Durante la trasmissione "Servizio pubblico"
Travaglio smaschera il presidente del Senato Grasso
L'ex magistrato, rilanciato in politica dal PD, non convince nel monologo a "Piazza pulita"

Il coro unanime di consensi e apprezzamenti seguito all'elezione alla presidenza del Senato di Pietro Grasso, è stato interrotto bruscamente giovedì 21 marzo, quando nella trasmissione di La7 "Servizio pubblico" il giornalista Marco Travaglio ha elencato una serie di fatti ed episodi riguardanti il passato dell'ex procuratore nazionale antimafia.
Travaglio ha smascherato Grasso come un magistrato "molto furbo", che nel periodo in cui ha diretto la Procura di Palermo succedendo a Giancarlo Caselli, ha evitato accuratamente di continuare ad affrontare i legami tra mafia e politica, non assecondando e anzi ostacolando il lavoro dei suoi pm, Ingroia, Scarpinato e gli altri, con i quali era entrato in conflitto al punto da rifiutarsi di vistare la richiesta d'appello contro l'assoluzione di Andreotti. Successivamente ha usufruito di tre leggi incostituzionali varate appositamente dal governo Berlusconi che alteravano i limiti di età per bloccare la candidatura di Caselli alla Direzione nazionale antimafia (Dna), facendo in modo che Grasso, proprio per la sua nomea di magistrato "garantista" e per la sua compiacenza verso il potere politico, restasse l'unico candidato in lizza per quella importante carica, pur vantando molti meno titoli dell'attuale procuratore capo di Torino. L'editorialista di "Servizio pubblico" ha ricordato anche che in una trasmissione radiofonica de "La zanzara" Grasso arrivò a proporre un "premio speciale" al governo Berlusconi per i suoi "meriti" nella lotta alla mafia, e che non a caso per il suo comportamento opportunista l'ex procuratore lanciato in politica dal PD si è sempre guadagnato gli elogi e gli applausi di Dell'Utri e Berlusconi: gli ultimi proprio durante il suo discorso di insediamento alla presidenza del Senato.
Subito dopo Grasso, con un intervento telefonico in diretta, definendo "infamanti" le accuse di Travaglio, chiedeva un confronto tv "carte alla mano" con il giornalista, rifiutandosi però di accogliere l'invito di Santoro per partecipare alla puntata successiva di "Servizio pubblico" perché aveva "urgenza" di chiarire subito la questione. La mattina dopo Santoro faceva cercare il presidente del Senato per proporgli allora una puntata speciale della trasmissione da realizzare subito, ma costui non si faceva trovare e poco dopo si veniva a sapere che avrebbe invece partecipato alla trasmissione di La7, "Piazza pulita", il lunedì successivo. E da solo, in quanto Travaglio ribadiva che avrebbe accettato un confronto con Grasso solo nella propria trasmissione.

Autodifesa falsa e imbarazzante
Nel suo lungo monologo nella trasmissione di Corrado Formigli, Grasso ha respinto sdegnosamente tutte le accuse di Travaglio, ma non è risultato convincente, neanche rispondendo alle domande del conduttore, e anzi alcune sue risposte non hanno fatto che confermare indirettamente i gravi sospetti sollevati da Travaglio sul suo operato. A parte l'esordio palesemente esagerato e strumentale con cui ha paragonato l'editoriale televisivo di Travaglio alle minacce mafiose contro i suoi figli ricevute una volta al citofono, certi suoi giudizi sprezzanti sulle inchieste "inconcludenti" sui legami tra mafia e politica e certe sue insinuazioni sull'operato "mediatico" di Caselli, che hanno costretto quest'ultimo a rompere il riserbo e ricorrere al Consiglio superiore della magistratura per essere tutelato dagli attacchi di Grasso, hanno finito per rendere ancor più falsa e imbarazzante l'autodifesa dell'ex procuratore antimafia.
Per esempio, circa l'accusa di non aver voluto firmare il ricorso in appello contro l'assoluzione di Andreotti, Grasso ha detto di non averlo potuto fare inquantoché era stato anche testimone in quel processo, e la sua firma avrebbe impedito una sua eventuale chiamata come testimone nel successivo grado di giudizio. Ma in realtà, come ha poi svelato Travaglio nella puntata successiva di "Servizio pubblico", dicendo di poter citare anche testimoni diretti in caso di querela, questa fu una scusa inventata solo in un secondo tempo dall'allora procuratore di Palermo proprio per giustificare ex post quella sua inspiegabile mancata firma. Che poi non si trattava neanche di una firma, ma di un semplice visto, che non avrebbe impedito comunque la sua chiamata come teste nel processo di appello, e tuttavia importante per coprire le spalle ai suoi pm allora esposti al fuoco concentrico dei politici e della stampa "garantista" ad essi asservita.
Lo stesso Formigli, a questo proposito, gli ha fatto notare che all'epoca dei fatti la sua opposizione contro un nuovo processo ad Andreotti fu ben più sostanziale e convinta, tanto che una sua intervista su La Stampa del 21 novembre 1999, dopo l'assoluzione in primo grado di Andreotti, era intitolata significativamente "Abolire il secondo grado di giudizio, basta con i processi che non finiscono più". E che del resto Grasso la pensi così ancora oggi lo dimostra la sua risposta sull'appena avvenuta condanna in appello di Dell'Utri, se essa rappresentasse o no una "vittoria" dei pm palermitani e delle loro inchieste sui legami mafia-politica: "Una condanna non è una vittoria o una sconfitta - ha risposto elusivamente Grasso - il problema è che le indagini sono iniziate 19 anni fa. Quella di oggi è un'altra tappa, ma la risposta definitiva non c'è". Con ciò, sorvolando sulle difficoltà di indagare su tali rapporti proprio a causa degli ostacoli e dei depistaggi messi in atto dal potere politico borghese, ha messo ancora una volta in dubbio la fondatezza delle tesi accusatorie dei pm antimafia, additati neanche troppo velatamente di cercare solo visibilità mediatica, istruendo, secondo le sue stesse parole, "processi che diventano gogne pubbliche": "Ci sono stati molti processi spettacolari che hanno portato ad assoluzioni. Ma non faccio nomi, non sarebbe elegante...", ha aggiunto a sostegno di questa accusa che sembra ripresa pari pari dall'armamentario propagandistico del neoduce Berlusconi contro i magistrati.
Ma tutti hanno capito benissimo a chi si riferiva, al suo predecessore alla procura palermitana, Giancarlo Caselli, lo stesso a cui aveva scippato il posto di successore di Vigna alla Dna grazie alle apposite leggi contra personam di Berlusconi. Grasso si è difeso sostenendo di non averle chieste lui, e che quando l'ultima fu giudicata incostituzionale "ormai i giochi erano fatti". Ma come gli ha ribattuto poi Travaglio quella legge indecente non importava chiederla, bastava meritarsela: "Si è mai domandato perché ha meritato tre norme (e da che governo!) contro il suo unico avversario, e dunque in suo favore"? Evidentemente, ha ironizzato l'editorialista, "gli piovvero in testa come la casa di Scajola: a sua insaputa".
Lo stesso Caselli ha accusato implicitamente Grasso di falsità, inviando una lettera al Csm in cui chiede "di essere adeguatamente tutelato" dal comportamento di Grasso "profondamente lesivo dei miei diritti e della mia immagine, in particolare là dove si insinua che il mio operato sarebbe stato caratterizzato dalla tendenza a promuovere e gestire processi che diventano gogne pubbliche ma restano senza esiti". Tale comportamento è tanto più grave, sottolinea il procuratore capo di Torino, in quanto Grasso è presidente del Senato, per cui appare "per nulla rispettoso dei principi costituzionali che presidiano la separazione dei poteri e tutelano l'indipendenza della magistratura rispetto ad ogni forma (diretta o indiretta) di condizionamento ed ingerenza del potere politico, specie se tale potere corrisponde ad una delle massime cariche dello Stato".

