presentato da Giovanni Scuderi COSTRUIAMO UN GRANDE, FORTE E RADICATO PARTITO MARXISTA-LENINISTA PER COMBATTERE LA SECONDA REPUBBLICA CAPITALISTA, NEOFASCISTA, PRESIDENZIALISTA E FEDERALISTA E REALIZZARE L'ITALIA UNITA, ROSSA E SOCIALISTA
Care compagne e cari compagni, il 4° Congresso nazionale del PMLI si apre in uno dei giorni più belli e luminosi della storia del movimento operaio internazionale, quello della nascita di Mao, avvenuta il 26 Dicembre di 105 anni fa nel villaggio di Shaoshan, nella provincia cinese dell'Hunan. Mao è un grande maestro del proletariato internazionale. Perché ha liberato il popolo cinese, un quarto dell'umanità, dal feudalesimo, dal colonialismo e dal capitalismo, aprendo prospettive nuove alla rivoluzione mondiale, in particolare alla rivoluzione dei popoli del Terzo mondo. Perché per 27 anni ha fatto brillare il socialismo in Cina, ha assestato colpi devastanti all'imperialismo, al socialimperialismo e a tutta la reazione mondiale. Perché ha difeso, continuato e sviluppato il marxismo-leninismo in tutti i campi ed ha elaborato, per la prima volta nella storia, la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, l'unica via in grado di far mantenere il potere al proletariato una volta che l'abbia conquistato. Perché tempestivamente, con grande forza e profondità di pensiero, ha smascherato i revisionisti moderni, all'interno e all'esterno della Cina, in particolare Krusciov, Breznev e Togliatti, salvaguardando così la purezza del marxismo-leninismo dalle manipolazioni e dalle deformazioni degli agenti della borghesia e dell'imperialismo travestiti da comunisti che hanno sabotato e sabotano dall'interno il movimento operaio internazionale e la rivoluzione mondiale. Perché ha ispirato la nascita di nuovi Partiti marxisti-leninisti nei paesi in cui i vecchi partiti comunisti erano stati conquistati dai revisionisti e avevano deviato dalla via rivoluzionaria. Infine perché ha dato dei contributi immortali alla lotta antimperialista, anticolonialista e rivoluzionaria dei popoli di tutti i continenti. Mao è anche un modello di marxista-leninista. Per la sua fedeltà al Partito, al proletariato e alla causa del socialismo. Per il suo spirito internazionalista proletario. Per la sua combattività proletaria rivoluzionaria. Per il suo profondo legame con le masse. Egli ha sempre messo gli interessi del Partito, del proletariato e della causa al di sopra dei propri interessi personali. Pur occupando i massimi posti di comando nel Partito, nell'Esercito, nello Stato cinesi, egli ha sempre vissuto come un semplice proletario, praticando uno stile di vita fatto di modestia, semplicità e ardua lotta. Al Partito non ha mai chiesto nulla e gli ha dato tutto, la vita. Fra il PMLI e Mao esiste un profondo rapporto di carattere storico, ideologico, di classe, rivoluzionario. Come Mao ha scoperto il marxismo grazie a Lenin e Stalin e alla Grande Rivoluzione d'Ottobre, e si è ispirato a loro per la fondazione e costruzione del PCC e per elaborare la Rivoluzione cinese, così i fondatori del PMLI hanno scoperto il vero marxismo-leninismo grazie a Mao e alla Grande rivoluzione culturale proletaria e hanno agito di conseguenza sul piano ideologico, politico, programmatico e organizzativo. Sono stati infatti il pensiero e l'opera di Mao, nonché il suo esempio, a sottrarci dall'influenza della borghesia e dei revisionisti di destra e di ``sinistra'', ad attirarci nella lotta di classe, al socialismo e al comunismo, a farci capire che senza Partito rivoluzionario e teoria rivoluzionaria non è possibile condurre una lotta rivoluzionaria, fare, vincere e difendere la rivoluzione proletaria, che una causa giusta con una linea corretta può trionfare anche se all'inizio siamo pochi a credervi e disposti a operare concretamente per la sua vittoria. L'effige di Mao messa nel simbolo del PMLI al posto della stella che tradizionalmente rappresenta il socialismo ricorda il ruolo e la funzione che il pensiero e l'opera di Mao hanno avuto e hanno sull'ideologia, il programma, la politica e l'organizzazione del nostro Partito. Inoltre indica che l'unione della classe operaia e dei contadini, rappresentati nella simbologia rispettivamente dal martello e dalla falce, è insufficiente per combattere il capitalismo e conquistare il socialismo se essa non è fondata sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao, che il socialismo oggi si può conquistare e costruire solo applicando nella pratica i grandiosi sviluppi che Mao ha apportato al marxismo-leninismo. Questo nostro rapporto speciale con Mao non è però esclusivo. Esso fa parte dei profondi legami che abbiamo con gli altri grandi maestri del proletariato internazionale: Marx, Engels, Lenin e Stalin, senza l'opera dei quali non potrebbe esistere il pensiero marxista-leninista di Mao. Per noi tutti i cinque maestri stanno sullo stesso piano ed hanno un uguale valore. Essi sono legati tra di loro come le dita di una mano. Se si stacca un dito qualsiasi la mano non è completa e non funziona nella sua interezza. La loro elaborazione teorica non ha soluzione di continuità. Rappresenta un'unica dottrina, arricchita via via dagli sviluppi della lotta di classe e dal progresso sociale. Appena cinque giorni orsono, il 21 Dicembre, è caduto il 119° anniversario della nascita di Stalin. Noi lo ricordiamo con lo stesso affetto e con gli stessi sentimenti di riconoscenza che abbiamo verso Mao, comprovati dal fatto che più Cellule del nostro Partito si fregiano del suo nome e difendono e propagandano in prima persona la sua opera. In questo lavoro si distingue la Cellula Stalin di Forlì. Il nostro Partito ha fatto e fa molto per tenere vivo il ricordo dei maestri e per farli conoscere alle masse. Ogni anno, salvo rarissime eccezioni dovute a motivi di forza maggiore, commemoriamo pubblicamente Mao. Per il centenario della nascita, abbiamo commemorato Marx ed Engels, di quest'ultimo abbiamo fatto una videocassetta, così come per Mao. Nella ``Piccola biblioteca marxista-leninista'' abbiamo già pubblicato 4 opere dei maestri su 5 di quelle che noi riteniamo fondamentali per trasformare il mondo e noi stessi e l'importante opera di Engels su ``L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato''. ``Il Bolscevico'' spesso pubblica delle opere e delle citazioni dei maestri. Abbiamo realizzato, adottato e diffuso a livello di massa una bellissima bandiera dei maestri. Stampato un manifesto dei maestri e i ritratti separati dei maestri. Adottato una spilla dei maestri. La Cellula ``Vesuvio Rosso'' di Napoli ha stampato, con una grafica attraente, e diffuso a livello di massa alcune opere brevi di Mao. Le Cellule ``Marx'' ed ``Engels'' di Firenze hanno organizzato un dibattito pubblico per far conoscere il ``Manifesto del Partito comunista'' in occasione del 150° Anniversario della sua pubblicazione. É tanto, considerando le forze e i mezzi di cui disponiamo, ma possiamo e dobbiamo fare di più, via via che saremo più forti, specie in occasione degli anniversari della nascita e della morte dei maestri e delle ricorrenze delle loro principali opere. In particolare dovrebbero mobilitarsi le Cellule che portano i nomi dei maestri. Quando non è possibile fare altrimenti, potrebbe bastare un volantino o un manifesto. Propagandare le opere dei maestri fra le masse, specie operaie e giovanili, è della massima importanza, soprattutto quando, come oggi, occorre riarmare ideologicamente gli sfruttati e gli oppressi e quanti lottano contro il capitalismo. Il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è la nostra Stella polare. Il PMLI è il nostro Sole rosso. Senza il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non sapremmo dove andare e perderemmo facilmente la strada. Senza il PMLI non avremmo la luce, il calore e l'energia necessarie per combattere la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Occorre però che esso sia grande, forte e radicato. è quello che ci proponiamo di fare e che poniamo al centro della discussione del Congresso. A conclusione del 3° Congresso, che si è svolto esattamente 13 anni orsono, ci siamo lasciati dandoci appuntamento congressuale dopo la conclusione del primo grande balzo organizzativo e del proselitismo. Questo importante obiettivo strategico, per i motivi che vedremo dopo, non è stato ancora possibile raggiungere. Ma non potevamo aspettare più oltre che esso fosse raggiunto, poiché sono accaduti troppi e notevoli avvenimenti internazionali, nazionali e all'interno del Partito che richiedono di essere esaminati dalla massima istanza del PMLI. Questo Rapporto dell'Ufficio politico, che ho l'onore di presentare, ha lo scopo di aiutare il Congresso a mettere bene in luce questa nuova situazione e a stabilire la strategia, la linea d'azione e i compiti del Partito per combattere la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista, per l'Italia unita, rossa e socialista. I - IL MONDO OGGI Attualmente il mondo è dominato dall'imperialismo. Esso è presente dappertutto con i suoi capitali, con le sue banche, con le sue multinazionali, con le sue fabbriche, con le sue merci, con la sua tecnologia, con la sua cultura. Il suo mercato non ha più confini. Rari sono gli ostacoli che gli intralciano il cammino. Dopo la disintegrazione del socialimperialismo sovietico e del suo impero, del suo mercato, delle sue colonie e delle sue zone di influenza, tutto gli è più facile e più semplice. La cosiddetta ``globalizzazione'' - cioè l'abbattimento delle barriere doganali e tariffarie, la liberalizzazione dei mercati, la formazione di un mercato unico -, sancita nel 1994 dall'accordo di Marrakech in Marocco sul commercio mondiale, gli ha creato le migliori condizioni per la sua espansione per soddisfare appieno e liberamente la tendenza propria e connaturata al capitalismo. Quella tendenza già rilevata nel 1848 da Marx ed Engels e così ben descritta nel ``Manifesto del Partito comunista'' con queste parole: ``Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con gran dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria la base nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la cui introduzione, è questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili - industrie che non lavorano più materie prime indigene, bensì materie prime provenienti dalle regioni più remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in tutte le parti del mondo... In luogo dell'antico isolamento locale e nazionale, per cui ogni paese bastava a se stesso, subentra un traffico universale, una universale dipendenza delle nazioni l'una dall'altra... Essa costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza''.(1) Fin da quando il capitalismo si è trasformato in imperialismo a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale, come rileva Lenin nell'opera del 1916 ``L'imperialismo, fase suprema del capitalismo'', l'esportazione di capitali ha assunto una maggiore importanza rispetto all'esportazione delle merci. Oggi la circolazione di capitali su scala mondiale, anche in base ai nuovi mezzi informatici e telematici, è divenuta vertiginosa e si attua in tempo reale. Questa libera, rapida e incontrollata circolazione di capitali condiziona governi ed economie di interi paesi, e può segnare la rovina o la ricchezza di singoli e di Stati. I grandi finanzieri e le multinazionali hanno quindi in mano un enorme potere che usano unicamente per arricchirsi sempre più, per fare affari più lucrosi e per diventare ancora più potenti. è stato calcolato che nel mondo esistono 40 mila multinazionali, ma le prime 100 appena controllano direttamente i due terzi del commercio mondiale. Il 18 maggio scorso a Londra Stati Uniti e Unione europea (Ue) hanno firmato, in gran segreto, un accordo dal titolo ``Trattato per il rispetto delle norme che rafforzano la protezione degli investimenti''. In sostanza le due superpotenze si impegnano a tutelare maggiormente i ``diritti dei capitali'' e gli investimenti delle multinazionali, che, secondo loro, vanno difesi, con sanzioni, da qualsiasi misura di espropriazione decisa dagli Stati. Questo accordo, anche se non ancora ratificato dal Consiglio europeo e dai singoli Stati dell'Unione, evidentemente è una preintesa parziale tra Usa e Ue sul nuovo trattato internazionale sugli investimenti che si propone di difendere i ``diritti degli investitori di capitali'' che i governi sarebbero obbligati a garantire. Tale trattato, chiamato ``Accordo multilaterale sugli investimenti'' (Ami) è stato preparato dai membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) fin dal 1995, ma la trattativa è ancora aperta perché permangono delle contraddizioni e delle riserve. Ciascun paese imperialista infatti difende gli interessi delle proprie multinazionali e dei propri capitalisti e cerca di avvantaggiarli rispetto agli altri concorrenti. Nel contempo però tutti insieme lavorano per definire un trattato internazionale da imporre ai paesi capitalisti più deboli e ai paesi più arretrati economicamente. Il loro obiettivo è quello di codificare per legge il dominio del capitale nel mondo. Il direttore generale dell'Organizzazione mondiale per il commercio (Omc), l'italiano Renato Ruggiero, l'ha detto chiaramente: ``Vogliamo scrivere la costituzione di un'economia mondiale unificata''. Dalla trattativa sull'Ami si ha ancora una volta la conferma che sono le leggi coercitive del capitale, dell'imperialismo e del mercato a determinare la politica degli Stati e dei governi borghesi, da qualsiasi partito essi siano diretti. Questo però non vuol dire, come sostengono certi ``teorici'' borghesi, revisionisti e trotzkisti, che nell'``era'' della ``globalizzazione'' gli Stati e i governi nazionali vengono a perdere tutto il loro potere e che questo potere è ora passato alle istituzioni internazionali economiche e finanziarie. É vero che il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale, l'Ocse e l'Omc hanno un peso rilevantissimo negli affari dell'imperialismo e nel mercato mondiale e che condizionano enormemente le politiche degli Stati nazionali, non però fino al punto di annullare o ridurre al minimo il potere politico ed economico dei singoli Stati. Non comunque se questi Stati si chiamano Usa, Ue, Giappone, per esempio, che anzi servono con diligenza. Il peso di tali istituzioni diventa schiacciante solo sugli Stati più deboli e poveri, finanziariamente ed economicamente dipendenti, ma non arriva fino a sostituirsi totalmente ad essi, anche se possono influire, come i fatti dimostrano in molti casi, sul cambio dei governi, con le buone o con le cattive, direttamente o indirettamente persino attraverso colpi di Stato. Esiste una dialettica e una reciproca influenza tra tali istituzioni internazionali e gli Stati capitalisti e imperialisti, in quanto questi ultimi costituiscono e governano indirettamente le prime e queste hanno dei grossi margini di manovra e di potere legale impositivo. In ogni caso non si può dire che tali istituzioni sovrastatali costituiscono un nuovo ``Stato mondiale''. Diverso è il discorso se si parla delle istituzioni politiche o militari internazionali, quali, per esempio, l'Onu e la Nato o, per quanto riguarda l'Europa occidentale, l'Ue. Anche se anch'esse, comunque, non si sovrappongono agli Stati nazionali che le compongono. In questi casi si può parlare di trasferimento di quote di sovranità nazionale, anche se di quote importanti, ma non di totale trasferimento ad esse del potere politico, economico e militare degli Stati nazionali. Naturalmente ciò vale per adesso e perdurando l'attuale situazione e ordinamento istituzionale mondiale ed europeo. Finché le multinazionali dei vari paesi hanno bisogno di uno Stato che tuteli i loro interessi particolari, non ci può essere un trasferimento totale dei poteri statali nazionali a una identità statale sovranazionale. CRISI DELLA ``GLOBALIZZAZIONE'' La ``globalizzazione'' - il mercato unico imperialista - accusa da un po' di tempo un forte malessere. La violenta crisi finanziaria asiatica ha fatto squillare il campanello di allarme. Si cerca di correre ai ripari. Il plurimiliardario americano George Soros ha affermato: ``Il sistema capitalista globale si sta sgretolando''2 e ha invocato la ``regolamentazione dei mercati internazionali''. I governanti e i politicanti della destra e della ``sinistra'' borghese sfornano di continuo ricette per salvare la ``globalizzazione'' e si disputano il governo della stessa ``globalizzazione''. L'attuale presidente del consiglio italiano, il rinnegato Massimo D'Alema, ha dichiarato a ``l'Unità'' del 6 settembre scorso: ``La globalizzazione ha bisogno di essere governata dalla sinistra. In fondo, nel corso di questo secolo la sinistra è riuscita a costruire un mirabile compromesso tra le ragioni del capitalismo e quelle della socialità, che si è chiamato Stato sociale. Il problema ora è costruire un compromesso di questo tipo al livello dell'economia e delle società globalizzate'' La storia però dimostra che non esistono ricette capaci di ``governare'' l'imperialismo pacificamente e col consenso delle masse e di evitare le crisi economiche cicliche del capitalismo e dell'imperialismo. Queste crisi si possono ritardare ma non cancellare una volta per tutte. Tanto è vero che si profila una recessione mondiale. Il rapporto annuale 1998 del Fmi ammette che è in atto un ``rallentamento'' della crescita economica mondiale. Il prodotto interno lordo (Pil) dal 4,1% del 1997 è passato al 2% di quest'anno e al 2,5% del prossimo, inferiori alle previsioni rispettivamente del meno 1,1% e del meno 1,2%. Questa crisi si riverserà inevitabilmente e rovinosamente sulle masse popolari dei vari paesi, che già stanno sperimentando sulla loro pelle che non è assolutamente vero che la ``globalizzazione'' porta ricchezza e benessere ovunque arrivi. I dati parlano chiaro. Nel programma dell'Onu per lo sviluppo umano, reso noto nell'ottobre scorso, si legge che un miliardo e 300 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno e nei paesi industrializzati l'11% degli abitanti vive con meno di 14 dollari e 40 centesimi al giorno. Nel mondo esistono 900 milioni di disoccupati o sottoccupati, di cui 40 milioni nei paesi Ocse, cioè nei 29 paesi più industrializzati. Secondo però l'Ufficio internazionale del lavoro la cifra non sarebbe di 900 milioni bensì di un miliardo e mezzo. Nel rapporto dell'Onu si legge anche che 2 miliardi di persone non possono nutrirsi a sufficienza e non usufruiscono di servizi di base e alloggi adeguati. Inoltre ogni anno 12 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono di malattie curabili o di denutrizione. Il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia stima che nel mondo 34 milioni di bambini non impareranno a leggere e 70 milioni lavoreranno prima dei 6 anni. Un rapporto dell'Unicef, l'organismo delle Nazioni Unite che si occupa dell'infanzia, del 6 novembre informa che 250 milioni di bambini dai 5 ai 14 anni nel mondo lavorano, in molti casi ridotti in schiavitù, e che oltre un milione di essi viene poi sfruttato sessualmente o costretto alla prostituzione. La fame e la miseria hanno causato una emigrazione biblica, che si riversa nei paesi capitalisti e imperialisti dove gli immigrati trovano una vita da bestie. Questa situazione è assolutamente intollerabile. Noi chiediamo ai governi occidentali di spalancare le porte agli immigrati e di stroncare con fermezza il traffico di vite umane. L'imperialismo e la ``globalizzazione'' non hanno portato nel mondo solo sfruttamento, oppressione, guerre, miseria, fame, disoccupazione, prostituzione, emigrazione di massa, devastazione dell'ambiente e inquinamento ma anche profonde disuguaglianze economiche e sociali. