Dopo il sisma in Abruzzo
L'unità nazionale attorno ai terremotati non può nascondere le responsabilità governative

Sono passati oltre 40 anni dal terremoto che sconvolse il Belice, quasi un trentennio dal sisma che rase al suolo l'Irpinia. Nulla è cambiato. Esattamente come allora, ancora una volta la popolazione si è trovata totalmente indifesa di fronte a una calamità naturale, che a differenza del passato era stata abbondantemente annunciata. Ancor più gravi appaiono quindi le responsabilità dei governi nazionali e locali in carica che non hanno fatto nulla per prevenire gli incalcolabili danni umani e materiali che ne sono derivati.
Le forti scosse che hanno preceduto il terremoto di lunedì 6 aprile avrebbero dovuto, quanto meno, indurre le autorità ad allertare la popolazione. Invece di mobilitarsi per approntare piani di intervento straordinario per far fronte a ogni evenienza, il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, i suoi diretti collaboratori e il governatore regionale dell'Abruzzo Gianni Chiodi hanno preferito "tranquillizzare" gli abitanti perseverando fino all'ultimo nella criminale sottovalutazione dei dati che annunciavano un'imminente forte scossa di terremoto. Bertolaso intervenendo a Roma alla fine di marzo ad un convegno organizzato dal ministero dei beni culturali e dalla protezione civile sulla esperienza del terremoto che nel 1997 colpì Umbria e Marche aveva affermato: "Le scosse di terremoto che continuano a scuotere l'Abruzzo non sono tali da preoccupare - ma purtroppo a causa di imbecilli che si divertono a diffondere notizie false siamo costretti a mobilitare la comunità scientifica per rassicurare i cittadini".
L'attacco era rivolto a Giampaolo Giuliani, tecnico dei laboratori del Gran Sasso, che aveva previsto "un terremoto di proporzioni disastrose" e che a caldo, dopo la scossa aveva replicato: "L'attacco nei miei confronti è stato proditoriamente architettato perché io potessi essere messo a tacere, addirittura con un avviso di garanzia. E ho le prove che è falso. Sono stati Boschi (il presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ndr) e Bertolaso, dai quali vorrò le scuse per tutti i morti che ci sono stati oggi a L'Aquila, perché hanno dichiarato il falso domenica scorsa e ho i testimoni. Le loro dichiarazioni sono false. La mia previsione purtroppo era giusta".
I vertici della protezione civile hanno ignorato tutti "i precursori" rilevatori dell'imminenza di una scossa dalle conseguenze devastanti, come la liberazione di gas radon dagli strati profondi delle rocce che si impara al 1° anno di geologia all'università. È vero che non è possibile conoscere con precisione quando colpirà, ma a L'Aquila, una zona nota come altamente sismica, non c'era solo il picco del radon ma la registrazione inequivocabile dei sismografi che hanno cominciato fin da dicembre a registrare lo sciame sismico che si è andato progressivamente intensificando tra febbraio e marzo, fino alla catastrofe. Ma Bertolaso era troppo impegnato nelle parate mussoliniane al fianco del neoduce Berlusconi: chi non lo ricorda il 26 marzo scorso ad Acerra ad inaugurare il mostro bruciatore di rifiuti?

Mancata prevenzione e ritardi
E che dire dei primi soccorsi totalmente insufficienti e mal coordinati, quasi come se il sistema della "Protezione civile", in un Paese ad alto rischio sismico come l'Italia, non fosse mai nato. La trasmissione "Annozero" di Santoro l'ha documentato e per questo è stata messa sotto inchiesta da parte dei vertici Rai e demonizzata dai partiti governativi e non solo, nonché dai media ad essi asserviti.
Il personale dell'ospedale pericolante L'Aquila ha continuato per giorni eroicamente a lavorare senza nemmeno l'acqua potabile perché non c'è stato approvvigionamento attraverso la protezione civile, il bar era inutilizzabile perché crollato così come il deposito del nosocomio. I piccoli centri della provincia, in questa anarchia organizzativa, sono rimasti abbandonati a se stessi per giorni senza cibo né acqua, come se si trattasse di raggiungere l'Himalaya, ancora oggi, dopo oltre una settimana cinquantamila persone dormono al gelo nelle proprie auto, poco più di ventimila senza tetto sono stipati fino all'inverosimile nelle tendopoli che in breve tempo con la pioggia si sono trasformate in grandi pantani in stile campi profughi, nella maggior parte dei casi non ci sono stufe, acqua, elettricità, gas, servizi igienici. A Santo Stefano - spiega il sindaco Elisabetta Leone - "abbiamo bisogno soprattutto di stufette per far fronte al ritorno improvviso del freddo. Per il resto, ce la siamo cavati da soli: non potevamo aspettare gli aiuti". A Castel del Monte il sindaco Luciano Mucciante denuncia che "il Com 6 di Navelli (Centro operativo misto, ndr) non è effettivamente operativo: ci contatta per chiedere solo dati e sapere quanti pasti ci servono, anziché aiutare concretamente la popolazione. C'è ancora molta disorganizzazione e abbiamo dovuto provvedere da soli a scaricare le tende al campo sportivo. Da stanotte, poi, la temperatura è scesa a meno due gradi, è venuta giù l'acquaneve e nessuno si è preoccupato di venire a controllare come siamo messi, per fornirci magari delle giacche a vento".
