Varato dal governo Berlusconi
Il federalismo fiscale è un passo decisivo verso lo stato federale che abbatte lo stato borghese unitario
Ne pagano le conseguenze le regioni del Sud e quelle più povere e le masse popolari
Calderoli: "hanno votato la bozza da an al PRC"
Dopo avere incassato il consenso ufficiale di Regioni, Comuni e Province, il Consiglio dei ministri ha approvato venerdì 3 ottobre il disegno di legge delega sul federalismo fiscale. La riforma sarà presentata come collegato alla Finanziaria e dovrà perciò ottenere il via libera delle Camere entro dicembre. Nei prossimi due anni, ossia entro la fine del 2010, il governo s'impegnerà a emanare i decreti legislativi per riempire di contenuti il provvedimento. Considerati infine i cinque anni di tempo per transitare al nuovo modello, il federalismo fiscale dovrebbe andare a regime nel 2015. Da quella data in avanti l'Italia sarà a tutti gli effetti uno stato federale, in cui Comuni, Province, città metropolitane e Regioni godranno di un'autonomia di entrata e di spesa, andando a rompere di fatto lo Stato borghese unitario in venti staterelli e a sovvertire perfino l'attuale ordinamento costituzionale. Non per nulla, come ha ammesso Calderoli, "l'utilizzo della legge delega e dei decreti attuativi dovrebbe consentire un percorso parallelo del federalismo fiscale e di quello costituzionale". Quest'ultimo, è noto, sarà un mix tra la devolution del 2005 (bocciata in massa dal popolo nel referendum confermativo del 2006) e la cosiddetta bozza Violante, a riprova del continuo clima di inciucio tra i due poli del regime neofascista per costruire insieme la terza repubblica.
Infatti, l'obiettivo dichiarato della Lega è di procedere passo passo puntando sulla "condivisione" del progetto con le opposizioni. Del resto, è stato proprio il continuo confronto con gli enti locali di "centro-destra" e di "centro-sinistra" a modificare in più parti l'iniziale bozza Calderoli, tant'è che lo stesso ministro in camicia nero-verde alla Semplificazione alla fine ha potuto vantare con orgoglio che "hanno votato la bozza da AN al PRC". Come stupirsi di tanta sintonia? In fondo, come ha confermato dalle pagine di Repubblica (4 ottobre, 2008) il neopodestà di Torino, il rinnegato Sergio Chiamparino (PD), dopo il confronto con Regioni, Province e Comuni il disegno di legge delega fascio-leghista è "diventato solidale e molto simile all'impostazione che al federalismo aveva dato il governo Prodi".
Insomma, pur di non sfigurare agli occhi della borghesia, non smentito neppure da Veltroni, anzi confermato nella sua tesi dai recenti editoriali de l'Unità, Chiamparino smania per vedere assegnato al Governo Prodi il "merito" dell'ennesima porcata di Calderoli!

Il federalismo fiscale moltiplica i balzelli
Analizziamo allora quanta solidarietà c'è nel federalismo Prodi-Calderoli. Seppure attualmente il disegno di legge delega è, per usare le parole di Calderoli, "uno scheletro", ovvero un insieme di princìpi che andranno riempiti di contenuti e numeri durante l'iter parlamentare e il confronto con gli enti locali, tuttavia i paletti già fissati non promettono nulla di buono alle masse popolari, sia del Sud che del Nord. Di sicuro i princìpi affermati di "autonomia fiscale" degli enti locali e di "territorialità delle imposte" non assicurano affatto una riduzione delle tasse, come si millanta di continuo. È vero anzi il contrario.
Infatti, lo spostamento della fiscalità dallo Stato centrale alle Regioni ed enti locali, comporterà nella migliore delle ipotesi una diminuzione dell'aliquota Irpef nazionale corrispondente a un aumento dell'addizionale Irpef regionale, un gioco in apparenza a somma zero ma con ricadute certamente negative per le masse, considerata la possibilità dei governatori di introdurre a loro volta nuove tasse regionali (per esempio sul bollo e sulla benzina per finanziare leggi speciali per lo sviluppo industriale) e dei neopodestà di imporre nuove tasse di scopo comunali per finanziare iniziative locali (per esempio le manifestazioni turistiche, la costruzione di una strada e così via).

Al Sud previsti servizi da Terzo Mondo
Il federalismo fiscale, oltretutto, agirà come una mannaia sui servizi pubblici, soprattutto del Mezzogiorno. Introducendo il principio dei "costi standard" nelle prestazioni di sanità, scuola, assistenza e trasporti si è deciso di ricondurre in pratica i costi dei servizi a quelli della Regione più efficiente (la Lombardia). Questo significa che le Regioni più povere (per esempio Basilicata e Calabria), pur disponendo di minore capacità contributiva e non potendo più ricorrere alla "spesa storica", dovranno per forza spendere come le più virtuose. Dal momento che per loro, considerati i rispettivi rapporti tra spese ed entrate, è chiaramente un'impresa impossibile, saranno costrette ad accedere al fondo perequativo nazionale, gestito però non dallo Stato ma dai governatori, in quanto finanziato non dalla fiscalità generale ma dal gettito Iva delle singole Regioni: in pratica il fondo perequativo sarà alimentato soprattutto dai soldi delle Regioni più ricche, che dunque concederanno finanziamenti alle Regioni più povere dettandone le condizioni di accesso (la strada più facile da percorrere sarà sicuramente ordinare il taglio della spesa sociale). Un iter che con tutta evidenza condanna il Sud a essere nulla più che una colonia del Nord. Altro che federalismo solidale. Semmai solidale con i padroni del Nord, che avranno carta bianca di fare ciò che vogliono del Mezzogiorno.
Anche le masse del Nord hanno poco da rallegrarsi. Le Regioni settentrionali, a loro volta, per confermarsi virtuose, ricorreranno sempre più alla sussidiarietà, un percorso del resto già intrapreso e che comporta una progressiva privatizzazione dei servizi sociali.
In conclusione, il federalismo fiscale comporterà un inasprimento delle tasse locali in cambio di minori servizi pubblici. I servizi sociali, al Nord come al Sud, saranno progressivamente sempre più erogati dai privati e quindi messi sul mercato a fini di profitto, andando a demolire i "diritti di cittadinanza" sanciti dalla Costituzione del '48, figlia del compromesso raggiunto tra la borghesia di "sinistra" e il PCI revisionista e ormai ridotta a carta straccia dall'attuale regime neofascista.

15 ottobre 2008