Rinnegando il pensiero di Mao, come il suo maestro revisionista Deng Xiaoping
Xi fa di Confucio il padre spirituale della superpotenza imperialista cinese
Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese (si denomina ancora così, anche se di "repubblica popolare" ha ormai ben poco, anzi, per non dire, più onestamente, nulla), fin dal suo avvento al potere (primo mandato nel 2012), peraltro continuando la linea di Deng Xiaoping, il revisionista per eccellenza, traditore del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ha sempre amato citare testi di Confucio e del neoconfuciano Zhu Xi, come peraltro anche di Deng, aggiungendo, molto ipocritamente, anche quelli di Mao, dal quale è lontanissimo.
Non a caso una popolare serie della TV cinese si chiama "Quando Marx conobbe Confucio" e immagina i due personaggi uniti, nonostante l'abisso temporale che li separa (Confucio visse circa dal 551 a.C. al 479 a.C., Marx tra il 1818 e il 1883) che conversano amabilmente, tra l'altro definendo la Grande Rivoluzione Culturale colpevole di gravi danni, anche se, sempre ipocritamente, essi non vengono attribuiti a Mao.
E qui, opportunamente, conviene citare un sinologo e docente di giornalismo inglese, Hugo de Burgh, che lo giudica senza alcun dubbio e sulla base di documenti precisi e di analisi dettagliate dei discorsi di Xi come di un "neoconfuciano".
A 2.565 anni dalla nascita, nel 2015, non a caso lo stesso Xi ha voluto celebrare solennemente il compleanno di Confucio (che insieme ai filosofi confuciani è quello che maggiormente cita nei suoi discorsi) con queste parole che esaltano la storia millenaria della Cina e l'influenza esercitata dal confucianesimo in Cina e nel mondo intero: “Come componente importante della cultura tradizionale cinese, la filosofia confuciana che ha creato e l'ideologia confuciana stabilita in seguito hanno esercitato profonde influenze sulla civiltà cinese. Insieme ad altri risultati intellettuali che sono stati generati nella formulazione e nello sviluppo della nazione cinese, il confucianesimo ha registrato le attività spirituali della nazione cinese, il pensiero razionale e le conquiste culturali nella costruzione della loro patria, riflettendo le attività spirituali della nazione cinese e fornito una fonte chiave di nutrizione per la sopravvivenza e la crescita continua della nostra nazione. La civiltà cinese non solo ha influenzato profondamente lo sviluppo della Cina, ma ha anche dato un contributo significativo al progresso della civiltà umana nel suo complesso. (…) Dal punto di vista della storia, tutti gli elementi fini delle filosofie tradizionali cinesi, tra cui il confucianesimo, hanno contribuito enormemente alla cultura della civiltà cinese e alla sua continuazione ininterrotta negli ultimi migliaia di anni, alla formulazione e conservazione della situazione politica di unità e unificazione della Cina come paese, alla formazione e al consolidamento della Cina come una grande famiglia armoniosa di decine di nazionalità, alla generazione e all’arricchimento della vita nazionale cinese.Conciliare gli interessi sociali e le relazioni in Cina.(...) Il confucianesimo è originario della Cina. Ma si è a lungo diffuso nel resto del mondo, diventando parte delle civiltà umane.(...) La Cina attuale è l’estensione e lo sviluppo della Cina del passato. L’ideologia e la cultura della Cina di oggi sono anche la continuazione e la sublimazione dell’ideologia e della cultura tradizionale cinese. Per comprendere l’attuale Cina, per conoscere l’attuale cinese, si deve approfondire la linea di sangue culturale della Cina e apprezzare con precisione il suolo culturale che nutre il popolo cinese.
Lo studio di Confucio e Confucianesimo è un approccio importante per comprendere le caratteristiche nazionali dei cinesi e le radici storiche del mondo spirituale del cinese attuale.
“
Con queste parole Xi ha voluto riaffermare che la Cina di oggi non è la figlia della Cina socialista di Mao ma l'erede di una storia millenaria iniziata da quelle dinastie imperiali, influenzate in modo determinante dal pensiero di Confucio, che dettero vita a imperi cinesi feudali diventati nel tempo tra i più vasti del mondo.
