Viva l'8 Marzo, Giornata internazionale delle donne
Col PMLI, per l'emancipazione femminile e il socialismo

di Monica Martenghi *

Quest'anno cade il centenario dell'evento che ha segnato la storia della lotta delle masse femminili italiane e del mondo intero per la propria emancipazione lungo un intero secolo. Nel 1908, 129 operaie della Cotton di New York morirono nell'incendio della fabbrica in cui il padrone le aveva rinchiuse per rappresaglia. Quelle operaie lottavano contro le disumane condizioni di sfruttamento in cui erano costrette a lavorare.
Questo tragico evento indusse la seconda Conferenza delle donne socialiste (ancora non era avvenuta la scissione fra marxiste-leniniste e socialdemocratiche), riunite il 27 agosto 1910 a Copenaghen, a istituire, su proposta delle marxiste-leniniste russe ispirate da Lenin, la giornata internazionale delle donne da celebrare ogni anno in una domenica di febbraio e marzo.
In seguito, la Conferenza delle donne comuniste (oggi si direbbe marxiste-leniniste), il 14 giugno 1921, decise di adottare "la data dell'8 Marzo come Giornata internazionale dell'operaia, giorno della prima manifestazione delle operaie di Pietrogrado contro lo zarismo". Quella manifestazione dell'8 Marzo 1917, che vide scendere in piazza a Pietrogrado centinaia di migliaia di donne contro la guerra e per rivendicare pane e pace, è ricordata come la scintilla che diede fuoco alle polveri della rivoluzione di febbraio, preludio della Grande Rivoluzione d'Ottobre.
L'8 Marzo ha dunque una chiara origine proletaria e marxista-leninista e sta a significare il ruolo decisivo che le masse femminili hanno nella lotta politica e sociale e quanto la lotta per la loro emancipazione sia legata indissolubilmente alla lotta di classe e alla lotta per il socialismo.

La condizione femminile in Italia
È passato un secolo da allora, ma ancora le masse femminili sono ben lontane dall'aver vinto la loro guerra contro lo sfruttamento capitalistico e la disuguaglianza fra i sessi.
Non solo perché le operaie e gli operai continuano a morire bruciati vivi nelle fabbriche, come è successo alla ThyssenKrupp, ma perché le masse femminili sono costrette a subire ogni sorta di discriminazione economica, sociale, sessuale, familiare e maritale. Nel mondo più povero e arretrato, ma anche nei paesi più ricchi e avanzati dell'Occidente capitalistico, compresa l'Italia.
Nel nostro Paese solo il 46,3% delle donne riesce a lavorare. Ben 7 milioni di donne in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro. Al Sud la percentuale di occupazione femminile crolla al 34,7% rispetto al 57,2% del Nord.
Dal 1993 al 2006 le occupate sono cresciute di 1.469 mila unità nel Centro-Nord e solo di 215 mila nel Sud. Sono circa 110 mila le giovanissime che tra il 2006 e il primo trimestre 2007 hanno addirittura smesso di cercare lavoro e ora vengono chiamate "inattive". Tra i 35 e i 44 anni, la fascia di età in cui si lavora di più, al Nord lavorano 75 donne su 100; al centro sono 68; al Sud solo 42. Il 13,5% delle lavoratrici è costretta a lasciare il lavoro definitivamente dopo il primo figlio.
Ormai l'Italia è diventata il fanalino di coda in Europa per l'occupazione femminile. Dopo di noi c'è solo Malta. Secondo un rapporto del World Economic Forum (Wef) del 2007, su il divario tra uomini e donne in 128 paesi, l'Italia è passata dalla 77ª alla 84ª posizione.
Quando lavorano, a parità di posizione professionale, le donne ricevono un salario o uno stipendio mediamente inferiore del 15% rispetto agli uomini. Sono le prime vittime del precariato e dei lavori stagionali e a part-time che dimezzano i loro salari e diritti.
La fatica quotidiana delle masse femminili è incommensurabile. Se sono disoccupate sono povere o poverissime, faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, sono succubi e dipendenti dalla famiglia di origine o dal marito. Se lavorano ricevono salari e stipendi da fame, condizioni di lavoro sempre più brutali e autoritarie e sono costrette a una doppia schiavitù salariata e domestica.
Comunque vada, tutto il lavoro familiare e domestico, specie la cura dei figli, degli anziani, dei malati, ricade nella quasi totalità sulle loro spalle perché servizi sociali pubblici non ci sono, specie al Sud, o sono insufficienti e sempre più cari. Un dato per tutti: l'accesso agli asili nido in altri paesi europei è del 50-60%, in Italia solo del 9%. Il tempo che le donne italiane dedicano ogni giorno al lavoro familiare è in media 5 ore e 20 minuti, contro 1 ora e 35 minuti degli uomini. È stato calcolato che il lavoro delle donne in casa equivale a un fatturato di 433 mila milioni di euro, un terzo del PIL nazionale.
Le masse femminili italiane sono prigioniere di una concezione della famiglia borghese e cattolica, così com'è sancita dall'articolo 29 della Costituzione e come la chiesa cattolica e la CEI di Ruini e Bagnasco cercano di imporre a tutto il Paese.
Una concezione borghese, antifemminile e medievale che vuole le donne "angeli del focolare" e fattrici di mano d'opera a basso costo. Il risultato è che in Italia sono state approvate le norme più restrittive al mondo sulla fecondazione assistita, le coppie di fatto e gay non sono state riconosciute, e adesso si è passati all'assalto dei diritti acquisiti come la legge 194 sull'aborto. Un assalto non solo verbale ma anche concreto, come dimostra l'irruzione della polizia a Napoli nella stanza di una donna che aveva appena effettuato un aborto terapeutico.
Una vera e propria caccia alle streghe con il tentativo di paragonare le donne che abortiscono a delle assassine e ai boia, come ha fatto il rinnegato Giuliano Ferrara chiedendo la moratoria sull'aborto dopo quella sulla pena di morte.