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Sia a livello di Stato che individuale. L'edizione del 1996 del programma dell'Onu per lo sviluppo rileva che ``il mondo è diventato più polarizzato economicamente sia tra paesi che all'interno dei paesi stessi''. L'amministratore del programma così scrive: ``Se la tendenza continuerà, le differenze economiche tra paesi industrializzati e in via di sviluppo non potranno più essere definite ingiuste bensì disumane''. Dei 23 mila miliardi di dollari di prodotto interno lordo mondiale, 18 sono appannaggio dei paesi industrializzati e solo 5 dei paesi ``in via di sviluppo'' dove vive l'80% della popolazione mondiale. Tutto ciò, secondo il suddetto documento dell'Onu, è in gran parte conseguenza della ristrutturazione capitalista dell'ultimo decennio che ha portato alla ``mondializzazione dei mercati''. Il programma di quest'anno dell'Onu per lo sviluppo umano informa che Bill Gates, il re dei computer, i Walton, i signori dei grandi magazzini, e Warren Buffett, superfinanziere, possiedono in totale una ricchezza maggiore di quella dei 48 paesi più poveri del mondo. Bill Gates guadagna ogni anno 85 mila miliardi di lire, cioè 232 miliardi ogni giorno, quasi 10 miliardi l'ora. Questi soldi basterebbero a mantenere agli studi tutti i bambini del mondo e assicurare l'assistenza sanitaria dappertutto. Le 225 persone più ricche del mondo dispongono di una ricchezza pari a quella di 2 miliardi e mezzo di persone, che corrispondono al 47% della popolazione mondiale più povera. Bastano 84 patrimoni di costoro per superare il Pil della Cina che ha oltre un miliardo e 200 milioni di abitanti. Nel 1960 il 20% della popolazione mondiale più ricca era trenta volte più ricca di quella povera, oggi lo è sessanta volte di più. Questo stato di cose genera malcontento e odio verso il capitalismo e l'imperialismo. Questa contraddizione, che è antica quanto il capitalismo e l'imperialismo, è inevitabilmente destinata a svilupparsi e a sfociare in rivolte di massa, in lotte di liberazione nazionale e in rivoluzioni. Nel passato e per tutti gli anni '70, finché soffiava forte il vento del socialismo e del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, il mondo era squassato dai maremoti sociali e politici. Poi è subentrata una grande calma, ma da un po' di tempo a questa parte, le masse popolari dei paesi più oppressi dall'imperialismo si sono di nuovo messe in movimento. Anche in alcune roccaforti imperialiste c'è un certo risveglio delle masse. Comincia di nuovo a farsi sentire la contraddizione tra il proletariato e la borghesia nei paesi capitalisti e imperialisti. Nel nostro Paese attualmente sono gli studenti e i giovani disoccupati che danno maggiori segni di ribellione anticapitalista. Non c'è da meravigliarsi perché i giovani sono sempre i primi a muoversi, a scendere in lotta, e le loro lotte annunciano le grandi tempeste sociali. CONTRADDIZIONI FRA USA, UE E GIAPPONE L'imperialismo non è un blocco monolitico. Al suo interno esistono delle forti ed ineliminabili contraddizioni dovute ai diversi interessi economici, finanziari, commerciali, politici e militari dei vari paesi imperialisti. I paesi imperialisti sono uniti nel succhiare il sangue e depredare le ricchezze dei popoli del mondo ma divisi quando si tratta di spartirsi il bottino. Lo scontro maggiore avviene sempre tra i paesi imperialisti più potenti. Quando si rompono gli equilibri, a causa dello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti, e qualcuno di essi mira ad avere sotto il proprio dominio una parte più grande del mondo, se non tutto quanto. L'ultimo grande confronto per l'egemonia mondiale è stato quello tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo sovietico. Dopo la disintegrazione di quest'ultimo, ora la contraddizione principale tra i paesi imperialisti è quella tra gli Usa, la Ue e il Giappone. Quest'ultimo però è attualmente più debole rispetto agli altri due e perché è ancora un ``nano militare'' e per la devastante crisi finanziaria ed economica, iniziata nel 1990 e che si è acuita in questi ultimi mesi che gli è costata la retrocessione nella seconda categoria dei paesi affidabili finanziariamente. L'imperialismo americano è tuttora il più forte in tutti i campi, il più pericoloso e il più arrogante dei tre. Non si perita a usare il suo mostruoso arsenale bellico contro chi non sottostà ai suoi ordini o si oppone al suo dominio che siano Stati o movimenti politici. In questi ultimi anni, mesi e giorni l'ha fatto nei confronti dell'Irak, la Libia, la Somalia, la Bosnia, il Kossovo, il Sudan, l'Afghanistan e in altri luoghi. A volte mascherando le aggressioni, fatte in prima persona o con la copertura della Nato e dell'Onu o assieme all'Ue, come ``operazioni umanitarie''. Altre volte le fa in nome della ``lotta al terrorismo'' e della ``difesa degli interessi nazionali''. In tutti i casi però in dispregio del diritto internazionale e delle regole internazionali e della sovranità dei paesi. Anche l'Ue si è messa sulla stessa strada. Emblematica la sua partecipazione alla guerra del Golfo del '91. L'Unione europea è oggi la nuova superpotenza in ascesa, il rivale più diretto degli Usa, anche se ancora è legato ad essi da tanti fili e interessi. Fino alla metà degli anni '80 sembrava quasi impossibile che l'Europa occidentale potesse raggiungere ed uguagliare sui piani economico, finanziario, politico e militare gli Usa. Ma una volta superate certe contraddizioni e particolarismi nazionalistici dei paesi che la compongono, essa è riuscita ad emergere come una superpotenza a livello mondiale. Una superpotenza che è stata voluta congiuntamente dalla destra e dalla ``sinistra'' dell'imperialismo europeo. Basti pensare che l'Euro ha origine nello Sme istituito nel 1978 dal presidente francese di destra Giscard D'Estaing e dal cancelliere tedesco socialdemocratico Helmut Schmidt. L'ascesa della superpotenza europea è iniziata con l'Atto unico europeo entrato in vigore nel 1987, che ha riformato parzialmente la Cee, ed ha raggiunto il suo punto più alto, per ora, nel vertice europeo di Maastricht del dicembre '91, che ha riformato totalmente il trattato della Cee siglato a Roma il 25 marzo 1957 varando l'Unione europea che è entrata in vigore il 1 novembre 1993. In precedenza, nel '92, sempre in virtù del Trattato di Maastricht è partito il mercato unico europeo e in questi giorni andrà in vigore la moneta unica. All'Unione europea manca solo di avere un governo, una politica estera e di difesa unificati per poter competere con gli Usa ad armi pari e su tutti i piani e per poter difendere i suoi interessi, cioè quelli delle sue multinazionali, a livello mondiale. Fra i più solerti patrocinatori della ``difesa'' europea si annoverano i socialdemocratici Tony Blair e Massimo D'Alema. Il premier inglese su ``La Repubblica'' del 14 novembre scorso ha affermato: ``Gli imperativi che, al tempo degli equilibri fra le superpotenze, demandavano all'America la difesa degli interessi europei, sono storicamente superati. Se l'Europa vuole che gli Stati Uniti mantengano i loro impegni con l'Europa, questa deve partecipare più intensamente allo sforzo in difesa degli interessi e della sicurezza dell'occidente. Non è soltanto una questione di stanziamenti: l'Unione europea spende già circa due terzi di quello che spendono gli Stati Uniti per la difesa. L'Europa deve mettere a punto un'organizzazione. Per parlare autorevolmente, l'Unione europea deve anche essere in grado di intervenire militarmente con le sue proprie forze, quando gli Stati Uniti non siano coinvolti''. Da parte sua il neopresidente del consiglio italiano, intervenendo al seminario ``I riformisti al governo dell'Europa'', che si è svolto a Orvieto nei giorni 31 ottobre e 1 novembre, si è dichiarato favorevole a integrare l'Unione dell'Europa occidentale (Ueo), come organismo della difesa, nell'Ue in modo da costituire ``in una visione complementare con gli Stati Uniti una sorta di pilastro europeo della Nato... problemi che riguardano la volontà politica e la capacità militare... e che chiamano in causa anche il nostro paese, poiché non è pensabile una politica estera europea senza un'adeguata capacità militare... al servizio di quelle politiche di peace keeping e di peace making... dove chi non abbia capacità operativa in merito difficilmente può pensare di avere un peso nelle relazioni internazionali''.3 Su questa scia si è messo il Consiglio ministeriale dell'Unione dell'Europa occidentale che nella sua Dichiarazione di Roma del 17 novembre si è pronunciato per il rafforzamento dell'Ueo come identità ``separabile'' ma ``non separata'' dalla Nato. Un altro passo della superpotenza europea per avere una organizzazione militare autonoma e indipendente dagli Usa. Ora lo può fare del tutto tranquillamente, dal momento che ha avuto il via libera dai socialdemocratici che sono al governo in 13 paesi su 15 dell'Unione europea, in 11 di essi sono addirittura premier. Vedendo la tendenza dell'Ue a dotarsi di una politica estera e di sicurezza autonoma, gli Usa cominciano già a dare qualche segnale di preoccupazione. Madeleine Albright, Segretario di Stato americano, sul giornale di Agnelli, ``La Stampa'', del 7 dicembre ha scritto chiaramente che: ``mentre gli europei cercano il modo migliore di organizzare la propria cooperazione nel campo della politica estera e della sicurezza, il problema è far sì che ogni cambiamento istituzionale sia compatibile con il principio base che ha ben servito l'Alleanza atlantica per 50 anni. Ciò significa evitare quello che chiamerei le tre D: doppioni, duplicati e discriminazioni''. L'Europa occidentale è divenuta un colosso mondiale. Ma le masse europee cosa ci hanno guadagnato? Niente o solo delle briciole, e sul loro capo pesa la spada di Damocle di essere coinvolte in avventure militari, in guerre di aggressione e in scontri armati tra i paesi imperialisti. è stato calcolato che 57 milioni di europei, il 17% dell'intera popolazione, vive in condizioni di povertà. I disoccupati ufficiali si avvicinano ai 20 milioni. Negli anni '60 la fascia più ricca della popolazione europea viveva con un reddito 30 volte superiore alla fascia più povera. Oggi quella forbice si è allargata di quasi 82 volte. Le parole di Marx pronunciate il 29 novembre 1847, ma che sembrano essere nell'essenza un'analisi scientifica dell'odierna situazione internazionale, collimano perfettamente col nostro pensiero e con la nostra posizione sull'Unione europea e la nostra strategia sull'unione dei popoli europei e di tutto il mondo. Egli ha detto: ``L'Unione e la fratellanza delle nazioni sono una vuota frase che oggi è sulla bocca di tutti i partiti, in particolare dei liberoscambisti borghesi. Indubbiamente esiste una certa fratellanza tra le classi borghesi di tutte le nazioni: è la fratellanza degli oppressori contro gli oppressi, degli sfruttatori contro gli sfruttati. Come la classe borghese di un paese è unita e affratellata contro i proletari dello stesso paese, nonostante la concorrenza e la lotta che regnano tra i membri stessi della borghesia, così i borghesi di tutti i paesi sono affratellati e uniti nonostante la lotta e la concorrenza reciproca sul mercato mondiale. Affinché i popoli possano veramente unirsi, il loro interesse deve essere comune. Affinché il loro interesse possa essere comune, bisogna che gli attuali rapporti di proprietà siano aboliti, perché gli attuali rapporti di produzione condizionano il reciproco sfruttamento dei popoli: abolire gli attuali rapporti di proprietà, solo questo è l'interesse della classe lavoratrice. Essa soltanto ha anche i mezzi per riuscirvi. La vittoria del proletariato sulla borghesia è in pari tempo la vittoria sui conflitti nazionali e industriali che oggi giorno creano l'ostilità tra i diversi popoli. La vittoria del proletariato sulla borghesia è quindi in pari tempo il segnale di liberazione di tutte le nazioni oppresse''.4 IL PERICOLO DI GUERRA IMPERIALISTA Finché esisterà l'imperialismo la pace nel mondo è sempre in pericolo. La rivalità tra le superpotenze conduce inevitabilmente alla guerra imperialista. è stato così nel passato, non può che essere così nel futuro. Non ci sembra fondata la tesi del politologo americano Samuel P.H. Huntington secondo la quale ``la rivalità tra superpotenze è stata soppiantata dallo scontro di civiltà. In questo nuovo mondo i conflitti più profondi, laceranti e pericolosi non saranno quelli tra classi sociali, tra ricchi e poveri o tra altri gruppi caratterizzati in senso economico, bensì tra gruppi appartenenti ad entità culturali diverse''.5 Questa tesi non trova consensi nemmeno nell'Amministrazione Usa. Per il Segretario di Stato la signora Albright ``il conflitto più importante nel mondo di oggi, è chiaro, non è fra gli appartenenti a differenti religioni o cultura''.6 Per adesso Usa, Ue e Giappone da una parte si accordano per depredare e sottomettere i paesi più deboli e non sviluppati, dall'altra brigano per farsi le scarpe e per avere più spazi, territori, fonti di materie prime, mercati, zone strategiche e di influenza. Ogni tanto fra di essi scoppiano delle guerre finanziarie o commerciali - come quella attuale tra Usa e Ue per le banane e per altri settori -, e prima o poi verranno alle mani. Quando si romperanno gli equilibri finanziari, economici, commerciali, politici e militari saranno guai e sarà inevitabile il loro ricorso alle armi, alla guerra imperialista. Nessun paese imperialista può sottrarsi alla legge economica fondamentale del capitalismo, che è quella della ricerca del massimo profitto, in patria e all'estero. è questa legge che spinge inesorabilmente l'imperialismo al dominio economico mondiale e quindi alla guerra imperialista. ``La supremazia mondiale - rileva Lenin -, è, in sintesi il contenuto della politica imperialistica, che viene continuata dalla guerra imperialista''.7 Stalin, nel settembre 1952, difendendo questa verità ha detto: ``Alcuni compagni affermano che in seguito allo sviluppo delle nuove condizioni internazionali dopo la seconda guerra mondiale, le guerre fra i paesi capitalisti hanno cessato di essere inevitabili... Questi compagni sbagliano. Essi vedono i fenomeni esteriori, che affiorano alla superficie, ma non vedono le forze profonde, le quali, anche se per un momento agiscono senza farsi notare, determineranno tuttavia il corso degli avvenimenti... L'inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalisti continua a sussistere. Si dice - egli aggiunge - che la tesi di Lenin secondo cui l'imperialismo genera inevitabilmente le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate potenti forze popolari che agiscono in difesa della pace, contro una nuova guerra mondiale. Questo non è vero''.8 Mao spiega che ```la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi'. Quando la politica raggiunge un certo stadio del suo sviluppo che non può essere superato con altri mezzi abituali, scoppia la guerra per spazzare via gli ostacoli che impediscono il cammino''.9 Questi insegnamenti sono per noi di fondamentale importanza e vanno tenuti bene a mente e trasmessi alle masse. Attualmente non c'è un pericolo imminente di guerra mondiale e di guerra tra i paesi imperialisti. Tuttavia bisogna vigilare ed essere pronti a qualsiasi evenienza. In ogni caso non accetteremo mai che l'Italia entri in una guerra imperialista o che si lanci da sola o assieme ad altri in avventure e aggressioni militari, qualunque esse siano e verso qualsiasi paese, e agiremo di conseguenza, come abbiamo fatto nel passato per la crisi Usa-Libia, la guerra del Golfo e gli interventi in Somalia, Bosnia e Albania. Per combattere l'imperialismo, i popoli non possono più contare sui paesi socialisti che costituiscono la loro sicura e attiva retrovia e un deterrente contro l'espansionismo e l'aggressività dell'imperialismo. Perché i paesi socialisti non esistono più. Essi sono stati abbattuti non però dall'imperialismo, bensì dai revisionisti travestiti da comunisti, elementi dello stesso stampo di D'Alema, Bertinotti e Cossutta. Costoro, attraverso imbrogli e menzogne e in maniera subdola e surrettizia, hanno prima restaurato il capitalismo in Urss e negli altri paesi socialisti, e poi, incapaci di mantenere il potere sono stati costretti a passarlo alla vecchia borghesia e ad altre correnti borghesi. La Cina, la Corea del Nord, il Vietnam e Cuba si dichiarano ancora paesi socialisti, ma lo sono solo nominalmente poiché anche in essi domina il capitalismo. Mao ha lottato strenuamente per prevenire la restaurazione del capitalismo in Cina, ma non l'ha potuto evitare perché la morte non gli ha dato il tempo necessario per completare il capolavoro marxista-leninista, senza precedenti nella storia della dittatura del proletariato, che aveva iniziato con la Grande rivoluzione culturale proletaria. L'arcirevisionista e omuncolo Deng Xiaoping ha completamente cambiato natura alla Cina e la sua nefasta opera è continuata dagli attuali oppressori borghesi e neofascisti Jang Zemin e Zhu Rongji. Quando nell'89 crollò il muro di Berlino, gli imperialisti, i borghesi e i fascisti gridarono ai quattro venti che era ``caduto il comunismo''. In realtà esso segnava la fine dei regimi revisionisti. Ciò costituisce un bene e non un male perché è stata tolta di mezzo un'ambiguità politica e statale che arrecava confusione, che non aiutava a distinguere il socialismo dal capitalismo e che deturpava l'immagine del socialismo. Il proletariato internazionale, riguardo alla costruzione del socialismo, ha così fatto una nuova importante esperienza, anche se amara e pagata con tanto sangue, sacrifici e umiliazioni. La parte più cosciente di esso ha capito che nel socialismo la rivoluzione va portata fino in fondo non scostandosi nemmeno di un millimetro dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non concedendo niente alla borghesia e al revisionismo. Vedendo ciò che è successo e sta accadendo in Russia, nell'ex Urss e nell'ex Jugoslavia, ha anche capito che solo il socialismo è capace di unire i popoli e le nazionalità e di emanciparli dalle religioni.
