Attaccando il comunismo e ponendosi, a parole, al di sopra della destra e della sinistra
Veltroni lancia da Torino il manifesto liberale e presidenzialista del PD
Bertinotti lo esalta. Montezemolo: "Affronta i temi giusti, i nostri"

Preceduta da una sapiente campagna mediatica, con un sostegno senza precedenti della grande stampa borghese, da La Repubblica, al Corriere della Sera e a La Stampa, nonché di Rai3 e del Tg1 di Riotta, si è svolta il 27 giugno al Lingotto di Torino la convention all'americana in cui Walter Veltroni ha annunciato la sua candidatura alla guida del nascituro Partito democratico.
Una candidatura che gli era stata richiesta a gran voce, bruciando i tempi e la procedura stabiliti per la scelta del futuro leader del PD, per far fronte al precipitare della grave crisi politica e di immagine in cui si dibatte il "centro-sinistra", a causa della caduta verticale di consensi provocata dalla politica antipopolare del governo Prodi, evidenziata anche dal tracollo elettorale alle recenti amministrative, e anche a causa del riesplodere della questione morale per il coinvolgimento del vertice della Quercia nella sporca vicenda delle scalate bancarie.
Veltroni, che da tempo preparava la sua scesa in campo, che però immaginava in una fase più avanzata, ha dovuto accettare questo rischioso ruolo di "uomo della provvidenza" della "sinistra" borghese, pena il rischio di un aborto prematuro e della legislatura e del Partito democratico stesso.

Come un set cinematografico
Fin da subito il neopodestà di Roma ha voluto imprimere il suo personale marchio di fabbrica a questa accettazione, anticipando quella che sarà la cifra costante della sua campagna di candidato leader del PD e di candidato premier del "centro-sinistra": la spettacolarizzazione mediatica all'americana della politica, sull'esempio del neoduce Berlusconi, di cui Veltroni rappresenta in questo campo il suo alter ego nella "sinistra" borghese.
È così che ha preparato la manifestazione del Lingotto come un set cinematografico di cui egli era al tempo stesso regista e primo attore: dalla scelta preventiva della "location", con l'invio di emissari giorni prima a studiare i siti più adatti, alla scenografia hollywoodiana con proiezione di immagini accuratamente studiate alle sue spalle, dai megaschermi per il pubblico alla scelta dei colori (verde, arancione) e delle musiche, e perfino con la lettura dell'intervento senza fogli scritti, servendosi di un "gobbo" (un congegno elettronico al laser di recentissima introduzione dagli Stati Uniti che solo Montezemolo aveva usato finora), per dare un effetto più teatrale alla sua presenza in scena.
La stessa scelta di Torino è carica di significati simbolici e politici per dare la massima enfasi alla sua scesa in campo. Intanto perché fu in questa città, nel 2000 e proprio al Lingotto, che tenne un congresso dei DS quando era segretario, con cui completò l'ingresso del partito della Quercia nel campo del liberalismo, accelerandone la crisi e la disintegrazione in correnti, anticamera del suo recente scioglimento, prima di andare a riciclarsi politicamente come neopodestà di Roma. Ma anche perché, come ha sottolineato Veltroni stesso nel suo intervento, Torino è stata la prima capitale d'Italia (del regno d'Italia sabaudo, ndr), ed è quindi "un richiamo alla nostra unità nazionale, all'unità del Paese". Oltre ad essere la città storica della grande borghesia industriale e finanziaria a cui egli ha inteso rivolgersi direttamente (in sala erano presenti numerosi suoi rappresentanti) e uno dei poli principali di quel Nord produttivo che il PD si propone di riconquistare.
È da questo palcoscenico mediatico accuratamente scelto e sapientemente organizzato, dunque, che Veltroni ha annunciato la sua candidatura praticamente unica a leader del PD, lanciando con essa il suo manifesto liberale e presidenzialista. Con un intervento a cui ha impresso subito un tono nazionalista e patriottardo, annunciando con enfasi che "fare un'Italia nuova", "riunire l'Italia", "unire gli italiani, Nord e Sud, giovani e anziani, operai e lavoratori autonomi", è la "ragione, la missione, il senso del Partito democratico". Un partito "del nuovo millennio", le cui radici fa risalire addirittura a De Gasperi (da lui esaltato quasi come il "padre della patria"), e la cui ideazione attribuisce a Romano Prodi: come ammettere che il PD è l'erede diretto e il continuatore della storia della DC.
E difatti, per sgombrare il campo dal minimo sospetto che il nascituro partito possa avere anche il più pallido legame con la storia del comunismo, per lui ormai morto e sepolto, dopo aver ricordato che egli e D'Alema non esitarono a lanciare il Paese nella guerra nei Balcani per "difendere i diritti umani", Veltroni ha detto: "Personalmente ho creduto alla prospettiva del Partito democratico anche quando pareva difficile, quando era considerata lontana e impossibile. Mi sembrava che con l'abbattimento del Muro, con la vittoria della libertà sulle dittature comuniste (sic), potesse aprirsi un tempo nuovo. Un tempo di libertà, un tempo di ricerca fuori dai recinti ideologici, un tempo di curiosità intellettuale e di incontro con l'altro. Un tempo di ponti e non più di fili spinati".