Xi ha insistito sul valore dello "guoxue
" (letteralmente “studi nazionali”), ossia sul patrimonio culturale identitario cinese, soprattutto etico della tradizione confuciana che più che una "religione" è un sistema di valori, molto umani e miranti a rendere eterni i comportamenti tradizionali incentrati decisamente sul valore della famiglia e della tradizione, considerate più importanti della società. Una concezione reazionaria e feudale che fu aspramente combattuto da Mao.
Si tratta dunque di una concezione contrapposta a quella che ispira la società socialista. Questa concezione pragmatica ed empirica, che cancella le classi e la lotta di classe, ha avuto il suo famigerato modello nel detto del rinnegato Deng Xiaoping secondo cui “poco conta il colore del gatto, purché catturi i topi
”. Inoltre predica uno dei concetti più importanti del confucianesimo, quello dell'armonia, ossia la conciliazione tra sfruttati e sfruttatori e il rigetto della lotta di classe. Infine teorizza una sorta di originalità, anzi eccezionalità cinese che giustificherebbe l'abbandono e il rigetto di modelli e ideologie provenienti da altri Paesi com'è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao
Ancora una volta non a caso dal 2013 i libri del "Canone confuciano" sono stati reinseriti nel gaokao
, ossia come programma obbligatorio che gli studenti cinesi devono sostenere per essere ammessi all'università, dopo aver completato le scuole superiori. Il rispetto per gli adulti e gli anziani, il dovere di prendersi cura dei più piccoli e degli indifesi, l'insistenza sul valore della comunità (ma non della società, tanto meno se socialista e i concetto di "comunità", anche in Occidente può avere connotazione anche fortemente reazionarie, si pensi alla sociologia del tedesco dell'Ottocento Ferdinand Tönnies) fanno parte di questo canone confuciano.
A differenza di Xi, come ricorda sempre molto opportunamente la compagna Monica Martenghi, Responsabile della Commissione donne del CC del PMLI, Mao ha ribadito il suo ateismo, in continuità con il marxismo-leninismo, che però non toglie il rispetto per le religioni (condiviso anche dagli altri Maestri); per esempio, quando parla del taoismo, altra religione tradizionale cinese: "Dobbiamo svolgere un'opera di educazione verso tutti i partiti democratici e gli ambienti religiosi in modo che non vengano ingannati dagli imperialisti e che non stiano dalla parte del nemico. Prendiamo il buddismo: i suoi legami con l'imperialismo sono relativamente scarsi, fondamentalmente ha rapporti con il feudalesimo... Rovesciata questa minoranza (ossia i latifondisti) i semplici bonzi sono stati liberati. Io non credo nel buddismo, ma neanche mi oppongo all'organizzazione di una associazione buddista"
(Mao, Uniamoci e tracciamo una netta linea di demarcazione tra noi e il nemico,
2 agosto 1952 in Mao, Rivoluzione e costruzione. Scritti e discorsi 1949-1957, Torino, Einaudi, p. 86) e ancora: "Permettiamo che l'opinione pubblica sia differenziata, che ci sia cioè la libertà di critica, di fare propaganda al teismo e all'ateismo. In seno al popolo, soffocare la libertà, la critica del popolo agli errori e ai difetti del partito e del governo. La libertà di discussione del mondo scientifico, è un delitto"
(Mao, Confutare la cosiddetta "uniformità dell'opinione pubblica
, 24 maggio 1955, in op. cit., p.199-200) o infine: "Un gruppo di idealisti, ad esempio, può approvare il regime politico ed economico socialista e non la concezione marxista del mondo. I patrioti dei gruppi religiosi fanno altrettanto. Noi siamo atei. Essi credono in Dio. Non possiamo costringerli ad accettare la concezione marxista del mondo"
(Mao, Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito Comunista Cinese
, 12 marzo 1957, in op. cit., p.586).
