Vergognosa sentenza della corte di appello di Milano
Tutti assolti per la strage di piazza Fontana
Ergastolo cancellato per i fascisti Zorzi, Maggi e Rognoni. Per i giudici gli unici responsabili sono Freda e Ventura, già assolti e non più perseguibili
Dopo 35 anni e 10 processi la strage alla Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana - 16 dicembre 1969, 17 morti e 84 feriti - torna ad essere senza colpevoli. O meglio i soli colpevoli per i giudici sono i neofascisti Freda e Ventura, ma non sono più perseguibili perché già assolti per lo stesso reato.
è questa la vergognosa e paradossale sentenza emessa il 12 marzo 2004 dalla 2a Corte di appello del tribunale di Milano.
La corte presieduta dal giudice Roberto Pallini, dopo ben 7 giorni di camera di consiglio, ha ribaltato di 180 gradi la sentenza di primo grado emessa il 30 giugno 2001, assolvendo gli ordinovisti neri Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni che invece erano stati condannati all'ergastolo. Maggi e Zorzi sono stati assolti per insufficienza di prove. Mentre Rognoni, con formula piena per non aver commesso il fatto. Ridotta, da tre a un anno di reclusione, la pena fissata per Stefano Tringali, accusato di favoreggiamento.
In primo grado Maggi, Zorzi e Rognoni, erano stati condannati "in concorso" con gli imputati storici di quel processo, ossia Freda e Ventura. Processo che dopo la loro condanna all'ergastolo nel 1979, nel 1985 si arenò definitivamente a Bari con l'assoluzione "per insufficienza di prove".
Ora invece, i giudici milanesi dicono che Freda e Ventura erano colpevoli. Ma quanto a Zorzi, Maggi e Rognoni, i giudici ritengono che non ci siano sufficienti prove che gli imputati costituirono con Freda e Ventura un sodalizio di ispirazione neofascista con finalità eversive e terroriste.
La singolare e ambigua conclusione che tira la corte milanese è infatti che vi furono singoli gruppi di Ordine Nuovo a Venezia, Mestre, Padova, Udine, Verona, Trieste e Milano "che acquisirono sul finire degli anni '60 chiare connotazioni eversive". Ammette anche "tra il gruppo di Venezia/Mestre e gli altri intercorsero sia prima che dopo il 12 dicembre 1969 reiterati rapporti", ma questi "non sono risultati, almeno sino al 12.12.1969, di natura eversivo-terroristica e caratterizzati dalla comune progettazione di azioni illecite, quali attentati, in grado di porre in pericolo la pubblica incolumità".
L'altro argomento utilizzato per affossare la sentenza di primo grado è invece stato che i due pentiti su cui si basava l'accusa, Martino Siciliano e Carlo Digilio, ma in particolare quest'ultimo non sarebbero stati attendibili. Anche in questo caso la sentenza è ambigua giacché, se da una parte ha considerato le dichiarazioni di Digilio inattendibili, dall'altra non le ha neanche ritenute false, altrimenti la corte avrebbe dovuto chiedere alla procura di procedere contro di lui per calunnia.
Eppure il dibattimento in appello aveva aggiunto, e non tolto, qualcosa all'impianto accusatorio del processo di primo grado. Centrale era stata la deposizione dell'ordinovista mestrino Martino Siciliano, che dopo ripetute ritrattazioni, incastrato dai magistrati bresciani che indagano sulla strage di Piazza della Loggia, aveva confermato in aula le accuse a Zorzi per la strage del 12 dicembre. Attraverso il suo racconto era stato possibile ricostruire la storia del gruppo neofascista e del suo livello occulto, cui era stata affidata la gestione degli atti terroristici. Le sue parole sembravano una conferma di quanto già dichiarato in primo grado da Carlo Digilio, l'armiere dell'organizzazione, oggi collaboratore di giustizia, anche riguardo le fasi preparatorie della strage. Una confessione che in primo grado era risultata decisiva per far condannare all'ergastolo Zorzi e Maggi. Siciliano aveva inoltre confermato d'aver scritto il memoriale che scagionava Zorzi dietro pagamento (200 milioni di lire) in combutta con i difensori dello stesso (tra i quali figuravano anche il legale di Berlusconi e attuale presidente della Commissione giustizia della Camera, avv. Gaetano Pecorella) che ora, a loro volta, dovranno rispondere di favoreggiamento di fronte a un tribunale.
è evidente dunque che la corte ha ignorato l'appello del sostituto procuratore generale Laura Bertolè Vitale che, nel chiedere la conferma dell'ergastolo per i tre imputati, aveva invitato i giudici a non essere buoni ma giusti. Dopo la sentenza il magistrato non ha commentato, limitandosi a dichiarare che ricorrerà in Cassazione. Amareggiato l'avvocato di parte civile Federico Sinicato che non immaginava che si potesse arrivare a un verdetto di non colpevolezza. "Sono conclusioni che trovo sorprendenti". Ha detto.
Duro e particolarmente significativo, invece il commento dell'ex procuratore capo di Milano Gerardo D'Ambrosio, a cui nel 1974 la Corte di Cassazione scippò l'inchiesta proprio su Freda e Ventura: "L'esito del processo d'appello, che ha `rivoluzionato' la sentenza emessa in primo grado seguendo un copione già visto in altri procedimenti, come per il procedimento contro Andreotti sull'omicidio Pecorelli, quello per la strage alla Questura di Milano, o anche in occasione del primo processo per Piazza Fontana, rappresenta un campanello d'allarme nell'ordinamento italiano".
Quanto ai familiari, alcuni ormai anche in là con l'età, e che da 35 lunghi anni si battono per avere verità e giustizia, hanno accolto quest'ennesima beffa giudiziaria con rabbia, incredulità e sconforto.
Torna così in alto mare la speranza di dare riscontro giudiziario a quella verità storica che ormai è acclarata e inconfutabile sugli esecutori e i mandanti di questa strage di Stato e sul disegno golpista e fascista che la ispirò. Una speranza che si era riaccesa col processo di primo grado, quando i pm milanesi coordinati dal Gip Clementina Forleo, mettendo fine a trent'anni di vergognosi insabbiamenti e depistaggi, tra i quali quello storico verso la matrice rossa delle stragi, riprese a dipanare quel filo che parte dalla matrice fascista che fin dai giorni successivi alla strage i magistrati milanesi avevano imboccato, trovando prove e conferme di quell'intreccio tra servizi segreti italiani e stranieri, in primis americani, terrorismo, massoneria, P2, vertici militari e politici che consentì, ispirò e protesse il golpismo e lo stragismo. Ossia quella strategia seguita dalla corrente più reazionaria e fascista della borghesia italiana in combutta con l'imperialismo americano fin dal primo dopoguerra in funzione anticomunista.
L'ergastolo comminato a Zorzi, Maggi e Rognoni era stato un primo passo per l'accertamento a livello giudiziario di un primo spezzone di questa verità, almeno per quanto riguarda gli esecutori materiali.
Ora la vergognosa sentenza emessa dalla corte d'appello tira una riga sopra a tutto questo, e con esso torna ad allontanarsi anche la possibilità di far luce e punire i mandanti e gli ispiratori politici di quella criminale strategia politica, sempre ben protetti dal segreto di Stato, dalla complicità e dai depistaggi degli apparati dello Stato, segreti e non, e dalla omertà mafiosa delle segreterie delle cosche parlamentari, tutte senza esclusione interessate a tenere ben premuto il coperchio su quel verminaio da cui ha avuto origine l'attuale seconda repubblica neofascista.

26 gennaio 2005