Anticomunismo e interclassismo
L'anticomunismo è dunque per l'amerikano Veltroni, che ormai professa apertamente il culto di Kennedy e Clinton, il cemento ideologico su cui si fonda il Partito democratico. Un partito "libero da ideologismi" perché, ha detto, se l'Europa "è andata a destra in questi anni", è "perché la sinistra è apparsa imprigionata, salvo eccezioni in schemi che l'hanno fatta apparire vecchia e conservatrice, ideologica e chiusa". Per cui il PD deve "bandire dalla sua cultura politica ogni pregiudizio classista": "La battaglia - ha detto citando un altro dei suoi modelli preferiti, il socialdemocratico svedese Olof Palme - non è contro la ricchezza, è contro la povertà". E basta con le divisioni ormai superate tra destra e sinistra: "la ripresa economica non è di destra né di sinistra: è un bene per tutto il Paese". Così come la "sicurezza" dal pericolo rappresentato da un'immigrazione non controllata, che "non è né di destra né di sinistra, e chi governa ha il dovere di fare di tutto per garantirla", assicurando e aumentando "la presenza dello Stato sul territorio". Governare l'economia e lo Stato capitalisti come e con più efficacia della destra: questo è l'obiettivo che il neopodestà di Roma indica per il Partito democratico di cui si candida a leader.
È in questo rigido quadro che egli indica le priorità da perseguire con piglio decisionista, tra cui manco a dirlo la Tav e gli inceneritori, secondo quello che lui chiama l'"ambientalismo dei sì". Come anche un "nuovo patto generazionale", che tolga per esempio risorse dalle pensioni per sostenere misure contro il precariato: "Il sindacato - ha detto infatti Veltroni - non deve tutelare solo i pensionati o coloro che hanno già un posto di lavoro, ma deve saper tutelare anche i giovani che faticano a entrare nel mondo del lavoro". Una scusa ipocrita per tagliare le pensioni, come sta tentando di fare il governo Prodi. Intervistato qualche giorno dopo da Riotta, Veltroni lo ha detto fuori dai denti: "C'è una trattativa in corso con i sindacati, ma ritengo l'aumento dell'età pensionabile un fatto assolutamente obiettivo". Peraltro senza garantire nulla ai giovani, dal momento che il governo Prodi ha già mostrato chiaramente di non voler abrogare la legge Biagi né altri provvedimenti altrettanto infami fatti dal governo Berlusconi.
A questo riguardo il candidato leader del PD è stato chiaro: "È sbagliato che ogni nuovo governo si senta in diritto di smantellare sempre e comunque tutte le leggi varate dal governo precedente. Non è possibile che tutto ciò che è stato fatto da chi c'era prima di te, se era dello schieramento avverso, sia sempre sbagliato", ha sentenziato mettendo una pietra tombale sulle residue speranze degli elettori di sinistra di vedere almeno abrogate le leggi più odiose del governo precedente. "Berlusconi ha sbagliato tanto, ma ha fatto anche cose giuste", insisterà poi Veltroni in una successiva intervista a La7. Aggiungendo che "anche nella legge costituzionale poi bocciata dal referendum c'erano cose ragionevoli".

