Il rinnegato Wen evoca lo spettro della Rivoluzione culturale proletaria per spostare ancor più a destra il partito e lo stato borghesi
L'Assemblea nazionale del popolo cinese include quasi tutte le persone più ricche della Cina

Nella conferenza stampa del 14 marzo, appena chiusi i lavori della sessione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo (Anp), il massimo organo legislativo della Cina, il primo ministro Wen Jiabao ha sottolineato che "senza portare avanti le riforme politiche strutturali, è impossibile riuscire a costruire davvero le riforme economiche in modo strutturale, e quanto abbiamo guadagnato finora in questo campo potrebbe andare perduto, Siamo in un momento cruciale. Senza le riforme politiche, il paese corre il rischio di rivivere tragedie dolorose come quelle della Rivoluzione culturale". Uno spettro evocato a fronte di una assemblea dove siedono quasi tutte le persone più ricche della Cina e che il rinnegato Wen utilizza per spostare ancora più a destra il partito e lo stato borghesi. Dove le tragedie dolorose sono piuttosto quelle delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari che sempre più spesso si ribellano.
Su indicazione del governo guidato da Wen l'assemblea ha approvato tra gli altri a larghissima maggioranza una legge sulla proprietà che garantisce uguale difesa per la proprietà pubblica e privata. Sarà in vigore dal prossimo ottobre ed è stata presentata come un baluardo contro espropri, requisizioni e manipolazioni di terre e case che in questi anni hanno generato innumerevoli rivolte sociali. In realtà, come alcuni parlamentari hanno denunciato, servirà al governo per proteggere soprattutto la proprietà privata capitalistica. L'assemblea ha approvato consistenti aumenti delle spese per sanità e educazione che però se rapportate alle esigenza della popolazione sono meno che una goccia nell'oceano. Tanto che la Cina, la quarta potenza economica del mondo, con una spesa pubblica per la sanità minore del 3% del prodotto interno lordo è nella parte più bassa nella classifica mondiale.
Altrettanto pesante l'aumento del bilancio per le spese militari, incrementate di quasi il 18% nel 2012, fino a circa 35 miliardi di euro. Cifra necessaria, ha affermato Wen, perché "noi potenzieremo la capacità delle forze armate a compiere un'ampia varietà di scopi militari, il più importante dei quali è di vincere delle guerre locali". Una minaccia a risolvere con la forza la questione della sovranità su isole contese con Vietnam, Filippine e Giappone. Della stessa entità e importanza è l'aumento dei finanziamenti alla polizia per far fronte ai cosiddetti "incidenti di massa", una definizione generica e fuorviante che si riferisce alle rivolte dei villaggi contro le terre espropriate, dei contadini contro l'inquinamento delle fabbriche, dei lavoratori contro i mancati pagamenti dei salari e lo sfruttamento, delle masse popolari contro le alte tasse e l'aumento dei prezzi dei generi alimentari. Secondo cifre ufficiali del ministero della sicurezza di Pechino, nel 2010 vi sono stati almeno 180 mila "incidenti di massa", dunque la lotta di classe contro lo sfruttamento capitalistico e la dittatura fascista che schiaccia le masse popolari.
Reprimere le rivolte e "ristrutturare l'economia" per aumentare i consumi interni, sono le due direttive la cui realizzazione Wen affida al suo successore che sarà nominato al congresso del partito revisionista il prossimo novembre. Sulla realizzazione della prima il regime revisionista e fascista di Pechino non ha problemi; per mettere in pratica la seconda dovrebbe quantomeno alzare il salario degli operai e migliorare le condizioni di vita dei contadini. E qui la soluzione si fa più difficile a partire dal fatto che le varie fazioni che si scontrano dietro le quinte in occasione del rinnovo dei vertici del partito e dello stato del prossimo novembre, sia la componente che fa capo al presidente Hu Jintao che quella del suo aspirante successore, il "principino" Xi Jinping, parlano di sviluppo del "sistema socialista", di costruire una "democrazia in stile cinese" ma pensano a difendere le proprie posizioni di potere e gli interessi dei capitalisti cinesi che siedono numerosi anche nell'assemblea nazionale.
Fra i 3 mila rappresentanti che si sono riuniti nella grande sala del popolo a piazza Tienanmen ci sono quasi tutti i miliardari cinesi. Vi è Zong Qinghou, il presidente del gruppo Wahaha che produce e distribuisce bevande, che con un patrimonio di circa 8 miliardi di euro è il secondo uomo più ricco della Cina. Siede accanto alla donna più ricca del paese, la signora Wu Yajun, presidente della Longfor Properties, che può contare su finanze personali e familiari per circa 5 miliardi di euro.
Secondo l'agenzia cinese Hurun, che misura la ricchezza del paese, 70 delegati più ricchi dell'Anp dispongono di un patrimonio pari a circa 90 miliardi di euro, cresciuto di un buon 10% solo nel corso dell'ultimo anno, a fronte di un reddito medio dei lavoratori cinesi che vale circa 1.800 euro all'anno.

28 marzo 2012