Tre le “parole chiave” dell'anticomunista ministro della Cultura: “Nazione, Patria e Modernità”
Sangiuliano “riforma” il ministero della cultura a immagine del neofascismo
Prosegue l'azione del ministro Gennaro Sangiuliano verso il compimento del progetto del governo Meloni che punta a sostituire e consegnare la “cultura” oggi dominante nel nostro Paese, (che a suo dire sarebbe quella del conformismo liberale della “sinistra”) ad una egemonia neofascista, attraverso il rilancio sotto nuove forme e nuovi vessilli dell'ideologia fascista.
L'obiettivo di Sangiuliano è quello di ottenere in ogni campo che abbia a che fare con la cultura, la filosofia ed il pensiero, la diffusione di contenuti che poggino su quelle che egli definisce le tre “parole chiave” della sua narrazione, e cioè “nazione, patria e modernità”. Un unico messaggio totalizzante di destra dunque che sia riconosciuto come l'unica interpretazione possibile e reale del mondo, per il quale un ministro non può tollerare istituzioni culturali che lascino spazi a visioni differenti, e che dunque, in sostanza, possano in alcun modo intralciare il processo in corso.
Ecco infatti che, dopo aver tentato di impossessarsi di Dante eleggendolo a “fondatore del pensiero di destra italiano”, aver rinvigorito le opere di scrittori e artisti vicini alla destra e al ventennio mussoliniano come Soffici, Papini, Prezzolini, Pirandello e D'Annunzio, nell'ambito di una incessante opera di riabilitazione del fascismo storico e del neofascismo, l'ex militante missino, cattolico-clericale vicino all’Opus Dei, già vicedirettore del TG1, TG2 e di Libero, con un colpo di mano durante la scorsa estate ha ribaltato la struttura del ministero della Cultura, e lo ha blindato riempiendolo di suoi fedelissimi.
Continuando sulla scia aperta dall'ex-ministro Dario Franceschini (PD) che tra il 2014 ed il 2016 introdusse le nomine fiduciarie per i direttori dei musei autonomi, la “riforma” Sangiuliano ha modificato l'organizzazione del cuore del ministero per renderlo una volta per tutte non solo clientelare, ma anche funzionale alla propaganda del nuovo corso politico neofascista.
In premessa c'è una questione sostanzialmente tecnica, ma che fa capire bene con quali mezzi e con quale rapidità e prepotenza il governo neofascista Meloni smantella le strutture esistenti per renderle ad esso funzionali e poterle interamente controllare.
Solitamente sono infatti due le modalità con cui si procede alla revisione delle strutture ministeriali; lo si può fare per legge o attraverso regolamenti organizzativi in forma di decreti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio. Se non si passa dalla legge, viene in genere preferito il regolamento con il suo iter di controllo: approvazione in Cdm, parere del Consiglio di Stato, ritorno in Cdm, parere delle competenti commissioni parlamentari e registrazione della Corte dei Conti.
Ma in tutta evidenza Gennaro Sangiuliano non ha voluto perdere troppo tempo – e nemmeno correre alcun rischio - per piazzare i suoi uomini alla testa degli uffici più strategici; ecco perché la modifica dell’organizzazione del ministero è stata vigliaccamente inserita in extremis in un emendamento al decreto Pubblica Amministrazione del giugno scorso. Un blitz che gli ha consentito di bypassare commissioni parlamentari e magistrature, e che consente il decadimento di tutti gli attuali dirigenti per poi sostituirli con con nuove figure apicali scelte personalmente dal ministro con il solo passaggio in Cdm, senza dover per forza pescare dai ruoli dirigenziali della Pubblica Amministrazione. A breve infatti ci saranno altre nomine in arrivo, fra le quali i due direttori generali ed i dieci direttori di musei d’alto livello, come Uffizi e Brera.
Sarà infatti soppressa la figura del segretario generale resuscitando il fallimentare schema dei capi dipartimento, già adottato da Buttiglione nel 2004, aumentandoli addirittura da 3 a 5, sotto i quali rimarranno le 11 direzioni generali di settore (cinema, musei, spettacolo ecc.), oggi coordinati dal solo segretario generale in dismissione.
E così Sangiuliano ha avuto finalmente mano libera; può disporre di personaggi di sua completa fiducia, profili di carattere politico a lui affini, seppur gli incarichi da ricoprire siano quasi esclusivamente di natura amministrativa. Una forzatura che serve anche a moltiplicare all'interno del ministero le stesse figure fiduciarie, oltre a quelle già previste per gli uffici di stretta collaborazione, in maniera tale che il governo potrà scegliersi i 5 massimi vertici del dicastero, ma anche di supervisionarne l'operato unendo di fatto l'indirizzo politico e quello amministrativo in un unico calderone neofascista.
Il provvedimento, passato come già detto in sordina, ha però trovato alcune reazioni d'opposizione. In primis la Funzione Pubblica della CGIL, che ha definito questo nuovo assetto “una sovrastruttura inutile e dannosa, che serve solo complicare la vita a chi lavora, ma che rende dal punto di vista politico”. La CGIL ha poi accusato insieme alla UILPA il governo di “travalicare in modo indecoroso i limiti che devono garantire il corretto funzionamento e la terzietà del Ministero” con un impianto “funzionale alla propaganda del nuovo corso politico”.
Proprio in relazione alla commissione che dovrà nominare i nuovi direttori dei 10 musei statali, la Consulta Universitaria per la Storia dell’Arte e della Società Italiana di Storia della Critica d’arte, ha scritto una lettera di protesta datata 25 luglio, nella quale denuncia e contesta la composizione della commissione stessa presieduta da Francesco Di Ciommo poiché tra i 5 membri figura una sola storica dell’arte che ha le competenze tecniche necessarie. Nella lettera si lancia anche un allarme democratico quando si afferma che “in una commissione tenuta ad esprimere un parere terzo vi sono ben due dirigenti del MiC che non potranno ignorare le indicazioni del loro stesso ministero”.
Altro che indipendenza, Sangiuliano indossa il fez e pone tutto il ministero sotto il suo diretto controllo, ad uso esclusivo e strumentale del governo Meloni.
Insomma, mentre le opposizioni latitano l'opera di riorganizzazione delle istituzioni borghesi italiane in senso neofascista procede a passo spedito, e Sangiuliano ne rappresenta una delle sue punte di diamante.
Un segno della arrendevolezza e sudditanza dell'opposizione parlamentare verso tale disegno è rappresentato dalla stretta collaborazione fra il sindaco PD di Milano Sala e lo stesso Sangiuliano sulla costruzione del nuovo Museo Nazionale della Resistenza che sarà realizzato entro il 2025, ottantesimo anniversario della liberazione,
ai Bastioni di Porta Volta a Milano. Una struttura di 5 piani che rappresenterà “la bibbia” istituzionale sul periodo e gli avvenimenti intercorsi fra le due guerre mondiali, sulla Resistenza, e sull'Italia repubblicana, al quale il destro Sangiuliano tiene a tal punto da definirlo pubblicamente come “fondativo dello spirito della nazione”. Evidentemente per un'ennesima riscrittura revisionista e anticomunista della storia della lotta partigiana e della Resistenza stessa.
27 marzo 2024