Il vertice Fao sulla sicurezza alimentare non tocca lo strapotere delle multinazionali alimentari
850 milioni di persone continuano a soffrire la fame

Il vertice della Fao, l'agenzia dell'Onu per l'Alimentazione e l'agricoltura, che si è tenuto dal 3 al 5 giugno presso la sede dell'organismo a Roma, si è chiuso con un comunicato finale letto dal presidente Diouf e approvato per acclamazione, pur con le riserve di Argentina, Venezuela, Cuba, Ecuador, Nicaragua e Bolivia, nel quale si prospettano soluzioni che nella migliore delle ipotesi faranno crescere il numero degli 850 milioni di persone che continuano a soffrire la fame. Tante parole e promesse di investimenti ma nessuna soluzione concreta per bloccare il vertiginoso aumento dei prezzi dei generi alimentari o per regolamentare lo sviluppo delle bioenergie che alimentano la spirale dei prezzi. In altre parole per intervenire sul nodo centrale dell'emergenza fame generato dall'imperialismo e dallo strapotere delle multinazionali del settore che controllano mercato e prezzi.
La tribuna del vertice Fao è servita da passerella per numerosi capi di Stato e di governo che a fronte dell'emergenza fame si sono sbracciati a promettere soldi e avanzare proposte che non scalfiscono il potere di controllo imperialista sulle produzioni e sui mercati. È stato solo il presidente iraniano Ahmadinejad a denunciare coraggiosamente le responsabilità delle grandi potenze imperialiste e delle multinazionali, nel discorso che pubblichiamo a parte.
Il presidente Giorgio Napolitano ha chiesto un "governo" della globalizzazione, in sintonia col premier spagnolo Luis Zapatero che l'affiderebbe all'Onu e che ha proposto inoltre la scrittura di una "Carta della sovranità alimentare", senza dire da chi già la vìola. Berlusconi ha chiesto di togliere dai parametri di Maastricht, che vincolano la politica di bilancio dei paesi Ue, gli aiuti ai paesi poveri come se la limitazione degli aiuti fosse colpa della Ue; il presidente francese Nicolas Sarkozi ha promesso 50 milioni subito, più di quelli chiesti dalla Fao, e un miliardo da spendere in cinque anni nell'Africa subsahariana, con un occhio particolare alle ex colonie francesi. La presenza degli Usa era garantita dal ministro per l'Agricoltura Ed Schafer il mastino controllore per conto di Bush che ha vigilato affinché dal vertice non uscissero sorprese. Il presidente Lula Da Silva ha difeso a spada tratta i suoi agrocarburanti e gli interessi del Brasile, secondo produttore mondiale dietro gli Usa, limitandosi a un'accusa alle compagnie petrolifere per l'aumento del prezzo del greggio e alla grande speculazione finanziaria sui prezzi dei cereali e sugli alimenti in genere.
Eppure, rilanciare la lotta contro fame e povertà era la sfida che si erano assunti gli oltre quaranta fra capi di Stato, ministri e delegati riuniti a Roma. Basta parole, è il momento dei fatti, affermava il direttore generale della Fao, il senegalese Jacques Diouf, per "permettere a 862 milioni di affamati di godere del più fondamentale dei diritti umani umani: quello al cibo, e quindi alla vita". Avrebbe potuto anche dare un segnale concreto da parte della Fao che nei prossimi due anni spenderà 784 milioni di dollari, dei quali almeno la metà è dissipata per mantenere la struttura burocratica dell'organizzazione.
Il summit era aperto dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, con un appello ad aumentare la produzione di cibo del 50% per far fronte alla domanda di qui al 2030 e ha sollecitato i paesi donatori a stanziare fino a 20 miliardi di dollari all'anno per diversi anni. Quindi nessun intervento sui prezzi e avanti col libero mercato secondo le regole dell'Organizzazione mondiale per il commercio (Wto).
Eppure anche il direttore del Programma Ambientale dell'Onu, Achim Steiner, affermava che "abbiamo cibo sufficiente per sfamare tutti gli abitanti di questo pianeta ma l'accesso al cibo è distorto dai mercati". E Jean Ziegler, relatore speciale sul diritto all'alimentazione per la Commissione sui diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, denunciava che "la situazione è degenerata a causa dalle compagnie che fanno investimenti di private equity nel mercato alimentare approfittando del prevedibile andamento dei prezzi". Mentre Anthony Costello, direttore dell'Institute for Global Health di Londra affermava che "la ragione principale dell'aumento dei prezzi agricoli è la speculazione che sta investendo tutti i beni essenziali: petrolio, oro e metalli. Le risorse alimentari andrebbero messe al riparo dalle speculazioni degli hedge funds che traggono profitto dall'innalzamento dei prezzi a spese della vita di migliaia di esseri umani".
Speculazioni finanziarie di cui beneficiano le multinazionali del settore. Cargill, Continental, Louis Dreyfus, Bunge&Born e Toepfer controllano il 90 percento del mercato cerealicolo globale con la protezione di Usa, Ue, Wto, Fondo monetario e Banca mondiale. Nel 2007 i loro profitti sono cresciuti dal 20 al 70%, di pari passo con l'impennata dei prezzi.
Il documento finale del vertice chiede ai paesi membri del Wto di impegnarsi "a stabilire un regime agricolo internazionale più corretto e orientato al mercato", il salvifico mercato. Dei biocarburanti, su pressione di Usa, Ue e Brasile, ne tratta solo al dodicesimo punto e con la "semplice raccomandazione" di procedere a studi più approfonditi sul loro impatto nella crisi alimentare. Quando secondo lo stesso Fmi, la crescente domanda di biocarburanti è responsabile di un aumento dei prezzi del cibo tra il 20 e il 30%.
La Fao riconferma inoltre "gli obiettivi del millennio" tra i quali quello sempre più irraggiungibile di dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati. La promessa assunta nel vertice del 1996, quando a rischio di sopravvivenza erano 800 milioni; oggi sono almeno 854 milioni. Ai quali se ne agggiungeranno altri 100 milioni se i prezzi dei prodotti agricoli resteranno agli alti livelli di oggi per i prossimi dieci anni, come prevede la Fao.

11 giugno 2008