Approvato quasi all'unanimità dalla Camera nera il pareggio di bilancio
Il voto sull'art. 81 stravolge la costituzione del '48
Il liberismo viene costituzionalizzato. Le masse popolari lo pagheranno caro
Il golpe istituzionale è passato nel silenzio dei mass media del regime neofascista

Manca solo un ultimo passaggio al Senato nero e il golpe istituzionale che stravolge la Costituzione in senso liberista come impone anche l'Unione europea sarà definitivamente compiuto. Il 6 marzo la Camera nera ha approvato infatti in terza lettura e praticamente all'unanimità il disegno di legge costituzionale che riscrive l'articolo 81 della Carta del 1948, inserendovi l'obbligo del pareggio di bilancio per lo Stato e per le amministrazioni locali, secondo il diktat liberista del "fiscal compact" firmato il 2 marzo da 25 su 27 paesi della Ue, Italia compresa. E poiché, secondo la procedura prevista dall'art. 138 per le modifiche costituzionali, è sufficiente che anche nella quarta ed ultima lettura il ddl ottenga una maggioranza superiore a due terzi per evitare il referendum popolare confermativo, è scontato che col voto del Senato nero esso venga approvato in via definitiva.
Il progetto di inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione era già contenuto tra le misure ferocemente antipopolari annunciate e in larga parte attuate da Berlusconi e Tremonti lo scorso agosto in risposta alle richieste ultimative della Ue, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale, ma aveva subìto un rallentamento a causa della crisi di governo e della formazione del nuovo governo di Monti. Subito dopo il suo insediamento aveva ricevuto però una repentina accelerazione, approfittando del clima di "emergenza" e di "unità nazionale" imposto dal nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, che aveva portato in quattro e quattr'otto all'approvazione lo scorso novembre della Legge di stabilità (ex Legge finanziaria) grazie all'astensione compiacente del PD.
In quell'occasione, nel clima di euforia "bipartisan" e "con il concorso di tutti i gruppi", si era arrivati a varare un testo comune di disegno di legge costituzionale, attraverso l'unificazione di sei proposte di legge parlamentari e una del governo, che il PD Baretta aveva salutato come "un risultato molto importante e innovativo", una "risposta del parlamento alle indicazioni dell'unione europea tanto più significativa perché realizzata in una fase di oggettiva crisi di governo".
Subito dopo, con qualche modifica e con una maggioranza plebiscitaria, il ddl aveva passato il primo esame della Camera il 29 novembre, e il 15 dicembre anche quello del Senato. Intervenendo in aula alla Camera il vicesegretario del PD, Enrico Letta, aveva dichiarato entusiasticamente: "È un momento storico, anche perché si riprende l'antica e saggia abitudine di cambiare insieme la Costituzione, cosa che sia da una parte che dall'altra avevamo colpevolmente disimparato".

Disgustoso teatrino dell'inciucio golpista
Continuando sull'onda di questo disgustoso clima di inciucio golpista si è così arrivati, in tempi super rapidi rispetto agli standard del parlamento nero, alla terza lettura del ddl, che è stata sbrigata in un paio di sedute tra il 5 e il 6 marzo, in mezzo ad altri provvedimenti di ordinaria amministrazione, senza dibattito, con i soli interventi dei rappresentanti dei partiti a titolo di dichiarazione di voto. Su 511 presenti, i sì sono stati ben 489, 19 gli astenuti e solo 3 i voti contrari. Hanno votato quindi a favore tutti i partiti, compresi IDV e Lega; contrari e astenuti solo singoli parlamentari a titolo individuale. Col che è stata superata, come ha rilevato compiaciuto il fascista ripulito Fini, non solo la maggioranza assoluta, che era di 316 voti, ma anche quella dei due terzi, che se ripetuta, come appare scontato, anche al Senato, consentirà di evitare il referendum.
Inutile dire che si è ripetuto anche stavolta, nella Camera nera, il disgustoso teatrino delle dichiarazioni di compiacimento e di entusiasmo per il clima "bipartisan" ed "europeista" in cui tutti i partiti parlamentari collaborano a questo stravolgimento della Costituzione, che toglie la sovranità all'Italia sulle scelte di politica economica e sociale per delegarla all'Ue imperialista e ai mercati finanziari internazionali. Tanto per fare qualche esempio, il PD Francesco Boccia ha rivendicato con sussiego al suo partito il primato nel richiamare "la necessità di fare alcune scelte, di tagliarci i ponti alle spalle perché l'obiettivo è uno e ambizioso: gli Stati uniti d'Europa". Mentre l'IDV Antonio Borghesi, dopo aver accennato ipocritamente alle richieste, arrivate da varie associazioni democratiche ai parlamentari, di lasciar aperta la porta al referendum popolare su una materia di tale importanza, le ha poi liquidate disinvoltamente con la motivazione che il nuovo art. 81 "non è poi così rigido e vincolante" e "lascia spazio a possibilità di intervento di fronte a situazioni di natura eccezionale".
La votazione è avvenuta alla chetichella, nel silenzio compiacente e pressoché assoluto dei mass-media di regime. Niente è trapelato sulla grande stampa borghese, sul Corriere della Sera come su la Repubblica, sul berlusconiano Il Giornale come su La Stampa, ecc. Solo l'Unità ha riportato la notizia, ma in un trafiletto in ventunesima pagina! Segno evidente che il governo e i partiti del regime neofascista vogliono portare a termine il golpe anticostituzionale senza destare l'allarme delle masse, che sono tenute all'oscuro pur essendo le vittime predestinate di tutta l'operazione. Un parlamento nero di mafiosi, corrotti, inquisiti e nominati dai partiti del regime neofascista, che sguazza nell'oro e nei privilegi alle spalle del popolo, si arroga in gran segreto il diritto di cambiare la Costituzione a sua insaputa, negandogli qualsiasi possibilità di esprimere con il referendum il suo parere su una decisione destinata a pesare negativamente sulla sua vita e su quelle delle generazioni future.

