Elezioni politiche in Francia
Il 37% dell'elettorato né coi riformisti e trotzkisti né col reazionario Macron né coi fascisti
Il polo riformista guidato dal trotzkista Melenchon e il polo del reazionario Macron battono il polo fascista di Le Pen e Putin
Problemi per formare il governo
I commenti che sono seguiti ai risultati dei ballottaggi delle elezioni politiche francesi sono stati tutti improntati alla vittoria del polo riformista guidato dal trotzkista Melenchon e il polo del reazionario Macron sul polo fascista di Le Pen e Putin. Eppure dei 49,33 milioni di elettori iscritti nelle liste se ne sono presentati alle urne 32,9 milioni al primo turno del 30 giugno; 16,43 milioni hanno disertato con una percentuale del 33,3%. Se al numero dei votanti togliamo le 582 mila schede bianche e le 268 mila schede nulle abbiamo poco più di 32 milioni di voti validi che corrispondono a un astensionismo del 35%. Tolti i 76 collegi che avevano designato il vincitore, al turno di ballottaggio del 7 luglio erano interessati poco più di 43 milioni di elettori e di questi se ne sono presentati 28,8 milioni; 14,43 milioni hanno confermato una percentuale di diserzione dalle urne del 33,4%. Se al numero dei voti validi togliamo le 1,2 milioni di schede bianche e le quasi 400 mila nulle abbiamo 27,28 milioni di voti validi e l'astensionismo sfiora il 37% del corpo elettorale. Un risultato inferiore alle precedenti tornate elettorali ma comunque significativo perché maturato al termine di una campagna elettorale costruita infine dai tre schieramenti sulla forzatura di uno scontro diretto e il moltiplicarsi di appelli al voto cui hanno partecipato financo i più famosi calciatori già al centro della scena per i campionati europei in corso in Germania.
Alle precedenti elezioni politiche del 12 e 19 giugno 2022 la diserzione dalle urne era stata rispetttivamente del 52,5% e del 53,7%. Non sono confronti omogenei per tipo di votazioni ma registriamo che solo due mesi prima alle presidenziali del 10 e 24 aprile, per effetto dello scontro diretto tra Macron e la Le Pen, la diserzione dalle urne era scesa rispettivamente al 26,3% e al 28% e alle scorse elezioni europee del 9 giugno era salita al 48,5%. Possiamo mettere in evidenza comunque che nell'ultima tornata elettorale più di un elettore su tre non si è schierato né coi riformisti e trotzkisti, né col reazionario Macron, né coi fascisti.
Appena chiusi alle ore 20 gli ultimi seggi elettorali del turno di ballottaggio delle politiche francesi del 7 luglio uscivano le proiezioni ufficiali che indicavano al primo posto il Nuovo Fronte Popolare (NPF), la coalizione dei riformisti e trotzkisti messa insieme da Jean-Luc Melenchon, che con i suoi 182 parlamentari eletti distaccava i 168 del polo reazionario Ensemble del presidente Macron e i 143 della coalizione fascista costruita attorno al Rassemblement National (RN) della coppia Marine Le Pen e Jordan Bardella, la formazione che solo fino a un minuto prima era data come grande favorita e per quanto non in grado di raggiungere la maggioranza assoluta di 289 seggi, sui 577, poteva almeno avere la maggioranza relativa all'assemblea nazionale e pretendere la guida del futuro governo. Al primo turno del 20 giugno le percentuali del voto espresso avevano premiato il RN che aveva portato a casa 39 seggi, davanti al NPF con 31 e a Ensemble con solo 2, tutto era rimandato ai ballottaggi.
Il ribaltamento dei pronostici era definito una vittoria "storica, che verrà commentata e analizzata in tutto il mondo" da un Melenchon euforico che due minuti dopo la comunicazione delle proiezioni dal palco di piazza Stalingrado, nel nord di Parigi, apriva la festa della sua formazione, La France Insoumise, reclamava le dimissioni del primo ministro macroniano Gabriel Attal e rivendicava il passaggio del testimone governativo alla sinistra di "rottura", al primo partito, investito dal "popolo" che lo aveva votato per battere la destra. E concludeva con "dobbiamo ringraziare soprattutto i giovani e gli abitanti dei quartieri popolari: ancora una volta, sono loro ad aver salvato la République!". Ecco, a aver salvato casomai la repubblica borghese un obiettivo che non coincide certo con la tutela degli interessi del proletariato e delle masse popolari. E comunque ripartiamo dai numeri.
