Discorso di Franco Panzarella, a nome del CC del PMLI, per il 48° anniversario della scomparsa di Mao
La vita e l'opera di Mao, la lotta per il socialismo in Italia
Care compagne e cari compagni, militanti e simpatizzanti del PMLI, anticapitalisti e antimperialisti, amiche, amici, oppositori del governo neofascista Meloni e sostenitori di Mao e del suo invincibile e illuminante pensiero: rivolgo a ciascuno di voi, un caloroso saluto e un abbraccio, in particolare a chi si è sobbarcato ore e spese di viaggio, tra cui i compagni della Sardegna, per essere oggi qui presenti a questa 48° commemorazione pubblica della scomparsa di Mao, Maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi.
Il 9 settembre del 1976 il proletariato internazionale e tutta l'umanità progressista ha perso fisicamente uno dei suoi figli più grandi, una delle figure più luminose di tutti i tempi, un costruttore di storia, un gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari.
Dato il processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione delle masse operato nel corso dei decenni dai vecchi e nuovi partiti revisionisti e dai falsi comunisti e la velenosa influenza riformista, parlamentare, costituzionale e legalitaria esercitata sulle masse da tutti i partiti della “sinistra” borghese, compresi quelli con la falsa bandiera rossa, oggi più che mai, è necessario rinvigorire il suo ricordo, issare ancora più in alto la bandiera rossa del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e trasmettere integralmente e correttamente i suoi insegnamenti alle nuove generazioni.
Se periodicamente non riaffermiamo pubblicamente la nostra fedeltà al pensiero di Mao e non rendiamo conto al proletariato di come concretamente noi lo applichiamo nella pratica, è facile che Mao venga trasformato in un'icona inoffensiva, che i revisionisti facciano scempio della sua opera e del suo pensiero e che il Partito cambi colore e divenga un partito revisionista, borghese e controrivoluzionario.
Ecco perché il Comitato centrale del PMLI tiene ogni anno, nell'anniversario della scomparsa di Mao, questa solenne commemorazione ed è pronto a rettificare la propria linea politica qualora venisse riscontrata una benché minima incoerenza rispetto al marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Per il nostro Partito è sempre un grande avvenimento rivoluzionario organizzare la commemorazione di Mao. Non si tratta solo di tenere fede all'impegno che la prima Sessione plenaria del primo Comitato Centrale del PMLI ha assunto all'indomani della sua scomparsa. Si tratta di un avvenimento di vitale importanza per tutto il Partito; l'occasione giusta per fare un accurato tagliando di controllo dei livelli politici, ideologici e organizzativi che abbiamo raggiunto; per verificare che il nostro navigatore sia sempre puntato sulla giusta via del marxismo-leninismo-pensiero di Mao per proseguire con maggior sicurezza e determinazione nella Lunga marcia politica e organizzativa del PMLI fino al raggiungimento del nostro obiettivo finale che è il socialismo.
Un controllo clinico generale sul nostro stato di salute marxista-leninista che ci permette di riflettere e di valutare con l'infallibile strumento della critica e dell'autocritica il lavoro fin qui svolto. Per individuare gli errori commessi e correggerli in tempo prima che diventino contraddizioni antagoniste. Un appuntamento rigenerativo per riossigenare la nostra mente e rifocillare il nostro spirito rivoluzionario assorbendo nuove cellule staminali dall'indissolubile e inesauribile cordone ombelicale che lega il PMLI agli insegnamenti teorici e all'esperienza pratica dei cinque Maestri del proletariato internazionale: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, con quest'ultimo abbiamo un rapporto speciale, quasi filiale, perché è proprio grazie alla sua influenza sui primi quattro pionieri e su quelli che via via si sono uniti ad essi, che è nato il PMLI.
La commemorazione di Mao ci aiuta anche a ripulirci di tutta la malsana influenza dell'ideologia liberale borghese che abbiamo accumulato durante tutto l'anno e ci sprona a lanciarci con rinnovato vigore nella lotta di classe contro la borghesia e il capitalismo e l'attuale governo neofascista Meloni che da quasi due anni ne regge le sorti e ne cura gli interessi.
