Viva la "meglio gioventù" che scende in piazza
Ma deve lottare contro il capitalismo, per il socialismo

di Federico Picerni*
Su iniziativa del Comitato "Il nostro tempo è adesso", per il 26 maggio è stata lanciata una manifestazione a Roma contro la precarietà e la controriforma Fornero del lavoro dal titolo: "La meglio gioventù scende in piazza"; vi ha aderito anche la Rete della Conoscenza. Evviva! Ci voleva proprio, di fronte ad una "riforma" del lavoro, quella a firma della Marchionne del governo Monti, Elsa Fornero, che aggrava la precarietà cancellando l'art. 18 e gli "ammortizzatori sociali", a livelli di lavoro in nero e precarietà giovanile da paura e alla disoccupazione giovanile al 36%, ancora più alta se si tiene conto dei "Neet" (chi non studia né cerca lavoro). Si preannuncia quindi una piazza importante e combattiva, sia perché è un'occasione per rimettere in campo giovani precari, disoccupati e studenti insieme, sia perché auspichiamo possa contribuire alla lotta contro il tecnocrate liberista borghese Monti.
L'appello stigmatizza la controriforma Fornero come "una truffa per tutti e in primo luogo per i giovani", perché non fa nulla per risolvere le enormi emergenze sociali della precarietà e della disoccupazione, e critica l'Aspi ("assicurazione sociale per l'impiego") perché "lascerà fuori buona parte dei lavoratori precari". Continua l'appello: "Si è cercato, in questi anni, di dividere i padri dai figli, le madri dalle figlie, i 'garantiti' dai 'non-garantiti'. Noi pensiamo che ci siano oggi, come ieri, i ricchi e i poveri, chi vive di sfruttamento e speculazione e chi vive di lavoro. Per questo vogliamo mobilitarci assieme ai nostri padri e alle nostri madri, perché vogliamo unire due generazioni nella difesa dei diritti e nella lotta contro la precarietà, perché non è vero che non c'è alternativa alla disperazione attuale. (...) La precarietà significa essere costretti a sopravvivere e si manifesta nella fotografia del diritto allo studio negato, delle scuole che crollano, dell'aumento delle tasse all'università, dell'impossibilità di scioperare o dire no di fronte a un sopruso sul lavoro, di non poter amare la nostra compagna o il nostro compagno, di pagare un affitto o comprarsi una lavatrice ed essere indipendenti". L'appello rivendica contratti stabili al posto delle 46 forme contrattuali attuali, diritti sul lavoro, investimenti in università e ricerca, una patrimoniale "che colpisca chi finora non ha mai pagato la crisi".
Si tratta di rivendicazioni importanti, specie la presa di posizione contro il governo della grande finanza e dell'UE e il rifiuto della falsa contrapposizione fra "garantiti e non garantiti", nonché il (seppur tiepido) riconoscimento della lotta di classe, ma invitiamo i precari ad approfondirle, in particolare sugli obiettivi strategici.
Un forte limite che si rileva, infatti, è che nonostante le suddette critiche, l'appello non propone di cacciare il governo Monti, che è l'unico modo per fermare il massacro sociale in atto. Né chiede lo sciopero generale con questo obiettivo, quando invece sarebbe opportuno che tutte le masse in lotta, compresi i precari, lo richiedessero a gran voce per fare pressione sui sindacati, in primis la CGIL, affinché venga proclamato. Viene però il sospetto che in questo c'entri l'influenza sul Comitato promotore esercitata dal vertice riformista della CGIL, che lo sciopero generale sembra proprio averlo accantonato.
"L'alternativa è il cambiamento", conclude l'appello. Tuttavia quello proposto è un "cambiamento" che non prende in considerazione la questione del governo e del sistema economico che ha generato la crisi, limitandosi alla rivendicazione riformista di un "altro modello di sviluppo" e di un "welfare universale", in cui si inserisce anche il "reddito minimo", che secondo noi rappresenta una sostanziale rinuncia della lotta per il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, che sarebbe (questo sì) un modo per abolire il precariato. Il che non esclude affatto la sacrosanta lotta per difendere ed estendere gli "ammortizzatori sociali".
Di fronte alla crisi che non accenna ad attenuarsi, scaricandosi ogni giorno di più sugli oppressi e sfruttati, e con una coscienza anticapitalista in aumento fra le masse in lotta, oggettivamente non dire nulla sul capitalismo rappresenta un passo indietro.
Queste mobilitazioni sono occasioni per sviluppare la discussione su quali obiettivi porsi per realizzare veramente il cambiamento sociale. Per noi non c'è altra strada che quella della lotta per abbattere il capitalismo e realizzare il socialismo, unico orizzonte verso cui puntare per consolidare le conquiste ottenute e godere di vere libertà politiche e sociali. Questa la strada che dovrebbero imboccare i precari che aspirano a uscire da questa condizione disumana a cui sono costretti dal padronato e la "meglio gioventù" che non ne può più di vivere nell'incertezza per il futuro. Il PMLI, dove e come potrà, farà la sua parte per battere questo "chiodo rosso" e chiamare le masse ad unirsi contro il capitalismo, per il socialismo.

* Responsabile per il lavoro giovanile del CC del PMLI
 
16 maggio 2012