L'alternativa di "Uniti contro la crisi" è interna al capitalismo
Incredibile silenzio sul regime neofascista e sul governo del neoduce Berlusconi
La classe operaia non ci guadagna nulla

La nuova aggregazione tuttora in via di formazione denominata "Uniti contro la crisi" si è riunita nei giorni 22 e 23 gennaio a Porto Marghera per dare vita a un seminario di studio e discussione a carattere nazionale. Nel centro sociale "Rivolta P.v.c.", uno dei più noti del Nord-Est anche per essere stata la sede dei "Disubbidienti" di Luca Casarini, dove si sono tenuti i lavori, si sono dati appuntamento, secondo gli organizzatori, oltre mille partecipanti, per lo più attivisti sindacali, dei centri sociali, del movimento degli studenti, ricercatori, precari, ambientalisti ed esponenti politici facenti parte della ex "sinistra antagonista".
Tanti i temi affrontati nei tre workshop (studio e approfondimento di un tema , in italiano) nella due giorni del meeting; "Democrazia e saperi come bene comune: verso gli stati generali della conoscenza", il primo; "Democrazia e beni comuni: tra crisi ecologica e riconversione produttiva per un nuovo modello di sviluppo", il secondo; "Democrazia e Welfare: salario, reddito, redistribuzione della ricchezza", il terzo. Con due assemblee plenarie per impostare e portare a sintesi il dibattito. Impossibile darne conto nel dettaglio. In questa sede ci interessa di più cogliere le linee principali e mettere a fuoco le caratteristiche di questo movimento di recentissima formazione ai suoi primi passi, capire chi sono i promotori, quali sono le sue finalità.

L'origine di "Uniti contro la crisi"
Di "Uniti contro la crisi" si comincia a parlarne in occasione della grande manifestazione nazionale della FIOM-CGIL del 16 ottobre del 2010, di cui proprio il segretario generale dei metalmeccanici della CGIL, Maurizio Landini, ne è uno dei principali animatori. Da quella manifestazione parte infatti l'appello di costruire in tutto il territorio nazionale i comitati "Uniti contro la crisi". In realtà, c'è un atto precedente datato 29 settembre 2010, un appello che ha per titolo proprio "Uniti contro la crisi", sottoscritto da 25 tra attivisti del mondo associativo e della FIOM tra cui Giorgio Cremaschi e Gianni Rinaldini della FIOM, Luca Casarini ex "disobbediente", Guido Viale ambientalista (ex "Quaderni piacentini" e Lotta continua), Loris Campetti de "il manifesto" per citarne alcuni. Già in questo appello ci sono un abbozzo di linea, di obiettivi e parole d'ordine , alcune di effetto ma vuote di contenuto, che saranno sviluppate e ampliate nel suddetto meeting.
Gli altri passaggi, oltre alla manifestazione del 16/10 di cui si è già detto, sono scanditi da un'affollata assemblea che si tiene il giorno dopo alla Sapienza di Roma, con la partecipazione di studenti medi e universitari, ricercatori precari, precari della scuola, centri sociali, movimento dei beni comuni e per il diritto ad abitare, nonché esponenti sindacali, come Landini della FIOM e Pantaleo della FLC-CGIL. Poi la partecipazione alla manifestazione del 14 dicembre a Roma passata alla storia come quella che ha assediato e assaltato il parlamento e sfiduciato il governo del neoduce Berlusconi. L'ultimo atto è il meeting del 22-23 gennaio.
Ma cos'è e a cosa serve "Uniti contro la crisi"? I suoi promotori usano il termine di "spazio" libero e/o comune dove mettere a confronto le esperienze di lotta, dove coagulare i vari movimenti di lotta, dove ricercare una alternativa sociale comune, possibile, al berlusconismo e alla prepotenza di Marchionne. Da qui il tentativo di mettere in collegamento la lotta dei lavoratori contro gli accordi separati di Pomigliano e Mirafiori e per la difesa del contratto nazionale di lavoro, tramite la FIOM, e quella degli studenti medi e universitari e dei ricercatori contro le "riforme" Gelmini e Aprea, e contro la legge 133 tramite la FCL-CGIL e le organizzazioni studentesche Link, Uds, ecc, le lotte ecologiste e ambientali portate avanti dal movimento per l'acqua bene comune, i comitati Chiaiano, Merano, Terzigno sul tema dei rifiuti, Rigas, No Tav e No Dal Molin, i comitati dei terremotati per la ricostruzione dell'Aquila, la lotta per la casa Action di Roma, le attività di alcuni centri sociali che si riconoscono in questa iniziativa. Il tentativo è di "costruire - affermano - un percorso che tenga insieme in modo sistemico i temi del lavoro, istruzione, diritti, ambiente, con la democrazia come elemento centrale". L'intento è buono che però possa avere successo è tutto da vedere. Anzi si possono nutrire in proposito dubbi legittimi per varie ragioni: l'eterogeneità degli aderenti; il fatto che molti di loro sono vecchi marpioni di stampo operaista, anarchico e trotzkista che cercano un modo per rilanciarsi nella scena politica, come Casarini che ha assunto un ruolo di punta, oppure Ferrero del PRC, persino un redivivo Bertinotti; un'analisi e un strategia che, sia pure non compiuta e ancora in evoluzione, appare sì ricca di rivendicazioni concrete, ma povera, manchevole e, soprattutto di stampo movimentista riformista che ricorda un po' quella assunta a suo tempo dai No global; l'influenza che i riformisti e trotzkisti del partito di Vendola e Fava e dei partiti di Ferrero e di Diliberto esercitano su questa realtà in formazione per fini, di fatto, elettoralistici.