II - LA LOTTA ALL'IMPERIALISMO Oggi la lotta all'imperialismo è più debole, meno violenta ed estesa rispetto al passato, e soprattutto non è correttamente guidata e orientata. Fondamentalmente perché nei paesi capitalisti e in quelli ex socialisti alla testa del proletariato ci sono dei revisionisti riciclati, e perché i movimenti di liberazione nazionale sono guidati, in gran parte dei casi, da forze che si appoggiavano al socialimperialismo sovietico e ai regimi revisionisti e che, una volta perso questo appoggio, hanno svenduto o stanno svendendo le lotte dei loro popoli. Ciò ha consentito agli islamici di prendere la testa della lotta all'imperialismo a livello di Stato e a livello dei movimenti di liberazione nazionale. Non sempre però gli islamici agiscono correttamente. Solo in rari casi, come nelle Filippine, la rivoluzione è guidata dai marxisti-leninisti. In altre parti, come in Perù, India e Nepal, esistono dei movimenti armati che si definiscono marxisti-leninisti-maoisti, ma in realtà sono di matrice trotzkista e terrorista. Essi sono espressione della piccola borghesia rivoluzionaria che, impaziente di realizzare la rivoluzione, abbandona il lungo, difficile e faticoso lavoro di radicamento tra le masse e della loro preparazione alla rivoluzione e si lancia in avventure suicide, che danneggiano gravemente la causa del proletariato e della lotta all'imperialismo. In questi ultimi anni dal Chiapas è stato lanciato un messaggio che ha trovato una certa eco in Europa e in Italia, soprattutto tra alcuni settori giovanili. Questo messaggio, che non a caso è stato captato, rilanciato e sponsorizzato anche dall'imbroglione trotzkista Bertinotti, sostiene che oggi bisogna combattere ``contro il neoliberismo, per l'umanità''. Si tratta di una parola d'ordine fuorviante e scorretta. Anzitutto perché non mette al centro del bersaglio l'imperialismo che, peraltro, non si nomina nemmeno. Inoltre perché non si può fare una lotta ``per l'umanità'' che, comprendendo tutto il genere umano, quindi anche gli imperialisti e i governi che praticano il neoliberismo, non traccia alcun confine tra amici e nemici, tra paesi che opprimono e paesi oppressi, e non stabilisce qual è il nemico di classe e statale da combattere e abbattere. Mettere perciò l'umanità al centro della attuale lotta politica, vuol dire impantanarsi nell'interclassismo, nel solidarismo cattolico e nel riformismo, vuol dire in ultima analisi fare lo stesso discorso degli imperialisti, del papa e della chiesa cattolica. Infine proporre di lottare contro il neoliberismo al di fuori del contesto generale della lotta contro l'imperialismo vuol dire attaccare solo la politica economica dell'imperialismo e quindi deviare la lotta di liberazione dei popoli sul piano dell'economismo e dell'anarco sindacalismo. E la cosa diventa più grave e inaccettabile se si considera che il messaggio del Chiapas e di Bertinotti esclude la conquista del potere politico da parte del proletariato. Senza di che è impossibile emancipare l'umanità. Non va combattuta solo la linea economica dell'imperialismo, ma tutta la sua strategia e tutti i suoi atti, nonché i suoi Stati, governi, alleanze e istituzioni e organismi internazionali. In particolare vanno spazzati via la Nato, la Ue, l'Ueo, l'Osce e anche l'Onu. ``Questa Onu - come ha affermato l'Ufficio politico nel documento del 7 novembre 1995 - non risponde più all'esigenza della sua costituzione, ha cambiato carattere, ha ormai fatto il suo tempo e va sciolta... è giunto il momento di farla finita con questa organizzazione imperialista. Occorre una nuova Organizzazione mondiale, senza membri permanenti e privilegiati, senza diritti di veto, con uguali diritti e doveri, fondati sui principi del rispetto reciproco della sovranità e dell'integrità territoriali, di non aggressione, di non ingerenza nei rispettivi affari interni, di uguaglianza e di reciproco vantaggio''. Sottovalutare o ignorare queste battaglie, accettare anche una sola delle organizzazioni imperialiste o fare la ``sinistra'' di esse, significa fare il gioco dell'imperialismo e tradire le aspirazioni e le lotte dei popoli e delle nazioni alla libertà, all'emancipazione e al benessere. L'imperialismo va combattuto con gli stessi principi, finalità, strategie, alleanze, metodi, armi che ci hanno insegnato i maestri del proletariato internazionale. Lo si deve combattere per abbatterlo e distruggerlo, su scala locale e mondiale. Per questo, l'ultimo atto, presentandosi le condizioni soggettive e oggettive, non può che essere la lotta armata dei popoli, secondo le particolari situazioni. Nei paesi capitalisti e imperialisti, come l'Italia, la lotta armata consiste nell'insurrezione proletaria per il socialismo. Tutti i popoli del mondo devono unirsi per combattere l'imperialismo sostenendosi l'un l'altro sulla base dell'internazionalismo proletario. è questa una necessità assoluta, un interesse comune. Attaccare l'imperialismo da tutti i lati e in ogni parte del mondo, anche nelle sue roccaforti, vuol dire indebolirlo, fiaccarlo, demoralizzarlo, dividerlo, disperderne le forze. Ciascun popolo deve mettere nel mirino in primo luogo il ``proprio'' imperialismo. La vittoria di un popolo è la vittoria di tutti gli altri popoli. Noi dobbiamo sostenere tutti i popoli che combattono l'imperialismo, indipendentemente dalle forze che li dirigono. Consideriamo nostra la lotta dei popoli filippino, palestinese, curdo, kossovaro, del Chiapas, del Timor orientale, indonesiano, malesiano, e degli altri popoli che lottano contro l'imperialismo di casa propria, incluso quelli russo e cinese, o contro l'imperialismo esterno che li opprime. Noi appoggiamo i paesi che si oppongono ai ricatti, ai soprusi, all'ingerenza, alla sopraffazione, all'oppressione e all'aggressione dell'imperialismo, qualsiasi siano le forze che li governano, anche se siamo contrari alla loro politica interna e a certi loro atti di politica estera. Noi dobbiamo lottare affinché vengano cancellati i debiti ai paesi più poveri. Dobbiamo però essere coscienti che il contributo più grande, più concreto e più efficace che noi possiamo dare alla lotta contro l'imperialismo è quello di combattere con tutte le nostre forze contro l'imperialismo italiano e il governo di D'Alema che ne regge le sorti ostacolandoli e facendogli vedere i sorci verdi, fino alla loro caduta e distruzione. Il PMLI deve diventare il primo, il più coerente, coraggioso e generoso combattente antimperialista del mondo. L'INTERNAZIONALE MARXISTA-LENINISTA Noi dobbiamo unirci con tutti i Partiti, le Organizzazioni e i gruppi autenticamente marxisti-leninisti del mondo, sulla base del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nella lotta all'imperialismo, al colonialismo, al razzismo, al revisionismo, al neorevisionismo e al trotzkismo e sulla base del mutuo aiuto e rispetto. è una necessità e un dovere proletario rivoluzionario che i Partiti marxisti-leninisti si uniscano e si aiutino l'un l'altro come fratelli nella lotta contro i comuni nemici. Ma per realizzare questa unità di classe occorre la massima chiarezza ideologica e politica e la netta delimitazione del campo dei Partiti che hanno la comune matrice marxista-leninista e sono disposti ad imparare gli uni dagli altri a essere sempre fedeli al pensiero, agli insegnamenti e all'opera dei grandi maestri del proletariato internazionale: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Sarebbe infatti un grave errore confondere l'unità tra i Partiti marxisti-leninisti con il fronte unito con i Partiti e i movimenti antimperialisti. Noi siamo profondamente riconoscenti ai Partiti fratelli, a cominciare dal Partito comunista marxista-leninista di Grecia col quale abbiamo forti e antichi legami di classe marxisti-leninisti riaffermati nel Comunicato congiunto emesso dall'incontro di Firenze nell'aprile dell'anno scorso tra le due delegazioni guidate dai Segretari generali dei due Partiti, per i messaggi di saluto e solidarietà che hanno inviato al nostro Congresso. Noi li ringraziamo per l'attenzione che hanno avuto verso di noi e per le parole di sostegno che ci hanno espresso che costituiscono un potente incoraggiamento a proseguire sulla strada che abbiamo tracciato. Noi siamo coscienti che da soli non possiamo nulla contro l'imperialismo mondiale e che solo dal rafforzamento e dallo sviluppo dei Partiti marxisti-leninisti dei vari Paesi la lotta antimperialista può dispiegare completamente le ali e percorrere tutto il suo tragitto e arrivare fino al socialismo. Ci vorrebbe l'Internazionale marxista-leninista per coordinare e sostenere le lotte dei Partiti marxisti-leninisti, per stabilire comuni linee d'azione, per scambiarsi le proprie esperienze. Oggi l'Internazionale marxista-leninista è una semplice aspirazione, ma un giorno le dovremo pur dare i natali. Intanto bisogna lavorare per far maturare le condizioni e i tempi. Ne abbiamo parlato diffusamente al 2° Congresso nazionale del Partito che si è tenuto nel 1982. I termini della questione sono sostanzialmente sempre quelli, e ad essi noi continuiamo a riferirci e ad ispirarci. Attualmente possiamo fare ben poco per promuovere l'Internazionale marxista-leninista e per verificare se ne esistono le condizioni. Ci mancano le forze, i mezzi e il tempo materiale necessario per poter incontrare ogni Partito fratello e discutere assieme la questione. Nel passato, negli incontri bilaterali che abbiamo avuto e al Seminario internazionale sul pensiero di Mao in cui eravamo presenti e abbiamo presentato una relazione e un contributo scritto del Segretario generale del Partito, non abbiamo mancato di esprimere apertamente il nostro pensiero sulle questioni che ci stavano particolarmente a cuore. Nell'immediato, e ancora per un certo tempo, sarà difficile per noi sviluppare questo tipo di rapporti internazionali. Una cosa però la possiamo fare e la faremo senz'altro: costruire un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista. Quanto più forti noi saremo, tanto più potremo dare un nostro contributo all'unità, alla cooperazione, alla combattività e allo sviluppo dei Partiti fratelli e a fare avanzare l'idea e la realizzazione dell'Internazionale marxista-leninista.
III - L'ITALIA OGGI L'Italia di oggi è profondamente cambiata, politicamente, istituzionalmente ed economicamente, rispetto a quella di 13 anni fa. L'unica cosa che non è cambiata è la dittatura della borghesia, che anzi si è rafforzata grazie al sostegno governativo dei rinnegati del comunismo.
In questo arco di tempo siamo passati dalla prima Repubblica democratica borghese alla seconda repubblica neofascista, presidenzialista e federalista, senza che vi sia stata una proclamazione ufficiale e nell'assoluta inconsapevolezza da parte delle masse. Tanti e abilmente mascherati sono stati gli imbrogli e gli inganni dei politicanti borghesi che le masse non hanno capito niente di ciò che stava avvenendo. Mancano solo gli ultimi timbri costituzionali e legislativi per completare legalmente e istituzionalmente l'opera della seconda repubblica. Siamo stati a un passo che questi timbri fossero messi se non fosse fallita la bicamerale golpista di D'Alema, il cui progetto, se fosse stato approvato dal parlamento, avrebbe cancellato formalmente lo Stato e la Costituzione della prima Repubblica. D'Alema però ci sta riprovando avvalendosi ora dello scranno più alto del presidente del Consiglio. La seconda repubblica, progettata dalla P2 di Gelli attraverso il cosiddetto ``piano di rinascita democratica'' e lo ``Schema R'' redatti nel 1975, è stata instaurata in una prima fase in maniera surrettizia, tanto che fino al governo Ciampi chi si era convertito ad essa dopo anni di opposizione, ipocritamente e per confondere le idee delle masse, parlava di ``secondo tempo della Repubblica''. Solo successivamente, col governo Berlusconi, la sua instaurazione è avvenuta in maniera aperta. Nascondendo però sempre il suo carattere neofascista, che anzi si cerca di far passare come uno sviluppo della democrazia, un ``ammodernamento del sistema politico'', una necessità per dare stabilità al governo e al Paese. I primi passi concreti verso la realizzazione della seconda repubblica sono stati compiuti dai due governi Craxi (4 agosto '83-3 marzo '87). Costui, che D'Alema il 3 ottobre 1991 avrebbe voluto candidare al Quirinale, è stato il primo a teorizzare apertamente, fin dal settembre 1979, la necessità di una ``Grande riforma'' istituzionale, e a lanciare, nel febbraio 1987 nelle tesi congressuali del PSI, la repubblica presidenziale che prevedeva l'elezione diretta del presidente della Repubblica. Un progetto da sempre nei piani dei fascisti: da Mussolini ad Almirante e Fini. I governi Craxi, oltre al feroce attacco alle conquiste dei lavoratori, tra cui la scala mobile, si è particolarmente distinto per l'attacco sistematico e martellante alla magistratura e per le iniziative legislative e referendarie tese a normalizzare e irreggimentare la magistratura e assoggettare i pubblici ministeri al governo anche attraverso la separazione delle carriere tra essi e i giudici. I successivi governi hanno proseguito nella linea controriformatrice di Craxi. Anche il governo Goria (20 luglio '87-11 marzo '88), sotto cui viene approvata la legge sulla responsabilità civile dei giudici, e quello De Mita (13 aprile '88-19 maggio '89), che pure avevano inizialmente delle riserve e dei dissensi riguardo alla seconda repubblica. Sotto il governo De Mita viene abolito il voto segreto alla Camera, approvata la ``riforma'' della presidenza del Consiglio e promossa la legge sulla ``regolamentazione'' del diritto di sciopero ``nei servizi pubblici essenziali''. Contro questa legge antisciopero, votata anche dal PCI, il PMLI si è battuto strenuamente sviluppando una delle sue più grandi campagne di massa. Abbiamo promosso dei ``Comitati per la difesa del diritto di sciopero'' e una petizione inviata alla Camera, la quale non si è degnata nemmeno di rispondere, sottoscritta da 7.342 lavoratori, sindacalisti, delegati di fabbrica, parlamentari, esponenti degli enti locali e dell'associazionismo. Nel corso di questa battaglia il compagno Paolo Picchianti, che si batteva in prima linea, è stato vilmente destituito dalla carica di Segretario generale della Funzione pubblica della Valsesia da parte del vertice revisionista della Camera del lavoro della Valsesia e della Segreteria provinciale piemontese della Cgil-Funzione pubblica. I due governi Andreotti (23 luglio '89-2 febbraio '92) hanno fatto approvare la suddetta legge antisciopero e le ``riforme'' delle autonomie locali, dell'Università, dell'emittenza televisiva, delle Usl e degli ospedali e il nuovo regolamento della Camera. Sotto il governo Amato (4 luglio '92-21 aprile '93) avviene il passaggio ufficiale dal regime democratico borghese al regime neofascista in quanto che l'allora braccio destro di Craxi ha operato esplicitamente per aprire una ``fase costituente'' per ``riformare'' le istituzioni, ossia riscrivere la Costituzione in base alle nuove esigenze del regime capitalistico e alla luce del famigerato trattato di Maastricht. Sotto il governo Ciampi (13 maggio '93-9 maggio '94) vengono cambiati il sistema elettorale e la ``costituzione economica'' attraverso le privatizzazioni e il ``patto sociale'' del luglio 1993. Altri cambiamenti di regime sono stati introdotti dal governo Berlusconi (10 maggio '94-22 dicembre '94) e dal governo Dini (17 gennaio '95-16 maggio '96). Sotto quest'ultimo governo, col voto favorevole del partito di D'Alema, le pensioni pubbliche hanno ricevuto un grosso taglio, meno radicale di quello voluto da Berlusconi, ma sempre grave. Il governo piduista Berlusconi ha agito come se non fosse mai esistita la Resistenza e ha ricongiunto la seconda repubblica al ventennio fascista di Mussolini, avendo, tra l'altro, nel suo seno il partito fascista storico, anche se col nome nuovo di Alleanza nazionale. Un fatto senza precedenti nella storia governativa italiana dalla Liberazione dal nazi-fascismo. Ma è la logica conseguenza dell'abbattimento ufficiale delle pregiudiziali antifasciste e antimonarchiche e dell'omologazione borghese, reazionaria e anticomunista esistente in parlamento e nelle istituzioni. Da quando si è arrivati a celebrare nel 1988 i funerali di Stato per Giorgio Almirante, segretario nazionale del MSI e fucilatore di partigiani, era inevitabile che i fascisti potessero arrivare al governo liberamente. Un ruolo fondamentale per l'instaurazione della seconda repubblica e del presidenzialismo l'hanno svolto gli ultimi presidenti della Repubblica - il socialista Sandro Pertini e i democristiani Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro -, con il loro presidenzialismo di fatto, con la formazione di ``governi del presidente'', con le ripetute esortazioni a fare le ``riforme istituzionali'', con l'avallo di atti governativi e la firma dei provvedimenti governativi che violavano la vigente costituzione, con i messaggi al parlamento invocanti le ``riforme istituzionali'', per non aver denunciato, da parte dei due ultimi presidenti, il federalismo e il secessionismo dell'avventuriero neofascista e razzista Bossi. In quest'opera reazionaria si è particolarmente distinto l'implacabile picconatore e capo dei gladiatori Cossiga. Ma anche Scalfaro non ha scherzato. Questo papa mancato e anticomunista storico viscerale ha tentato ripetutamente di aprire la ``fase costituente''. Fin dal discorso di investitura, pronunciato in parlamento il 28 maggio 1992, ha chiesto ``una globale e organica revisione della Carta costituzionale nell'articolazione delle diverse istituzioni''. Tra i picconatori della prima Repubblica e i promotori della seconda repubblica vanno anche annoverati Mario Segni - padre dei referendum elettorali e leader del partito trasversale controriformatore, pupillo di Cossiga, è stato lui a mandarlo in parlamento nel 1976, figlio dell'ex presidente della Repubblica, Antonio Segni, coinvolto nel golpe De Lorenzo - e l'ultimo arrivato Antonio Di Pietro, l'ex pubblico ministero di ``Mani pulite'' che ha strumentalizzato tangentopoli per tentare di spiccare un salto politico più in alto possibile, magari al Quirinale. Paradossalmente i passi decisivi verso il completamento della seconda repubblica sono stati compiuti dal governo Prodi (17 maggio '96-20 ottobre '98) e dal governo D'Alema dal 21 ottobre in carica. Proprio da quegli stessi politicanti borghesi che in un primo tempo, e per lungo tempo, sono stati contro la seconda repubblica, il presidenzialismo e il federalismo.