Ma è mano a mano che si scava sotto le macerie che si scopre e ci si rende conto di quali e quanto stratificate siano le responsabilità dei governanti e delle istituzioni in camicia nera. Tutto quello di cui, negli ultimi anni, ci sarebbe stato veramente bisogno è mancato, ossia adeguate politiche ed investimenti per rendere partecipe, informare e formare la popolazione, per monitorare le condizioni dell'ambiente e in particolare verificare la sicurezza statica degli edifici, per dare gambe alla ricerca pubblica come quella sui cosiddetti "precursori" in grado di predire l'imminenza di un evento sismico di grado rilevante, per potenziare mezzi ed attrezzature, per avere sempre più operatori dedicati soprattutto al soccorso e alla protezione della popolazione. La protezione civile non è stata in grado neanche di allestire un quartier generale sicuro nel capoluogo per programmare gli interventi di emergenza, addirittura la sala operativa, il cervello di tutte le operazioni, a causa dell'inagibilità delle sedi istituzionali (Prefettura e Questura, certificate come antisismiche da Bertolaso, si sono sbriciolate in pochi secondi) ha dovuto chiedere ospitalità a una struttura privata come la Reiss Romoli, un centro per le telecomunicazioni appartenente a Telecom Italia.
Tutti questi morti, tutto questo dolore e tutta questa distruzione insomma potevano essere ridotti al minimo se le autorità dei governi centrale e locali, che adesso versano le consuete lacrime di coccodrillo, avessero veramente avuto a cuore il benessere della popolazione e avessero ad esempio garantito costruzioni che rispondessero alle più elementari norme antisismiche e non agli appalti dei criminali cementificatori, speculatori e amministratori corrotti.

Edifici insicuri e mal costruiti
Occorre dunque puntare l'indice accusatorio contro i governi nazionali, di "centro-destra" e di "centro-sinistra", abruzzese e locali, il capo della protezione civile Bertolaso, e chiederne le dimissioni. È questo il primo passo, da cui deve ripartire il dopo-terremoto. Tra gli imperdonabili crimini commessi dai rappresentanti delle istituzioni borghesi c'è quello di non avere mosso un dito per mettere in sicurezza gli edifici.
Clamoroso ancora una volta il caso dell'ospedale San Salvatore, inaugurato appena 15 anni fa, costruito con cemento di scarsissima qualità e sale operatorie di cartapesta. Un ospedale "secondo le carte di cui disponiamo che era stato a suo tempo garantito per resistere a terremoti addirittura più forti di quello che abbiamo appena registrato" (parola del direttore generale Roberto Merzetti). Nomi noti e ricorrenti tra gli appaltatori, visto che a vincere la gara per la messa in funzione fu nel 2001 l'Impregilo della famiglia Romiti (già gruppo Fiat e oggi gruppo Benetton-Gavio-Ligresti) che ovviamente, interpellata, ha scaricato le colpe su ignote ditte subappaltatrici, come se quello degli appalti e dei subappalti avallati dalle grandi multinazionali grazie a fiumi di tangenti versate agli assessorati ed agli uffici tecnici degli enti locali non fosse un unico, quello sì collaudato, sistema mafioso politico-imprenditoriale.
La conseguenza di questo sistema criminale è che per oltre 24 ore non c'era un ospedale da campo in attività in tutta la provincia del capoluogo abruzzese. I feriti gravi hanno dovuto essere trasportati in elicottero in altri ospedali, tempo prezioso che avrebbe potuto salvare tante vite umane. Ancora più grave il fatto che nessun intervento è stato fatto negli ultimi anni sugli edifici pubblici crollati all'Aquila, come le scuole e gli studentati, nonostante la protezione civile disponesse di 280 milioni di euro per l'analisi della vulnerabilità e la messa in sicurezza delle strutture strategiche.