Il presidente Macron preso atto del costante declino della sua base politica, sottolineata dal risultato delle europee dove metà elettorato aveva disertato le urne e dell'altra metà poco più di 7,7 milioni, circa il 15%, aveva votato per la coalizione fascista chiamata con uno slogan trumpiano "La France revient", quasi 6 milioni erano i voti andati alle principali formazioni riformiste e trotzkiste e mentre la coalizione reazionaria a sostegno del presidente si era fermata a solo 3,6 milioni di voti, aveva sciolto il parlamento e indetto le elezioni anticipate. Quando nel 2017 era stato eletto per la prima volta alla presidenza compattando il centro e la destra, il suo partito, La République en Marche, da solo aveva il 53% dei seggi e governava con altre formazioni alleate. Era stato un gioco facile favorito anche dalla frana della coalizione socialista che aveva eletto 5 anni prima Hollande.
Il primo turno del 30 giugno vedeva i fascisti del RN raccogliere oltre 10 milioni di voti, seguiti dal NFP con poco più di 9 milioni e della formazione macroniana Ensemble con quasi 7 milioni. Il passo per arrivare alla maggioranza parlamentre era ancora lungo da fare ma già il fascista Bardella annunciava che “l’alternanza è a portata di mano, sarò il primo ministro di tutti”, come se avesse potuto cancellare con un velocissimo colpo di spugna anni di politica fascista, razzista e filo Putin; Macron lanciava l'appello per "un’ampia unione, democratica e repubblicana”, subito raccolto da Melenchon che annunciava il ritiro delle candidature dai suoi delegati nelle circoscrizioni in cui erano arrivati terzi per unire le forze e battere il candidato del RN.
Il sistema elettorale francese prevede che un candidato vinca al primo turno se ottiene il 50% più uno dei voti espressi da almeno il 25% degli elettori della sua circoscrizione. Altrimenti vanno al secondo turno tutti i candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5% dei voti rispetto al corpo elettorale e in diversi casi i candidati erano anche tutti quelli dei tre gruppi principali.
Lo stesso giochetto delle alleanze era già stato messo in pratica tante volte come nelle presidenziali del 2002 quando al primo turno del 21 aprile il candidato della destra Jacques Chirac non va come atteso al ballottaggio con il presidente uscente e candidato socialista Lionel Jospin che è superato dal fascista Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, del Front National. Il destro Chirac sostenuto dal segretario socialista Hollande vinceva con larghissimo margine grazie anche alla campagna cui partecipava Libération
, che il giorno del secondo turno aveva in prima pagina il titolo "Pour la Republique OUI" con una mano che nell'urna infilava la scheda con scritto Chirac. E perpetuava l'inganno elettorale verso le masse popolari.
Dai dati pressoché definitivi sull'esito del voto nei 577 seggi risultano tre grosse coalizioni presenti in parlamento, quasi tutte le principali anime della "sinistra" borghese, riformista e trotzkista del NFP di Melenchon con 182 seggi, le varie formazioni della destra reazionaria macroniana con 168 seggi e i fascisti del RN che con i fuoriusciti gollisti arrivano a 143 seggi. Numeri che registrano come il polo riformista guidato dal trotzkista Melenchon e il polo del reazionario Macron abbiano battuto il polo fascista di Le Pen e Putin. Adesso si aprono per Macron i problemi per formare il governo sulla base di una maggioranza costruita per battere i fascisti ma che è tutta da individuare. Servirà una coalizione per almeno un anno di governo dato che in ogni caso il meccanismo elettorale francese prevede che non si possa rivotare prima di 12 mesi.
Macron paga comunque pegno per la politica reazionaria, antipopolare e antioperaia dei suoi governi, contestata nelle piazze, che ha mandato in fumo la sua larga maggioranza e al momento può solo realizzare che la sua mossa sulle elezioni politiche anticipate ha stoppato l'ascesa della destra neofascista e filoputiniana, alleata o contigua alla coppia dei camerati italiani Salvini-Meloni. Una mossa che come 22 anni fa aveva portato alla vittoria la coalizione che elesse Chirac contro il "pericolo" della destra ma che non ha certo cambiato le condizioni a favore delle masse popolari. Il gioco elettorale della borghesia le riporta come nel gioco dell'oca alla casella di partenza e non sarà certo la differenza con allora della presenza di una coalizione della "sinistra" borghese, riformista e trotzkista, a cambiare il loro futuro che comunque non passa per le urne e l'elettoralismo borghese ma dalla lotta di classe. Capitalismo o socialismo? Combattiamo ogni illusioni elettoraliste, non saranno mai le urne a portare il proletariato a rovesciare la borghesia e a conquistare il socialismo.
10 luglio 2024