Per fronteggiare la crisi economica e finanziaria dell'imperialismo europeo
Il vertice Ue sollecitato dalla Germania impone la disciplina di ferro sui bilanci
Niente per la crescita e per il lavoro ai giovani. La Merkel fa marcia indietro sul commissariamento della Grecia
Contestato dai lavoratori belgi in sciopero dopo 19 anni

Il vertice informale dell'Unione europea (Ue) del 30 gennaio a Bruxelles aveva sul tavolo varie questioni a partire dal decidere misure a sostegno della crescita economica alla creazione di posti di lavoro soprattutto per i giovani, dalla definizione delle nuove norme sul controllo dei bilanci statali alla creazione di un nuovo fondo cosiddetto "salva stati" per soccorrere i paesi in difficoltà finanziarie. La parte del leone l'hanno fatta le misure per fronteggiare la crisi economica e finanziaria dell'imperialismo europeo, con 25 dei 27 paesi membri che hanno accettato l'imposizione da parte della Germania di una disciplina di ferro sui bilanci e di norme punitive per chi sgarra; la Gran Bretagna si era già chiamata fuori nel precedente vertice di dicembre e ad essa si è aggiunta la Repubblica Ceca.
La Polonia ha puntato i piedi fino alla fine non per disaccordo sul testo ma perché, pur non facendo parte dell'euro, chiedeva di partecipare agli incontri dei paesi dell'eurozona dove si decidono gli impegni a difesa della moneta comune. Il compromesso è stato raggiunto con l'intesa che la Polonia sarà invitata alle riunioni quando verranno discussi temi specifici. Recuperato il governo di Varsavia, l'asse Merkel-Sarkozy, cui si è agganciato Mario Monti, ha tirato dritto scontando la perdita di un altro paese dal gruppo, l'Europa a più velocità è un dato di fatto. Ma anche restare nel gruppo non vuol dire rose e fiori, si possono pagare prezzi salatissimi, vedi la Grecia che la Merkel voleva addirittura commissariare.
Il "Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria" definisce nuove regole che prevedono che i paesi Ue s'impegnino ad avere il deficit sostanzialmente in equilibrio, con uno scostamento massimo dello 0,5% rispetto al Pil; una "regola d'oro" che dovrà essere inserita nelle costituzioni dei paesi membri o assumere forme di legge equivalenti. Alla Corte di giustizia Ue il compito di verificare la corretta trasposizione di questa norma nelle legislazioni nazionali. La Corte ha anche il compito di infliggere multe pari allo 0,1% del Pil in caso di mancato rispetto dello scostamento massimo previsto. Nel caso in cui il deficit di un paese superi la soglia del 3%, scatteranno ulteriori sanzioni. Una politica di rigoroso controllo dei bilanci come voleva la Merkel. Che ha dato il segno di come vorrebbe fossero applicati i contenuti del trattato nella proposta di commissariamento della Grecia discussa a margine del vertice.
Berlino ordinava: "la Grecia deve accettare una cessione di sovranità a livello europeo per un certo periodo di tempo. Deve essere nominato dall'Eurogruppo un commissario al bilancio con l'obiettivo di assicurare il controllo di bilancio e con il potere di porre il veto sulle decisioni non i linea con gli obiettivi di bilancio" definiti in sede Ue. La proposta era respinta non solo dal governo greco ma anche da altri paesi europei e perfino dal presidente dell'eurogruppo, Jean-Claude Jun-
cker, che la definiva "inaccettabile". E la Merkel doveva fare un passo indietro.
La ratifica del patto di bilancio è condizione indispensabile per i singoli paesi per poter accedere agli aiuti del nuovo fondo salva-stati, il fondo permanente per la stabilità (Esm) che entrerà in funzione a luglio. L'Esm dovrà sostituire il precedente fondo provvisorio messo in piedi per contenere la crisi finanziaria nella zona euro aperta dalla Grecia e alimentata dalle difficoltà di Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. Non convince molti economisti il limite di 500 miliardi della dotazione, ritenuto non del tutto sufficiente a tamponare crisi di liquidità anche solo temporanee se colpiscono paesi di una certa dimensione come Spagna e Italia. Il suo intervento è inoltre previsto solo in caso di richiesta ufficiale di aiuto da parte del paese in difficoltà che non solo deve rendere pubblico il suo problema ma anche sottoscrivere un accordo accettando nuovi impegni, condizioni, monitoraggi. Cedendo un pezzo di sovranità.
Nella parte che riguarda le misure a sostegno della crescita economica e la creazione di posti di lavoro il documento finale dei 27, questa volta uniti, afferma che "occorre fare di più affinché l'Europa superi la crisi". Cosa fare? Lo deciderà il Consiglio europeo convocato a marzo che definirà le "linee guida" sulle politiche economiche e per l'occupazione dei singoli Paesi membri. Cose concrete non se ne vedono. O meglio ci sono ma di segno inverso quando si afferma che occorre accelerare le riforme strutturali per migliorare la "competitività" e questo creerebbe nuovi posti di lavoro. Altro non è che la riproposizione della medicina liberista che non funziona in periodi normali, nondimeno in piena crisi economica e a recessione avviata.
Quando poi il documento finale afferma che per tentare di risolvere gli squilibri del mercato del lavoro in Europa, "segnato da carenze di figure professionali in alcuni paesi, compensate da un eccesso in altri Stati membri, il consiglio europeo promette di fare progressi nell'acquisizione e nella preservazione dei diritti pensionistici dei lavoratori migranti". Una beffa evidenziata dalla falcidia dei diritti pensionistici dettata dalla Ue e eseguita puntualmente da tanti governi, quello di Monti in testa.
Il nuovo Trattato dovrebbe essere firmato al vertice dell'1 e 2 marzo e entrare in vigore il primo gennaio del 2013, previa ratifica da parte di 12 paesi dell'Eurozona.
Lo hanno già bocciato i lavoratori belgi che in concomitanza col vertice europeo davano vita al primo sciopero generale di 24 ore da 19 anni, indetto dai tre principali sindacati contro le misure di austerità varate dal governo del premier socialista Di Rupo, una manovra da 11 miliardi di euro che ha un peso notevole se si considerano le piccole dimensioni del paese. Tra gli interventi più contestati l'aumento dell'età pensionabile per alcune categorie di lavoratori e la riduzione dei sussidi ai disoccupati.
I lavoratori delle ferrovie iniziavano il blocco della circolazione dei treni già il 29 gennaio e si fermavano i convogli all'interno del paese e i collegamenti internazionali. Chiuse molte fabbriche, in particolare quelle delle grandi multinazionali presenti nel nord del Belgio, fra le quali gli stabilimenti di Audi e Volvo. Bloccati i porti e gli aeroporti, compresi gli scali internazionali presso la capitale che ha costretto diversi partecipanti al vertice Ue a passare da altre parti.
Davanti a molte fabbriche e ministeri i lavoratori hanno organizzato dei picchetti per bloccare l'ingresso anche a funzionari e dirigenti. Blocchi stradali fermavano la circolazione sulle principali vie di accesso a Bruxelles e a molte altre città.

1 febbraio 2012