Davanti al collasso di queste strutture è lo stesso prof. Franco Barberi, vulcanologo e presidente della commissione grandi rischi ad ammettere senza mezzi termini: "È desolante vedere un simile spettacolo di inefficienza e imprevidenza in un Paese come il nostro che a misurarsi con le conseguenze dei forti terremoti dovrebbe essere abituato da sempre. Le responsabilità sono diffuse a tutti i livelli (istituzionali, ndr), purtroppo siamo un paese che non impara le lezioni". Fabrizio Galadini, direttore della sezione milanese dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, denuncia che la tragedia non è dovuta ad eventi naturali imprevedibili come ripetono ossessivamente i vertici della protezione civile e i gerarchi di governo: " Un terremoto come questo in Giappone avrebbe avuto effetti modesti e sorprendono in particolare i danni che hanno coinvolto il cemento armato". Anche Paolo Clemente, ingegnere della Task force Enea-protezione civile, di fronte all'evidenza ha dovuto ammettere che la città è stata costruita in deroga non solo alle più banali norme antisismiche ma anche alle più elementari norme di costruzione: "gli edifici di nuova costruzione (fino a 30 anni) sono implosi tutti allo stesso modo. Si sono prima 'seduti' sulle proprie fondamenta per poi accartocciarsi al suolo sotto il proprio peso. Il collasso dei piani bassi è stato prodotto dallo schianto dei pilastri in cemento. Quel cemento certamente non era di qualità perché i cattivi costruttori utilizzano normalmente sabbia di mare che costa niente rispetto alla sabbia da cava, il problema è che è piena di cloruro di sodio che col tempo si mangia il ferro. In tal modo fatto 100 il costo della costruzione chi gioca con la qualità del cemento arriva a guadagnare fino a 50-60 mentre chi costruisce a regola d'arte è al 30".
Per quanto riguarda l'edilizia residenziale privata il monumento alla vergogna è rappresentato dal piccolo grande cimitero del condominio di Via Campo di Fossa numero 6b (75 abitanti 26 morti), progettato con il piano regolatore del 1979 sopra un campo di patate e di pomodori percorso da un fiume, al di sopra di una faglia sismica. Gli edifici sono stati costruiti su di un terreno in pendenza, dicasi "incoerente" in gergo tecnico, sbagliati furono i calcoli nella progettazione, le travi e le staffe metalliche non stavano alla distanza giusta, i pilastri erano da 30 cm per 60 invece che 80 per 80, le fondamenta molli, i piloni portanti posati quasi per caso sopra o sotto altri piloni portanti.
Gravissimo è il crollo della Casa dello studente dove hanno perso la vita molti giovani. L'edificio è l'unico sventrato rispetto alle abitazioni circostanti, si è piegato sul lato destro lasciando spuntare i ferri dalle macerie a testimonianza delle pessime modalità di costruzione. L'edificio fu costruito nella metà degli anni '60, ristrutturato nel '98 e addirittura nel 2007, era stato dichiarato sempre a norma dai controlli dei vari organi competenti ma senza essere mai messo in sicurezza.
Apparteneva alla Angelini farmaceutici (coinvolta nello scandalo della sanità abruzzese coll'allora governatore Del Turco) e per questo era conosciuto come Palazzo Angelini. Nei primi anni '70 è stato venduto all'Opera universitaria.
Gli studenti denunciano che, nonostante le continue scosse e i ripetuti segnali premonitori, nel corso degli ultimi mesi non sono stati effettuati controlli strutturali dell'edificio né dalla Regione né dalla protezione civile o dai vigili del fuoco. La magistratura ha aperto un'inchiesta anche sulla base della testimonianza di una studentessa che aveva chiesto un sopralluogo il 30 marzo perché: "continuavano a dirci che non c'era pericolo in questo sciame sismico. Nella stanza 211 da tempo c'era una crepa che veniva ristuccata di anno in anno. Ed in corrispondenza di quella crepa, il palazzo è crollato".

L'inchiesta della magistratura
L'Aquila si è rivelata dunque una città costruita sulla sabbia, e forse è questo il motivo che ha spinto Berlusconi nell'autarchico rifiuto di ogni aiuto proveniente da ogni parte del mondo. Bisogna che non si veda. Bisogna che non si sappia. Dalle circa mille verifiche di agibilità e stabilità sugli edifici de L'Aquila e della provincia effettuati in questi giorni è risultato che il 30% sono inagibili.
