Al comizio di piazza Navona
Vendola lancia il "Cantiere per l'alternativa" riformista aperto all'Udc
Il leader di Sel e aspirante premier del "centro-sinistra": "Non cedere alla scorciatoia della violenza"

Sinistra, ecologia e libertà (SEL) si candida al governo del Paese e Vendola a futuro premier a capo di una ipotetica ampia coalizione di "centro-sinistra". Questo il senso della prima manifestazione nazionale del partito del governatore pugliese, a un anno dal suo congresso di fondazione, che si è tenuta a Roma, in piazza Navona, sabato 1° ottobre con lo slogan "Ora tocca a noi".
In una piazza dove spicca più il bianco che il rosso e non si intravede neanche una falce e martello, in un comizio torrenziale Vendola ha infatti lanciato il "cantiere per l'alternativa" riformista aperto anche all'UDC e chiesto subito le primarie del "centro-sinistra" contando di beneficiare del vento in poppa e della crisi interna al PD.
Vendola, con il solito linguaggio barocco e utilizzando ormai il suo consueto lessico borghese e cattolico, ha dato per scontata "l'agonia della destra" e la fine del berlusconismo e di Berlusconi del quale va a colpire più gli aspetti secondari e superficiali che la sostanza neofascista e mussoliniana del suo regime, che anzi neppure sfiora.
Ha avuto parole di elogio per il nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano; reso onore al liberale Alterio Spinelli, alla Costituzione borghese e persino all'Inno di Mameli decantato da Benigni. Infine, ha abbracciato e coccolato il già prodiano Arturo Parisi e l'anticomunista Antonio Di Pietro intervenuti alla kermesse.
"Guai a pensare a un ulivo dove siamo noi tre (PD, IDV e SEL, ndr) che ci riuniamo - ha sostenuto Vendola -. Dobbiamo tenere aperto il cantiere dell'alternativa e aprire le porte ai giovani, ai maestri, ai ricercatori, alle donne, insomma al mondo". È evidente che il "mondo" di Vendola va ormai ben al di là dei movimenti dei lavoratori, dei precari, degli studenti e delle masse in lotta. A cominciare dal mondo imprenditoriale "che non sta tutto nel recinto di viale dell'Astronomia" (sede della Confindustria) e con il quale vuole dialogare, a partire dai concetti di "stabilità" e "innovazione". E sul piano politico pensa all'Udc di Casini al quale manda segnali rassicuranti là dove spergiura di aver abbandonato ormai i "fantasmi del passato", ossia di aver rinnegato completamente i suoi trascorsi di comunista e di esser pronto ad "accogliere chi è diverso da noi".
Vendola è perfettamente consapevole che le contraddizioni di classe e sociali si stanno facendo sempre più acute e si propone di condizionarle, snaturarle, comprimerle su un terreno riformista, elettoralista, parlamentarista e governativo.
"Prepariamoci a una stagione molto dura, ad un autunno caldo e incandescente. Noi dobbiamo essere nel conflitto senza cedere alla scorciatoia della violenza", ha indicato il leader di SEL. E perché mai le masse dovrebbero precludersi qualsiasi opzione, anche l'uso di metodi di lotta duri e violenti, pur di liberarsi del nuovo Mussolini? Hanno forse seguito questa strada i nostri partigiani nella Resistenza? O, più recentemente, i popoli del nord Africa che si sono liberati dei loro dittatori?
Per Vendola occorre dare una "risposta politica" all'"indignazione che monta", "dobbiamo indirizzarla verso il cambiamento". In parole povere egli vuole cavalcare l'"indignazione che monta" a meri fini elettorali e governativi e per mettere il morso all'opposizione sociale impedendo che essa cresca e maturi su un piano antigovernativo e anticapitalista. E infatti quello che egli propone non è affatto un cambiamento reale.
Non si può certo affidare il "cambiamento" a un ipotetico futuro governo la cui composizione si colloca ancora più a destra di quello del democristiano Prodi che tanti danni ha provocato al proletariato e alle masse e ha di fatto spianato la strada al neoduce Berlusconi.
Non si può certo parlare di "cambiamento" quando ciò che si propone è la vecchia ricetta riformista del cosiddetto "nuovo modello di sviluppo". La verità è che non esiste nessuna teoria e nessuna ricetta in grado di far cambiare natura al capitalismo e al massimo si può tentare, come vorrebbe Vendola, di abbellirlo per renderlo un po' più presentabile agli occhi degli oppressi e degli sfruttati.
L'unica strada è sopprimerlo e costruire sopra le sue macerie un sistema economico, sociale, istituzionale e statale completamente nuovo e socialista. Questo è il vero cambiamento di cui l'Italia ha bisogno e che Vendola, la cui vocazione neoliberale e democristiana è ormai nota, si guarda bene dal proporre.

12 ottobre 2011