Propagandato dal quotidiano putiniano “Il Fatto” di Marco Travaglio
Il manifesto sovranista rossobruno del fascista Alemanno e del neofascista Rizzo
Tra i promotori il fascista Cardini, l'ex ambasciatrice Basile e il filosofo omofobo e rossobruno Andrea Zhok
Rilanciato in termini aggiornati il nazional socialismo con l'obiettivo di creare un'organizzazione al servizio del socialimperialismo cinese e dell'imperialismo russo
All'insegna dello slogan “L'Italia e l'Europa contro la guerra”, sottolineato da un vistoso fregio tricolore, è stato presentato l'8 maggio in pompa magna a Roma, nella sede della stampa estera di palazzo Grazioli, il “Manifesto per la sovranità e i diritti dei popoli”. A illustrarlo erano quattro dei suoi cinque firmatari, che sono lo storico fascista Franco Cardini, il filosofo Andrea Zhok, l'analista di politica internazionale Stefano Orsi, il biologo Enzo Pennetta e l'antropologa Valentina Ferranti, sostituita quest'ultima sul palco dall'ex ambasciatrice Elena Basile.
A presiedere la manifestazione era Massimo Arlechino, il segretario e presidente di Indipendenza, il movimento creato insieme al fascista Gianni Alemanno. Anche quest'ultimo intervenuto nel dibattito insieme agli altri due veri promotori del manifesto, il rinnegato comunista, trasformatosi in neofascista, Marco Rizzo e il cattolico Francesco Toscano, a loro volta creatori di Democrazia Sovrana Popolare, il partito sovranista e rossobruno al servizio di Xi e Putin. Non a caso Arlechino ha chiamato l'applauso dei presenti proprio per Rizzo e Alemanno, dalla cui intesa ha detto è nato questo manifesto sovranista e rossobruno, tramite un intenso lavoro preparatorio affidato allo stesso Arlechino e Toscano.
Se questi sono i protagonisti, appaiono quindi ben marcati la matrice e lo scopo di questa sporca operazione, che è quella, come recita lo stesso manifesto, di creare “una nuova politica” e “nuove alleanze sociali”: cioè pescando nel torbido, senza distinzioni tra destra e sinistra e tra fascisti e antifascisti, per carpire da una parte il consenso dei pacifisti, antimperialisti e comunisti in buona fede e portarli a sostenere il socialimperialismo cinese e l'imperialismo neozarista russo cari ai putiniani nostrani; e dall'altra sdoganare tra le masse popolari il nazional socialismo, la triade dio patria e famiglia, l'omofobia, il razzismo e la xenofobia che sono nel Dna dei fascisti alla Alemanno. Non è certo un caso che questo evento, mentre è stato ignorato dalla grande stampa, abbia avuto invece risalto sul quotidiano fascista “Il Tempo” e sul quotidiano putiniano “Il Fatto” di Marco Travaglio, a dimostrazione della convergenza tra putiniani e neofascisti nel mettere in un unico documento i rispettivi ma anche comuni valori e obiettivi.
Rizzo, Toscano e Basile chiamano a sostenere Russia e Cina
Il manifesto mescola molto sapientemente i suddetti ingredienti per formulare le sue tesi, in cui si sente chiaramente l'influenza dei vari personaggi che lo hanno ispirato e redatto. Per esempio, la mano di Rizzo e Toscano si sente subito già dall'inizio che dà l'inquadramento internazionale al documento, dove si sottolinea che l'Europa deve “fermare la guerra ai propri confini” e che per questo occorre “imporre subito un cessate il fuoco in Ucraina e in Palestina”; e dove si dice che “gli attuali governi europei non vogliono accettare l'emergere di un nuovo Mondo multipolare, che trova espressione politica ed economica nei BRICS. Questa realtà, pur tra mille (feconde) differenze, si sta coalizzando per superare l'egemonia statunitense e il modello unipolare nato dalla fine della guerra fredda, con l'intento dichiarato di costruire un nuovo ordine mondiale fondato sull'autodeterminazione dei popoli”.
