Mentre si acutizza il conflitto con Cipro dopo la scoperta di un enorme giacimento sottomarino di gas
L'ambizione della Turchia di Erdogan: diventare una potenza del Medioriente

Il governo turco annunciava il 18 settembre di essere pronto a congelare le relazioni con l'Unione europea (Ue) se Cipro si insedierà alla presidenza di turno come previsto a giugno del 2012 senza che sia risolta la questione della divisione dell'isola. La Turchia non riconosce la Repubblica di Cipro, nella parte sud dell'isola abitata dai greco-ciprioti e che dal 2004 è membro della Ue; riconosce, ed è l'unica, la Repubblica turca di Cipro del Nord, nella quale vive la comunità turca, nata nel 1975 dopo l'invasione delle truppe di Ankara dell'anno precedente.
Nel 2004 i greco-ciprioti respinsero con un referendum il piano dell'Onu per la riunificazione che era stato accettato dai turco-ciprioti. Una posizione avallata dalla Ue che aprì le porte alla Repubblica di Cipro, lasciando aperto il contenzioso che si è trascinato finora in inutili negoziati.
La questione della sospensione delle relazioni diplomatiche con l'Ue era stata preannunciata nel luglio scorso dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, che chiedeva una soluzione alla divisione di Cipro entro il 2011. È stata rilanciata adesso da Ankara e ad acutizzare il conflitto ha certamente contribuito l'annuncio, il 19 settembre, da parte del governo di Nicosia dell'avvio delle esplorazioni di ricerca di gas e petrolio al largo delle coste meridionali, dove è stato individuato un enorme giacimento sottomarino di gas, condotta da tecnici americani e israeliani.
Il premier Erdogan rispondeva che "molto presto anche noi faremo prospezioni nel braccio di mare della Repubblica turca di Cipro", mentre il ministro dell'Energia, Taner Yildiz, spiegava che "finché i greco-ciprioti non avranno fermato queste attività di ricerca di gas e petrolio, Ankara scorterà con aerei e navi militari le proprie piattaforme per l'esplorazione dei fondali". Si profila una possibile guerra del gas che potrebbe aprire un nuovo capitolo della sfida che il governo di Ankara ha lanciato a Tel Aviv.
Lo scorso 2 settembre Ankara aveva espulso il rappresentante israeliano in Turchia in risposta alle mancate scuse di Tel Aviv per l'assalto alla nave Mavi Marmara che trasportava aiuti umanitari alla Striscia di Gaza; l'abbordaggio della nave turca che faceva parte della Freedom Flotilla umanitaria il 31 maggio 2010 aveva causato la morte di 9 attivisti.
Il governo turco chiedeva a Tel Aviv di scusarsi ufficialmente per il blitz contro la nave, risarcire le vittime e porre fine all'assedio della Striscia di Gaza. Condizioni che il regime sionista ha rifiutato. Una posizione arrogante rafforzata il 2 settembre dalla pubblicazione del vergognoso rapporto Onu che assolveva i sionisti e dichiarava legittimo il blocco su Gaza. Ankara rispondeva con l'espulsione dell'ambasciatore israeliano e la sospensione dei trattati di cooperazione militare con Israele.
Il premier Erdogan annunciava inoltre che "navi da guerra turche saranno autorizzate a proteggere le nostre navi che portano aiuti umanitari a Gaza. D'ora in poi non lasceremo che queste navi vengano attaccate da Israele come avvenne con la Freedom Flottilla''. Una dura presa di posizione anche se non ha però detto quando e se questi aiuti partiranno. Intanto non ha mosso un dito contro il blocco nei porti greci della seconda Freedom Flotilla nel luglio scorso.
Il 13 settembre Erdogan era al Cairo dove davanti ai ministri degli Esteri della Lega Araba ha affermato che "Lo Stato palestinese deve essere riconosciuto. Non ci sono altre scelte. È un dovere". La visita al Cairo faceva parte del viaggio trionfale compiuto in Egitto, Tunisia e Libia, nei paesi protagonisti delle rivolte arabe che le hanno liberate dai dittatori e oggi oggetto di peloso interesse dei paesi imperialisti, Francia e Gran Bretagna in testa. Anche la Turchia cerca la sua parte e non a caso Erdogan si è portato in delegazione sei ministri e circa 200 imprenditori.
La Turchia è la seconda economia in crescita del mondo nei primi sei mesi dell'anno, con un tasso sopra il 10%; è il sedicesimo paese più ricco che punta a entrare velocemente nei primi dieci; ha il terzo esercito più potente nella Nato, dopo Usa e Gran Bretagna. Anche se non esente dai riflessi della crisi economica che ne limitano le disponibilità di denaro liquido, la Turchia di Erdogan ha tutti i numeri per ambire a un ruolo di potenza quantomeno nel Medioriente come rivela il protagonismo esibito in politica estera e l'ambizione di porsi a modello e a riferimento dei paesi arabi della regione.
"Perché la Turchia è oggi uno dei Paesi più importanti? Semplice: perché si trova al centro di tutto", ha sostenuto il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, in partenza per l'Assemblea delle Nazioni Unite, dove è arrivato dopo la significativa tappa in Egitto, inaugurando con il governo del Cairo quello che ha definito "un nuovo asse di potere, un asse di vera democrazia fra le due maggiori nazioni nella regione, da nord a sud, dal Mar Nero alla Valle del Nilo in Sudan". E non a caso ha ricordato una "affinità psicologica" fra Turchia e mondo arabo, con quei paesi sottomessi dall'Impero ottomano.
Lo scorso anno Ankara aveva lanciato l'idea della costruzione dell'area Shamgen, un'area regionale di libero scambio da costruire insieme a Siria, Giordania e Libano, al momento congelata a causa della crisi siriana. Fra gli obiettivi del progetto vi era quello di allargare l'intesa all'Iraq, forse all'Iran, certamente a Egitto e altri paesi nord-africani. Se la Ue le chiude la porta, Ankara non piange e lavora per costruirsi un ruolo da protagonista a livello regionale.

28 settembre 2011