Le carenze fondamentali di linea
Nel nome "Uniti contro la crisi" c'è il chiaro intento del tutto condivisibile dei promotori di opporsi a che la crisi economica e sociale in atto a livello internazionale e quindi anche italiana sia scaricata e fatta pagare ai lavoratori, ai giovani, alle donne, ai migranti in termini di disoccupazione, precariato, nuove povertà, perdita di diritti e di libertà, privazione dei servizi essenziali chiamati beni comuni. Si fa un gran parlare insomma della crisi, si approfondiscono nel dettaglio le conseguenze ma c'è una carenza importante sulle cause di fondo della crisi che non viene mai, o quasi, definita capitalistica e imperialista. Mettere sul banco degli imputati la crisi finanziaria, la speculazione, la finanziarizzazione dell'economica, la competizione che si sono accompagnate alla globalizzazione dei mercati, i danni provocati dal neoliberismo, il modello di sviluppo iniquo e divoratore di risorse va bene ma non è sufficiente. Si rimane alla superficie, non si coglie la causa di fondo che ha le sue radici nel sistema capitalistico stesso, nel suo modo di produzione fondato sulla proprietà dei mezzi di produzione e dei capitali e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Per quanto non siano indifferenti le forme di governo e le politiche economiche che un paese capitalistico può di volta in volta adottare esse sono sempre funzionali alla classe dominate borghese e ai suoi interessi di classe. Perché non dirlo apertamente e a voce alta! Dipende da questo se si sceglie una linea che contesta frontalmente il capitalismo oppure, in una maniera o nell'altra, si rimane dentro al capitalismo.
Ed è questa l'impressione che si ricava da quanto detto nel meeting a proposito di un "nuovo modello di sviluppo" e di alternativa "sistemica" piena di buone intenzioni che se però non è rottura col capitalismo da sostituire con una nuova società, il socialismo, si rischia una riproposizione socialdemocratica dipinta di fresco.
Un'altra carenza che abbiamo avvertito nella discussione di "Uniti contro la crisi", e che è emersa anche nel meeting, la grave sottovalutazione del regime neofascista imperante e del governo del neoduce Berlusconi che si ricava dalla assenza quasi totale di una denuncia di cosa sono e cosa rappresentano. Nessun cenno sul fatto che in Italia è stata instaurata, di fatto e potremmo dire anche di diritto (ci manca poco) una repubblica capitalistica, neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, razzista e xenofoba. Nessun accenno al fatto che Berlusconi rappresenta il nuovo Mussolini che ha restaurato il fascismo, sia pure con nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli. Non c'è alcun cenno al federalismo di Bossi che è alla base dell'ondata di razzismo e xenofobia che ha invaso il nostro Paese, e che rischia di frantumarlo in 20 statarelli, con grave pregiudizio per le regioni più povere e meno sviluppate, quelle del Sud. Va bene denunciare la linea iperliberista e neocorporativa neofascista di Marchionne, aggiungendo però che essa è parte più generale del progetto sopradetto. E questo rappresenta un passo indietro a quanto avevano espresso i manifestanti a Roma il 14 dicembre scorso.

