Con la complicità del governo Berlusconi?
Gli Usa violano la sovranità nazionale dell'Italia
La Cia ha sequestrato a Milano un imam egiziano
La procura di Milano emette un mandato di arresto per gli 007 americani
La clamorosa polemica esplosa in questi giorni intorno all'inquietante rapimento del cittadino egiziano Abu Omar avvenuto in pieno giorno nel centro di Milano il 17 febbraio 2003 ad opera di un commando di una ventina di agenti della Cia, conferma che il governo guerrafondaio del neoduce Berlusconi e quella parte della magistratura e degli apparati di informazione e sicurezza asserviti al regime neofascista e all'imperialismo italiano lavorano alacremente non solo per sostenere le aggressioni imperialiste all'Afghanistan e all'Iraq ma sono al fianco dell'Hitler della Casa Bianca Bush anche nella "guerra planetaria preventiva al terrore" dichiarata dall'amministrazione americana all'indomani dell'11 settembre 2001 contro gli "Stati canaglia" in palese violazione di tutte le norme del diritto internazionale e delle leggi e della sovranità dei Paesi alleati fra cui l'Italia. Tutto ciò nell'ambito del cosiddetto "programma di consegne straordinarie" ("extraordinary rendition") autorizzato all'indomani dell'11 settembre da Bush e da allora condotto dalla Cia su scala mondiale, che prevede il sistematico sequestro di stranieri semplicemente "sospettati" di appartenere ad Al Qaeda e la loro consegna a "paesi terzi", come Egitto, Giordania, Siria, nelle cui galere vengono sistematicamente torturati per estorcere confessioni, spingerli a collaborare con l'occidente come infiltrati o peggio ancora utilizzarli come fonti di prova per scatenare guerre preventive contro i "Paesi canaglia".
Basta leggere i primi brandelli di verità emersi a partire dal febbraio 2005 (2 anni durante i quali il governo ha mantenuto il riserbo assoluto) sul caso Abu Omar. Egli ha alle spalle una storia poco limpida. Gli archivi spionistici (americani, italiani, egiziani) lo definiscono "combattente in Afghanistan e in Bosnia". Nel 1997 sbarca a Bari. Nel '99 la questura di Roma gli riconosce lo status di rifugiato politico e gli viene rilasciato un permesso di soggiorno.
Nell'estate del 2000 Abu Omar arriva a Milano dove la Digos lo tiene sotto stretto controllo. "Misteriosamente", per una settimana dal 10 al 17 febbraio 2003, alla vigilia dell'aggressione imperialista all'Iraq (19 marzo), del "sorvegliato speciale" Abu Omar nessuno sembra preoccuparsi e gli uomini della Cia, almeno una ventina (c'è chi dice addirittura 40) tra le 12 e le 12,15 nel centro di Milano possono tranquillamente portare a termine il suo rapimento nell'ambito di un'operazione "antiterrorismo".
Abu Omar viene bloccato in via Guerzoni e nel giro di 5-6 ore viene trasferito a bordo di un furgone nella base militare americana di Aviano. Qui viene interrogato, picchiato e torturato per sette ore prima di essere consegnato, la mattina del 18 febbraio, alle autorità egiziane con un volo speciale via Ramstein. Accusato di terrorismo internazionale e di essere un reclutatore di kamikaze per conto di Al Qaeda, Omar viene rinchiuso e brutalmente torturato per mesi nelle carceri speciali de Il Cairo dove ancora oggi è detenuto e dove, a seguito delle brutali violenze subite, pare abbia perso parzialmente l'uso delle gambe e dell'udito.

Depistaggi e verità
Il 3 marzo, a due settimane dalla sua scomparsa, l'intelligence americana segnala al governo italiano che "secondo notizie che non si è in grado di verificare, Abu Omar può essere nei Balcani". Si tratta ovviamente di un'informazione costruita e diffusa ad arte per depistare. Nessuno in quel momento è infatti in grado di verificare l'informativa e la storia sembra destinata a finire nel dimenticatoio.
