(I crimini dell'Inquizione) (Che cos'è la Sacra Congregazione)

Il Vaticano ridimensiona l'Inquisizione 

Dopo averla preceduta da una martellante campagna propagandistica nel marzo 2000 a S. Pietro il papa pronunciò il famoso "mea culpa per le colpe dei figli della chiesa". La proclamata "svolta" dopo secoli di omertà sui millenari crimini del papato - si basava sugli atti di un simposio vaticano svoltosi dal 29 al 31 ottobre 1998 nella Santa sede e organizzato dal Comitato centrale del Grande Giubileo dell'Anno 2000, presieduto dal cardinale Roger Etchegaray e dalla Commissione teologico-storica dello stesso organismo, presieduta dal padre domenicano Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia, attualmente cardinale. All'incontro presero parte una sessantina di persone: storici di parte pontificia di vari paesi, teologi di università pontificie, curiali, più alcuni esperti invitati tra cui Werner Maleczek, Peter Segl e Bernard Montagnes. Svoltosi rigorosamente a porte chiuse, era stata fatta promessa di una veloce pubblicazione degli Atti che però non furono resi pubblici "per alcuni problemi di salute dei curatori del volume" fu la spiegazione ufficiale.
Sorse allora il sospetto che si trattasse di un'operazione tattica e di facciata, di una manovra tesa a facilitare la penetrazione del cattolicesimo tra i "laici", e recuperare terreno tra i credenti di altre religioni, in primo luogo mussulmani, ma anche ebrei ed ortodossi, anche perché le parole del papa erano vaghe e prive di riferimenti precisi. Egli disse: "Signore, Dio di tutti gli uomini, in certe epoche della storia i cristiani hanno talvolta accondisceso a metodi di intolleranza e non hanno seguito il grande comandamento dell'amore, deturpando così il volto della chiesa tua sposa. Abbi misericordia dei tuoi figli peccatori e accogli il nostro proposito di cercare di promuovere la verità nella dolcezza della carità, ben sapendo che la verità non si impone che in virtù della stessa verità". Tutto qua.

Un'operazione demagogica
Lo stesso papa Wojtyla, recentemente tornato sull'argomento, precisa e avverte che "prima di chiedere scusa bisogna stabilire esattamente per che cosa... Per l'opinione pubblica - osserva Giovanni Paolo II - l'Inquisizione è quasi il simbolo dell'antitestimonianza e dello scandalo", della intolleranza e della violenza usate "al servizio della verità". "Ma in che misura - si domanda il papa - questa immagine è fedele alla realtà?". Il 16 giugno scorso compaiono finalmente, in un voluminoso dossier pubblicato dalla Biblioteca vaticana, le 29 relazioni del convegno pregiubilare dal quale si apprende che la "verità vaticana" è un deciso colpo di forbici sulla cosiddetta "leggenda nera sull'inquisizione", in particolare su quelli che il curatore Agostino Borromeo definisce "luoghi comuni" come la tortura facile o l'impressionante numero di eretici mandati al rogo. Le cosiddette "colpe nel servizio della verità sono tutte da ridimensionare", secondo gli studiosi raccolti in Vaticano, perché si tratta di "dati minimi", 36 donne mandate in fumo in Italia e appena 59 le "streghe" che risultano bruciate in Spagna. Borromeo si dilunga in statistiche e calcola che soltanto il tre per cento degli oltre quarantamila procedimenti dell'Inquisizione spagnola, tra il 1540 e il 1700, approdò alle fiamme "salvifiche", che per la maggior parte fu responsabilità delle autorità civili.
Ne deriva fuori che l'Inquisizione non fu poi così crudele come si credeva. La colpa è ammessa per pochi casi a denti stretti, ma i colpevoli ottengono più di una attenuante. Ad esempio non è prevista alcuna condanna postuma per i papi che perpetrarono l'Inquisizione. Anche a questo proposito arriva in soccorso la lettera del papa. Bisogna distinguere - afferma - tra il "sensum fidei" e la "mentalità dominante di una determinata epoca". Ogni fatto e ogni papa, cioè, vanno giudicati nel loro tempo, non con la coscienza dei giorni nostri, ammesso e non concesso che oggi non si parli più di tortura.
Gli storici e i teologi vaticani, tra cui si distinguono per disonestà intellettuale i vari Prosperi, Ginzburg, Bennassar, Tedeschi, Merlo, Firpo etc. fanno ogni sforzo per presentare l'istituto della Congregazione della "Santa Inquisizione" dell'eretica gravità e il suo Santissimo Tribunale, con un volto umano, tra l'esercizio di una rigorosa legalità e una caritatevole soavità nei confronti dei reprobi a loro affidati. La revisione assolutoria dei crimini della "Santa Inquisizione" è condotta con l'omertà che basta a trasfigurare in "errori", "debolezze umane", "casi specifici" la continuità e la ferrea, spietata logica di potere delle istituzioni giudiziarie della chiesa cattolica al servizio di uno stato teocratico e dittatoriale fondato sul razzismo e sul terrore che ha imprigionato, per secoli, nell'oscurantismo e fanatismo religioso l'Europa feudale intera.

