Con una schiacciante maggioranza di 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astenuti, tra cui l'Italia meloniana
Mentre i nazisionisti continuano il genocido a Gaza, l'Assemblea Onu riconosce la Palestina come Stato membro a pieno titolo
Per essere operativa la decisione torna al giudizio del Consiglio di sicurezza dove era stata bocciata dal veto Usa. Continua il genocidio palestinese dei nazisionisti a Gaza e in Cisgiordania
La Palestina deve essere un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, e non più solo come lo è dal 2012 un "osservatore permanente", secondo il parere della stragrande maggioranza dei paesi rappresentati nell'Assemblea generale dell’Onu. La risoluzione approvata il 10 maggio con 143 voti favorevoli, 9 contrari e 25 astenuti chiede al Consiglio di Sicurezza, il solo che può renderla operativa, di "riconsiderare favorevolmente la questione" dopo che ad aprile la decisione era sta bloccata dal veto Usa. Per il momento resta un atto simbolico comunque importante contro i nazisionisti di Netanyahu e la loro politica di genocidio del popolo palestinese.
Contro la risoluzione che affermava che “la Palestina è qualificata per diventare membro delle Nazioni Unite in conformità con l’articolo 4 della Carta e dovrebbe pertanto essere ammessa come membro delle Nazioni Unite” e sosteneva “il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, compreso il diritto al proprio Stato indipendente di Palestina” hanno votato Usa e Israele, gli staterelli del Pacifico legati a doppio filo all'imperialismo americano Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea e tre paesi retti da governi fascisti Argentina, Ungheria e Repubblica Ceca. I 25 paesi astenuti, Italia compresa, sono stati Albania, Bulgaria, Austria, Canada, Croazia, Fiji, Finlandia, Georgia, Germania, Lettonia, Lituania, Marshall Island, Olanda, North Macedonia, Moldavia, Paraguay, Romania, Vanuatu, Malawi, principato di Monaco, Ucraina, Gran Bretagna, Svezia e Svizzera.
Hamas accoglieva con favore la risoluzione Onu che rappresenta "un riconoscimento della necessità che il nostro popolo palestinese ottenga i propri diritti legittimi e un'affermazione della cooperazione internazionale, a fronte della volontà Usa di sostenere la guerra di annientamento condotta contro di lui" e invitava "i Paesi liberi del mondo di intensificare i loro sforzi e di fornire tutti i mezzi di assistenza e sostegno al nostro popolo palestinese". Secondo il ministro degli Esteri sionista Israel Katz, che aveva definito l'Onu antisemita e antisionista, invece "l'assurda decisione adottata oggi all'Assemblea generale dell'Onu mette in evidenza i pregiudizi strutturali dell'ONU e le ragioni per cui, sotto la guida del Segretario generale Guterres, si è trasformata in un'istituzione irrilevante", che è vero ma per il motivo opposto, perché non riesce a fermare il genocidio palestinese bloccata dal veto Usa. Ancora più arrogante e ridicolo l'atteggiamento dell'ambasciatore sionista che dopo aver dichiarato che l’assemblea aveva "aperto le Nazioni Unite ai nazisti moderni”, sì in effetti ma sono i nazisionisti di Tel Aviv, sosteneva che "state facendo a pezzi la Carta Onu con le vostre mani" e con un gesto plateale passava alcune pagine del documento in un tritacarte. Magari era il testo della risoluzione del Consiglio di sicurezza del mese scorso che imponeva la tregua a Gaza e della quale i nazisionisti si erano fatti beffe e sono rimasti impuniti.
Esaurita l'ennesima farsa dei negoziati condotti da Egitto e Qatar sotto la regia dell'imperialismo americano, il cui scopo era quello di costringere alla resa la resistenza palestinese o comunque di far ricadere sui palestinesi la responsabilità di una mancata tregue come è stato messo in evidenza dall'accettazione da parte di Hamas della bozza definita al Cairo ma respinta da Tel Aviv, i nazisionisti hanno ripreso su larga scala gli attacchi in tutta la Striscia. Non solo a sud sulla città di Rafah dove prima hanno concentrato oltre 1,3 milioni di profughi e ora vorrebbero un nuovo esodo, mandarli via tutti per dare la caccia ai militanti della resistenza, ma anche nella parte settentrionale, sul grande campo profughi di Jabalia, o almeno su quella parte di abitazioni civili che ancora restano in piedi dopo sette mesi di bombardamenti. In Cisgiordania vanno di pari passo ai crimini di Gaza gli attacchi alle città e ai campi palestinesi da parte dell'esercito o dei coloni per un genocidio palestinese che registra oltre 35.000 morti, in gan parte donne e bambini, e quasi 80.000 feriti.