IL GOVERNO D'ALEMA Dopo 50 anni i rinnegati del comunismo sono ritornati al governo e hanno occupato, per la prima volta con D'Alema, la carica di presidente del Consiglio. Senza che ciò abbia apportato più libertà, più democrazia, più benessere per le masse. Gli unici a beneficiarne sono stati e sono la borghesia, il capitalismo e il loro regime. è stato sempre così ogni volta che il PCI è andato al governo. Sia subito dopo la Liberazione, tra il '45 e il '47, quando nel governo ha favorito la ricostruzione dell'economia capitalista e dello Stato borghese e graziato i fascisti e i repubblichini. Sia quando, sostenendo i governi Andreotti nel periodo della cosiddetta ``solidarietà nazionale'' che va dal luglio '76 al gennaio '79, partecipò in prima persona alla denigrazione e alla repressione del movimento rivoluzionario di massa del '77 e ispirò la ``svolta dell'Eur'' avvenuta il 14 febbraio 1978 con l'Assemblea dei Consigli generali e dei quadri Cgil, Cisl, Uil. Questa svolta ha gettato le basi ideologiche, politiche e rivendicative dell'odierno sindacato di governo che subordina le lotte sindacali ed economiche alle compatibilità del sistema capitalista. Luciano Lama, allora Segretario generale della Cgil ed esponente del PCI, in quella sede teorizzò per la prima volta che ``il salario non è una variabile indipendente'', una tesi che ha portato alla cancellazione della scala mobile, all'accettazione dei tetti di inflazione, alla ``politica dei redditi'' e ai ``patti sociali'' di luglio '92 e '93 e a quello di quattro giorni fa. Ora gli eredi del PCI, finalmente padroni del governo, sono tutto papa, chiesa, patria, capitalismo, istituzioni e famiglia. Ciò dimostra che i revisionisti sono dei borghesi travestiti da comunisti, che la loro salita al potere è un bene non un male per la borghesia e che questa fa i ponti d'oro a chi rinnega il socialismo e il comunismo. Romano Prodi, sperimentato economista della sinistra DC, padre delle privatizzazioni fin da quando era presidente dell'Iri, alleatosi con D'Alema, Cossutta e Bertinotti, ha diretto un governo che aveva lo scopo, come egli ha dichiarato in parlamento di ``promuovere lo sviluppo del capitalismo e la privatizzazione delle attività produttive'' e la ``ristrutturazione seria'' dello ``Stato sociale'', di fare entrare l'Italia nell'Euro e di ``proiettare il nostro Paese nel mondo, dando un ruolo importante alle nostre Forze armate''. Su questa base egli ha fatto pagare alle masse una politica economica di lacrime e sangue attraverso due finanziarie per un totale di 125 mila miliardi, col consenso pieno di Bertinotti e Cossutta, e la promozione di quella del '99 di 14.700 miliardi, che è stata fatta propria dal governo D'Alema. La controriforma Bassanini, da Prodi tenacemente perseguita e votata l'11 marzo '97 anche dal PRC, ha introdotto fondamentali elementi del federalismo, nuove misure per la privatizzazione della scuola, il trasferimento dallo Stato alle regioni dei trasporti locali e completato il processo di privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti. Inoltre essa ha stabilito i principi fondamentali cui debbono attenersi le regioni e gli enti locali. Il principio della ``sussidiarietà'', che significa il ritiro dello Stato dai compiti di erogare e gestire i servizi sociali, assistenziali e sanitari della comunità, lascia campo libero ai privati e alla chiesa cattolica con la sua concezione reazionaria della famiglia e della donna. Il principio della ``copertura finanziaria e patrimoniale'' dei costi dei servizi gestiti dagli enti locali, impone a questi ultimi di ``far quadrare i bilanci'' tagliando le prestazioni, il personale e le strutture. Infine il principio dell'``autonomia'' organizzativa e regolamentare degli enti locali funzionale alla privatizzazione dei servizi pubblici. Tutto ciò, come si vantano Prodi e il suo ex ministro Bassanini, già esponente del PSI craxiano, è avvenuto ``a Costituzione invariata''. Non siamo quindi ancora a un federalismo completo e costituzionale, ma si è avviato comunque un processo che non può non portare alla divisione dello Stato italiano e a forti disparità e tensioni tra regioni e regioni. Il federalismo è stato sempre un cavallo di battaglia dell'antimeridionale Lega Nord di Bossi, che però successivamente è passata al secessionismo dell'Italia del Nord, la cosiddetta ``pada-nia''. Il federalismo è anche sostenuto dalla fondazione Agnelli che nel '92 ha lanciato una ricerca dal titolo ``La Padania: una regione italiana in Europa'' allo scopo di adeguare il nostro Paese all'``economia globalizzata''. Segno evidente che il federalismo risponde alle attuali esigenze economiche e commerciali di certi monopoli nazionali e dei capitalisti medi e minori delle regioni più ricche e più forti economicamente. Noi consideriamo, invece, il federalismo una iattura per l'unità del popolo italiano e del Paese, un ritorno all'indietro, all'Italia divisa in molti Stati prima dell'Unità. In una condizione in cui il divario tra il Nord e il Sud è divenuto abissale e le regioni del Nord hanno bisogno di sganciare il Sud per poter meglio competere con le altre parti dell'Europa nel mercato unico europeo e mondiale. In questa situazione, adottando il federalismo, a farne principalmente le spese sarebbero le masse operaie, lavoratrici e popolari che si frantumerebbero in tante parti, con il rischio di entrare in guerra tra di loro per un tozzo di pane in più, a discapito dell'unità di classe, della lotta di classe e del successo delle comuni rivendicazioni sociali ed economiche. Guardando il federalismo dal punto di vista della classe operaia, ci sembrano attuali le seguenti considerazioni di Marx ed Engels sulla situazione esistente in Germania nel 1850. ``Gli operai - indicano i nostri maestri - debbono opporsi a questo piano (quello di coloro che volevano il federalismo in Germania, nostra nota) e lavorare non soltanto per la repubblica tedesca una e indivisibile, ma anche, entro di essa, per una decisissima centralizzazione del potere nelle mani dello Stato. Essi non debbono lasciarsi ingannare dalle chiacchere democratiche sulla libertà dei comuni, sul governo locale autonomo, e così via. In un paese come la Germania, in cui occorre ancora liquidare tanti residui del medioevo, e si devono spezzare tanti particolarismi locali e provinciali, non si deve in nessun modo tollerare che ogni villaggio, ogni città, ogni provincia ponga un nuovo impedimento all'attività rivoluzionaria che, in tutta la sua forza, può diffondersi soltanto dal centro. Non si deve tollerare che si rinnovi l'attuale stato di cose in cui i tedeschi debbono battersi di volta in volta, separatamente, in ogni città, in ogni provincia, per conseguire un solo progresso, sempre lo stesso. E meno ancora può tollerarsi che una forma di proprietà che è ancora più arretrata della proprietà privata moderna e si dissolve dappertutto necessariamente in questa - la proprietà comune - e i conflitti che ne derivano fra comuni ricchi e poveri, così come il diritto pubblico comunale, esistente a fianco del diritto pubblico di Stato, si perpetuino attraverso una cosiddetta libera costituzione dei comuni, con i suoi cavilli contro gli operai''.10 Anche per questi motivi noi marxisti-leninisti italiani ci battiamo per una Italia unita, rossa e socialista. Vogliamo che i nostri amati proletariato e popolo rimangano uniti. Vogliamo che le nostre regioni e l'intero nostro amato Paese rimangano uniti. Vogliamo che le lotte quotidiane per le stesse cose comuni e generali siano fatte unitariamente dalle masse del Sud, del Centro e del Nord. Vogliamo che le lotte che riguardano settori delle masse e singole regioni siano sostenute da tutte le masse italiane e da tutte le regioni d'Italia nell'ambito di una stessa strategia. Vogliamo che tutte le masse operaie, lavoratrici, popolari e giovanili siano interpretate e coinvolte nella lotta di classe e nella rivoluzione proletaria per l'Italia unita, rossa e socialista. Questo è quanto abbiamo cercato di far capire anche visivamente alle masse partecipando ufficialmente, con un grosso sforzo organizzativo ed economico, alla grande manifestazione antisecessionista che si è svolta a Milano il 20 settembre dell'anno scorso. Formalmente il governo Prodi è stato costretto a dimettersi perché gli è mancato il sostegno del suo stretto alleato Bertinotti, che non poteva più coprirlo nel massacro sociale. In realtà il grande regista del suo abbattimento è stato Massimo D'Alema che da tempo brigava con Cossiga per fargli le scarpe. Non si può infatti improvvisare un governo come quello attuale in quattro e quattro otto e senza una lunga e accurata preparazione degli equilibri governativi e del programma. La fondazione dell'UDR, evidentemente, doveva servire anche a questo scopo. Era nel conto che prima o poi D'Alema dovesse prendere il posto di Prodi, già logorato e non più utile al disegno della seconda repubblica. è quindi bastata la mancanza di un solo voto, dovuta a un calcolo errato di previsione, nella votazione della fiducia alla Camera per far fuori Prodi e sostituirlo immediatamente con D'Alema. Il governo di questo rinnegato non è un governo moderato, come sostiene quell'imbroglione trotzkista e cacasotto Bertinotti, ma un governo organicamente di destra. Lo dimostrano la composizione, le alleanze politiche e sociali, il programma, la collocazione internazionale e i primi atti politici di politica interna e internazionale. Lo dimostrano il sostegno determinante di Cossiga, che non molto tempo fa lo stesso partito di D'Alema lo accusava di essere un ``eversore'' e un ``golpista'', l'attacco di stampo fascista e craxiano al diritto di sciopero nei trasporti e le manganellate della polizia agli studenti, che lottano contro il finanziamento delle scuole private, e agli antirazzisti. Lo dimostrano la liberalizzazione e la privatizzazione dell'Enel, la fiducia posta sul decreto che stabilisce gli straordinari a partire dalla 45· ora, l'inserimento nella legge finanziaria del finanziamento della scuola privata e il perseguimento dell'obiettivo di dare a essa una funzione pubblica e la parità scolastica. Lo dimostra il fatto che non ha preso ancora alcun provvedimento urgente, adeguato e radicale per iniziare la ricostruzione dei paesi alluvionati del Sarno e quelli terremotati dell'Umbria e delle Marche. Per tutti questi motivi, questo è il governo della borghesia in camicia nera con il simbolo di Gladio e della controriforma costituzionale affidata a Giuliano Amato, architetto della ``Grande riforma'' craxiana e piduista. Questo è il governo che intende realizzare la ``pace sociale'' tra i lavoratori e i padroni e accreditare le ``forze dell'ordine'' dello Stato borghese come amiche e protettrici delle masse, come emerge chiaramente dalle seguenti parole di D'Alema: ``I carabinieri rappresentano lo Stato che non opprime, ma protegge i più deboli''.11 Questo è il governo che si propone di fare dell'Italia una grande potenza imperialista dandole ``un ruolo globale sulla scena internazionale''. Questo è il governo che sta in-troducendo nello Stato i dogmi del papa e della chiesa cattolica sulla famiglia, la maternità, l'embrione e l'aborto. La politica sociale fa-milista è l'espressione di questo orientamento ideologico, morale e politico. Essa si incontra perfettamente con le attuali esigenze del capitalismo che ha bisogno che sia ridotta al minimo la spesa pubblica per arraffare più finanziamenti dallo Stato e che siano privatizzati tutti i servizi sociali e i servizi pubblici. La politica sociale familista, da sempre bandiera della destra cattolica, democristiana e fascista, già praticata da Prodi a dosi più forti di quelle di Craxi, pone la famiglia, fondata sul matrimonio possibilmente cattolico e strettamente eterosessuale, come soggetto principale dei diritti economici e sociali al posto delle masse lavoratrici, femminili e popolari. Con ciò si scarica sulla famiglia, e quindi sulle donne, tutto il peso dei servizi sociali, assistenziali e sanitari. Da qui i tagli selvaggi alla spesa sociale e previdenziale, ai servizi sociali che vengono privatizzati. Da qui le misure di sostegno economico ai figli e alla maternità in perfetto stile mussoliniano. Tutto ciò porta inevitabilmente all'azzeramento dello ``Stato sociale''. Noi siamo risolutamente contrari alla politica sociale familista e rivendichiamo con forza che sia lo Stato, non la famiglia, i privati, il ``non profit'' e il volontariato, ad occuparsi dei bisogni economici, sociali, sanitari e assistenziali, attraverso servizi sociali pubblici, adeguati, accessibili a tutti ed estesi in ogni regione, in modo da creare le condizioni affinché le donne e gli uomini possano avere uguale diritto al lavoro, a tempo pieno e a salario pieno, e liberarsi dalla schiavitù domestica e familiare. In questo quadro rivendichiamo il lavoro per le donne e la socializzazione del lavoro domestico attraverso la costruzione di una fitta rete di servizi sociali pubblici a basso costo su tutto il territorio nazionale, specie nel Mezzogiorno. Ciò è assolutamente necessario affinché non vi siano più mamme, mogli, casalinghe, figlie schiave domestiche, oggetti sessuali, succubi, mortificate, sottomesse alla famiglia, all'uomo e alla società come vorrebbero il capitalismo, il papa e la chiesa cattolica. Neofascismo e liberismo all'interno e interventismo, neocolonialismo e imperialismo all'estero; affamare i lavoratori, i disoccupati e i pensionati e arricchire i borghesi e i capitalisti; manganellare la sinistra e proteggere la destra: questa è in sintesi la politica del governo del rinnegato D'Alema. Poiché è questo governo che amministra oggi gli affari della borghesia, esso costituisce il nemico principale del proletariato e delle masse lavoratrici, popolari e giovanili. Contro il governo D'Alema bisogna quindi far fuoco ad alzo zero usando tutte le armi ideologiche, politiche, sindacali, propagandistiche e giornalistiche di cui disponiamo senza risparmi di energie. L'avvento della seconda repubblica rappresenta una svolta politica, oltreché istituzionale. Dal governo Craxi a quello D'Alema è stata smantellata la vecchia politica dell'Italia capitalista, piccola potenza subalterna agli Usa e introdotta progressivamente e sempre più velocemente una politica adeguata al rango di quinta-sesta potenza industriale mondiale autonoma e indipendente dagli Usa che ambisce ad avere un ruolo sempre più grande in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo. Da qui il via libera al liberismo, alle privatizzazioni, alle grandi fusioni bancarie e industriali, alla massiccia fiscalizzazione degli oneri sociali e gli altri lauti regali ai padroni, allo smantellamento dello ``Stato sociale'', ai drastici tagli alla spesa pubblica e alle strette fiscali senza precedenti, alla cancellazione dei diritti economici e sociali conquistati dalla classe operaia e dalle masse con dure lotte e col sangue. Da qui una politica estera che impegna l'Italia imperialista, consapevole di essere la tredicesima potenza militare mondiale, in avventure militari in regioni assai lontane, come il Golfo Persico, e in quelle limitrofe, come in Albania, Bosnia e in Kossovo. Nel discorso alla Camera sul voto di fiducia D'Alema ha detto chiaramente che il suo governo intende ``guardare ai grandi processi di mondializzazione con la maturità di una grande nazione avanzata che ha conquistato la piena legittimità a svolgere un ruolo globale sulla scena internazionale''. Per questo, egli ha aggiunto nella replica al Senato, occorre adottare un ``nuovo modello di difesa... che significa Forze armate più snelle, più efficienti, in grado di integrarsi in un sistema internazionale di difesa o riconquista della pace, certamente Forze armate - egli sottolinea - che dovranno avere una componente professionale maggiore e un livello tecnologico adeguato''. Il PMLI si è fatto in quattro per impedire l'instaurazione della seconda repubblica denunciando tempestivamente i primi segnali e i passi successivi che tendevano ad abbattere da destra la prima Repubblica e la vigente Costituzione, lanciando un forte allarme antifascista attraverso il documento del Comitato centrale del 20 febbraio 1988 e mettendo in guardia sulla pericolosità dell'allora presidente della Repubblica. Per metterci a tacere si ricorse anche alla via giudiziaria promuovendo delle inchieste, anche se poi archiviate, sugli autori e stampatori degli editoriali ``Fare piena luce sui rapporti Cossiga-P2'' e ``Attenti a Cossiga'' pubblicati rispettivamente sui numeri 37/1990 e 13/1991 de ``Il Bolscevico''. Purtroppo non ce l'abbiamo fatta a far giungere alle masse le nostre denunce antifasciste per via delle nostre poche forze, ma anche perché i mezzi di informazione si sono ben guardati dal diffonderle e tutti i partiti parlamentari hanno fatto orecchi da mercante ai nostri allarmi e ai nostri inviti pubblici a lavorare insieme contro la restaurazione del fascismo sotto nuove forme. Gli avvenimenti successivi hanno poi dimostrato che tutti quanti costoro, in un modo o nell'altro, direttamente o indirettamente erano coinvolti e cointeressati al progetto della P2. In tal modo la Costituzione del '48, pur essendo giuridicamente tuttora in vigore, è stata gravemente violata e fatta a pezzi. La seconda parte di essa è stata virtualmente cambiata, e D'Alema si propone di riscriverla possibilmente nel corso stesso di questa legislatura, almeno nella parte che riguarda il presidenzialismo e la legge elettorale. Ma poiché l'appetito vien mangiando, già si parla di cambiarne anche la prima parte. Tra gli sponsor di questo nero progetto si annoverano Cesare Romiti, ex presidente della Fiat, finanziere legato a Cuccia e a Mediobanca e proprietario del ``Corriere della Sera'', Mario Segni e Antonio Maccanico, attuale presidente della Commissione affari costituzionali della Camera. Il primo, nel giugno '96, parlando a un convegno italo-americano che si è svolto a Bologna ha invocato ``una nuova costituzione economica'' in cui si tuteli esplicitamente il mercato e la concorrenza, si dichiari l'autonomia della Bankitalia, l'obbligo dello Stato di ridurre al minimo la gestione diretta di enti economici. Il secondo, qualche giorno dopo, il 25 giugno su ``La Repubblica'' ha chiesto esplicitamente di cambiare anche la prima parte della Costituzione. Il presidente della Commissione parlamentare intervistato da ``l'Unità'' del 27 novembre scorso ha addirittura avanzato delle proposte concrete in merito, appoggiando apertamente delle iniziative del Polo di Berlusconi e Fini, con queste parole: ``Abbiamo per esempio un'iniziativa che viene proprio dall'opposizione: la riforma degli articoli 41-42-43 della Costituzione economica. è una riforma importante, che io porterò avanti''. Al momento i fautori della seconda repubblica stanno ricercando un compromesso per una legge elettorale più marcatamente maggioritaria e per l'elezione diretta del presidente delle regioni. Questa nuova legge completerebbe così la controriforma elettorale iniziata nel '91 con l'abolizione delle multipreferenze e proseguita nel '93 con la legge maggioritaria e uninominale e con quella dell'elezione diretta dei sindaci e del presidente delle province. La controriforma elettorale ha soppresso il sistema elettorale democratico borghese conforme alla Costituzione del '48 e stabilito quello consono alla costituzione neofascista. Contrariamente a quanto sostengono i suoi promotori, essa ha aumentato il potere delle lobby economiche e finanziarie, ha personalizzato le battaglie elettorali, ha accentrato i poteri sui vertici istituzionali ai vari livelli, ha diminuito il peso dell'elettorato sugli eletti, sulle istituzioni e sui governi centrale, regionali e locali, ha eliminato i partiti più piccoli e più deboli, salvo quelli che si alleano e si sottomettono ai partiti maggiori. In sostanza è stata compiuta la stessa operazione fatta nel '23 da Mussolini con la legge Acerbo che istituì il sistema elettorale maggioritario. Artefici della seconda repubblica sono stati i vecchi partiti governativi, in primo luogo il PSI di Craxi, Amato e Martelli e la DC di Forlani e Andreotti, spazzati via da tangentopoli, il più grave e colossale scandalo della prima Repubblica ancora in atto, scoperchiato dalla procura di Milano nel febbraio '92, nonché i ``nuovi'' partiti del regime, che vanno da Forza Italia e da Alleanza nazionale all'Ulivo, ai Verdi e ai tre partiti - DS, PRC e PdCI - nati dalla liquidazione del PCI nel '91. Anche le Confederazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil hanno partecipato al cambio di regime soprattutto per la parte economica e sociale. Lo conferma indirettamente l'attuale ministro del tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, con queste parole: ``Gli accordi del luglio '93 che io feci firmare alle parti sociali sono stati uno dei punti di svolta cruciale nella storia di questo paese''.12 Con gli accordi di luglio '92 e luglio '93 e di questo dicembre, le tre Confederazioni sindacali sono divenute totalmente dei sindacati liberali, governativi e filo padronali e hanno concorso attivamente a cambiare le ``relazioni sindacali'' e il sistema contrattuale in senso cogestionario e neocorporativo di stampo mussoliniano. Esse hanno sposato interamente la ``nuova cultura aziendale'' e conformemente ad essa si muovono, agiscono, si organizzano e contrattano nel rigoroso rispetto della ``competitività'' economica e commerciale internazionale del capitalismo italiano. Come dimostra l'accettazione della concertazione, della flessibilità, della mobilità, del merito, delle differenze salariali tra il Nord e il Sud, del ``salario d'ingresso'', dei differenti rapporti di lavoro (a tempo pieno e indeterminato, a termine, stagionale, part-time, apprendistato, con contratto di formazione lavoro, ora in via di abolizione e sostituiti con gli stage e con l'apprendistato che potrà essere praticato addirittura fino a 26 anni nel Mezzogiorno, in affitto, precario), dei ``contratti d'area'', dei ``patti territoriali'', della cancellazione del ``posto fisso'', com'è avvenuto in questi giorni negli istituti creditizi e alle poste dove è stata introdotta la ``cassa integrazione'', e così via. Hanno cambiato persino linguaggio. Un esempio per tutti: non dicono più padroni ma ``datori di lavoro'', non più lotta di classe ma ``conflitti di interessi''. Tutto questo perché, come auspica Sergio Cofferati, Segretario generale della Cgil, ``la vecchia guerra tra capitale e lavoro possa finalmente considerarsi finita''.13 Ed è proprio per far finire questa guerra tra il proletariato e la borghesia, che però non potrà mai avere fine, che le tre Confederazioni cercano di ridurre al minimo gli scioperi. è stato calcolato che la quantità di ore di sciopero nel '98 è pari a un ventesimo rispetto al '78. Da 23.206 mila ore di sciopero nell'88 siamo passati a 8.150 ore nel '97. Niente in confronto agli 80 milioni di ore di sciopero in media l'anno tra il 1949 e il 1969, ai 100 milioni di ore annue in media tra il 1965 e il 1975, nel solo 1969 vi sono state 294 milioni ore di sciopero. Nella prima metà degli anni '90 vi sono stati 20 milioni di ore in media l'anno. 13 milioni e mezzo nel '96. Nel '97 gli scioperi sono calati del 38,6% rispetto all'anno precedente. Nei primi 9 mesi del '98 sono calati del 59,4% rispetto allo stesso periodo del '97. Ora addirittura si propone di abolire gli scioperi, almeno nei ``servizi pubblici essenziali'', proclamando degli ``scioperi virtuali'', come ha auspicato Cofferati nell'intervista a ``La Repubblica'' dell'11 novembre scorso. Questo in una situazione in cui le masse avrebbero invece bisogno della più vasta mobilitazione sindacale per combattere la miseria, la disoccupazione e lo sfruttamento che li affliggono. Nel nostro Paese a fronte del 10% della popolazione che detiene nelle proprie mani il 23% del reddito nazionale, di manager come il nuovo presidente della Fiat, Paolo Fresco, che gode di uno stipendio annuo di 11,5 miliardi, dei parlamentari che riscuotono come stipendio base ogni mese 18 milioni e 730 mila lire lorde oltre una serie di privilegi da nababbo, esistono ben 7 milioni di poveri, tre su quattro nel Sud, 3 milioni di disoccupati, la maggior parte dei quali, secondo calcoli ufficiali, rimarrà per sempre senza lavoro, 5 milioni di lavoratori in nero, e quindi senza assistenza sanitaria e previdenziale, 300 mila bambini sono già a lavoro. Inoltre i salari e le pensioni sociali e minime sono bassi e insufficienti, le donne sono le prime ad essere licenziate e ricacciate tra le mura domestiche ad occuparsi della famiglia, ogni giorno si registrano in media 4 morti e 140 infortuni sul lavoro e ogni anno 40 mila lavoratori in media contraggono malattie professionali, 4 milioni e 571 mila famiglie vivono in affitto con canoni esosi che falcidiano i redditi familiari. Se non sarà raggiunto l'obiettivo governativo per il triennio '99-2001 di conseguire la crescita del prodotto interno lordo del 2,8% medio annuo, cosa che ormai sembra impossibile in base alle stesse dichiarazioni del governatore della Bankitalia, inevitabilmente le condizioni delle masse diventeranno ancora più difficili e insopportabili. In particolare ne pagheranno le conseguenze l'occupazione e il Mezzogiorno.