Il governo Prodi e le masse femminili
Sono ormai quarant'anni che le masse femminili italiane hanno posto decisamente la questione del diritto al lavoro, ai servizi sociali, alla parità fra i sessi, a una nuova concezione della famiglia e della sessualità. Si sono succeduti governi di "centro-destra" e di "centro-sinistra" ma nulla è cambiato se non quando le masse femminili li hanno costretti con la lotta a concedere loro dei diritti almeno sul piano formale.
Il governo del dittatore democristiano Prodi, sostenuto anche dai partiti falsi comunisti PRC e PdCI, non è riuscito a risolvere uno solo dei problemi delle masse femminili. Anzi, esso ha proseguito e peggiorato la via dei governi del neoduce Berlusconi in politica interna e in quella estera. Non ha voluto mettere le mani nemmeno sulla legge 40 sulla fecondazione assistita; ha rinunciato in partenza ai pur minimali Pacs; ha avuto un atteggimento cedevole e dialogante sulla legge 194; non ha alzato un dito per impedire al Vaticano e alla CEI di spadroneggiare e ingerirsi negli affari interni dello Stato italiano.
Al contrario, ha fatto propria la triade mussoliniana "Dio, patria e famiglia" attraverso una linea economica, sociale e fiscale apertamente familista. La stessa che oggi eredita il PD di Veltroni, il quale pensa di liquidare la questione femminile con la "dote fiscale per i figli".
Perché mai le masse femminili dovrebbero piangere per la caduta del governo Prodi? Perché mai esse dovrebbero continuare a votare per i partiti che l'hanno sostenuto? Perché mai dovrebbero votare Sinistra arcobaleno che gli ha retto il sacco, che ha completamente abbandonato non solo la falce e martello, ma la via maestra dell'emancipazione femminile per sposare il femminismo borghese che tanti danni e fallimenti ha prodotto sul movimento delle donne, a cominciare dalla deleteria teoria della "differenza sessuale", che di fatto ha spalancato le porte al familismo dilagante?
Emancipazione femminile, socialismo e astensionismo
Sul piano elettorale le masse femminili devono prendere in seria considerazione l'astensionismo (disertare le urne, votare nullo o bianco) per battere la destra e la "sinistra" del regime capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista; lottare contro i piani di Berlusconi e Veltroni della terza repubblica; per l'Italia unita, rossa e socialista. Alle fautrici e ai fautori del socialismo noi chiediamo di abbandonare ogni illusione elettorale, parlamentare, riformista e governativa, mollare i falsi partiti comunisti e votare il PMLI e il socialismo attraverso l'astensionismo e lavorare per realizzare il progetto strategico della creazione delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo da contrapporre a quelle della borghesia e dei sostenitori del capitalismo.
Occorre ricucire il filo rosso della lotta per l'emancipazione della donna che in Italia ha conosciuto i suoi apici nella Grande Rivolta del Sessantotto di cui quest'anno ricorre il 40° anniversario. È quella stagione di grandi lotte operaie, giovanili e femminili che ha dato i maggiori frutti anche nel campo della conquista dei diritti sociali, civili e familiari delle donne.
È la lotta di classe per il socialismo la via per la conquista dell'emancipazione. A cominciare dalle due grandi battaglie strategiche per il lavoro e la socializzazione del lavoro domestico. Perché non c'è emancipazione senza indipendenza economica e una partecipazione larga e piena delle donne al lavoro sociale. Perché non c'è emancipazione senza strappare le donne alla schiavitù domestica che le subordina alla famiglia e al marito, le emargina, le abbrutisce, le esaurisce fisicamente e mentalmente per 365 giorni l'anno.
Il che significa innanzitutto e nell'immediato battersi per un'occupazione stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le donne e per imporre la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici, in primo luogo gli asili nido, in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno.
Significa anche difendere con i denti i diritti acquisiti come la legge 194 e aggredire il familismo mussoliniano imperante rivendicando la piena parità di donne e uomini in campo politico, sociale, sindacale, professionale e familiare, i diritti civili, pari diritti per le coppie di fatto, anche omosessuali, l'abolizione della legge 40 sulla fecondazione assistita e la legittimazione delle ricerche e delle sperimentazioni di biogenetica sugli embrioni e i feti, la difesa dei diritti previdenziali acquisiti, la difesa di una sanità e di un sistema assistenziale pubblici e gratuiti.