Legge elettorale e controriforma costituzionale
Tutto ciò gli è servito per lanciare un altro dei suoi cavalli di battaglia classici: l'appello alla destra borghese a "farla finita con lo scontro feroce e con i veleni, con le polemiche che diventano insulto. Il Paese di tutto questo è stanco, non ne può più". "Voltiamo pagina. Facciamo in modo, per la prima volta da quindici anni, che non si formino più schieramenti 'contro' qualcuno, ma schieramenti 'per' affrontare le grandi sfide dell'Italia moderna", ha aggiunto Veltroni con un chiaro invito consociativo alla Casa del fascio. Non per nulla tempo fa, elogiando il nuovo gabinetto Sarkozy (che non si vergogna di considerare un suo modello), Veltroni aveva detto che il suo sogno sarebbe di avere accanto a sé Gianni Letta in un suo ipotetico governo. Da notare che in tutto il suo lungo intervento durato oltre un'ora e mezzo, non ha mai attaccato il neoduce Berlusconi, anzi non l'ha mai neppure nominato, ma ne ha solo fatto accenni indiretti, e sempre per rivolgergli inviti alla collaborazione interclassista in nome delle "cose da fare" per "modernizzare" l'economia e le istituzioni capitaliste.
Quali cose? Prime fra tutte la nuova legge elettorale maggioritaria e la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. Una nuova legge elettorale è "urgente e necessaria", perché "l'Italia (leggi il sistema capitalistico italiano) ha bisogno di stabilità", ha detto Veltroni indicando nel sistema elettorale maggioritario a doppio turno francese un modello da seguire. A sostegno di ciò ha citato la "stabilità" registrata in questi anni nei Comuni e nelle Regioni, dove a suo dire "i poteri locali sono divenuti un motore prepotente dello sviluppo italiano e dell'incremento del Pil. Con una costante crescita, specie per i Comuni, nel gradimento dei cittadini verso le istituzioni".
È evidente in ciò il proposito di autoincensarsi come sindaco della capitale, per indicare la sua esperienza come un modello da applicare anche per il governo della nazione, tant'è che ama proporsi come "sindaco d'Italia". Ma il suo governo della capitale non è affatto quel modello di "buongoverno" che egli e i compiacenti mass-media di regime vogliono far credere. Basti pensare alla politica di privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi pubblici, all'emergenza sfratti, alla politica repressiva contro i Rom, alla compiacenza verso l'invadenza vaticana nella cosa pubblica (al punto dal voler intitolare la stazione Termini al papa nero Wojtyla), l'apertura ai fascisti, con l'abbandono di Roma alle loro sempre più proterve e impunite scorribande, e così via. Non per nulla don Sardelli, il prete romano che lo accusa di aver abbandonato le periferie della capitale e di aver portato "un codazzo di fotografi sulla tomba di Don Milani", lo definisce "sindaco della quantità e non della qualità", che godrà pure di consensi, ma "anche Ciancimino, a Palermo, era amato. E Mussolini fu applaudito".
Per Veltroni oltre alla legge elettorale deve cambiare anche il sistema istituzionale: tagliare il numero dei parlamentari, abolire il bicameralismo, approvare la legge finanziaria "senza lo stillicidio degli emendamenti in aula". Ma soprattutto occorre dare più poteri al premier perché, proclama il presidenzialista Veltroni, "l'Italia è diventata il Paese in cui tutti, a tutti i livelli, hanno il diritto di mettere veti e nessuno ha il diritto di decidere". "Un paese - ha sottolineato l'aspirante duce della 'sinistra' borghese - può perdere la sua democrazia per 'eccesso' di decisione, ma può anche perderla per 'difetto' di decisione. Gli italiani vogliono che il governo che guida il Paese possa assumere su di sé decisioni e responsabilità, e che ne risponda. E vogliono sceglierlo. Come in altre democrazie, che funzionano".

Un nuovo imbroglione della "sinistra" borghese
Riuscirà l'anticomunista, presidenzialista e amerikano Veltroni nel difficile compito di traghettare la "sinistra" borghese fuori dal pantano in cui si dibatte e dare finalmente alla luce il mostriciattolo del PD, per sostituire l'anatra ormai zoppa Prodi e riguadagnare il terreno perduto nei confronti della destra borghese? Certo la sua immagine e il suo programma liberista e presidenzialista mascherato di demagogia "buonista", godono di un sostegno vastissimo, che va dalla Confindustria di Montezemolo alla "sinistra radicale" di Bertinotti e Mussi, da settori del Vaticano e della chiesa all'elettorato "laicista" del "centro-sinistra".
Per Bertinotti il neopodestà di Roma è ottimo "come leader del Partito democratico e pure come candidato premier del centrosinistra", e lo considera, insieme a Segolene Royal, tra i leader delle "nuove soggettività" che possono tracciare una "via d'uscita al declino della sinistra in Europa".
Montezemolo, nel rallegrarsi che con Veltroni "in politica entri una persona di qualità" (lode che l'interessato ha ricambiato esprimendo la sua "stima" al presidente di Confindustria), ha sottolineato con sommo compiacimento che "tutti i temi di Veltroni al Lingotto sono esattamente i miei temi, quelli della relazione all'assemblea che qualche settimana fa tante polemiche provocò".
Persino la destra gli riconosce rispetto e affinità di idee e di programmi. In un fondo su il quotidiano fascista Secolo d'Italia, dal significativo titolo "Il progressista che ora dice cose di destra", si mette in guardia la Casa del fascio dal rischio che uno come Veltroni possa farle concorrenza sul suo stesso terreno: "Attenti, questo se non stiamo attenti ci scippa pure l'opposizione".
Di certo con questo furbo, ambizioso e "moderno" politicante borghese, la "sinistra" del regime neofascista riprende fiato e riacquista un po' di credito, ma bisognerà vedere quanto durerà l'effetto. Come è già successo con Prodi, la classe operaia e le masse lavoratrici e popolari non tarderanno ad accorgersi di che pasta è fatto questo nuovo imbroglione messo in campo dalla classe dominante borghese per far loro ingoiare meglio le ricette liberiste e la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione.

4 luglio 2007