Chiaro qui l'indirizzamento verso l'appoggio alla politica socialimperialista di Xi Jimping per l'egemonia mondiale in concorrenza con l'imperialismo occidentale con capofila gli Usa di Biden, e a favore dell'invasore Putin che avrebbe tutto da guadagnare da un cessate il fuoco in Ucraina sulle attuali posizioni conquistate. Lo stesso imbroglione revisionista Rizzo, che ormai è diventato un neofascista a tutti gli effetti, lo ha rimarcato nel suo intervento (non senza prima irridere infatti coloro che ancora “stanno a discutere del giochetto fascismo-antifascismo”), sostenendo che non basta essere per la pace, ma occorre esserlo “integralmente, impegnandoci anche a dare soluzioni alla dinamica che è presente nel mondo col confronto tra un modello unipolare calante, quello degli Usa e della globalizzazione”, e l'altro modello delle “grandi nazioni che hanno cominciato a pensare alla loro indipendenza: Brics, Russia e Cina”. “Perseguire la pace è perseguire questo percorso verso il multipolarismo”, ha aggiunto Rizzo esaltando come esempio la visita di Xi nell'Ungheria del dittatore fascista Orban, e confermando di essere un agente prezzolato al soldo dell'imperialismo dell'Est.
Anche Elena Basile ha battuto lo stesso tasto nel suo intervento, sostenendo che la politica “è incapace di vedere il mondo multipolare che avanza”, e che occorre “rivalutare il concetto di sovranità”. Tant'è vero che in un articolo su “Il Fatto” dell'11 maggio ha esaltato anche lei gli accordi economici tra Xi e Orban e con la Serbia, che rimettono in gioco la Nuova via della seta nell'Est Europa per aggirare l'ostilità e le barriere erette dalla Ue imperialista contro la penetrazione economica e politica della Cina nel vecchio continente.
Anche le impronte di Alemanno e di Meloni nel documento
La mano di Alemanno e Arlechino nel documento si sente soprattutto nei passaggi che rimarcano il sovranismo nazionalista, anche con blande critiche a Giorgia Meloni per aver approvato il Nuovo patto di stabilità europeo e per aver “raccolto i voti di milioni di Italiani che volevano il cambiamento, ma oggi dimostra di perseguire un solo obiettivo: entrare nell'Euro-casta nell'illusione di condizionarla”. Ma recuperando ed elogiando tuttavia il suo “modello confederativo di nazioni sovrane” per l'Europa, così come la sua politica neocolonialista ed espansionista nel Mediterraneo e in Africa sulle orme di Mussolini, nel passaggio in cui si dice che l'Italia “deve riportare l'attenzione dell'Europa sul Mediterraneo” e che liberandosi “dalla cappa del colonialismo woke e globalista, può cooperare con l'Africa senza le colpe del neocolonialismo delle multinazionali”. Riecheggiano in queste parole gli slogan mussoliniani contro la plutocrazia internazionale.
Anche Cardini, durante il suo prolisso intervento, ha elogiato la proposta di Meloni di un'Europa confederale, definendola “degna di essere discussa, anche se poi si è persa negli anni”, e in particolare ha messo l'accento sull'obiettivo di riconquistare gli astensionisti. In un'intervista a “La Stampa” del 14 maggio, il professore ex missino ha ripreso infatti il tema dell'astensionismo e coperto la premier neofascista negando che in Italia vi sia un “rischio democratura”, ma semmai “il rischio di un partito che ha il 30 per cento tra i votanti, in un Paese che come tutto l'Occidente è fatto di cittadini che si disinteressano di politica. Il vero rischio è l'astensionismo”. D'altra parte, non si trova un solo passaggio, né nel documento né negli interventi, di critica al governo della ducessa Meloni che ha riportato il fascismo al potere e alle sue innumerevoli nefandezze contro i diritti dei lavoratori, degli studenti, dei migranti, delle donne, e la sua politica estera militarista, espansionista e guerrafondaia.
La mano di Zhok nell'impianto teorico del manifesto
Ma un'altra mano che si sente fortemente nell'elaborazione del documento, soprattutto nel suo corpo filosofico, politico e culturale centrale, è quella di Andrea Zhok, docente di Antropologia filosofica alla Statale di Milano, un teorico del sovranismo rossobruno la cui pagina Facebook è piena di interventi di stampo reazionario e omofobo alla Vannacci contro femministe, Lgbt, adozioni gay, e in difesa del patriarcato, ancorché rivestiti con argomentazioni più raffinate e colte di quelle del candidato leghista, nonché di attacchi all'antifascismo, al 25 Aprile, alla teoria marxista delle classi, da lui trattati come oggetti da museo, mentre rivaluta certi “lasciti positivi del fascismo” come la riforma Gentile della scuola.
