Si dimette il governo provvisorio tunisino
La protesta riprende in Egitto, continua in Bahrein e si allarga all'Oman

Il 25 febbraio diverse decine di migliaia di manifestanti sono tornati in piazza a Tunisi per chiedere le dimissioni del governo provvisorio guidato da Ghannouci. La manifestazione più grande dal giorno della caduta di Ben Ali punta il dito sull'esecutivo formato dagli esponenti meno compromessi col regime del dittatore scappato in Arabia Saudita: "basta con questa messa in scena" e "vergogna al governo" erano gli slogan gridati nella capitale. Un acconto della manifestazione del 26 febbraio quando i manifestanti armati di sassi e biglie di ferro affrontano la polizia; negli scontri che durano per diverse ore la polizia uccide cinque manifestanti e ne arresta un centinaio.
Gli scontri a Tunisi si ripetevano il 27 gennaio, quando centinaia di giovani cercavano di raggiungere il ministero dell'Interno e lanciavano pietre contro lo schieramento della polizia. Nella giornata arrivava la comunicazione delle dimissioni del premier e di un altro ministro, anch'egli come Ghannouchi in carica sotto Ben Ali.
Il presidente tunisino ad interim Fouad Mebazza nomina quale nuovo premier Beji Caid Essebsi, che aveva ricoperto incarichi governativi sotto il primo presidente del paese, Habib Bourguiba, e quindi meno compromesso col regime di Ben Ali.

Egitto
Il 26 febbraio al Cairo la polizia caricava i manifestanti che si erano radunati in piazza Tahrir per chiedere le dimissioni del primo ministro Shafiq. Almeno sette i manifestanti arrestati, numerosi i feriti. Il Consiglio militare supremo, che ha assunto i poteri dopo la cacciata di Mubarak, ha chiesto pubblicamente scusa per l'intervento della polizia. I manifestanti hanno annunciato nuove proteste.

Bahrein
Il 22 febbraio una folla si radunava nella capitale Manama in Piazza della Perla, diventata il centro della protesta inziata il 14 febbraio, a sostegno delle posizioni dei principali movimenti di opposizione alla monarchia sunnita che chiedevano una monarchia costituzionale, una riforma elettorale che non svantaggi la maggioranza della popolazione sciita, la liberazione di tutti i prigionieri politici, un nuovo governo di salvezza nazionale e un'inchiesta indipendente sulle sette persone uccise durante le proteste dei giorni precedenti.
Il governo si limitava a liberare circa 300 prigionieri politici e a un rimpasto ministeriale. E il 27 febbraio migliaia di manifestanti scendevano di nuovo in piazza a Manama per chiedere la caduta del regime della dinastia sunnita degli al Khalifa. Il corteo partiva da Piazza della Perla e sfilava per le vie della città, passando sotto le ambasciate di Kuwait e Arabia Saudita, aperto da un grande cartello su cui era scritto "Il popolo vuole la caduta del regime".

Oman
Il 27 febbraio l'onda delle proteste popolari si è allargata all'Oman, il ricco emirato della Penisola arabica governato dal 1970 dal sultano Qaboos bin Said al Said.
Nella città portuale Sohar, che si trova circa 200 chilometri a nord della capitale Mascate, i manifestanti sono sfilati in corteo per chiedere aumenti salariali e lavoro, contro la corruzione e per le dimissioni del governo. Il corteo è stato caricato dalle forze di sicurezza e i dimostranti hanno risposto con una fitta sassaiola; il bilancio degli scontri è stato di sei morti e numerosi feriti.
Nel tentativo di fermare sul nascere la protesta, il sultano annunciava la creazione di 50 mila nuovi posti di lavoro statali e un sussidio mensile per i disoccupati di 150 rial, circa 400 dollari, e sostituiva alcuni ministri. Ma il 28 febbraio centinaia di manifestanti continuavano a bloccare alcune strade nella zona di Sohar mentre altri assaltavano una stazione di polizia e alcuni uffici governativi.

2 marzo 2011