Per me, oltre che una grande gioia rivoluzionaria, è anche un grande onore essere stato designato come oratore ufficiale di questo importante appuntamento politico. Ringrazio perciò il Comitato Centrale del PMLI con alla testa il Segretario generale e Maestro del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, a nome del quale mi accingo a parlare per la prima volta da questa tribuna, per avermi affidato questo importante compito, e spero di esserne all'altezza.
Quest'anno abbiamo scelto di trattare il tema “La vita e l'opera di Mao, la lotta per il socialismo in Italia”, in primo luogo per indicare ancora una volta al proletariato, alle masse popolari, ai simpatizzanti, agli amici, qual è la via maestra e l'esempio da seguire per chi vuole veramente trasformare il mondo e se stesso, contribuire affinché il PMLI diventi un Gigante Rosso anche nel corpo, lottare contro il capitalismo, liberare l'Italia dal ritorno al potere di Mussolini nelle vesti femminili, “democratiche” e costituzionali di Meloni e spendere ogni minuto della propria vita per il trionfo della causa rivoluzionaria, la conquista del potere politico da parte del proletariato e l'edificazione dell'Italia unita, rossa e socialista.
In secondo luogo, per far chiarezza sulla corretta interpretazione dell'elaborazione teorica, ideologica e politica di Mao e su come definirla: Pensiero di Mao o maoismo?
In astratto entrambe le definizioni si equivalgono, in concreto no, perché il termine maoismo è usato scorrettamente dai gruppi maoisti di vari Paesi, in particolare dalla Lega comunista internazionale, che raggruppa i gruppi maoisti specialmente dell'America Latina.
I maoisti si ispirano a Lin Biao, il quale, presentando il 16 dicembre 1966 la seconda edizione del cosiddetto “Libretto rosso”; ha scritto che “Mao ha sviluppato il marxismo-leninismo in modo geniale, creativo e integrale, elevandolo a uno stadio completamente nuovo”.
Questo concetto è stato poi ripreso, rilanciato e teorizzato negli anni ottanta del secolo scorso dal suo seguace peruviano Gonzalo.
I maoisti considerano il maoismo, la “terza e superiore tappa del marxismo-leninismo”, alcuni giungono a sostenere che “il maoismo è l'unico comunismo”. La suddetta Lega per esempio ritiene che bisogna “imporre il maoismo come la sola guida della Rivoluzione mondiale, l'unica luminosa e immortale bandiera rossa che garantisce il trionfo del proletariato, delle nazioni oppresse di tutti i popoli del mondo nella sua inesorabile marcia in direzione del comunismo”.
Secondo il PMLI il maoismo non può essere “superiore” al marxismo-leninismo, perché l'elaborazione di Mao si fonda su di esso. Il pensiero di Marx, Engels, Lenin e Stalin non è certo minore o inferiore rispetto a quello di Mao.
Come dice il vocabolario italiano, la parola pensiero significa in generale il “modo di pensare di una persona, l'insieme delle sue dottrine e dei suoi punti di vista sui diversi argomenti”. Tradotto politicamente, il pensiero di Mao esprime l'elaborazione di Mao riguardo la concezione del mondo, la lotta di classe, il ruolo del proletariato, la rivoluzione, il socialismo, il revisionismo. Elaborazione che si basa, ripetiamo, sul marxismo-leninismo, apportandovi nuove idee, nuovi approfondimenti scaturiti dalle esperienze della lotta di classe in Cina, in Urss e nel mondo, dopo la scomparsa di Stalin.
Date queste considerazioni non è corretto usare il termine maoismo al posto del pensiero di Mao. In ogni caso noi ci atteniamo all'espressione marxista-leninista-pensiero di Mao adottata dal IX e dal X Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese coordinati da Mao.