Il Mezzogiorno, costituito da 20 milioni di abitanti, oltre un terzo della popolazione italiana, è stato sempre sacrificato dal capitalismo e dai governi che si sono succeduti fin qui. Il divario esistente tra Nord e Sud non è mai stato colmato, anzi a volte è aumentato. Tanto che oggi si concentra nelle regioni meridionali il massimo del sottosviluppo, della disoccupazione, della miseria, dello sfruttamento dei lavoratori e dei bambini, del lavoro nero, dei bassi salari, della mancanza delle protezioni sindacali, del ``caporalato'', dell'arretratezza dei trasporti, delle infrastrutture e delle tecnologie. Situazioni particolarmente sfavorevoli si registrano in Calabria e in Sicilia, che non hanno mai conosciuto un vero sviluppo. I fiumi di miliardi elargiti dallo Stato per lo sviluppo del Mezzogiorno sono andati a finire per lo più nelle tasche della mafia, della 'ndrangheta, della camorra e della ``sacra corona unita'', che controllano ancora adesso interi territori e gli appalti, e in quelle di tutti o quasi i partiti del regime e dei pescecani capitalisti locali e del Nord che hanno fatto e fanno lauti guadagni al Sud. Come è fallita la politica dell'assistenzialismo, del clientelismo e dell'intervento straordinario in vigore dal 1950 al 1992, espressa dalla Cassa del Mezzogiorno e da altri provvedimenti legislativi successivi, così è fallita la politica neoliberista espressa dalla legislazione di incentivo agli investimenti per le ``aree depresse'' (legge 488/92) e quella dell'imprenditorialità giovanile. Le Partecipazioni statali, cui la legge 634 del 1957 aveva imposto di riservare al Mezzogiorno il 60% degli investimenti ai nuovi impianti e il 40% degli investimenti complessivi, avrebbero potuto svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo del Sud, ma hanno potuto fare ben poco poiché rispondevano a una politica economica errata ed erano gestiti da amministratori che le hanno sottratto miliardi per darli ai partiti governativi. La loro funzione comunque è cessata dal 1992 in poi, da quando esse vengono cedute ai privati, nel quadro della svendita dell'intero patrimonio pubblico nazionale. Ciò dà un colpo tremendo all'industrializzazione del Sud. Non si salva nemmeno l'industria alimentare e della distribuzione commerciale. Nel 1997 la Regione siciliana decide di privatizzare l'Ente siciliano di promozione industriale (Espi), l'Azienda asfalti siciliana (Azasi) e l'Ente minerario siciliano (Ems) e le 55 società da esse controllate. In nome della libera concorrenza e del divieto di aiuti da parte dello Stato, secondo le direttive imposte dall'Europa comunitaria, le industrie pubbliche sono state ritirate dal Mezzogiorno senza che esse siano state sostituite da aziende private. La politica neoliberista dell'Ue non ha certo migliorato la situazione del Mezzogiorno, in particolare ha penalizzato l'agricoltura, da tempo ridotta a poca cosa, pur avendo il Mezzogiorno il 46% della superficie agraria e forestale d'Italia. Negli ultimi 7 anni il tasso di industrializzazione del Mezzogiorno è calato del 5%. Nel periodo 1992-96 nell'intero Mezzogiorno il Pil è cresciuto dell'1,3% mentre nello stesso periodo la crescita complessiva del Centro-Nord è stata del 6,6% e del 10% nel solo Nord-Est. Per il '98 e il '99 si prevede un aumento del Pil inferiore rispettivamente dello 0,4% e dello 0,5% rispetto a quello del Centro-Nord. Secondo lo Svimez, l'Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, al luglio di quest'anno il tasso di disoccupazione nell'intero Mezzogiorno era del 22,5%; in Calabria del 27,1%, in Sicilia del 25,6%, in Campania del 24,4%, in Sardegna del 20,6%. Enna, in Sicilia, mantiene il triste primato della disoccupazione che è del 31,7%, seguono Messina col 30,7%, Napoli col 29,2%, Caserta col 28,6%, Palermo col 28,05%, Catanzaro col 27,9% e Reggio Calabria col 26,1%. Nel Mezzogiorno i disoccupati di ``lunga durata'' sono l'82% e di questi la metà è disoccupata da oltre 5 anni. Negli ultimi 5 anni il Mezzogiorno ha perso 330 mila posti di lavoro, ottomila dei quali solo nel 1997. Di recente si è riaperta l'emigrazione verso il Nord dell'Italia con 50 mila unità soltanto l'anno scorso. Secondo un rapporto dello Svimez del 1997 il tasso di abbandono nella scuola elementare al Sud (escluse le Isole) è dell'1,4% mentre al Nord è dello 0,2%; nella scuola media è del 10,6%, nelle Isole del 22,8%, mentre al Nord è dell'1,2%. A che altro è dovuto tutto ciò se non alla miseria delle famiglie e della loro necessità di far lavorare in qualche modo i bambini? L'Istat, l'Istituto centrale di statistica, quest'anno ha calcolato che su 18 milioni di abitanti nel Sud ben 13 milioni non hanno acqua sufficiente, al Nord 2 milioni su 23. Nonostante ciò il governo D'Alema ha pronto un decreto legislativo per la privatizzazione dell'Ente Acquedotto pugliese, uno dei più grandi in Europa nel settore delle risorse idriche e che serve grandi regioni del Mezzogiorno. La disastrosa frana del Sarno è l'emblema del degrado dell'ambiente naturale e urbano che esiste nel Mezzogiorno. Sono passati 137 anni dall'Unità d'Italia ma la situazione in molte zone del Mezzogiorno, fin dentro le grandi città, è ancora quella di allora. Stando così le cose non crediamo proprio che il Mezzogiorno possa uscire dal sottosviluppo, dalla miseria, dalla disoccupazione, dall'arretratezza e dal degrado attraverso il modello Manfredonia e Crotone costituito dai ``contratti d'area'' e dai ``patti territoriali'' oppure attraverso il modello Bassolino costituito dalla privatizzazione di Capodichino, il primo aeroporto privatizzato in Italia, e della terziarizzazione di Napoli e neppure attraverso il modello Gioia Tauro che consente una notevole flessibilità nelle retribuzioni e nelle mansioni. Non si può contare sui privati e sul ``lavoro autonomo, la piccola e piccolissima impresa'', come sostengono Ciampi e il governo. Ed è demagogico e ingannevole sollecitare le masse napoletane e meridionali ad aver fiducia in se stesse, come fa Bassolino, allo scopo di coinvolgerle nei progetti governativi e dei capitalisti. Il neoministro del lavoro, intervenendo a Bari il 18 novembre scorso, ha dichiarato che ``non bisogna cambiare pagina'' rispetto al governo Prodi e che ``avendo l'equilibrio giusto tra rigore e sviluppo, tra stabilità e crescita'' è possibile risolvere i problemi dello sviluppo e dell'occupazione del Mezzogiorno. Ma è proprio seguendo questa politica che il Mezzogiorno è tuttora al palo. Nel convegno di Catania, tenutosi all'inizio di questo mese, si è fatto molto fumo sulle ``Cento idee'' per lo sviluppo del Mezzogiorno, ma non vediamo ancora l'arrosto. Sono stati stanziati 100-120 mila miliardi tra fondi strutturali Ue e nazionali per gli anni 2000-2006. Ma come saranno spesi, per che cosa e a chi andranno a beneficio? Agli industriali privati, se il buon dì si vede dal mattino. Visto che l'Agensud, che in realtà si chiama ``Sviluppo Italia'' e già nella denominazione si dice che non si occuperà solo del Mezzogiorno, non è che una società per azioni e che i candidati a presiederla sono tutti quanti industriali. Quando D'Alema, concludendo il suddetto convegno, arriva ad esortare gli industriali con la seguente parola d'ordine ``Crescete, arricchitevi, investite'', si capisce chiaramente come stanno le cose e dove si andrà a parare. Di sicuro è che i nuovi governanti, compresi quelli che si definiscono abusivamente comunisti, vogliono fare del Mezzogiorno una grande area di supersfruttamento dei lavoratori e di arricchimento per i capitalisti italiani e stranieri. Un'area in cui ci siano salari e diritti sindacali ridotti rispetto alle altre zone del Paese e i padroni abbiano completamente mano libera e godano di forti incentivi, sgravi contributivi e agevolazioni da parte del governo. Sul piano economico, il problema di fondo del Mezzogiorno è che gli manca una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord. Questa struttura gliela può dare solo il governo attraverso le aziende pubbliche, ingenti finanziamenti pubblici e mettendo al primo posto l'industrializzazione delle regioni meridionali. Per questo occorre nazionalizzare le grandi aziende, a cominciare dalla Fiat, e le banche private e rinazionalizzare tutto ciò che era già dello Stato e che è stato privatizzato. Si dà per scontato che il governo D'Alema non farà niente di tutto ciò. Noi comunque insisteremo nel rivendicare questo indirizzo, così come la piena occupazione, l'assunzione di tutti i lavoratori Lsu nelle pubbliche amministrazioni da cui provengono, infrastrutture per trasporto di merci e persone su rotaie e cabotaggio, il risanamento dell'ambiente (città e campagna). Noi siamo nettamente contrari alla realizzazione del Ponte di Messina perché non dà sicurezza in caso di terremoti, forti venti e avvenimenti bellici, devasta l'ambiente di due meravigliose regioni, la Calabria e la Sicilia, e non produce nuovi posti di lavoro, tanti quanti se ne potrebbero ottenere investendo gli ottomila miliardi che occorrono per il ponte. Esso arricchirebbe solo i capitalisti, la mafia e la 'ndrangheta. Noi chiediamo che i soldi destinati al Ponte di Messina siano spesi per la costruzione di una rete ferroviaria e marittima moderna in Sicilia e in Calabria. Infine chiediamo che tutti i finanziamenti per lo sviluppo e l'occupazione del Mezzogiorno siano messi sotto il controllo delle masse meridionali, l'unica garanzia per essere sicuri che essi siano spesi secondo le opere cui sono destinati e che niente vada a finire nelle tasche della mafia, comunque denominata, e dei ladroni di Stato. In ogni caso le masse meridionali devono avere l'ultima parola sui progetti di sviluppo delle proprie città e regioni attraverso dei referendum deliberativi. Noi ancora non abbiamo la conoscenza, l'esperienza, la presenza territoriale e la forza adeguate per trattare a fondo la questione meridionale e per influenzare, attrarre, organizzare, mobilitare e guidare le masse del Sud alla ribellione e alla riscossa. Siamo tuttavia fermamente determinati a superare le nostre insufficienze e a creare tutte le condizioni soggettive per poter assolvere appieno i nostri compiti rivoluzionari nel Mezzogiorno, coscienti che dalla ribellione di esso passa in gran parte lo sviluppo della lotta di classe in tutto il Paese e il successo della rivoluzione socialista in Italia.