Ma il 20 aprile 2004 la moglie di Abu Omar, Nabila - secondo un'informativa trasmessa al Viminale e pubblicata dai giornali italiani - parla al telefono con il marito. La chiamata proviene dal "distretto di Alessandria d'Egitto". La conversazione è intercettata. Abu Omar rassicura la moglie, chiede di mandargli 200 euro e le ordina di non aprire più bocca con la stampa, ma di avvisare soltanto i fratelli.
Dunque Abu Omar è vivo, ma non si trova nei Balcani come sostiene la Cia bensì in Egitto. In quei giorni il telefono squilla anche nella casa di Mohammed Ridha, l'imam della moschea di via Quaranta, egiziano come Abu Omar e suo amico personale. I due si sentono una prima volta il pomeriggio del primo maggio e poi ancora l'8 maggio. Abu Omar rivela di aver subito torture in una stanza del ministero dell'Interno egiziano "dove mi hanno detto: `se vuoi tornare in Italia, puoi farlo in meno di 24 ore. A una condizione: che tu ti metta a lavorare per noi"'. In seguito al suo rifiuto Abu Omar viene trasferito nella prigione di Al Tora sulla Corniche del Cairo dove per diversi mesi subisce altre torture. "Mi hanno infilato in una cella frigorifera completamente nudo - racconta - doveva essere almeno a venti gradi sottozero, perché sentivo le ossa del mio corpo che si sbriciolavano. Quando ero quasi assiderato, mi hanno trascinato in una stanza che bruciava come il fuoco, almeno cinquanta gradi. Un'altra volta mi hanno disteso su un pavimento bagnato su cui hanno gettato cavi elettrici. A forza di quelle scosse ho cominciato a non muovere più bene le gambe, a non sentire più una parte della schiena".
L'obiettivo dei suoi torturatori è chiaro: vogliono "convincerlo" a "collaborare" con la Cia, usarlo come infiltrato per costruire prove false contro gli "Stati canaglia". "Mi hanno mostrato una lista con dei nomi - riferisce - in cima c'era il tuo, Mohammed Ridha, poi quello dell'imam di viale Jenner, Abu Emad. Il mio era il terzo. Mi hanno detto che se volevo uscire dovevo consegnarvi a loro".
Abu Omar si rifiuta di "collaborare" e resta rinchiuso a Tora per quattordici mesi. Nell'aprile del 2004 viene momentaneamente liberato, ma in seguito alle telefonate fatte alla moglie e a Ridha e riferite dai giornali italiani, il 12 maggio i servizi egiziani lo prelevano nella sua casa di Alessandria d'Egitto e da allora di lui non si hanno più notizie certe ma soprattutto nessuno si è finora preoccupato di accertare se ha raccontato tutta la verità.

Il silenzio delle istituzioni italiane
Risulta pertanto chiaro che la missione degli agenti Cia ha violato la nostra sovranità territoriale e il diritto internazionale; calpestato la dignità nazionale e tradito perfino la scellerata collaborazione offerta dal nostro Paese all'imperialismo americano. Ma per 2 anni e mezzo Palazzo Chigi, i ministeri della Difesa e degli Interni e perfino il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, che per legge sovrintende al lavoro dei servizi segreti, così come i capi di Sismi e Sisde e il direttore del Cesis che li coordina, il capo della Digos e del Ros di Milano non hanno detto nulla.
Un silenzio che alla luce di quanto è emerso fino ad oggi conferma che il governo, i suoi apparati di sicurezza e perfino una parte della magistratura e della polizia giudiziaria hanno offerto un tacito assenso politico se non addirittura una fattiva complicità all'operazione illegale della Cia nel nostro territorio.
Il giudice Guido Salvini, nel maggio 2004, sollecitando la prosecuzione delle indagini preliminari a carico di un gruppo di islamici che si riteneva vicino ad Abu Omar, per primo mette per iscritto i dubbi e le circostanze poco chiare che avevano segnato la scomparsa dell'egiziano più di un anno prima. "Il sequestro di Abu Omar - scriveva Salvini - potrebbe essere attribuibile a servizi di sicurezza stranieri e configurerebbe un caso di grave violazione della sovranità territoriale del nostro Paese. Perciò è di estrema importanza chiarire gli esatti contorni di questo sequestro".
