euro. Una cifra non comunicata ufficialmente ma contenuta in un documento segreto redatto dai ministri finanziari dell'Ecofin rivelato da un quotidiano finanziario online.
Di fronte a questa mina vagante, che dal settembre scorso ha già devastato l'intera finanza mondiale con fallimenti di grandi banche e assicurazioni e crolli borsistici a catena, e che ora colpisce duramente anche il sistema produttivo prospettando la più grande recessione mondiale dopo quella del 1929, i maggiori governi capitalisti del mondo si affannano a convocare un vertice dietro l'altro, a 7, a 8, a 20 membri, nel tentativo di mettersi d'accordo sulle strategie per fronteggiare la crisi e sulle misure da adottare affinché non si ripeta più in futuro. La parola magica è: "una nuova Bretton Woods" per "cambiare le regole" del mercato finanziario internazionale. Con riferimento al trattato del 1944 che sancì la supremazia degli Usa e del dollaro e che oggi appare ormai superato.

Un cancro cresciuto in seno al capitalismo
Ma finora questi vertici, al di là delle pompose dichiarazioni verbali, non hanno cavato un ragno dal buco, perché non è facile mettere da un giorno all'altro le briglie a un mercato capitalista globalizzato quale quello che è stato incoraggiato a crescere ed espandersi incontrollatamente in questi decenni di iperliberismo e deregulation selvaggia dagli stessi governi e dalle stesse autorità monetarie internazionali che ora lo vorrebbero domare. Il problema fondamentale è che questa crisi non è piovuta dall'esterno ma si è sviluppata come un cancro dentro il corpo stesso del sistema imperialistico mondiale. Non è stata causata da qualche mela marcia che ha infranto le "regole" del mercato ma dallo sfruttamento generalizzato e portato alle estreme conseguenze proprio di queste "regole", che poi non sono altro che quelle, già descritte con precisione da Lenin e da Stalin, del massimo profitto e dello sviluppo ineguale del capitalismo nell'epoca dell'imperialismo.
I cosiddetti titoli tossici sono un esempio lampante di come queste leggi, peraltro non scritte, agiscono con cieca forza coercitiva facendosi beffe di ogni tentativo di regolamentarle. Come le forze evocate dal proverbiale apprendista stregone e poi sfuggitegli di mano, questi titoli che vanno generalmente sotto il nome di "derivati", sono stati creati dall'ingegneria finanziaria negli anni '90 a fini speculativi spinti e si sono diffusi rapidamente in tutto il mondo grazie alla globalizzazione dei mercati e allo sviluppo della telematica. Sono titoli ad alto rendimento ma anche ad alto rischio, perché il loro valore di mercato è legato alle variabili più impensabili. In pieno neoliberismo trionfante vennero considerati una gallina dalle uova d'oro, un moltiplicatore di ricchezza, un vero miracolo della finanza "creativa", tanto che i loro due inventori americani furono insigniti del premio Nobel per l'economia.
I tristemente noti mutui "subprime", che nell'estate 2007 hanno dato il via alla crisi finanziaria mondiale, sono una di queste variabili; una variabile impazzita su cui si basano i derivati tossici, che a loro volta hanno sparso in tutto il mondo l'infezione nata negli Usa dopo l'esplosione della bolla speculativa e il crollo di questi mutui. Le banche e le finanziarie che li concedevano facilmente e senza garanzie sapevano che erano ad alto rischio di insolvenza, ma li hanno "triturati" e "impacchettati" appunto nei titoli derivati e se ne sono liberate spargendoli in tutto il mondo in modo da diluire le eventuali perdite. Ma anche col risultato di spargere dappertutto il contagio. I manager che piazzavano i titoli e i finanzieri che ci speculavano in Borsa facevano quattrini a palate, e tutta l'economia capitalista apparentemente ne traeva beneficio. Le agenzie di rating che dovevano sorvegliare sul reale valore di questi titoli fingevano di non vedere. Il governo Bush e la Federal reserve sapevano, ma invece di intervenire e frenare incoraggiavano l'andazzo, perché la fornace del capitalismo americano doveva essere alimentata dai consumi delle famiglie; consumi ormai fondati non più sulla ricchezza prodotta ma sui debiti; e questo giro vizioso non andava interrotto per nessun motivo, specie in anni in cui il debito pubblico Usa cresceva vertiginosamente grazie anche alle folli e costose guerre di Bush e doveva essere sempre più finanziato da investitori stranieri, in particolare dalla Cina che si è messa in cassa masse enormi di titoli americani. Finché questo meccanismo non si è spezzato di colpo nel settembre scorso a partire dal fallimento di Lehman Brothers.

Parassitismo e putrefazione dell'imperialismo
Come si vede i titoli tossici non sono un'"anomalia", un corpo estraneo al capitalismo, ma un virus prodotto dal corpo in putrefazione del sistema imperialista stesso. Anche le lamentele di governi, industriali ed economisti borghesi, tanto di destra come Tremonti quanto di "sinistra" come ad esempio Guido Rossi, sulla finanza che ha preso il sopravvento sull'industria e sull'economia "di carta" che è prevalsa sull'economia "reale", suonano false e ipocrite. Come se nell'epoca dei grandi monopoli e della fusione tra il capitale bancario e quello industriale con la creazione di una onnipotente oligarchia finanziaria, che come insegna Lenin sono due tra i principali tratti distintivi dell'imperialismo, fosse possibile distinguere tra queste due facce della stessa medaglia e non fosse del tutto fisiologico che la speculazione finanziaria e parassitaria tenda a prevalere sull'economia "reale". Inoltre non era stato proprio Tremonti durante il precedente governo Berlusconi ad esaltare e praticare a man bassa la cosiddetta finanza "creativa"?
Che i governi imperialisti riescano a neutralizzare la minaccia dei titoli tossici ancora incombente non è certo, anche perché fino a questo momento cercano più di esorcizzare con palliativi e formule tranquillizzanti la catastrofe, piuttosto che intervenire per sventarla. Ancor più difficile è che riescano a mettersi d'accordo per riscrivere le "regole" della finanza internazionale. Ma anche se ci riuscissero sarebbe comunque una soluzione temporanea in attesa di altre crisi, finché non sparirà il capitalismo che le rigenera in continuazione.
Come ha detto il compagno Giovanni Scuderi nel suo illuminante Rapporto al 5° Congresso nazionale del PMLI, i governi imperialisti "nulla possono fare per prevenire ed evitare le crisi finanziarie ed economiche che sono insite nella natura stessa del sistema capitalistico, e che esplodono ciclicamente con più o meno intensità ed estensione. Quella attuale è la seconda crisi generale dell'imperialismo. Come dice Stalin, per eliminare le crisi occorre eliminare il capitalismo".

18 marzo 2009