È chiaramente sua, infatti, l'impostazione teorica di tutta una serie di tesi, come il “superamento culturale profondo dello schematismo stantio e paralizzante” dei concetti di destra e sinistra, così come del concetto marxista di lotta di classe tra proletariato e borghesia, rimpiazzato da quella che lui chiama “lotta tra capitale e lavoro (ogni lavoro)”, attraverso un'interclassista e neocorporativa “alleanza tra ceti popolari e ceto medio, tra classe lavoratrice e piccole e medie imprese, tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, l'alleanza di tutte le forme del lavoro, contro la rendita finanziaria e il dominio delle grandi corporation transnazionali, contro l'egemonia di élite sradicate e cosmopolite”.
E sempre suo è il concetto tipicamente corporativo fascista della proposta di un “nuovo modello di sviluppo”, lontano anni luce da socialismo, “in cui economia pubblica e privata sappiano cooperare nell'interesse del popolo e della nazione (sic), dove la libertà di lavorare e la libertà d'intraprendere non siano confuse con il liberismo mercatista”. Così come suo è il concetto demagogico, di matrice nazional socialista, tipico dei primordi del fascismo e del nazismo, secondo cui occorre “recuperare la sovranità popolare” rifondando “gli Stati nazionali, che sono l' unico baluardo contro lo strapotere delle multinazionali, l'unico ombrello che può difendere i popoli e le comunità dalle imposizioni del mercato globale”.
Significativa è a questo proposito l'intervista di Zhok al sito putiniano l'Antidiplomatico
, in cui il filosofo cerca di nobilitare il sovranismo sostenendo che “Il sovranismo non è nazionalismo, non lo è mai stato. Il sovranismo, sin dalle origini del termine in Irlanda e Quebec, è indipendentismo, rivendicazione di sovranità, autodeterminazione, che è presupposto e precondizione per l’esercizio della democrazia”; mentre al tempo stesso attacca l'internazionalismo proletario, che è la vera antitesi del nazionalismo, aggiungendo che “parlare oggi di 'internazionalismo proletario' mi sembra un po’ come parlare del conflitto tra papato e impero. Dell’internazionalismo proletario si sono perse le tracce da prima del 1914. Quello che esiste nella realtà odierna è il transnazionalismo finanziario o l’imperialismo sovranazionale degli USA”.
Il rilancio del nazional socialismo sotto altre sembianze
Se a tutto questo aggiungiamo altre tesi sempre presenti nel repertorio propagandistico rossobruno di Rizzo, Alemanno e soci, riformulate nel manifesto da Zhok, come quella secondo cui “dobbiamo fermare un'immigrazione oramai fuori controllo, diventata non solo un terribile dramma umanitario ma anche un'arma politica, culturale ed economica contro le identità e i diritti sociali dei popoli, sia quelli europei che quelli asiatici e africani”, e come quella che “dobbiamo difendere la natura umana, le famiglie e le comunità, dalle manipolazioni genetiche e sanitarie, dall'ideologia gender, dalle forzature della transizione digitale e dell'intelligenza artificiale”, si comprende ancor meglio l'operazione di rilancio in termini aggiornati del nazional-socialismo che i promotori di questo manifesto si propongono di realizzare: sfruttare l'occasione delle elezioni europee per far penetrare tra i pacifisti e gli astensionisti il veleno del nazional-socialismo, e per creare un'organizzazione al servizio del socialimperialismo cinese e dell'imperialismo russo.
Il corporativismo interclassista invece della lotta di classe, il multipolarismo filo russo e cinese invece dell'antimperialismo, il nazionalismo sovranista invece dell'internazionalismo proletario, il razzismo contro i migranti invece della solidarietà tra i popoli, la lotta contro la plutocrazia euroatlantica invece della lotta contro il capitalismo e l'imperialismo: ecco in sintesi il cuore rossobruno, cioè nazional-socialista, di questo manifesto sovranista del fascista Alemanno e del neofascista Rizzo.
15 maggio 2024