Nell'autunno del 2004, l'inchiesta su Abu Omar passa di mano (il suo titolare, il pm Stefano Dambruoso, assume un incarico per le Nazioni Unite a Vienna e viene sostituito dal pm Armando Spataro) il quale non fa altro che sviluppare i dati registrati il 17 febbraio 2003 dalla "cella" telefonica che copre via Guerzoni (il luogo dove l'egiziano è stato sequestrato), per dare il giusto impulso all'indagine. Infatti risulta che la "squadra operativa" della Cia che ha compiuto il sequestro di Abu Omar ha commesso non poche "ingenuità" lasciando tracce dovunque. Lo stesso gruppo di cellulari sono in via Guerzoni intorno alle dodici. Gli stessi cellulari "si muovono" verso Aviano, poco dopo. Da quei cellulari partono telefonate al consolato americano di Milano e a un'utenza della Virginia (la Cia ha la sua sede centrale a Langley). Un cellulare di quel gruppo viaggerà fino al Cairo il giorno dopo (probabilmente accanto ad Abu Omar). Dai cellulari (italiani), gli investigatori sono risaliti a chi ha utilizzato le schede telefoniche in quei giorni e, dalle schede, alcuni nomi. Con questi è stato rintracciato l'albergo di Milano dove il gruppo ha alloggiato e l'agenzia di noleggio auto dove hanno preso in affitto i mezzi per l'operazione.
Un giochetto da ragazzi che impone un'altra riflessione: è possibile che gli agenti della Cia non sappiano che i cellulari possono essere facilmente intercettati? O, come è più probabile, non si sono curati delle tracce lasciate perché erano talmente sicuri del fatto loro che addirittura hanno ritenuto superfluo prendere opportune precauzioni? Magari proprio perché in Italia e a Roma chi di dovere era stato avvertito?
In ogni caso sulla base di queste risultanze investigative il 24 giugno il Gip milanese Chiara Nobili ha emesso 13 ordini di custodia cautelare per sequestro di persona aggravato contro altrettanti agenti della Cia che presero parte all'operazione. Per altri 6 di loro, che parteciparono ai sopralluoghi precedenti il sequestro il Gip non ha concesso l'arresto e per ora la loro identità rimane segreta. In cima ai mandati di arresto c'è Robert Seldon Lady, nato in Honduras 51 anni fa, per quattro anni a partire dal settembre del 2000 capo della stazione Cia di Milano. Gli altri 9 uomini e tre donne hanno lasciato l'Italia subito dopo il sequestro e difficilmente vi faranno ritorno anche perché i loro nominativi accertati dalla procura di Milano sono con tutta probabilità nomi di copertura. Un 14° ordine di cattura a firma del giudice Salvini viene emesso lo stesso giorno a carico di Abu Omar accusato di terrorismo internazionale.

Tante tracce ma poche indagini
Dunque non si capisce come mai con in mano i tracciati telefonici, note d'albergo, foto, contratti di noleggio auto, l'inchiesta per due anni sia rimasta praticamente al palo. Come mai il Pm Stefano Dambruoso, "punta di diamante" del pool antiterrorismo della procura di Milano fino all'aprile del 2004, non ha preso in considerazione queste elementari prove documentali che da sole avrebbero contribuito a risolvere il caso nel giro di pochi giorni?
In un libro pubblicato nel maggio 2004, Dambruoso liquida come una "bizzarra dietrologia" la possibilità che sia stata la Cia a rapire Abu Omar, nonostante che, come ha scritto Salvini, all'epoca è gia noto a tutti che l'imam era stato sequestrato da un'intelligence occidentale.
Appare a dir poco incomprensibile la palese negligenza con cui la procura di Milano ha liquidato l'ipotesi del coinvolgimento della Cia. Come è del tutto illogico non aver chiesto, fino al 5 aprile di quest'anno, l'arresto di Abu Omar sospettato dalla procura milanese di essere l'organizzatore della rete terroristica italiana.