Come si vede da questi testi, Mao non scatena imposizioni ai danni delle concezioni del mondo diverse da quella marxista-leninista, ma si contrappone a quelle tendenze che, in seno alla società, siano essere religiose o meno, vogliono ostacolare la costruzione della società socialista. Ed è in piena coerenza con la critica di ogni forma di revisionismo (che è la continuazione del passato "stato di cose"
, come Mao spiega approfonditamente) che la Grande rivoluzione culturale, iniziata nel 1966, promuoveva lo slogan: "Critichiamo Lin Biao, critichiamo Confucio", vedendo la piena continuità esistente tra il passato e il revisionismo, dato che Lin Biao, con il tentato "golpe" voleva far tornare indietro l'orologio della storia, facendo retrocedere la situazione cinese al capitalismo dai tratti feudali, mentre Confucio, all'epoca dei "regni combattenti", tra il VI e il V secolo a.C., aveva cercato di restaurare la dinastia Zhou, una delle più tenacemente antiche della Cina imperiale, quindi voleva retrocedere lo sviluppo storico, esaltando un periodo storico totalmente aristocratico. È pur vero che Mencio (Meng Zi, Meng XU), responsabile del codice neoconfuciano, vissuto dal 370 a.C. al 289 a.C. considera il popolo quale base della società. D'altra parte ritiene indispensabile un governo di tipo assolutistico della classe colta e aristocratica, che imponga le leggi al popolo, che dunque si trova in una condizione di asservimento totale. Per non dire poi dell'ancora posteriore Xun Zi (313-238 a.C.) che, ritenendo malvagia la natura umana, riteneva dunque necessario imporre al popolo ogni sorta di precetti e regole, non solo di leggi scritte e chiare, come prevedeva Mencio. Mao osservava: "Vi è ancora un certo numero di persone che sognano di restaurare il sistema capitalista e combattono la classe operaia su tutti i fronti, compreso quello ideologico. In questa lotta, i revisionisti sono i loro migliori aiutanti"
(Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo
, 27 febbraio 1957, in Mao, Sulla lotta contro il revisionismo moderno" . Firenze, il Bolscevico, 1974, p.1).
Come il già citato De Burgh spiega in maniera analiticamente documentata e riafferma sempre con forza, la Cina di Xi, rifacendosi al modello revisionista di Deng XIaoping e, risalendo ancora più indietro, al traditore Lin Biao, insiste sulla teoria in rapporto con la prassi, dove la prima sostiene la seconda nel progetto (ormai peraltro realizzato) di trasformare in senso capitalistico la società cinese, che con Mao aveva attuato il socialismo, coerentemente con il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. E va appunto in questo senso la riscoperta del principio di autorità di tipo vagamente "mistico", con presunti "uomini superiori", riscontrati nei genitori, nei docenti, contrariamente a quanto sempre ribadito da Mao, ossia la priorità del popolo, da cui bisogna sempre imparare: “Siamo al servizio del popolo, perciò non temiamo, se abbiamo dei difetti, che vengano messi in evidenza e criticati. Chiunque può mettere in evidenza i nostri difetti. Se ha ragione, li correggeremo. Se ciò che propone giova al popolo, agiremo di conseguenza.”
(Mao, Al servizio del popolo
, 8 settembre 1944, In Opere scelte, volume III). Ed è in questo quadro, come sottolinea ancora De Burgh, che "Il PCC ha buttato via il principio della lotta di classe e la concezione negativa del mercato e dell'imprenditoria", in altri termini ha completamente riabilitato il capitalismo, una restaurazione che Mao non ha mai escluso come possibilità: "Nel nostro paese l'ideologia borghese e piccolo-borghese, l'ideologia antimarxista sussisteranno ancora a lungo... Sul piano ideologico, la questione di chi vincerà nella lotta tra proletariato e borghesia non è ancora veramente definita"
(Mao, Discorso alla Conferenza nazionale del Partito comunista cinese sul lavoro di propaganda
, 12 marzo 1957).