IV - LOTTARE PER IL SOCIALISMO É impossibile che il nostro amato Mezzogiorno possa risolvere tutti i suoi problemi sotto il capitalismo. La sua salvezza, come la salvezza dell'intera Italia, sta solo nel socialismo. Perché se non si cambia il sistema economico, la classe che è al potere e lo Stato ad essa asservito non è possibile abbattere le cause che hanno generato e che non consentono di superare questo stato di cose esistente nel Mezzogiorno e nel resto del Paese. Mentre i riformisti, i socialisti, i falsi comunisti e i trotzkisti tendono a conciliare gli interessi delle varie classi, a ottenere dei miglioramenti economici, sociali e politici per tenere sottomesse le masse al capitalismo, noi miriamo apertamente ad acuire le contraddizioni di classe e i conflitti di classe, a far godere alle masse tutte le ricchezze prodotte dagli operai e dai lavoratori, ad abbattere il capitalismo e realizzare il socialismo. ``è nostro interesse e nostro compito - indicano Marx ed Engels - rendere la rivoluzione ininterrotta, sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che le associazioni dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi, e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari. Non può trattarsi per noi di una trasformazione della proprietà privata, ma della sua distruzione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma delle distruzioni delle classi; non del miglioramento della società attuale, ma della fondazione di una nuova società''.14 Solo così, nel socialismo, il proletariato italiano può essere padrone del proprio destino e realizzare una società in cui non vi siano più sfruttatori e oppressori delle masse, ingiustizie sociali, disoccupazione, miseria e disuguaglienze di classe, di sesso e territoriali; una società in cui iniziare il grande e complesso processo dell'eliminazione delle classi e del passaggio al comunismo dove si potranno attuare integralmente i principi, elaborati da Marx ed Engels, dell'``autogoverno dei produttori'' e ``da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni''. Il socialismo non è per niente superato, anzi è più attuale che mai e tornerà inevitabilmente di moda, di gran moda. Nato per conseguenza del capitalismo, dalla creazione del proletariato e dalla lotta di classe tra il proletariato e la borghesia che il capitalismo ha generato, sarà sempre all'ordine del giorno finché perdurerà il capitalismo. L'abbattimento dei primi paesi socialisti non significa che il capitalismo sia stato riconosciuto come la società dei lavoratori, che siano scomparse come per incanto le contraddizioni tra il proletariato e la borghesia e che la lotta per il socialismo sia terminata definitivamente. Quantunque il proletariato sia stato sospinto dai falsi comunisti e dai rinnegati riciclati come socialisti verso strade errate alla fine esso ritroverà quella del socialismo. Capirà nella pratica che il socialismo e il comunismo non sono rifondabili perché è impossibile. Essi sono quelli che sono: prendere o lasciare. I loro principi sono quelli stabiliti dai maestri, la cui giustezza è stata comprovata dalla pratica, e si possono solo applicare dialetticamente secondo le condizioni specifiche dei vari paesi e della situazione internazionale. Chi li vuole rifondare è semplicemente un imbroglione che rimastica e rivomita vecchie teorie trotzkiste, socialdemocratiche e riformiste. Capirà anche che il ``nuovo socialismo europeo'', predicato da D'Alema quando dice che esso è ``la capacità di combinare elementi di liberalizzazione, di libertà, di competizione con elementi di socialità e di solidarietà''15, non è altro che la vecchia posizione dei liberali di ``sinistra'' e degli antichi revisionisti che aveva lo scopo di distogliere il proletariato dalla rivoluzione socialista. Il proletariato però non potrà arrivarci da solo a comprendere pienamente specialmente sui piani teorico e politico questi inganni, ad acquisire una coscienza rivoluzionaria e la volontà di far tabula rasa del capitalismo e di conquistare il socialismo. Grazie all'opera educativa teorica, politica e organizzativa di Marx ed Engels e successivamente da Lenin, Stalin e Mao e grazie all'esempio e all'influenza rivoluzionarie del proletariato russo e cinese e di altri paesi, anche il proletariato italiano era riuscito a trasformarsi da classe in sé in classe per sé. Ma l'azione diseducativa e corruttrice di oltre 100 anni dei revisionisti travestiti da comunisti ha fatto regredire la coscienza politica del proletariato. Per molti aspetti è ripiombata nella situazione pre marxista. Attualmente, infatti, il proletariato italiano lotta oggettivamente, nei fatti, contro la borghesia ma non ne mette in discussione il potere politico. Lotta per migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro ma non per abolire le cause che generano il suo malessere e la sua subalternità sociale. Esso vive, agisce e lotta come una classe in sé, cioè una classe di fatto, ma non come una classe per sé, consapevole della sua natura, dei suoi compiti e del suo ruolo storico, indipendente e autonoma ideologicamente, politicamente e organizzativamente dalla borghesia e antagonista a essa, cosciente di essere una classe generale destinata a succedere alla borghesia al potere e a por fine una volta per tutte a ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo e ad emancipare l'intera umanità. Solo il PMLI, in quanto avanguardia cosciente e organizzata del proletariato, può dare al proletariato la coscienza di essere classe per sé e quindi risvegliarlo, rilanciarlo, organizzarlo e guidarlo nella lotta per il socialismo. Un compito titanico ma assolutamente necessario se vogliamo trasformare cielo e terra. La storia ci ha addossato lo stesso compito che assolsero Marx ed Engels quando introdussero per la prima volta il socialismo scientifico nel movimento operaio, e Lenin, Stalin e Mao quando si mossero per conquistare al socialismo il proletariato dei rispettivi paesi. Un compito per noi più gravoso e difficile perché non abbiamo la loro stessa forza e capacità e perché oggi la rivoluzione non ha il vento in poppa e il proletariato è meno sensibile alla lotta rivoluzionaria e al socialismo. Ciò nonostante noi dobbiamo seguire il loro esempio e fare tutto quello che ci è possibile. Noi dobbiamo educare il proletariato italiano ad allargare i suoi orizzonti guardando oltre i confini del capitalismo e renderlo consapevole che i suoi compiti storici fondamentali sono quelli di trasformare il mondo e se stesso nel corso della lotta di classe. Noi dobbiamo fargli comprendere che la conquista del potere politico da parte del proletariato è la madre di tutte le questioni. Col potere politico il proletariato ha tutto, senza il potere politico il proletariato non ha niente. Lenin sottolinea che ``nell'azione politica del partito socialdemocratico (oggi direbbe marxista-leninista) c'è, e ci sarà sempre, un elemento pedagogico; bisogna addestrare tenacemente sempre nuovi strati di questa classe, bisogna saper avvicinare i componenti meno coscienti ed evoluti della classe, gli elementi meno toccati dalla nostra scienza e dalla scienza della vita, per parlare con loro; bisogna saperli avvicinare, saperli elevare con coerenza, con pazienza fino alla coscienza socialdemocratica, senza trasformare la nostra dottrina in un arido dogma, non insegnandolo solo con i libri, ma anche con la partecipazione alla lotta quotidiana degli strati più umili e arretrati del proletariato. Quest'azione quotidiana contiene in sé - lo ripetiamo - un certo elemento pedagogico. Il socialdemocratico (ossia il marxista-leninista direbbe oggi) che dimentichi tale attività cessa di essere socialdemocratico''.16 Dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao e dalla storia noi abbiamo appreso che il socialismo non si conquista pacificamente, legalmente e per via parlamentare ma attraverso la rivoluzione proletaria. Questa rivoluzione non è né un colpo di Stato, né una serie di atti terroristici di piccoli gruppi, ma nemmeno del solo Partito marxista-leninista o di questo Partito alla testa di masse incoscienti. La rivoluzione proletaria è un'insurrezione di massa guidata dal proletariato con alla testa il suo Partito. Poiché si tratta di cambiare radicalmente e totalmente la società sarebbe assurdo e pazzesco lanciare la rivoluzione proletaria senza che il proletariato e i suoi alleati sociali e politici siano stati completamente coinvolti e resi coscienti dei compiti che li aspettano sia nel corso dell'insurrezione che nel socialismo. La rivoluzione proletaria non è quindi un atto spontaneo e avventuristico di un piccolo gruppo o di una minoranza di proletari, ma un'azione cosciente, scientificamente preparata e che scoppia al momento in cui si ha la forza e la coscienza di massa adeguate, la congiuntura nazionale e internazionale è favorevole e si è sicuri della vittoria. La rivoluzione non è solo una necessità che è nel grembo della vecchia società e che, appunto per questo, non può non esplodere prima o poi. Essa è anche un diritto del proletariato, dei popoli e delle nazioni oppressi. Un diritto che nessuno può negare e che non può essere soppresso da alcuna costituzione. ``Il diritto alla rivoluzione - rileva Engels - è del resto il solo vero `diritto storico': l'unico su cui riposano tutti gli Stati moderni senza eccezioni''.17 Il socialismo non è dietro l'angolo e a portata di mano. Presumibilmente il percorso per raggiungerlo sarà piuttosto lungo e accidentato. Ma questo non ci deve preoccupare eccessivamente. Il nostro lavoro non deve essere condizionato dal tempo che ci vorrà per arrivare al socialismo. Noi dobbiamo fare oggi e per tutto il tempo che saremo in vita tutto quello che possiamo e dobbiamo fare secondo la strategia, la politica e il Programma del Partito, con assoluta serenità e senza ansietà e assillo. Dove arriviamo arriviamo. L'importante è assolvere ogni giorno con impegno, serietà, continuità e coerenza i nostri compiti rivoluzionari. Il resto lo faranno i nostri successori. La nostra opera proseguirà con essi, e noi tutti saremo ricordati come i pionieri della nobile causa del socialismo in Italia. Non bisogna stancarsi di stare all'opposizione, che è la collocazione naturale del Partito del proletariato nel capitalismo. Finché al potere c'è la borghesia non possiamo che stare all'opposizione e da lì difendere gli interessi del proletariato e delle masse popolari e combattere i governi che esprime la borghesia, sia che si dichiarino apertamente di destra, sia che indossino una maschera di ``sinistra''. Solo in situazioni storiche e politiche eccezionali, per avvenimenti internazionali e nazionali, si potrebbe valutare se non sia il caso di entrare tatticamente in un governo con la ``sinistra'' borghese. Ma attualmente sarebbe un suicidio e sabotare la lotta di classe anche solo fare una ``opposizione costruttiva''. La nostra deve essere un'opposizione di classe, ferma ed intransigente, senza nulla concedere al governo D'Alema, al capitalismo e al suo regime. Dall'esperienza dei governi Prodi e D'Alema abbiamo avuto la riprova che stando dentro i governi della borghesia, anche in quelli regionali, provinciali e comunali, non solo non è possibile cambiare le cose, ma si creano delle illusioni che abbassano la combattività e la carica anticapitalista delle masse. Noi siamo abituati a stare all'opposizione, dobbiamo abituare anche il proletariato e le larghe masse, specie giovanili, a stare all'opposizione, che va vissuta non come una maledizione ma come una scelta politica e organizzativa per combattere meglio lo sfruttamento e l'oppressione capitalistici e per avanzare verso il socialismo. Solo stando all'opposizione del governo, delle istituzioni, del parlamento e dei consigli regionali, provinciali e comunali è possibile indebolire, disgregare e delegittimare l'ordinamento statale borghese in camicia nera. Solo stando all'opposizione è possibile far maturare tutte le condizioni soggettive - sviluppo del Partito, costruzione dei Comitati popolari, del Fronte unito rivoluzionario e dell'Esercito Rosso - e oggettive - acutizzazione delle contraddizioni di classe e dei conflitti di classe, destabilizzazione dello Stato borghese e disgregazione del campo nemico - necessarie per il successo della rivoluzione socialista. Solo stando all'opposizione è possibile tutelare fino in fondo tutti gli interessi e i diritti economici, sociali e politici del proletariato e delle masse e battersi senza tregua per il lavoro stabile e a salario pieno per tutti i disoccupati, lo sviluppo economico del Mezzogiorno, l'orario a 35 ore a parità di salario per legge, fin da subito in tutte le aziende, comprese quelle con meno di 15 dipendenti, per i salari uguali in tutte le regioni, compreso il Mezzogiorno, per le pensioni pubbliche, le pensioni di anzianità e l'età pensionabile a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne, per la sanità pubblica, gratuita e senza alcun ticket, per l'abolizione del ``sanitometro'' e del ``riccometro'', per la scuola e l'università pubbliche, gratuite e governate dagli studenti e contro la parità scolastica, la controriforma Berlinguer e gli esami di Stato, da mantenere solo per le scuole private, per l'abolizione dell'Irpef per i redditi sotto i 30 milioni e dell'Irpef e dell'Ici per la prima casa, per le case ad affitti politici agli sfrattati poveri e a basso reddito. L'astensionismo elettorale è una potente arma per costruire, rafforzare e sviluppare l'opposizione di classe anticapitalista. Come hanno confermato le recenti tornate elettorali amministrative, l'astensionismo è ormai divenuto un fenomeno di massa - i non votanti hanno quasi toccato la soglia del 35% - che coinvolge anche il Nord e le regioni del Centro fin qui controllate dai rinnegati e dai falsi comunisti. Dall'avvento della seconda repubblica, da quando è stato introdotto il nuovo sistema elettorale, sono scomparsi i vecchi partiti e sono nati dei ``nuovi'', l'elettorato non esprime più un voto - che lo dia a un partito o che si astenga - ideologico e di ``appartenenza'' ma in base a un giudizio che tiene conto delle realizzazioni concrete, delle risposte che ha o non ha avuto in riferimento ai propri bisogni concreti. Un giudizio però che non è totalmente libero in quanto l'elettorato è condizionato dall'influenza dell'assordante e mistificatoria propaganda elettorale e dalle pressioni, dai ricatti e dal controllo dei partiti parlamentari. Tanto più ciò è vero quanto più l'astensionismo rappresenta oggi un chiaro voto di sfiducia verso le istituzioni e i partiti del regime perché chi lo pratica - specie chi non va nemmeno ai seggi per deporre il suo voto nelle urne - non solo dimostra di essere indipendente rispetto alle pressioni elettoralistiche e parlamentaristiche, ma esprime anche un'aperta sfida verso coloro che vorrebbero assoggettarlo al gioco elettorale dei partiti parlamentari. Siamo quindi di fronte a un fatto storico di immenso valore, a un vero e proprio terremoto nella storia elettorale italiana, che coinvolge anche il proletariato per troppo tempo condizionato e vittima della predicazione partecipazionista ed elettoralistica dei falsi partiti operai e comunisti. L'astensionismo elettorale - ancora quasi tutto spontaneo e non organizzato - ha oggi un segno politico nuovo. è passato dal dissenso generico e dalla pratica di una minoranza dell'elettorato al dissenso specifico e aperto della maggioranza relativa dell'elettorato. Oggi il ``partito'' dell'astensionismo è il primo in Italia. Spetta a noi marxisti-leninisti qualificare ulteriormente l'astensionismo facendogli compiere un altro salto di qualità, trasformandolo in dissenso militante e anticapitalistico, in lotta aperta per il socialismo. Le nostre parole d'ordine per le elezioni politiche, europee e amministrative sono sempre state studiate per questa funzione. Esse in primo luogo hanno il compito di elevare la coscienza politica delle masse, anzitutto di quelle che sono già sfuggite da sinistra al controllo del PRC, PdCI e DS, e di far comprendere all'elettorato di sinistra qual è la nostra strategia. Per le elezioni amministrative potremmo valutare la necessità di aggiungere nei manifesti altre parole d'ordine di interesse specifico alle singole città dove siamo presenti - cosa peraltro già attuata nei casi dove è stato possibile -, ma ciò dipende esclusivamente dalle risorse economiche di cui disponiamo. La nostra propaganda astensionista è temuta come la peste da parte del regime, che fa di tutto per oscurarla. Si è arrivati fino al punto di non concederci gli spazi sui tabelloni elettorali, come hanno tentato di fare le giunte dell'allora PDS di Monsummano Terme, Prato e Cadelbosco di Sopra e Castelnuovo di Sotto. L'obiettivo è quello di creare un precedente giudiziario in modo da escluderci completamente dalle campagne elettorali. Noi comunque non ci faremo intimidire e siamo disposti a venderci anche la camicia per poter sostenere in campo giudiziario le nostre buone ragioni in base alle leggi elettorali vigenti. Anche se temiamo ulteriori leggi per vietare ogni forma di propaganda astensionista per tagliarci completamente fuori dalle elezioni. Allora vorrà dire che studieremo un'altra tattica per far giungere lo stesso la nostra voce alle masse. In ogni caso noi non siamo disposti a rinunciare alla nostra tattica astensionista. Tanto più che il nuovo sistema elettorale ha reso più difficile, se non impossibile, la partecipazione del nostro Partito alle elezioni politiche e amministrative con liste proprie. Cambiando la situazione, potremmo valutare per esigenze politiche straordinarie, di propaganda o economiche di utilizzare tatticamente e temporaneamente il parlamento o determinate istituzioni rappresentative locali. Non possiamo escludere a priori che in certi casi potrebbe essere utile avere uno o più parlamentari o consiglieri ``civetta''. Ma attualmente questo è solo un discorso ipotetico e puramente teorico. Presumibilmente useremo stabilmente la tattica dell'astensionismo finché perdurerà il capitalismo. Anzi dobbiamo essere pronti a difenderla contro chi dovesse tentare di sovvertirla accampando mille scuse. In tale eventuale circostanza bisognerà saper distinguere tra chi propone una nuova tattica elettorale in conseguenza della mutata situazione o a diverse nostre esigenze ma sempre comunque tenendo ferma la strategia del Partito e chi si fa veicolo - cosciente o meno - del partecipazionismo, dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghesi. Nella propaganda astensionista bisogna attirare maggiormente l'attenzione delle masse sulla nostra proposta dei Comitati popolari (CCp) la cui strategia è stata tracciata nel documento del Comitato centrale del 25 marzo 1990 dal titolo ``Combattiamo la battaglia di maggio sotto la bandiera dei Comitati popolari e del socialismo''. Bisogna però stare bene attenti a non confonderli con i comitati di lotta o altri tipi di comitati popolari che è bene, questi ultimi, chiamarli, se è possibile, diversamente per distinguere gli uni dagli altri. Mentre i CCp sono a carattere permanente e costituiscono gli organismi di direzione politica delle masse che non si riconoscono nel capitalismo e praticano l'astensionismo elettorale, gli altri tipi di comitati sono a carattere temporaneo, in genere, sono costituiti da chi accetta o non accetta il capitalismo e il partecipazionismo elettorale borghese, nascono su questioni particolari e specifiche e muoiono quando hanno raggiunto il loro scopo o hanno finito le loro funzioni. I CCp devono essere composti dagli elementi più combattivi, coraggiosi e preparati delle masse anticapitaliste, antifasciste e astensioniste eletti con voto palese e su mandato revocabile in qualsiasi momento dalle Assemblee popolari territoriali. Le donne e gli uomini - eleggibili fin dall'età di 16 anni - devono essere rappresentati in maniera paritetica. Le Assemblee popolari devono essere costituite in ogni quartiere da tutti gli abitanti ivi residenti - compreso le ragazze e i ragazzi di 14 anni - che si astengono alle elezioni, che dichiarano di essere anticapitalisti, antifascisti e fautori del socialismo e disposti a combattere le istituzioni, il potere centrale e locale e il sistema capitalistico. Ogni Assemblea popolare di quartiere elegge il suo Comitato e l'Assemblea dei Comitati elegge, sempre attraverso la democrazia diretta, il Comitato popolare cittadino. L'insieme dei CCp costituisce il circuito politico democratico di massa alternativo allo Stato e alle istituzioni rappresentative borghesi. I CCp di quartiere e cittadino e il Comitato popolare nazionale devono rappresentare il controaltare, la centrale alternativa e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e del governo centrale. Lo scopo fondamentale dei CCp è quello di guidare le masse, anche se non fanno parte delle Assemblee popolari, nella lotta politica per strappare al potere centrale e locale opere, misure e provvedimenti che migliorino le condizioni di vita e che diano alle masse l'autogestione dei servizi sanitari e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi di carattere pubblico. I CCp devono battersi affinché le città siano governate dal popolo e al servizio del popolo. Nel senso di costringere con la lotta le amministrazioni ufficiali a prendere dei provvedimenti che in una qualche misura rispondano a tale criterio. Tuttavia è impossibile che venga attuato interamente e in maniera soddisfacente nel capitalismo. Naturalmente i CCp non possono nascere a freddo, con atti burocratici e volontaristici e senza che essi abbiano un'effettiva base di massa in ogni quartiere. Occorre un lungo lavoro propagandistico e uno stadio più avanzato della coscienza politica delle masse per far maturare le condizioni politiche e organizzative per crearli. Le campagne elettorali sono le migliori occasioni per propagandarli ma bisogna utilizzare anche tutte le altre occasioni possibili e gli strumenti di comunicazione che già abbiamo, come il nostro meraviglioso e glorioso organo di stampa, ``Il Bolscevico'', brillantemente diretto e redatto con enormi sacrifici dalle nostre brave e generose penne rosse. Via via che singoli elementi, gruppi sociali, sindacali, politici, culturali e religiosi si rendono disponibili a realizzare i CCp, bisogna valutare assieme a loro se non sia il caso di costituire dei Comitati popolari provvisori, pronti però a sciogliersi non appena sarà possibile indire l'Assemblea popolare. Deve comunque essere chiaro che i CCp provvisori anche se promossi da tali forze non devono essere composti da esse o dai loro rappresentanti. Una volta costituito un Comitato popolare provvisorio chi vi fa parte deve rappresentare solo se stesso e la sua organizzazione interna deve essere basata sulla democrazia diretta.