Negazione dell'esperienza storica del proletariato internazionale
Non convince inoltre, l'assunto ripetuto un po' da tutti i principali rappresentati di "Uniti contro la crisi" secondo cui le analisi del passato sono superate, non esistono ricette già pronte per affrontare le sfide presenti, occorre dunque ripartire da zero e inventare tutto ex novo. A noi ciò appare sbagliato. Assurdo privarsi dell'esperienza storica del movimento operaio nazionale e internazionale sintetizzata a livello teorico, a nostro avviso, dal marxismo-leninismo- pensiero di Mao. Assurdo pensare che lezioni del passato non possano e non debbano servire per affrontare il presente e il futuro, per aggiornare l'analisi e adeguare la tattica. L'impressione è che questa premessa sia utilizzata per coniare "nuove" teorizzazione tutto sommato fallaci. Come quella del "superamento del lavoro", asse attorno cui conquistare diritti economici e sociali. Come il "superamento della centralità della classe operaia", non più soggetto principale e guida della lotta di classe per l'emancipazione sociale. Come quella del "reddito di cittadinanza", (vedere l'articolo sul tema che c'è su questo numero de "Il Bolscevico", ndr) assunto da "Uniti contro la crisi" come una bandiera caratterizzante; quando invece altro non è che una vecchia proposta di stampo liberale, un "ammortizzatore sociale" di tipo filantropico per contenere le contraddizioni sociali che provengono dalla mancanza di che vivere per disoccupati, precari, poveri cresciuti in modo esponenziale. E preoccupa che a sostenere questa rivendicazioni sia proprio Maurizio Landini, leader della FIOM, fino a poco tempo fa contrario, per sua stessa ammissione, perché diversiva e sostitutiva alla lotta per il diritto al lavoro, al salario, alla pensione, alla salute, allo studio, alla casa. C'è infine un'altra grande questione che nel meeting non è stata trattata ma che, indirettamente, si pone: quella del rapporto tra il Partito del proletariato e i movimenti di massa. Sì perché i promotori di "Uniti contro la crisi" fanno capire che del primo non c'è più bisogno e che il movimento è (o deve essere) autosufficiente. Una posizione questa perdente da un punto di vista strategico e dunque da contrastare. La storia a proposito parla chiaro.

Le critiche dei non invitati e degli esclusi
Il meeting di Porto Marghera era stato definito "un luogo libero e comune" "dove confrontarsi per unificare le lotte ed elaborare nuove strategie". Ma allora perché tanti non invitati o esclusi? Tra questi l'Unione dei sindacati di base (Usb). "Non c'eravamo - ha sostenuto polemicamente Pier Paolo Leonardi - perché non siamo stati invitati". All'Usb non è piaciuta l'autoreferenzialità della FIOM il quale "non è 'il' sindacato e in quanto a parzialità - ha aggiunto deve fermarsi ai suoi confini, tanto sull'ambito politico e che quello sindacale". Critiche sono venute anche da Andrea Fumagalli, esponente dell'associazione "San precario" che ha detto: "Quanto uscito dagli Stati generali della precarietà di Milano il 15 e 16 gennaio è purtroppo in aperta contraddizione rispetto alle due giorni di Marghera: mentre a Milano abbiamo lavorato alla costruzione di un 'punto di vista precario' per rilanciare la necessità di una mobilitazione sempre più ampia, che arrivi (anche) allo sciopero precario mettendo così al centro la precarietà e la precarizzazione, a Marghera si è messo al centro la crisi". "Dove sono i nuovi modelli di sciopero? Come si può pensare di 'unire contro la crisi' senza considerare che i precari non possono scioperare?". I dubbi di Paolo Vietta dei "Movimenti romani uniti contro la crisi" sul meeting di Marghera: che "ha portato molte realtà a chiedersi quanto quello spazio potesse essere praticato. Ma i workshop hanno dimostrato che non c'era spazio per contributi 'esterni' dal percorso di pressione di tutta la Cgil. Si è persa l'occasione - è la sua conclusione - per un salto di qualità reale a fronte delle costituzione di un asse strategico sindacato-movimenti: si è escluso un percorso indipendente e si è scelta una politica immaginando un governo della crisi". Più duro il commento di Luca Fagiani dei "Movimenti romani per il diritto all'abitare". Che ha affermato:"La vera ricomposizione 'contro la crisi' non c'è stata il 16 e 17 ottobre, come rivendicato da Uniti contro la crisi, ma il 14 dicembre. Così mentre a Marghera si è lavorato perché si eviti il rischio di ripetizioni di quella giornata di 'rabbia', noi crediamo che solo attraverso mille 14 dicembre si possa creare un nuovo movimento".
Concludendo, da parte nostra possiamo dire che tutto sommato la classe operaia italiana non ci guadagna nulla da questo "nuovo" movimento, anzi rischia di finire subalterna alla piccola borghesia riformista e di essere strumentalizzata ai fini elettorali dalla "sinistra" borghese, segnatamente da Vendola.

2 febbraio 2011