Un'ipoteca liberista sui diritti civili e sociali delle masse
Con l'inserimento nell'art. 81 dell'obbligo per lo Stato di assicurare "l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio" e del divieto di "ricorso all'indebitamento, consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali" (art. 1), lo Stato stesso viene espropriato del suo diritto/dovere di scegliere liberamente le politiche economiche più confacenti alle sue funzioni sociali: in particolare quelle sancite nella Costituzione dagli articoli 32 (diritto alla salute), 34 (diritto allo studio), 35 (tutela del lavoro), 36 (diritti dei lavoratori), 37 (diritti delle lavoratrici), 38 (assistenza ai disabili); ma anche per tutta una serie di interventi irrinunciabili per la collettività come la difesa e la messa in sicurezza del territorio, la tutela e la fornitura dei beni pubblici primari come l'acqua, l'energia, i trasporti pubblici, ecc.
Questo potere viene invece delegato, secondo le regole del "fiscal compact", alla Ue, cioè alla Commissione europea e alla Corte europea; e quindi ai mercati finanziari, che diventano in ultima analisi i veri arbitri della politica economica nazionale, e che come stiamo vedendo con il martoriato popolo greco e con la politica di massacro sociale del governo Monti, detteranno sempre più le regole liberiste dominanti a cui dovranno essere subordinati i diritti, le necessità vitali e il destino delle masse popolari.
Il parlamento è ridotto a mero organo di ratifica di decisioni prese altrove, a Bruxelles, nelle capitali della speculazione finanziaria e nei centri massonici internazionali, dove si prendono decisioni sopra la testa delle singole nazioni e dei singoli popoli. Nel caso dell'Italia si è andati addirittura oltre il diktat di Bruxelles, poiché il "fiscal compact" non prevede l'obbligo di inserimento del pareggio di bilancio nelle Costituzioni, bensì anche in leggi ordinarie. Lo stesso parlamento europeo ha espresso riserve su questo punto. E inoltre, a parte Regno Unito e Repubblica Ceca che non hanno voluto firmarlo, tra gli stessi paesi firmatari c'è anche chi come l'Irlanda ha deciso di sottoporlo a referendum popolare. Cosa che invece il governo Monti e il parlamento nero si guardano bene dal fare, sicché è legittimo il sospetto che tanta solerzia nel fare i primi della classe torni loro utile per scaricare su altri la responsabilità della politica di lacrime e sangue e di massacro sociale che stanno facendo pagare ai lavoratori e alle masse popolari.

Un cappio per strangolare anche le amministrazioni locali
Come se non bastasse, per essere ben sicuri che nessun cittadino possa sfuggire alla tagliola liberista della Ue e dei mercati, governo e parlamento nero hanno voluto stringere il cappio europeo sui bilanci anche a Regioni, Provincie e Comuni, attraverso la modifica dell'art. 97 della Costituzione, aggiungendovi che "le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico" (art. 2). Dopodiché hanno messo in mano al governo stesso la corda di quel cappio, attraverso la modifica dell'art. 117, per riattribuire allo Stato la potestà sull'"armonizzazione di bilanci pubblici" (art. 3); e la modifica dell'art. 119, per subordinare l'autonomia finanziaria e di spesa di Regioni ed Enti locali al pareggio di bilancio e ai vincoli economici europei. Inoltre, in caso di ricorso all'indebitamento per investimenti, potranno farlo solo "con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio" (art. 4).
L'art. 5 del ddl stabilisce poi i compiti che dovrà avere la legge da approvare entro il 28 febbraio 2013 istituita dal nuovo art. 81, tra cui fissare tutta una serie di verifiche e controlli sul rispetto dei vincoli di bilancio per il complesso delle pubbliche amministrazioni, con l'istituzione anche di un "organismo indipendente" presso le Camere per sorvegliare gli andamenti della finanza pubblica, e la definizione delle "fasi avverse del ciclo economico" e degli "eventi eccezionali" che consentirebbero il ricorso all'indebitamento per poter finanziare i "livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali". Formulazione questa che lascia intuire quale peso infimo e del tutto aleatorio potranno avere questi ultimi in un contesto di regole economiche così rigide e punitive e obbedienti unicamente al criterio liberista del pareggio di bilancio ad ogni costo.
Questo golpe, che costituzionalizza il liberismo rendendolo legge suprema dello Stato e della società, va perciò sventato prima che sia troppo tardi, e per farlo non c'è altro mezzo che la mobilitazione della classe operaia, degli studenti, dei democratici e progressisti e di tutte le masse lavoratrici e popolari, per buttare giù il governo Monti della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale. Uno sciopero generale è quantomai necessario e urgente, per impedire anche questo nuovo e ulteriore scempio dei diritti economici, civili e sociali che si prepara alle spalle del popolo e delle generazioni future a esclusivo vantaggio del grande capitale internazionale, della Ue imperialista e della classe dominante borghese italiana.

14 marzo 2012