"Grasso non ci copriva le spalle"
Anche il pm Domenico Gozzo, attuale procuratore aggiunto di Caltanissetta ed ex pm a Palermo ai tempi in cui Grasso era procuratore capo, ha contestato in un'intervista a Il Fatto Quotidiano del 27 marzo la ricostruzione di quella stagione a "Piazza pulita", a cominciare dalla versione edulcorata secondo la quale l'ex procuratore sarebbe andato d'amore e d'accordo con i suoi pm e che tenesse in modo particolare all'unità dell'ufficio: "Appena arrivato - ha detto invece Gozzo - ha individuato alcuni colleghi, bollandoli come 'caselliani': tra questi io, Lo Forte, Ingroia, Scarpinato, Natoli". Gozzo ricorda anche "riunioni tempestose sul caso Giuffrè (un mafioso 'pentito' molto importante che Grasso però tenne inspiegabilmente nascosto per tre mesi ai suoi pm impedendo loro di interrogarlo, ndr) e anche un documento di protesta sottoscritto da 36 sostituti": "Non sentivamo di avere le spalle coperte - ricorda amaramente il pm nisseno - Grasso non perdeva occasione nelle interviste di prendere le distanze, e spesso sembrava fare riferimento a procedimenti in corso: per esempio al processo Dell'Utri. In Procura, invece, non lo criticava mai".
E a questo proposito Gozzo ha criticato in particolare le "perplessità" espresse da Grasso sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa (il reato tipico della commistione politico-mafiosa, quello per cui è stato condannato anche Dell'Utri) ribattendo che appunto perché bisogna fare i conti col potere politico che inquina e boicotta dall'interno le inchieste, esso "è un reato difficile, ma non impossibile da provare"; e che, al contrario del giudizio volutamente scettico di Grasso sulla sentenza contro il cofondatore di Forza Italia, "come dimostra il caso Dell'Utri, può funzionare".
Dopo la sua per nulla convincente autodifesa a "Piazza pulita", Grasso non ha raccolto il secondo invito di Travaglio ad un faccia a faccia televisivo a "Servizio pubblico", preferendo evidentemente non smuovere ulteriormente il vespaio che la sua indignata ma anche maldestra reazione aveva portato allo scoperto. Una reazione istintiva provocata dall'essere smascherato per il suo passato di ex magistrato più ligio agli interessi del potere politico borghese che a quelli della verità e della giustizia, proprio nel momento in cui il suo nome circolava come candidato a guidare un eventuale "governo del presidente" finalizzato all'inciucio tra il PD e il PDL di Berlusconi. E questo proprio grazie alle credenziali "garantiste" che Grasso si è guadagnato in tutti questi anni presso il neoduce e i suoi gerarchi, e perfino subito dopo la sua elezione alla seconda carica della Repubblica, quando ha promesso nel suo discorso di insediamento il suo personale interessamento ad una "riforma della giustizia": come chiede guarda caso a gran voce da anni il neoduce di Arcore per sfuggire ai suoi processi e mettere il potere giudiziario sotto il tallone del potere esecutivo.
Veramente un bel campione di trasparenza, onestà e imparzialità, che ora ci troviamo nella più alta poltrona del Senato per iniziativa del PD e personalmente di Bersani con la connivenza di alcuni senatori del M5S.

3 aprile 2013