Vergognosa vicenda dei due marò
Non sono eroi, ma assassini di due pescatori indiani

Il ministero dell'Interno indiano ha affidato l'1 aprile all'Agenzia nazionale di investigazione (Nia) lo svolgimento di nuove indagini riguardanti l'incidente del 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala quando due fucilieri del battaglione S. Marco in servizio di scorta anti-terrorismo sulla petroliera italiana Enrica Lexie avevano ucciso due pescatori scambiati per pirati. Il risultato delle nuove indagini sarà consegnato ai magistrati della Corte Speciale, istituita dal governo indiano con l'incarico di procedere direttamente al giudizio. Secondo Nuova Dehli l'incidente è avvenuto in acque "contigue" a quelle territoriali e quindi sotto il controllo della Marina indiana come definito dalle leggi internazionali.
La Enrica Lexie non era in acque internazionali, nel caso la giurisdizione potrebbe passare alla magistratura italiana, come aveva sostenuto in un primo momento il governo Monti; una posizione insostenibile e quindi abbandonata fino all'11 marzo scorso quando l'aveva replicata e aveva deciso di non far tornare in India i due marò rientrati in Italia con un permesso temporaneo per le elezioni, concordato con le autorità indiane. E rimangiata il 21 marzo a fronte della protesta di Deli e della palese violazione degli accordi definiti. Non è dato sapere quando e se il tira e molla tra Roma e Deli sarà chiuso dalla Corte speciale indiana; possiamo già dire però che si tratta di una vicenda vergognosa che spaccia i due marò quasi da eroi, in nome della difesa "dell'orgoglio nazionale", mentre si tratta di assassini di due pescatori indiani, in attesa di giudizio.
I due militari erano a bordo della nave italiana in base alla legge 130 del luglio 2011, approvata dall'allora governo Berlusconi, che autorizzava per la prima volta militari italiani armati a viaggiare su navi mercantili private come scorta in funzione anti-pirati e antiterroristi. Una legge che salvaguardava solo gli interessi imperialisti dell'Italia tanto che non prevedeva accordi con paesi nelle cui acque potevano transitare le navi coi militari a bordo. E la Enrica Lexie, dopo l'uccisione dei pescatori scambiati da pirati, farà velocemente rotta verso le acque internazionali per sfuggire alla giurisdizione indiana, verso l'impunità.
In seguito all'allarme lanciato dal peschereccio indiano saranno le autorità del Kerala a intimare al capitano della nave di tornare al porto di Kochi, nel Kerala meridionale, dove i due militari saranno arrestati il 19 febbraio 2012 con l'accusa di aver ucciso i due pescatori. Accusa prima negata e poi riconosciuta dall'Italia, confermata dalla perizia sulle armi in dotazione ai militari. In attesa che il tribunale del Kerala decidesse sulla sua legittimità a processare i due marò il governo italiano ha patteggiato il versamento di un contributo alle famiglie dei due pescatori affinché venissero risarcite e si ritirassero dal processo, con un procedimento non privato ma definito da un tribunale indiano. Nel dicembre scorso Roma e Deli hanno firmato un accordo bilaterale che stabilisce che se i marò saranno condannati da un tribunale indiano, sconteranno la pena in carceri italiane.
Il 18 gennaio scorso la Corte Suprema indiana aveva sottratto la vicenda allo Stato del Kerala, in attesa di indirizzarla verso una Corte speciale. Tanto è bastato al governo Monti per tentare un colpo di mano e l'11 marzo avvisava che "l'Italia ha informato il Governo indiano che, stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati, i fucilieri di Marina non faranno rientro in India alla scadenza del permesso loro concesso". Così affermava una nota della Farnesina mentre il ministro degli Esteri Giulio Terzi, indicato quale ministro da Fini ma ora vicino e in stretta sintonia con Berlusconi, chiosava: "la giurisdizione è italiana". Il 21 marzo sarà il governo, con una nota di Palazzo Chigi, a spiegare che i due marò dovevano tornare in India. Col parere contrario del ministro degli Esteri, che il 26 marzo si dimetterà. E con l'avallo di Napolitano che taceva sul comportamento del governo e si spendeva solo per apprezzare il "senso di responsabilità" con cui i due marò hanno accolto la decisione del governo augurandosi un "sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni". Quali, la richiesta di impunità? In sintonia col bellicista Terzi che elogiava i due marò e si dimetteva in parlamento perché "ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l'onorabilità del paese, delle forze armate e della diplomazia italiana", ovvero dell'imperialismo italiano, difendendo due assassini.

3 aprile 2013