Stato di emergenza in Sardegna per la siccità
Le giunte borghesi di destra, “sinistra” e autonomiste non sono state capaci di affrontare il problema
Intanto lo Stato riserva alla Sardegna solo le briciole

Dopo la Sicilia, con razionamenti idrici per oltre due milioni di persone, anche la Sardegna è al collasso, tanto che il 30 luglio la Giunta regionale sarda, nel corso di una seduta convocata dalla presidente Cinque stelle Alessandra Todde, ha dichiarato lo stato di emergenza regionale per siccità; il provvedimento resterà in vigore sino al prossimo 31 dicembre. A soffrire maggiormente sono le aree del nord ovest, la provincia di Nuoro, il sud della Sardegna.
La Todde ha spiegato che “sulla base delle informazioni e dei dati, anche climatologici, disponibili e delle analisi prodotte dai competenti uffici, identificano uno scenario in atto che può evolvere in una condizione emergenziale... che richiedono l'attivazione di procedure straordinarie come quella della dichiarazione dello stato di emergenza. Così saremo in grado di mettere in atto i primi interventi, che adotteremo attraverso ordinanze di protezione civile, anche in deroga alla normativa in vigore”. Insomma siamo alle solite, i problemi non vengono affrontati in maniera organica e si pensa di sopperire con “misure straordinarie”.
Ma in questo caso c'è poco da fare, per avere acqua a sufficienza adesso servirebbe un miracolo. Alla data del 31 luglio nei 33 invasi di raccolta situati nelle 16 zone idrografiche in cui è divisa l’isola la percentuale di riempimento era pari al 50,2% della capacità massima (21 punti al di sotto dello stesso periodo dell’anno scorso), un 7% in meno rispetto a fine giugno 2024, ovvero 132 milioni di metri cubi usciti ed evaporati in soli 30 giorni. In termini assoluti, i bacini di raccolta sardi possono contenere un massimo di 1.824 milioni di metri cubi, al 31 luglio ne erano disponibili solo 915,80 milioni.
La governatrice Todde, esponente dei 5 Stelle, appoggiata dal cosiddetto “campo largo” ed eletta per una manciata di voti alla guida della Regione, da la colpa alle giunte precedenti e al governo. Sicuramente la Meloni ha lasciato da sola la Sardegna, visto che gli aiuti per combattere la siccità che lo sono stati riservati sono veramente delle briciole rispetto al Nord e alla stessa Sicilia. Per quanto riguarda le giunte che si sono succedute, non c'è mai stata la volontà politica di mettere mano al sistema idrico sardo. Dalla giunta Soru caduta nel 2008 a Cappellacci, da Pagliaru a Solinas, tutti i maggiori partiti sono stati al governo, oltretutto di una regione a Statuto speciale, con ampi poteri rispetto alle altre, senza nessun risultato, e francamente non crediamo che le cose cambieranno con la Todde.
Gli ultimi interventi risalgono agli anni successivi alla torrida estate del 2003 che colpì tutta Italia, quanto furono accorpati buona parte degli enti che gestivano e distribuivano l'acqua. Da allora ENAS, che si occupa delle infrastrutture per la raccolta dell'acqua, e Abbanoa che la distribuisce (entrambe società a totale capitale pubblico) anziché migliorare la situazione hanno gestito la risorsa idrica in modo fallimentare, tanto che i razionamenti sono diventati sempre più frequenti e prolungati.
Adesso si torna alla carica per costruire nuovi invasi e nuove dighe. In verità la Sardegna non è carente da questo punto di vista: ve ne sono 33 di grandi/medie dimensioni, costruiti quasi tutti a fine '800, inizio '900 e nel dopoguerra. Il problema sono la dispersione e la mancanza di comunicabilità tra di loro, tanto che in regione vi sono territori dove non ci sono problemi, e altri che sono totalmente a secco. La dispersione idrica in Sardegna raggiunge il 53%, praticamente al rubinetto ne arriva meno di metà di quella immessa. C'è poi il mancato utilizzo delle acque reflue, che potrebbero essere utilizzate per l'irrigazione dei terreni. Solo gli scarichi del depuratore di Cagliari vengono in parte riutilizzate.
A tutto questo si devono aggiungere i cambiamenti climatici, che portano meno piogge e temperature più alte. Ma questo deve spingere ad ottimizzare le risorse e a ridurre la dispersione, uniche misure valide per non rimanere a secco, anziché proporre nuove dighe che sono già sovradimensionate rispetto a territorio e popolazione, e non porterebbero nemmeno altra acqua ma solo nuovo cemento.

4 settembre 2024