Giustificati e ridimensionati i crimini commessi
Si insiste molto ad esempio sulla "buona fede" dei giudici, i loro sforzi "per arginare sospetti e intolleranza" e "per non far soffrire gli imputati" fino ad affermare che "...finché la letteratura sull'Inquisizione è stata soprattutto di origine protestante... si è potuto tranquillamente demonizzare quell'istituzione ad esaltarne le vittime come martiri della verità. Una nozione schematica e superficiale" (A. Prosperi, 1988). Più recentemente, lo zelo si è spinto fino ad affermare che "l'eresia fu oggetto degli affanni inquisitoriali solo in minima parte e in periodi circoscritti. Il più del tempo gli inquisitori lo dedicavano a truffatori che si fingevano preti, bigami e trigami, fattucchieri denunciati da clienti delusi... gli eretici veri e propri erano quasi tutti frati e preti" e persino che "la repressione dell'eresia" sarebbe stata "condivisa dalla società civile nel suo complesso". Per concludere, che "visto che gli eretici erano i primi a non volere la tolleranza né tanto meno l'equivalenza delle fedi, si sarebbero comportati (e dove furono maggioranza si comportarono) come gli inquisitori, e anche peggio" (Rino Cammileri, 1998).
Insomma giustificazionismo e revisionismo storico a tutto spiano, altro che "mea culpa". La richiesta di perdono del papa si riduce infatti alla condanna di Galileo Galilei ma non al rogo di Giordano Bruno. Ecco cosa dicono i documenti vaticani a proposito del coraggioso filosofo nolano: "Il Santissimo Tribunale che non amava versare il sangue e preferiva salvare le anime trattò con caritatevole pazienza e severa clemenza Giordano Bruno il quale, del resto, era litigioso ed insopportabilmente pieno di sé, pertinace e impenitente, nella cui tattica difensiva avevan gran parte le bestemmie più orribili... Fu questo il motivo per cui lo condussero al rogo con la bocca serrata "(Rino Cammileri, 2000).
La damnatio-correctio memoriae (la condanna e correzione di quei fatti) giubilare è stata insomma nient'altro che un insieme di documenti che convergono nel ribadire la legalità, addirittura quasi "garantista" dell'istituto inquisitorio, nel mettere in luce la severa clemenza nel perseguire i reprobi dei quali, come nel caso di Giordano Bruno, si ammette l'ostinazione e la pervicacia ("...ed insomma il meschino, se l'Iddio non l'aiuta, vuol morire ostinatamente ed essere abbruciato vivo", Avviso dell'inquisizione romana, 12 febbraio 1600, sabato).
Quello che viene sfumato, distorto, censurato è il discorso sui fondamenti, le procedure e il ruolo storico centrale che ha avuto il processo inquisitorio durante i secoli bui della dittatura della chiesa e delle classi dominanti sfruttatrici a lei alleate con lo strascico dei suoi principi fondanti lasciati in eredità alla chiesa cattolica "moderna".
Tutta questa vicenda testimonia che per lo Stato monarchico e teocratico del Vaticano è impossibile prendere veramente le distanze dalla "Santa Inquisizione" perché ciò significherebbe negare il proprio atto di nascita e quel metodo di governo del potere temporale della chiesa cattolica che rispondeva fedelmente alla sua dottrina e ai suoi principi oscurantisti e assolutisti. Il papa e i cardinali non hanno alcuna seria intenzione di negare il pilastro portante dell'enorme potere esercitato dalla chiesa nei secoli. E questa vicenda, insieme allo studio attento della millenaria storia di ingiustizie della chiesa cattolica, ci insegna che le gerarchie ecclesiastiche, per la loro stessa natura e funzione, non sono riformabili ma che possono e debbono essere sconfitte con la realizzazione del socialismo, un obiettivo che può essere condiviso della maggior parte dei cattolici di sinistra, così come dai credenti delle altre religioni.
7 luglio 2004