Su queste cifre inconfutabili si basano le sempre più ampie denunce dei crimini sionisti e la solidarietà al popolo palestinese. L'ultima che segnaliamo è della yemenita Karman Tawakkol, premio Nobel per la pace nel 2011, che il 10 maggio nel discorso all’evento conclusivo alla conferenza sulla fraternità umana organizzata dalla fondazione Fratelli tutti, tenuto nell’atrio della basilica di San Pietro, condannava "i crimini di genocidio e i massacri di pulizia etnica contro i palestinesi a Gaza" e chiedeva "la loro condanna e la solidarietà con il popolo palestinese”. Un "flagrante discorso antisemita" lo definiva come sempre provocatoriamente l'ambasciata sionista presso la Santa Sede, "un discorso di propaganda pieno di menzogne. Parlare di pulizia etnica a Gaza mentre Israele permette quotidianamente che grandi quantità di aiuti umani entrino a Gaza è orwelliano", un commento ipocrita e arrogante che si qualifica da solo nel momento in cui l'esercito sionista occupante aveva da giorni chiuso tutti i varchi di Gaza agli aiuti umanitari per preparare l'ennesimo attacco a Rafah. Lo aveva appena denunciato il capo della Mezzaluna Rossa egiziana del Nord Sinai, Khaled Zayed, riferendosi al migliaio di camion fermi ai valichi sotto il sole da 4 giorni e con molti degli aiuti umanitari e medicinali destinati alla popolazione palestinese da destinare al macero. Riguardo al consueto falso parallelo tra antisemitismo e antisionismo, una costante della propaganda sionista e imperialista, rimandiamo alla presa di posizione di una associazione progressista ebraica americana a fine articolo.
Intanto registriamo fra le altre la decisione del 9 maggio del Trinity College di Dublino che dopo una settimana di iniziative studentesche contro il massacro a Gaza e per il boicottaggio di Israele come indicato dal movimento Boycott, Divestment and Sanctions (Bds), la campagna lanciata nel 2005 dalle ong della società civile palestinese, annunciava che "completerà il disinvestimento di fondi da aziende israeliane che hanno attività nei Territori palestinesi occupati e figurano nella lista nera dell’Onu e si impegnerà a disinvestire da altre aziende israeliane". E quella annunciata il 10 maggio del riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di Spagna e Irlanda, Malta e Slovenia in occasione di una prossima riunione ministeriale a Madrid. Attualmente sono otto le nazioni dell’Ue su 27 che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina nei territori entro i confini stabiliti nel 1967, ovvero Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. Prima di entrare nella Ue Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Cipro mentre la Svezia nel 2014 quando era già membro.
"Servono sanzioni: senza sanzioni Israele non cambierà", non si fermeranno i crimini contro i palestinese ribadiva in una intervista pubblicata su il Manifesto
dell'8 maggio, Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i Territori palestinesi occupati e autrice del rapporto Anatomia di un genocidio, contenente dati e testimonianze del genocidio. In un passaggio spiegava che il suo rapporto collega la politica di genocido alla natura stessa del colonialismo d’insediamento, richiamando all’esperienza dei nativi americani negli Usa, degli indigeni in Australia e degli Herero in Namibia: "in Occidente si fa fatica a capire che cos’è il colonialismo di insediamento e a legarlo alla realtà politica israeliana perché gli occidentali sono affetti da amnesia coloniale e perché vedono Israele come prodotto politico della tragedia dell’Olocausto. Lo è ma non del tutto: il progetto di colonizzazione della Palestina da parte degli ebrei europei perseguitati per secoli in Europa, per i quali chiaramente la Palestina ha un significato storico religioso, inizia alla fine del XIX secolo. È su quel progetto coloniale che si è innestata la soluzione politica che l’Occidente ha sostenuto dopo quella pagina immonda della nostra storia che è l’Olocausto". Altro tema trattato nel rapporto quello della definizione della popolazione come scudi umani, come vittima di danni collaterali e via dicendo da parte dell'esercito occupante per cancellare la distinzione tra civili e combattenti che è il primo passo per i massacri di civili. "Sin dai primi giorni - denunciava la Albanese - i palestinesi hanno capito che questa non era una guerra come le altre, è questo che mi hanno detto: Israele stavolta ha subito preso di mira target chiaramente non militari. Ha colpito da subito i luoghi dell’identità palestinese: chiese, moschee, centri culturali, università. Israele ha allargato lo spettro per determinare chi dovesse eliminare. Tra loro poliziotti, medici, dipendenti dei ministeri perché considerati da Israele tutti affiliati ad Hamas. Hanno colpito gli intellettuali, vere e proprie punizioni collettive. Gli stessi figli di Haniyeh non sono stati uccisi perché combattenti ma in quanto figli del leader di Hamas. Non si può legittimare questa logica. E poi c’è il crimine più evidente: creare condizioni di vita che conducono alla distruzione di un popolo, ovvero il bombardamento degli ospedali, la privazione di cibo e medicinali". Che continua nella Striscia di Gaza.