La sola logica che può spiegare la sequela di errori marchiani commessi dalla procura di Milano e delle errate conclusioni a cui è giunta, è quella di aver fatto da sponda alle operazioni illegali della Cia.
Non sarebbe la prima volta; basta ricordare ciò che fece la procura di Roma quando ha indagato sul personaggio che mise insieme e consegnò agli inglesi e (con la complicità dell'intelligence italiana) agli americani, il falso dossier sull'uranio nigeriano che divenne, nelle parole di Bush, la "prova" che Saddam radunava armi di distruzione di massa e che costituisce la causa formale dell'aggressione imperialista all'Iraq.
Perciò è plausibile pensare che anche la procura di Milano abbia ricevuto dallo spionaggio americano informazioni prive di attendibilità costruite ad arte per necessità politica e, a indagine conclusa, gliele abbia restituite con il timbro di attendibilità di un'inchiesta giudiziaria in un circolo vizioso che di fatto rappresenta una tecnica di disinformazione.
Soltanto in questo contesto, che chiama in causa Casa Bianca, governo italiano, servizi segreti italiani e stranieri, polizia giudiziaria, magistratura, possono trovare una ragione accettabile le negligenze della procura di Milano.
E di conseguenza, quale ruolo hanno avuto il governo e i suoi apparati nella "guerra al terrorismo internazionale" pianificata da Washington? Quali altre attività illegali sono state autorizzate dal governo e realizzate non solo dagli apparati di sicurezza, ma anche dalla polizia giudiziaria? Qual è stato il grado di coinvolgimento della magistratura?
Su questi inquietanti interrogativi il neoduce Berlusconi continua a tacere. Il 30 giugno, il ministro per i Rapporti con il parlamento Carlo Giovanardi ha riferito al Senato che "lo svolgimento di qualsiasi operazione in ogni modo riconducibile al quadro tratteggiato dai media con riferimento all'episodio del febbraio 2003, non è mai stato portato a conoscenza del governo e delle istituzioni nazionali". Inoltre, ha aggiunto Giovanardi, "non è neppure ipotizzabile che sia mai stata in alcun modo autorizzata qualsivoglia operazione di questa specie né a maggior ragione il coinvolgimento nella stessa di apparati italiani".
Il 1° luglio Berlusconi ha incontrato per oltre un'ora l'ambasciatore americano Mel Sembler. Durante l'incontro, si legge nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi "il premier ha rappresentato a Sembler l'indispensabile esigenza del pieno rispetto della sovranità italiana da parte degli Stati Uniti. L'ambasciatore americano, a nome del suo governo, ha ribadito che questo rispetto è pieno e totale e non verrà meno in futuro". Tutto qui. Non una parola su chi, come, dove e quando è stato o meno informato dell'operazione Abu Omar. Al termine dell'incontro Sembler ha però aggiunto che "Gli Stati Uniti hanno coerentemente rispettato l'autorità sovrana del governo italiano in passato e continueranno a farlo". Una dichiarazione che letta tra le righe lascia capire che in realtà l'Italia era stata informata della missione di "extraordinary rendition" a carico di Abu Omar. Una verità confermata anche da diversi agenti della stessa Cia, fra cui Michael Scheur e Reuel Gerecht. Il primo ha dichiarato che ad autorizzare l'operazione è stato il direttore del Sismi Niccolò Pollari. Il secondo ha aggiunto: "Escludo nel modo più categorico che una operazione come quella di Milano sia stata condotta unilateralmente, senza il consenso dei massimi livelli politici italiani".
In effetti, appare a dir poco incredibile che un manipolo di agenti americani sequestra una persona, per giunta pedinata dai servizi italiani, in pieno giorno nel cuore più controllato, osservato, spiato, ascoltato, monitorato della Milano "islamica" e nessuno, a cominciare dal governo, ne sa niente.
E comunque, anche se così fossero andate le cose, perché il governo non si è ancora deciso a presentare una formale protesta diplomatica contro l'operazione della Cia in Italia per violazione della sovranità nazionale?

6 luglio 2005