In realtà, sempre sulle orme di De Burgh ma non solo, possiamo tranquillamente considerare Xi un vero e proprio traditore del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, dato che tutti i suoi discorsi, incentrati sull'appello al suo esercito ad essere "ancora più combattivo" e ad armarsi ulteriormente, vanno nella direzione militarista e imperialista. Lo si vede molto chiaramente nel discorso del 13 gennaio scorso per la riunificazione con Taiwan, ritenuta indispensabile, trattandosi di una "nazione sola". L'obiettivo della riunificazione, di per sé giusto, tanto che lo sosteneva anche Mao, in Xi viene declinato in senso nazionalista e imperialista, mentre in Mao era chiaramente definito come marcia verso la riunificazione socialista - si tratta dunque di due visioni inconciliabili, che ormai più non hanno nulla in comune.
Analogamente a tutti i leader dei paesi capitalisti, in cui vige la dittatura della borghesia, di Xi è "esemplare" la doppiezza, per cui in occasione degli "incontri al vertice" (come quello recente con l'imperialista europeo Macron) i toni sono tatticamente distesi e concilianti, mentre invece quando si tratta di discorsi all'interno della Cina, essi diventano guerrafondai e imperialisti, richiamandosi alla tradizione millenaria dell'“Impero di mezzo”, del tutto immemori, salvo qualche richiamo ad hoc
, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, tanto da essere ormai veramente una sorta di "Anti-Mao", comunque l'alfiere di una controrivoluzione storica che porta la Cina al "capitalismo di Stato" tra l'altro solo parziale (dato che in Cina l'“iniziativa privata” ha un potere illimitato, come noto), alla crescita del sistema di alleanze dell'imperialismo dell'Est, in cui almeno per ora ha un ruolo importante un altro imperialismo oggi attivo, ossia la Federazione russa putiniana.
Il fatto che a Confucio oggi si dedichino film, statue, celebrazioni e tanta letteratura la dice lunga sul ritorno di vecchi fantasmi (o meglio della “vecchia merda
” di cui parlava Marx) di questo revival imperialistico. Opportunamente De Burgh, pur se dal suo punto di vista, accentua l'abbandono del concetto di "lotta di classe" nella dirigenza revisonista di Xi, abbandono che contrasta totalmente con il culto della personalità di un personaggio reazionario e feudale come Confucio e dei suoi seguaci, in vari casi ancora più reazionari, in una politica che sul piano culturale guarda all'individualismo reazionario, sul piano politico economico privilegia la rinascente borghesia e i "nuovi mandarini" e soprattutto caldeggia nel terzo millennio la supremazia della superpotenza imperialista cinese in campo internazionale un po' come Confucio è stato considerato quella "figura fondatrice" che ispirò idealmente l'unificazione della Cina sotto un unico sovrano nell'epoca d'oro che vide la nascita del primo impero cinese.
Insomma Xi Jinping salta a piè pari la per lui sciagurata parentesi della Grande rivoluzione proletaria e della Cina socialista al tempo di Mao (apprezzandone semplicemente la riunificazione della patria liberata dal giogo delle potenze imperialiste straniere) ed esalta Confucio e il confucianesimo per magnificare la grandezza intramontabile dell'impero cinese che si propone di diventare ai nostri giorni una superpotenza mondiale dominante in continuità con la sua storia millenaria che lo vide, come si legge su Wikipedia, “il quinto impero più vasto della storia, quattro volte più vasto dell'impero romano di Traiano. Al suo apice governava il 40% della popolazione mondiale, sotto la dinastia Han nel II secolo a.C., risultando in questo il terzo impero per popolazione dopo quello mediano e achemenide.
” Il socialimperialismo cinese che ambisce a diventare la superpotenza egemone del terzo millennio non può che prendere le distanze da Mao e dal suo pensiero che ha sempre difeso e sostenuto le lotta antimperialista dei popoli e delle nazioni oppresse, quando si combattevano sia contro quello americano sia contro il socialimperialismo sovietico. Ecco perché a Mao Xi Jinping ha sostituito il filosofo reazionario feudale Confucio.
3 luglio 2024