Concludiamo riportando un interessante intervento dal titolo "Cos’è il sionismo? Perché siamo anti-sionisti?", di Jewish Voice for Peace (JVP), postato su Instagram il 23 settembre scorso e rilanciato l'11 maggio dal sito Assopace Palestina. L'associazione ebraica americana progressista e antisionista, fondata nel 1996, condanna l'apartheid e l'occupazione dei territori palestinesi e la complicità degli Stati Uniti in quell’oppressione e sostiene la resistenza palestinese.
"Noi di Jewish Voice for Peace siamo orgogliosamente antisionisti. Ma cos’è il sionismo e perché ci opponiamo?
Il sionismo, nelle parole dei suoi fondatori, è un’ideologia esplicitamente 'colonialista'. Il sionismo è un’ideologia politica del XIX secolo secondo la quale la sicurezza ebraica richiedeva uno stato-nazione che fosse solo ebraico. Il movimento sionista ha definito questa ideologia come una risposta a secoli di persecuzione antisemita contro gli ebrei in tutta Europa.
Nel 1948 le milizie sioniste istituirono uno stato ebraico in terra palestinese, istituirono un’occupazione militare sui palestinesi e impostarono un sistema di supremazia legale ebraica, l’apartheid.
Per 75 anni, il sionismo è stato usato per giustificare i massacri di palestinesi da parte dei militari israeliani, la distruzione di villaggi e uliveti, e un’occupazione militare che separa le famiglie con posti di blocco e muri.
Il governo israeliano, e le istituzioni ebraiche statunitensi che difendono il sionismo e lo stato di Israele, vogliono farci credere che il sionismo fosse inevitabile, e che essere ebrei significa essere sionisti.
Noi antisionisti conosciamo la nostra storia di oppressione, ma rifiutiamo il sionismo come risposta. Sappiamo che la nostra sicurezza sta — ed è sempre stata — nella solidarietà e in un futuro condiviso.
Non lasciatevi ingannare dalle affermazioni secondo cui il sionismo è un movimento per l’autodeterminazione ebraica – non lo è mai stato. Nonostante le difficoltà, gli ebrei della diaspora furono in grado di creare comunità fiorenti, le loro pratiche culturali e le loro storie.
Da quando è esistito il sionismo, ci sono sempre stati ebrei che vi si opponevano. Dal Jewish Labor Bund, ad Albert Einstein e Hannah Arendt; da Hajo Meyer a Judith Butler. Nel 2019, Tzedek Chicago è diventata la prima sinagoga antisionista negli Stati Uniti.
Questi ebrei si opponevano al sionismo non solo perché richiedeva l’espropriazione del popolo palestinese, ma perché vedevano il sionismo come una falsa promessa. Respingevano l’idea che la liberazione ebraica dall’antisemitismo consistesse solo nel conquistare il potere in uno stato militarizzato. Cercare rifugio dall’oppressione attraverso il militarismo e sottomettere gli altri chiude ogni strada alla sicurezza ottenuta tramite la solidarietà.
L’antisionismo è anticoloniale e antimperialista. Dobbiamo impostare la nostra azione entro questa cornice se vogliamo smantellare il sionismo.
Solo vedendo il sionismo per quello che è possiamo affermare di essere solidali con gli altri
".
15 maggio 2024