Care compagne e cari compagni, ne abbiamo fatta di strada dal 3° Congresso in qua. Ce l'abbiamo messa tutta, in genere, a livello centrale e locale, per realizzare il grande balzo organizzativo e del proselitismo. Purtroppo, però, non siamo riusciti a concluderlo. Tuttavia abbiamo ottenuto dei successi molto importanti in Campania, Abruzzo, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte - regioni in cui siamo entrati dopo il 3° Congresso -, in Toscana e Lombardia, dove siamo presenti da sempre, e in Calabria, dove siamo ritornati dopo tanto tempo. Avevamo messo un piede anche in Puglia, ma i primi germogli del Partito sono stati spazzati via ben presto dalla borghesia. Erano troppo deboli per poter resistere alle dure prove della lotta di classe e alle gelate politiche. Abbiamo inoltre dei simpatizzanti nelle Marche, nel Trentino Alto Adige, nel Friuli Venezia Giulia e nel Veneto. In Liguria, Umbria, Molise, Puglia e Sicilia ci sono degli abbonati de ``Il Bolscevico''. Forse avremmo potuto conseguire dei risultati maggiori se sette membri del 3° Comitato centrale non avessero tradito la causa scappando vigliaccamente come conigli e scaricando così i loro carichi di lavoro sulle spalle dei dirigenti rimasti fedeli al Partito. Questi successi organizzativi sono frutto della grande semina che abbiamo fatto durante le manifestazioni nazionali organizzate dalle Confederazioni sindacali e dai partiti sedicenti comunisti. Una semina che è costata tanti sacrifici, tempo, energie e soldi, soprattutto alle compagne e ai compagni fiorentini e della provincia di Firenze - dirigenti nazionali o semplici militanti - che non finiremo mai di ringraziare. Senza di essi non esisterebbe nemmeno il PMLI e i nuovi militanti e le nuove istanze delle altre città sarebbero privi di un fulgido esempio cui ispirarsi. Più di quello che è stato fatto sul piano organizzativo e del proselitismo non sarebbe stato possibile fare. Perché abbiamo dovuto fare i conti con 5 grossi ostacoli che tutt'oggi rallentano e rendono difficoltoso lo sviluppo del PMLI. Questi 5 ostacoli sono: l'intossicazione parlamentarista, elettoralista, riformista e pacifista della classe operaia e delle masse, in conseguenza della predicazione di oltre cento anni da parte dei falsi comunisti; il forte indebolimento dell'attrazione del socialismo a causa dello sfascio operato dai revisionisti; l'esistenza di un falso partito comunista, il PRC, creato apposta dalla borghesia, dai neorevisionisti e dai trotzkisti per contenderci lo spazio e cancellarci; la nostra povertà di mezzi e di risorse economiche; il ferreo black-out stampa che vige da sempre su di noi. Naturalmente se la coscienza del proletariato e delle masse fosse già rivoluzionaria, se il terreno fosse sgombro dai partiti e gruppi sedicenti comunisti, se la stella del socialismo brillasse alta nel cielo, se i mass media ci dessero lo spazio che meritiamo e se avessimo le risorse adeguate alle nostre necessità, certamente la situazione organizzativa e numerica del Partito sarebbe di gran lunga migliore di quella attuale. La realtà però è quella già detta, e dobbiamo quindi sudare ancora sette camicie per raggiungere il grande obiettivo storico di essere presenti in tutte le 20 regioni d'Italia e in più città possibili. L'impresa è tremendamente difficile ma non impossibile. Basta non stancarsi e continuare un passo dietro l'altro la nostra Lunga Marcia politica e organizzativa. Se noi, come nel passato, abbiamo fiducia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi, sicuramente riusciremo a rimuovere i 5 ostacoli che ci rallentano e ci rendono più difficoltoso il cammino. Ci vorrà però del tempo e non tutto dipenderà dai nostri sforzi. Occorre anche che le masse facciano esperienza da sé e che gli avvenimenti aiutino a chiarire la situazione. Noi comunque dobbiamo fare la nostra parte, senza la quale non arriveremo mai a raggiungere i nostri obiettivi. Attualmente l'ostacolo che ci impedisce di affrontare nelle migliori condizioni gli altri ostacoli è quello economico. Mancandoci i mezzi economici infatti è impossibile avere dei rivoluzionari di professione, assicurare la presenza dei dirigenti nazionali nelle città dove è il Partito, anche solo attraverso dei simpatizzanti, rafforzare ``Il Bolscevico'' e la nostra propaganda, aprire nuove sedi, convocare spesso il Comitato centrale, organizzare dibattiti e manifestazioni di massa. Privi di ciò tutto diventa più difficile e i tempi del decollo organizzativo del Partito si allungano. Bisogna, pertanto, studiare a tutti i livelli, compreso quello di Cellula, delle iniziative, anche commerciali e paracommerciali, raccogliere nuovi abbonamenti ordinari e sostenitori de ``Il Bolscevico'', fare delle sottoscrizioni locali oltre che nazionali, per avere nuovi finanziamenti, coinvolgendo i simpatizzanti e gli amici del Partito. Con gli attuali fondi a stento riusciamo a coprire le spese correnti e non è più sufficiente fare affidamento solo sulle quote e sui contributi straordinari dei militanti che peraltro, in molti casi, non hanno più nulla da raschiare nel fondo del barile. Naturalmente noi dobbiamo continuare ad autofinanziarci e a contare sulle nostre forze per salvaguardare la nostra autonomia e indipendenza, ma ciò non significa non ricercare altre fonti di finanziamento, un aiuto da coloro che, non membri di Partito, sono interessati come noi alla causa. Raggiungere l'autosufficienza economica di tutte le Cellule sarebbe già un bel successo, un passo importante per aiutare il Comitato centrale a finanziare le iniziative nazionali del Partito. Nel corso di questo ultimo periodo, uno dei più difficili della storia del movimento operaio italiano, noi abbiamo superato delle prove durissime, anche in conseguenza della repressione poliziesca e giudiziaria che abbiamo subito. Cosciente del pericolo che oggettivamente rappresentiamo e vedendo i nostri sforzi tesi ad espanderci in tutta Italia, il regime neofascista ha tentato ripetutamente di spazzar via l'intero Partito. Lo ha fatto con due insidiosi processi, che riguardavano la nostra politica estera, incriminando alcuni dei massimi dirigenti del Partito, non più solo il Segretario generale, assieme a dei semplici militanti. Nel primo di questi processi, che si è svolto il 23 ottobre '86 mentre l'altro il 13 novembre '91, in cui il pubblico ministero era Pietro Dubolino, il presidente della seconda corte d'assise di Firenze, Armando Sechi, spalleggiato dal giudice Aldo Giubilaro, ha addirittura negato al Segretario generale del Partito il diritto a difendersi in aula. Lo ha fatto con azioni intimidatorie, provocatorie e terroristiche della polizia, dei fascisti e persino del ``servizio d'ordine'' di Bertinotti contro i nostri compagni napoletani. Ma esso non è riuscito a raggiungere il suo scopo, anzi il Partito e i suoi dirigenti e militanti ne sono venuti fuori più forti e determinati di prima. Anche a Napoli, grazie soprattutto al compagno Francesco Vigorito che, nonostante fosse ancora minorenne e da solo, non si è fatto impressionare dalla brutale violenza dello Stato borghese ed ha continuato a tenere ben alta la bandiera dei maestri e del PMLI fino a fondare la Cellula ``Vesuvio Rosso'', che costituisce tuttora il nostro avamposto più avanzato nel Sud. Con i primi tre Congressi abbiamo gettato le fondamenta ideologiche, politiche, programmatiche e organizzative del Partito, con il lavoro di questi 13 anni abbiamo alzato le mura maestre del Partito, ora col 4° Congresso ci proponiamo di portare ancora più avanti i lavori della costruzione del Partito. Spetta a noi, ancora piccola pattuglia di ardimentosi pionieri, realizzare un'epica impresa che nessuno è mai riuscito a compiere in Italia, quella di costruire un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista. Ce lo chiede la storia, ce lo chiede la causa dell'emancipazione del proletariato e di tutta l'umanità; ce lo impone la situazione di sfruttamento, oppressione, miseria, disoccupazione del nostro popolo, ce lo impone l'inumano, ingiusto e insopportabile regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Il PMLI è già grande per i meriti storici conquistati nel campo di battaglia. Anzitutto per aver ripreso in mano e rialzate in alto le grandi bandiere rosse di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e del socialismo gettate nel fango dai revisionisti richiamando il proletariato e tutti i rivoluzionari a riunirsi e a riorganizzarsi attorno ad esse. In secondo luogo per aver smascherato il revisionismo predicato dai dirigenti del PCI fin da Bordiga, Gramsci e Togliatti. In terzo luogo per aver denunciato prontamente il disegno della seconda repubblica fin dai suoi primi accenni nel '79. Il PMLI è già grande perché è sempre stato in prima linea nelle lotte politiche, sindacali, sociali, femminili e studentesche delle masse. É già grande per la sua elaborazione ideologica, storica, politica, tattica, sindacale e strategica. è già grande per aver formato un gruppo dirigente marxista-leninista forte, unito e sperimentato e delle militanti e dei militanti che costituiscono dei sicuri punti di riferimento per le masse e degli stupendi esempi di combattenti proletari rivoluzionari. Non c'è dubbio che il PMLI sul piano qualitativo è un grande Partito. Non lo è però ancora sul piano quantitativo e organizzativo. Cinque sono le cose che occorrono per costruire un grande Partito anche sul piano pratico e operativo. Una linea politica proletaria rivoluzionaria, una linea organizzativa bolscevica, dei dirigenti ai vari livelli autenticamente marxisti-leninisti, un profondo radicamento nei luoghi di lavoro, di studio e di vita, molti militanti e Cellule in tutte le città, specialmente nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università. Le prime tre cose le abbiamo già, anche se vanno via via sviluppate e arricchite. La quarta cosa l'abbiamo iniziata. La quinta cosa è l'obiettivo che ci proponiamo di raggiungere il più presto possibile. Noi abbiamo bisogno di molti e buoni militanti, non ``pochi e buoni''. Chiunque è d'accordo con lo Statuto e il Programma del Partito, ha i requisiti previsti dallo Statuto e vuole essere membro del Partito va fatto entrare senza indugio nelle nostre file. Nell'esaminare chi chiede di entrare nel Partito non dobbiamo essere né troppo rigidi né troppo elastici. Non possiamo certamente aprire le porte del Partito a chicchessia pur di far numero. Nello stesso tempo però è sbagliato pretendere che chi bussa alle nostre porte abbia il nostro stesso livello di coscienza, preparazione politica, attaccamento alla causa e coerenza di vita perché marxisti-leninisti si diventa compiutamente solo militando nel Partito. Il periodo di candidatura previsto dallo Statuto d'altra parte serve proprio per conoscere, sperimentare e formare i nuovi militanti e dare loro la possibilità di verificare se la militanza marxista-leninista corrisponde veramente alla loro effettiva volontà. In sede di bilancio della candidatura - in qualsiasi momento della militanza, non quindi necessariamente alla scadenza della candidatura - si può sempre far retrocedere il candidato a simpatizzante del Partito. Solo se abbiamo fondate riserve e seri dubbi politici verso chi chiede di entrare nel Partito o se non lo riteniamo ancora maturo è opportuno applicare la regola che è meglio avere un buon simpatizzante che un cattivo militante. Noi dobbiamo preoccuparci seriamente e scrupolosamente della formazione ideologica e politica dei nuovi militanti. Sia perché essi, coscienti o no, entrano nel Partito portandosi dietro una formazione, una cultura e una pratica sociale borghesi o revisioniste e quindi hanno bisogno di acquisire la concezione del mondo marxista-leninista e una pratica sociale proletaria rivoluzionaria. Sia perché devono essere messi il più rapidamente possibile nelle condizioni di concorrere con cognizione di causa alla risoluzione degli affari della propria Cellula e di tutto il Partito, spiegando loro la linea politica e organizzativa del Partito, la lotta tra le due linee, il centralismo democratico, la critica e l'autocritica. La questione della formazione dei nuovi militanti è una questione di fondamentale importanza per fare una buona militanza e per dare un buon contributo alla vita, alla lotta e allo sviluppo del Partito. Al centro della formazione dei nuovi militanti e della trasformazione della loro concezione del mondo ci deve essere lo studio del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del Partito. L'esperienza del Partito dimostra che solo chi fa questo studio riesce a dare dei reali contributi al Partito, mentre chi non studia, studia poco e male, arranca e sbanda facilmente a destra e a ``sinistra''. Senza lo studio è impossibile essere rossi di fuori e rossi di dentro. Su quanto possa incidere lo studio sulla nostra formazione e attività politica, basta pensare ai discorsi, tra cui eccelle quello fatto al Congresso della propria Cellula, e alla produzione giornalistica del compagno Denis Branzanti, un giovane operaio della Cellula Stalin di Forlì, stupendo figlio della classe operaia e del PMLI. Per avere molti militanti, bisogna estendere il proselitismo, in generale, a tutte le masse, a tutte le età e a entrambi i sessi. Attualmente però bisogna concentrarsi sulla classe operaia, sui disoccupati, sugli studenti e sui giovani e giovanissimi delle periferie urbane, in base alle diverse situazioni della città in cui siamo presenti. Per i motivi già detti, non è facile oggi conquistare al Partito gli operai. Eppure bisogna insistere nel far giungere loro la nostra propaganda e il nostro messaggio. Soprattutto ci devono pensare i nostri compagni operai, lavoratori e pensionati. I figli migliori, più combattivi, più avanzati della classe operaia devono costituire la testa, l'ossatura portante del PMLI. Dobbiamo metterli in grado di capire, dobbiamo convincerli ad assumersi interamente questa responsabilità. A conquistarli in gran numero forse ci arriveremo in un secondo momento. Oggi dovrebbe essere più facile conquistare al Partito e alla causa gli studenti che sono già in movimento e lottano coraggiosamente contro la controriforma scolastica e universitaria. Gli studenti d'avanguardia e più combattivi sono più aperti e disponibili verso le idee e le proposte progressiste e rivoluzionarie, e quindi potenzialmente interessati a conoscere la nostra strategia generale e la nostra linea scolastica e universitaria. Dipende in gran parte dalle nostre capacità di sapergliele trasmettere. Noi abbiamo assolutamente bisogno delle studentesse e degli studenti di avanguardia e combattivi per avere delle forze e delle energie fresche, e con un certo tempo a disposizione, da utilizzare per il lavoro di Partito e di massa. Senza di essi è piuttosto difficile penetrare nelle scuole e nelle università e contendere l'egemonia ai rappresentanti dei partiti del regime. A mano a mano che veniamo a conoscenza e a contatto con gli elementi avanzati e combattivi delle masse studentesche, una volta espletati i dovuti preliminari, bisogna invitarli senza timore a entrare nel Partito o a sostenerlo dall'esterno come simpatizzante e a portare dentro il movimento studentesco la nostra linea. Noi abbiamo bisogno di molti militanti, moltissimi simpatizzanti, ancor di più amici e quanti più alleati è possibile. I simpatizzanti del PMLI, che possono essere anche credenti, costituiscono una grande risorsa per il Partito. Come dimostra la pratica, quando sono correttamente utilizzati essi forniscono dei contributi politici, propagandistici e giornalistici molto importanti. Noi non finiremo mai di ringraziarli per questi apporti che a volte sono determinanti per l'azione del Partito e per farci conoscere dalle masse nelle città dove non siamo presenti con delle Organizzazioni di Partito. I simpatizzanti, che vanno distinti in attivi, semiattivi e passivi, vanno coinvolti, per quanto è possibile e in base alla loro disponibilità, in tutte le attività esterne, non interne, del Partito. Senza tuttavia pretendere che diano delle prestazioni dello stesso livello dei militanti del Partito. Dobbiamo tenerci stretti i simpatizzanti e corresponsabilizzarli sul piano politico oltre che su quello pratico e dell'azione. Dobbiamo avere molta cura della loro formazione politica facendo periodicamente delle riunioni assieme a essi per discutere la situazione politica cittadina, nazionale e internazionale e la politica nazionale e locale del Partito. Inoltre vanno consultati individualmente e collettivamente sulle questioni che riteniamo utili alla vita e allo sviluppo del Partito. In ogni caso i simpatizzanti del Partito non devono mai essere considerati solo degli esecutori, dei diffusori e degli attacchini. A seconda delle nostre necessità, al loro livello di coscienza politica e preparazione, al loro grado di legame col Partito e alla loro disponibilità, ad essi possono essere affidati delle responsabilità dirigenti negli organismi di massa e degli incarichi nelle attività esterne di Partito e per certe incombenze organizzative di Partito, quali apertura delle sedi, lavori amministrativi, di archivio e di magazziniere. Anche con gli amici del Partito, che vogliamo siano tantissimi, più dei simpatizzanti, bisogna avere un rapporto corretto e rispettoso della loro collocazione politica e partitica. Essi ci possono aprire delle porte che a noi sarebbe difficile aprire e aiutarci a risolvere dei problemi finanziari, legali, burocratici, amministrativi, tecnici. Purché si sappiano bene utilizzare tenendo conto se si tratta di amici stretti, meno stretti o generici e della professione, caratteristiche e disponibilità di ciascuno di essi. Come abbiamo già detto per costruire un grande Partito occorre avere anche delle Cellule in tutte le città e in tutti i luoghi di lavoro, di studio e di vita. Oggi ne abbiamo troppo poche, dobbiamo quindi lavorare sodo per averne tante altre, soprattutto nelle fabbriche, nelle officine, nelle aziende agricole e in ogni altro luogo di lavoro. Bisogna arrivarci facendo svolgere alle attuali Cellule una funzione di cellule madri da cui far nascere delle nuove cellule e costruendo delle cellule madri cittadine nelle città dove non vi siano ancora delle cellule. Bisogna tuttavia tener presente che la regola generale è quella di privilegiare la costituzione delle cellule nei luoghi di lavoro, di studio e di vita là dove esistono le condizioni. Il compito fondamentale delle cellule madri in riferimento alla nascita di nuove cellule è quello di formare i militanti in modo che siano in grado di costituire le cellule nel proprio ambiente. Naturalmente quando i membri delle cellule diventano eccessivi occorre dar vita a una nuova cellula. Il nostro orientamento organizzativo generale non è quello di ammassare i militanti in una o poche cellule ma quello di distribuirli in più cellule possibilmente nel loro luogo di lavoro, di studio e di vita. In ogni caso per ben operare ed essere proliferi è necessario che le cellule si attengano scrupolosamente ai loro compiti prescritti dallo Statuto del Partito e che sappiano stabilire le priorità di lavoro, concentrarsi su di esse, distribuire le forze e dosare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi prefissati. UN FORTE PARTITO Noi dobbiamo costruire non solo un grande Partito ma anche un forte Partito. Questo significa sostanzialmente tre cose: difendere e applicare la linea politica e la linea organizzativa del Partito; formare dei quadri sul modello dei maestri; elevare la combattività interna ed esterna al Partito dei militanti. Attualmente la linea politica e la linea organizzativa del Partito non sono messe in discussione da nessuno. Ma in qualsiasi momento potrebbe esplodere la lotta tra le due linee. è inevitabile, e questo pericolo diventerà reale a mano a mano che nuove forze e di varia provenienza e influenza entreranno nel Partito. In particolare dobbiamo difendere e applicare lo Statuto e il Programma. Quest'ultimo, una volta che è stato emendato delle parti caduche e di certi errori, è tuttora valido e attuale. Vale in proposito quanto ha affermato l'Ufficio politico nel documento del 26 Dicembre 1990. Non ravvediamo la necessità né di riformarlo né tanto meno di farne una nuova edizione. Diverso invece il discorso che riguarda il Programma d'azione che non risponde più alla nuova situazione ed è già stato superato, in gran parte, dalla successiva elaborazione rivendicativa politica, sindacale e sociale del Partito. Il nostro attuale Programma generale costituisce la nostra strategia per la conquista del potere politico da parte del proletariato, strategia che non può essere mutata col mutare della situazione perdurando il sistema capitalistico. Il nostro Programma d'azione - che per sua stessa natura e funzione ha un carattere politico, tattico, rivendicativo immediato e rispondente alla situazione politica, sociale e sindacale di un determinato