Appello a unirsi al PMLI
Alle fautrici del socialismo e alle ragazze rivoluzionarie che vogliono rimettere in moto la lotta di classe in Italia e riallacciare il filo rosso della lotta per l'emancipazione femminile chiediamo di unirsi al PMLI, l'unico Partito che ha dato prova di avere veramente a cuore l'emancipazione femminile come parte integrante e inseparabile della lotta per l'emancipazione del proletariato e dell'intera umanità.
A voi che non avete gettato alle ortiche la lotta contro il capitalismo, le sue istituzioni e i suoi governi; a voi che non volete rinunciare all'obiettivo della conquista di una nuova società senza più ingiustizie, sfruttamento, guerre imperialiste, noi chiediamo di far vostra e gridare forte la parola d'ordine: Con il PMLI, per l'emancipazione femminile e il socialismo.
Fatelo ora, subito, il prima possibile. Avrete così l'occasione di dare il vostro contributo al successo del 5° Congresso nazionale del PMLI che verrà celebrato entro quest'anno.
Buon 8 Marzo, care militanti e simpatizzanti del Partito, che sull'esempio della rimpianta compagna Lucia, che tanta importanza dava al proselitismo femminile, state facendo enormi sacrifici per costruire un grande, forte e radicato PMLI.
Buon 8 Marzo operaie, pensionate, disoccupate, precarie, studentesse, migranti che tanto soffrite la barbarie del capitalismo e dell'imperialismo e tanto vi battete, anche in questi giorni, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle Università e nelle piazze per difendere i vostri diritti, il lavoro, contro la monnezza, contro il raddoppio della base Usa a Vicenza, la Tav, per la giustizia, il progresso sociale e contro la guerra imperialista.
Viva l'8 Marzo!
Viva l'emancipazione femminile!
Viva l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
 
* Responsabile della Commissione per il lavoro femminile del CC del PMLI

27 febbraio 2008