La Procura de L'Aquila ha aperto un'inchiesta in cui si ipotizzano i reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo e che auspichiamo vada fino in fondo nell'accertamento delle responsabilità politiche e tecniche. Ben sapendo però che lo scempio perpetrato in quella città e in quella provincia non è certo un caso isolato, visto che in tutte le grandi città del Paese la pianificazione urbanistica è stata affidata dalle istituzioni borghesi alle holding mafiose che controllano le cave che sventrano le montagne, le discariche e l'intero ciclo del calcestruzzo, comprese le aziende del "movimento terra", gli appalti e i subappalti. Il risultato è che ovunque, dal mare alle montagne regna il dissesto idrogeologico, interi quartieri sono abusivi per cui ogni calamità naturale è una tragedia nazionale, come dimenticare le consuete passerelle delle autorità e le consuete promesse in occasione della strage di bambini nella scuola a S. Giuliano di Puglia, del terremoto in Molise e Umbria, delle alluvioni in Piemonte, alta Versilia, a Sarno, Soverato e del cagliaritano, i continui crolli di scuole e palazzi per mancanza di manutenzione, errori di progettazione, materiali e infrastrutture scadenti.
Di fronte a tutto ciò, alla distesa di quasi 300 bare, alla folla disperata di senza tetto, alle migliaia di feriti, alle milioni di esistenze senza futuro, l'ineffabile capo del governo ha avuto l'ardire di affermare: "Non credo al dolo". Che è come dire: "Non credo che la speculazione edilizia abbia agito in mala fede". Proprio lui che ha in cantiere il Ponte sullo Stretto, in zona altamente sismica e il "piano casa" con il quale intende rendere sempre possibile l'autorizzazione in sanatoria per tutti gli interventi edilizi già compiuti in aree vincolate, in assenza o in difformità dall'autorizzazione paesaggistica, un vero e proprio massacro del territorio, una sorta di sanatoria perenne definita "una follia" da organizzazioni come Legambiente: "gli enti locali, i Comuni, non verranno più a sapere se una costruzione è a norma o meno. Significa che in metà Italia ognuno potrà fare quello che vuole, con tutto quello che comporta in un paese in cui metà del territorio è a rischio sismico e stiamo parlando di pericoli seri per la sicurezza degli edifici, oltre, naturalmente, al deturpamento di aree ambientali e storiche".
Occorre fermare l'"uomo della provvidenza" prima che dia il colpo di grazia ad un Paese che ha metà del territorio nazionale a rischio sismico, 4.610 comuni in zona sismica, 80mila edifici pubblici vulnerabili tra cui scuole, ospedali, uffici e quant'altro. Un Paese in cui è stato stimato che di fronte ad un terremoto di forte intensità circa il 20% degli edifici nelle zone più a rischio potrebbero subire danni strutturali, con una altissima percentuale di scuole non a norma, tra i 22mila istituti in zona sismica e 16mila in zona ad altissimo rischio sismico. Del resto le nuove norme antisismiche, sia pur insufficienti, sono pronte dal 2005 ma la loro entrata in vigore è stata posposta di anno in anno. Per l'ultimo rinvio ci ha pensato ancora una volta il governo del neoduce Berlusconi che alla chetichella ha rinviato tutto al 30 giugno 2010, decreto mille proroghe approvato alla Camera il 24 febbraio scorso: "Abbiamo deciso di procrastinare di un anno accogliendo le richieste di ingegneri ed imprenditori che chiedevano più tempo per adeguarsi alle nuove regole" affermava senza pudore il senatore Boschetto del Pdl. Da non dimenticare infine nella catena di cause che hanno portano all'ecatombe in Abruzzo i tagli ai finanziamenti alla protezione civile che saranno del 18% quest'anno e del 30% nel 2011, e la scure che si è abbattuta sulla formazione e la ricerca pubbliche di base.
Come fa allora il leader del PD Franceschini affiancato da Di Pietro a tendere la mano per salvare il governo? Come fa il presidente delle Repubblica Giorgio Napolitano a invocare la "solidarietà nazionale"?
Il fatto è che la "solidarietà nazionale" tra governo e "opposizione" parlamentare non ha niente a che vedere con la solidarietà di popolo che ha circondato fin da subito i terremotati perché cerca unicamente di nascondere le gravissime responsabilità per quest'immane tragedia che accomunano il governo centrale e le amministrazioni locali e regionali ai diversi livelli, i partiti della destra e della "sinistra" del regime neofascista e di impedire che essi siano prima individuati e poi puniti esemplarmente.

15 aprile 2009