momento - ha bisogno invece di essere rifatto giacché la situazione di oggi non è più quella della sua prima stesura. Occorre quindi farne una nuova edizione appena possibile. Noi dobbiamo difendere tutto ciò che i nemici di classe e i loro servi ci criticano e ci contestano. A partire dal centralismo democratico, dalla critica e l'autocritica e dallo stile e dai metodi di lavoro. Il centralismo democratico è la bestia nera della borghesia, dei revisionisti, dei neorevisionisti, dei trotzkisti e degli anarchici. Essi, infarciti di individualismo e in nome della libertà individuale che è un riflesso dell'individualismo, non tollerano la direzione e la disciplina proletarie rivoluzionarie. Per noi marxisti-leninisti, educati al lavoro collettivo, al gioco di squadra, alla lotta per l'emancipazione della classe operaia e dell'intera umanità, il centralismo democratico invece costituisce il cavallo vincente sul piano organizzativo della vita e dell'azione del Partito del proletariato. Senza di esso infatti è impossibile combattere e vincere la borghesia, tenere unito il Partito, muoversi compattamente e a ranghi serrati nella lotta di classe, assolvere i nostri compiti rivoluzionari e colpire tutti i nostri bersagli. Solo attraverso il centralismo democratico e l'esercizio della critica e dell'autocritica noi possiamo combattere l'individualismo, il frazionismo, il liberalismo, l'egoismo e il familiarismo che ci possono essere, e ci sono sempre in una qualche misura, all'interno del Partito. Noi dobbiamo disprezzare, odiare e combattere in particolare l'individualismo e il frazionismo dentro le nostre file ogni qual volta si dovesse manifestare. La libertà di dissenso, di critica non sono in discussione. In discussione sono l'individualismo e il frazionismo che portano alla disgregazione del Partito e alla creazione di centri di potere autonomi, separati e nemici del Partito. Il centralismo democratico deve essere rispettato da tutti. Più in alto siamo più dobbiamo rispettarlo. Più stima e considerazione abbiamo dei compagni più dobbiamo rispettarlo. Il centralismo democratico si può infrangere solo se il proletariato perde il potere politico nel Partito e viene rovesciata la linea proletaria rivoluzionaria e marxista-leninista. Se la borghesia prende il potere politico nel Partito, i marxisti-leninisti devono ribellarsi risolutamente e combatterla con tutti i mezzi per rovesciarla dal potere e se non dovessero farcela non devono demoralizzarsi e disperdersi ma dar vita a un altro Partito autenticamente marxista-leninista. Mai i marxisti-leninisti devono accettare di restare sotto una direzione borghese. I quadri a ogni livello, specie quelli nazionali, svolgono una funzione fondamentale nel costruire un grande, forte e radicato Partito. Lo vediamo continuamente nella pratica. Là dove abbiamo dei buoni e dinamici quadri le cose vanno molto meglio rispetto a là dove abbiamo dei quadri deboli e poco dinamici. Quadro marxista-leninista non si nasce ma lo si diventa nel fuoco della lotta di classe, nell'immane e avvincente fatica della costruzione del Partito, nel lavoro incessante della trasformazione della propria concezione del mondo, nel mettersi umilmente alla scuola del Partito. Chi si impegna al minimo e superficialmente su questi fronti, chi pensa di fare da sé e senza la guida del Partito non arriverà mai a niente e ciò che fa risulta costruito sulla sabbia o su un terreno che non è quello del PMLI. I nostri quadri devono essere i primi in tutto: nella lotta, nel sacrificio, nell'impegno politico, nello studio. Essi devono servire con tutto il cuore il Partito, le masse e la causa senza chiedere nulla per se stessi. Sono già gratificati dai progressi e dai successi del Partito, dei compagni e della lotta di classe. Noi dobbiamo formare dei quadri a tutti i livelli che siano capaci di essere dirigenti, educatori e organizzatori del Partito. I nostri quadri, come del resto tutti i militanti del Partito, devono prendere a modello i maestri e cercare di fare quello che essi hanno fatto. Non tanto per raggiungere il loro livello, che non a tutti è possibile, quanto per imparare da loro come si costruisce e si dirige il Partito del proletariato, come si riconosce e si combatte il revisionismo, come si dirige la lotta di classe, come si organizza e si porta alla vittoria la rivoluzione proletaria. I nostri quadri devono voler bene al Partito e ai suoi militanti dando loro tutti se stessi e il Partito e i militanti devono voler bene ai quadri sollecitandoli ad essere dei buoni dirigenti conformemente alle indicazioni del Partito e aiutandoli ad avere il tempo necessario per pensare, studiare ed elaborare i piani e i disegni strategici della propria istanza. Non bisogna avere una concezione idealistica del Partito, dei suoi dirigenti e militanti. Il Partito è soggetto a contraddizioni, o del tipo in seno al popolo o del tipo antagonistico, come riflesso delle contradizioni di classe esistenti nella società. I dirigenti, anche i membri del CC, dell'UP e il Segretario generale, e i militanti possono fare degli errori per influenza della borghesia e del revisionismo, per inesperienza o per insufficiente conoscenza e preparazione. Va sempre considerato se gli errori vengono commessi in buona fede o a scopo malevolo nei confronti del Partito o di singoli compagni. Non siamo dei santi, dei puri spiriti e esseri infallibili. Tutti abbiamo da imparare a essere dei bravi marxisti-leninisti. Le critiche vanno fatte prontamente e direttamente a chi commette un errore e se l'autocritica non è soddisfacente e il fatto è di un certo rilievo le critiche vanno riproposte ufficialmente nelle istanze di Partito. Nessun membro del Partito può essere sottratto alla critica e all'autocritica e per nessuna ragione: legami familiari, motivi affettivi, amicizie personali, anzianità di Partito, alti incarichi ricoperti. Più in alto siamo, più dobbiamo essere oggetto di critiche e autocritiche. Non abbiamo nulla da perdere se siamo criticati. Se la critica è ingiusta e infondata lascia il tempo che trova, più o meno; se la critica è giusta e fondata non abbiamo che da ringraziare chi l'ha fatta perché ci fa prendere coscienza di un errore o di un atteggiamento sbagliato, e ciò ci aiuta a migliorarci. L'esercizio della critica e dell'autocritica è un diritto e un dovere marxista-leninista, una potente arma per mantenere l'unità del Partito, per migliorare e correggere il Partito e i suoi membri, per avere dei rapporti chiari, sinceri e leali all'interno del Partito. Il nostro Statuto ci fornisce il modello di Partito, di quadri e di militanti cui dobbiamo tendere con tutte le nostre forze. Il nostro Partito ha una grande combattività. Sul piano politico e giornalistico è ineguagliabile. Sul piano pratico possiamo e dobbiamo fare di più, prendendo esempio dalle compagne, dai compagni e dalle Cellule che sono molto combattive. Non dobbiamo aver paura di nulla e di nessuno. Anche se lo scontro con i nemici di classe dovesse costarci la tranquillità della vita familiare, il posto di lavoro, la repressione poliziesca e giudiziaria, il carcere e persino la vita. Per noi quello che conta è servire il popolo con tutto il cuore, consapevoli che chi si sacrifica per il popolo avrà vita eterna e il suo esempio sarà sempre fonte di ispirazione per i continuatori della causa rivoluzionaria. Pur senza essere temerari e cadere nell'avventurismo, bisogna avere il coraggio di affrontare i nemici che al momento sono più forti di noi. Nei grandi come nei piccoli scontri, su scala nazionale e locale, a livello collettivo e individuale. Questo coraggio e questa combattività a volte si possono manifestare anche nelle ``piccole cose'': portare le bandiere dei maestri e del PMLI alle manifestazioni di massa, diffondere ``Il Bolscevico'' e i volantini del Partito, affiggere i manifesti del Partito, indossare la camicia rossa, il fazzoletto rosso, il corpetto rosso, le spille dei maestri e del PMLI alle manifestazioni di massa, prendere la parola nelle assemblee sindacali, popolari e studentesche. Dovunque siamo presenti, bisogna tenere in pugno l'iniziativa politica senza dar tregua ai governi centrale e locali e ai partiti ad essi asserviti. Quando è ritenuto necessario, dopo un'accurata preparazione anche tattica, bisogna andare direttamente nella tana del lupo, ossia nelle assemblee pubbliche organizzate dai partiti falsamente comunisti, per stanarlo e smascherarlo di fronte alle sue stesse vittime. UN RADICATO PARTITO Noi dobbiamo costruire un grande, forte e anche radicato Partito. Sul piano politico-organizzativo, il radicamento è attualmente la questione principale che dobbiamo risolvere. Ieri lo era la grande semina nazionale, oggi non più e sarebbe un grave errore continuare a ritenerla la questione principale. Oggi tutte le nostre energie, risorse, mezzi e tempo devono essere impiegati prevalentemente nel lavoro di radicamento. La partecipazione a manifestazioni nazionali di massa va vista in subordine al radicamento, salvo diverso avviso del Centro del Partito. Radicarsi significa essere una cosa sola con le masse, capirne i bisogni, interpretarne la volontà, difenderne gli interessi, ottenerne la fiducia e diventarne la guida. Ma questo non è possibile se non entriamo in merito alle questioni specifiche della nostra città, quartiere, fabbrica, azienda, scuola e ateneo e se non teniamo costantemente sotto tiro le giunte locali bombardandole con denunce precise e circostanziate. Questo lavoro, in generale, è ancora troppo indietro rispetto alle esigenze del Partito. Bisogna quindi affrettarsi a forgiare questo anello mancante, già individuato nel documento del Comitato centrale del 20 febbraio 1988, della catena della costruzione e dello sviluppo del Partito. Le coordinate del lavoro politico e di massa, pubblicate sul n. 15/97 de ``Il Bolscevico'', che costituiscono il frutto e la sistematizzazione dell'esperienza ventennale del PMLI, ci indicano chiaramente la strada che dobbiamo percorrere per raggiungere questo fondamentale obiettivo strategico. A livello collettivo e individuale bisogna radicarsi dove lavoriamo, studiamo e viviamo e nelle organizzazioni di massa in cui riteniamo opportuno e utile lavorare. Se operiamo in organizzazioni di massa da noi promosse, bisogna stare attenti a non farne una copia del Partito. Se operiamo in organizzazioni di massa promosse da altri, bisogna battersi per conquistarne l'egemonia nel rispetto però del loro carattere. Dobbiamo radicarci soprattutto nel movimento operaio e sindacale e in quello studentesco. I due movimenti di massa principali dove sono concentrate le forze sociali fondamentali per la costruzione del Partito, oltre che per lo sviluppo della lotta di classe. La nostra proposta sindacale, lanciata dall'Ufficio politico il 6 febbraio 1993, è quella di costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori (SLL) fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori. Questa proposta si è resa necessaria dal momento che si è constatato che non era più possibile battersi nella Cgil per conquistarne la direzione e cambiarne la linea politica e sindacale in quanto essa è divenuta un sindacato del regime neofascista, completamente integrato nel capitalismo e subalterno al governo e al padronato. La nostra è una proposta sindacale strategica che potrà realizzarsi solo se la maggioranza degli operai e dei lavoratori la faranno propria. Non quindi una minoranza perché l'SLL richiede l'adesione e la partecipazione di tutti i lavoratori di ogni azienda. Un obiettivo, quello della realizzazione di un'organizzazione sindacale generale di tutte le lavoratrici e i lavoratori, ancora molto lontano nel tempo e che forse richiederà una vita. Anche perché nel frattempo si sono moltiplicate le organizzazioni sindacali a ``sinistra'' della Cgil, che anziché tendere a riunire sindacalmente i lavoratori li stanno dividendo formando dei sindacati anarcoidi legati a frazioni operaiste, neorevisioniste e trotzkiste. Questo marasma e frazionamento sindacale comunque non ci impediscono di propagandare la nostra proposta e di agitare la questione della democrazia diretta e dell'Assemblea generale dei lavoratori in ogni luogo di lavoro e all'interno stesso della Cgil. Fino ad adesso abbiamo privilegiato questo sindacato rispetto a quelli alla sua ``sinistra'', d'ora in poi però si può valutare, situazione per situazione, in quale sindacato è più opportuno e proficuo lavorare in base ai nostri obiettivi sindacali immediati e strategici. In ogni caso tuttavia bisogna stare attenti a non infognarsi in piccoli sindacati di partito settari e velleitari che ci tagliano fuori dal rapporto con le masse lavoratrici. Che si lavori dentro la Cgil o in altri sindacati alla sua ``sinistra'' rimane comunque valida e operante l'indicazione di promuovere la Corrente sindacale di classe (CSC), composta dai lavoratori marxisti-leninisti e da quelli simpatizzanti del PMLI dovunque organizzati sindacalmente, che ha lo scopo di far conoscere alle masse lavoratrici la nostra proposta sindacale e di realizzarla nelle aziende e nelle fabbriche dove esistono le condizioni. La CSC è anche lo strumento sindacale che gestisce la linea sindacale e la piattaforma rivendicativa del PMLI. Quando le tre Confederazioni Cgil-Cisl-Uil si unificheranno, come è nei loro propositi, rifaremo il punto della situazione e stabiliremo il successivo passo da farsi. Intanto invitiamo i nostri sindacalisti, le nostre compagne e i nostri compagni lavoratori, ai quali va l'ammirazione, la riconoscenza e il sostegno di tutto il Partito, a continuare a battersi in prima fila per difendere gli interessi e i diritti, in primo luogo quello di sciopero, delle masse lavoratrici mettendo in pratica le 8 indicazioni per il lavoro sindacale date dall'Ufficio politico nel documento del 9 Aprile 1993. Prepariamoci tutti quanti a dar battaglia nei luoghi di lavoro, nella Cgil e nel Paese contro il ``patto sociale'' appena stipulato senza che vi sia stata alcuna consultazione preventiva dei lavoratori. Lo respingiamo risolutamente per principio e per i suoi contenuti. è inconcepibile un accordo politico-sindacale globale e strategico con il padronato e il suo governo. è inaccettabile un accordo basato sulla concertazione e sulla ``politica dei redditi'', che in pratica vuol dire meno salario e misure sindacali e contrattuali sfavorevoli ai lavoratori, sulla compatibilità e sulle esigenze del capitalismo e sugli incentivi e sui finanziamenti statali agli imprenditori. Alto e forte noi gridiamo: No al ``patto sociale'' che subordina le esigenze dei lavoratori, dei disoccupati e del Mezzogiorno a quelle dei padroni e del capitalismo. Battiamoci per il rinnovo del contratto dei lavoratori metalmeccanici, del commercio, della sanità, della scuola, delle poste e di altri settori, ai quali rivolgiamo un saluto militante e solidale. Care compagne e cari compagni, prima di arrivare ad avere un grande, forte e radicato Partito abbiamo ancora da superare molte prove e affrontare tanti sacrifici. Ma che importa! Niente può valere la gioia delle vittorie che riporteremo nel corso della nostra Lunga Marcia politica e organizzativa. Qualunque cosa accada non demoralizziamoci. C'è sempre la possibilità di ripartire, di riconquistare le posizioni perdute e di riportare nuovi e più grandi successi. Bisogna però saper dosare le forze, sapendo la lunghezza e le difficoltà del percorso che dobbiamo fare. Non sognare mai la luna nel pozzo. Bisogna essere realisti e calcolare gli sforzi in base alle forze che via via disponiamo. è un errore sia fare meno che fare di più rispetto alle possibilità che abbiamo. Bisogna comunque andare sempre avanti, anche se con passi piccoli o piccolissimi. Costi quel che costi e qualunque siano le circostanze e le avversità. Sia se siamo in tanti o in pochi e anche da soli. Resistere, proseguire, lavorare per quanto è possibile vuol dire dare l'esempio e incoraggiare altri a fare come noi. Il nostro lavoro politico non deve essere un fuoco di paglia, ma un continuo accendere scintille per dar fuoco a tutta la prateria. Come i 52 delegati del 1° Congresso hanno osato fondare il PMLI per niente impressionati dalla presenza del PCI, ritenuto un autentico Partito comunista e che aveva un milione e 800 mila iscritti, così noi delegati del 4° Congresso, che siamo un numero superiore di allora, dobbiamo osare costruire e sviluppare il PMLI pur essendoci due partiti, il PRC e il PdCI, che passano come partiti comunisti e che hanno in totale 120 mila iscritti. Non sarà certo il numero degli iscritti ai falsi partiti comunisti ad impressionarci. Per la natura stessa del nostro Partito noi avremo sempre un numero inferiore di militanti. La questione determinante non è il numero ma il legame del Partito con le masse. Il numero comunque che ci serve arriverà, se proseguiremo sulla via dell'Ottobre e applicheremo con forza la linea del 4° Congresso. Il presente e il futuro prossimo del Partito è nelle mani di tutti noi - anziani e giovani militanti -, il futuro più lontano è nelle mani già callose e proletarie rivoluzionarie dei giovani militanti. Siamo certi che essi saranno all'altezza della situazione se continueranno ad aderire ai sei inviti lanciati dal Segretario generale a Forlì. Fra appena due anni si conclude il XX secolo che ha visto la classe operaia conquistare il potere politico in un quarto del globo. Un secolo che è stato marcato profondamente e indelebilmente dall'opera di Lenin, Stalin e Mao grandi condottieri, educatori e maestri del proletariato internazionale. Un secolo in cui i popoli con alla testa i Partiti marxisti-leninisti hanno riportato grandi vittorie sull'imperialismo, il capitalismo, il colonialismo, il fascismo, il razzismo, l'apartheid. Che sarà del prossimo secolo? Saranno ancora il proletariato e i popoli a marcarlo con le loro lotte e con le loro conquiste. I marxisti-leninisti italiani faranno sicuramente la loro parte affinché nel XXI secolo trionfino la rivoluzione e il socialismo. Il nostro grido di battaglia è e sarà sempre quello scritto a caratteri d'oro e indelebili nel Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels: ``I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti ad una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare. Proletari di tutti i paesi, unitevi!''. Viva il 4° Congresso nazionale del PMLI! Onore e gloria ai Fondatori del PMLI fedeli alla causa! Onore e gloria ai Fondatori delle Cellule del PMLI fedeli alla causa! Onore e gloria ai primi pionieri di ogni città d'Italia del PMLI! Onore e gloria a tutti i Militanti e ai Simpatizzanti attivi del PMLI! Viva l'internazionalismo proletario! Viva, viva, viva il socialismo! Viva, viva, viva il marxismo-leninismo-pensiero di Mao! Costruiamo un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista per combattere la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista e realizzare l'Italia unita, rossa e socialista! Coi maestri vinceremo!
ritorna all'inizio del documento NOTE 1 - Marx ed Engels, Manifesto del Partito comunista, febbraio 1848, Edizione del PMLI, pp. 32-33 2 - Audizione davanti al Congresso degli Usa, il 15 settembre '98 3 - Mario Pirani, La svolta di D'Alema è anche internazionale, ``La Repubblica'' del 5 novembre 1998, p. 15 4 - Marx, Discorsi sulla Polonia, 29 novembre 1847, opere complete, Editori Riuniti, vol. VI, p. 410 5 - Samuel P.H. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Editore Garzanti, p. 17 6 - Albright, Un articolo pubblicato dalla rivista della Pontificia università lateranense, uscita nel giugno '98 7 - Lenin, Intorno ad una caricatura del marxismo e all'``economismo imperialistico'', scritto fra agosto e ottobre del 1916, opere complete, Editori Riuniti, vol. 23, p. 33 8 - Stalin, Problemi economici del socialismo in Urss, settembre 1952, Edizione Rinascita, pp. 45, 46, 49 9 - Mao, Sulla guerra di lunga durata, maggio 1938, opere scelte, Edizioni in lingue estere di Pechino, vol. 2, p. 158. 10 - Marx ed Engels, Indirizzo del Comitato centrale alla Lega del marzo 1950, opere complete, Editori Riuniti, vol. 10, p. 286 11 - Massimo D'Alema, Discorso al giuramento degli allievi marescialli dei carabinieri, Velletri 14 novembre 1998 12 - Carlo Azeglio Ciampi, Intervista a ``La Repubblica'' dell'11 aprile 1998 13 - Sergio Cofferati e Gaetano Sateriale, A ciascuno il suo mestiere, Mondadori 1997, p. 138 14 - Marx ed Engels, Indirizzo del Comitato centrale alla Lega del marzo 1850, opere complete, Editori Riuniti, vol. 10, p. 281 15 - Massimo D'Alema, Intervista a ``l'Unità'' del 6 settembre 1998 16 - Lenin, Sulla fusione di politica e pedagogia, giugno 1905, opere complete, Editori Riuniti, vol. 8, p. 416 17 - Engels, Introduzione a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, 6 marzo 1895, in Marx, scritti scelti, edizioni in lingue estere, Mosca 1944, vol. 2, p. 166.
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