Mao era ostile al termine maoismo, che era usato all'interno del PCC negli anni quaranta. Il 15 agosto 1948 nella lettera di risposta a Wu Yuzhang, presidente dell'Università di Hubei, che aveva proposto al Partito di usare il termine maoismo, Mao ha scritto: “Questo genere di formulazione è del tutto inadeguato. Attualmente non esiste nessun maoismo, perciò non si può parlare di maoismo. Non si tratta affatto di 'studiare principalmente il maoismo', piuttosto bisogna promuovere lo studio delle idee di Marx, Engels, Lenin e Stalin e dell'esperienza della rivoluzione cinese”.
Il 17 settembre 1967, quando imperversava la Rivoluzione Culturale Proletaria, conversando con Zhou Shizhao, affermò: “A proposito della formulazione di maoismo, io penso che fondamentalmente non sia necessaria. Da quando il Comitato Centrale del nostro Partito ha deciso di chiamare questo sistema ideologico 'pensiero di Mao Zedong', questo nome ha acquistato enorme prestigio nella mente di tutto il popolo cinese ed ha avuto grande influenza sulla rivoluzione e sulla costruzione cinesi. La sua influenza è ottima anche sul piano internazionale. Perciò non avrebbe alcun senso cambiarlo, non se ne se ne sente la necessità”.
Il pensiero di Mao per la prima volta è stato adottato dal VII Congresso del PCC tenutosi a Yenan dal 23 aprile all'11 giugno del 1945.
Le compagne e i compagni che negli anni passati mi hanno preceduto su questa tribuna hanno spesso fatto ricorso alla calzante metafora dei nostri cinque Maestri Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao paragonandoli giustamente alle cinque dita di una mano che si uniscono e si completano a vicenda per formare l'invincibile pugno del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Staccare da esso anche un solo dito significa indebolirlo, renderlo monco e inoffensivo.
Per noi il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao, non sono due cose a sé, distinte e separate. Ma due componenti formanti una sola unità dialettica; un'unica dottrina, arricchita via via dagli sviluppi della lotta di classe e dal progresso sociale e rivoluzionario mondiale. Come sarebbe sbagliato staccare il pensiero di Mao dal marxismo-leninismo e considerarlo a sé, un’esperienza rivoluzionaria particolare da tenere facoltativamente presente, altrettanto sbagliato sarebbe restringere il marxismo-leninismo al solo pensiero di Marx e Lenin. In tal caso vorrebbe dire, da una parte, privarsi della più recente e autorevole interpretazione del marxismo-leninismo data da Mao, e, dall’altra, permettere che il marxismo-leninismo gradualmente inaridisca e muoia. Infatti senza il pensiero di Mao, esso non sarebbe più all’altezza della situazione odierna, incapace di rispondere in pieno alle nuove esigenze rivoluzionarie. Sarebbe carente in particolare sulle questioni che riguardano la costruzione del socialismo e del Partito, l’economia socialista, il materialismo dialettico e il materialismo storico, la strategia e la tattica della lotta contro l’imperialismo e il socialimperialismo, la lotta contro il revisionismo moderno.
Cenni biografici di Mao
Mao ha vissuto per tutta la sua straordinaria vita di autentico marxista-leninista in completa osmosi col popolo cinese condividendone le sofferenze, incarnandone i problemi e indicando per tempo le giuste soluzioni secondo la teoria dialettico-materialista: “dalla pratica alla conoscenza e dalla conoscenza alla pratica”,
da lui stesso formulata e chiaramente esposta nei due saggi “Sulla pratica”
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e “Da dove provengono le idee
giuste?”
2 dimostrando nei fatti una straordinaria capacità di elaborazione teorica, politica, pratica e una sintesi espositiva fuori dal comune. Anche se lui stesso ha più volte sottolineato che senza l'appoggio delle larghe masse popolari cinesi, del Partito e dell'Esercito popolare lui da solo non sarebbe mai riuscito a far trionfare il socialismo.
Mao applicava la morale e lo stile di vita e di lavoro proletari a se stesso prima che agli altri, e aveva un’infinita premura verso i compagni e il popolo cinesi, soprattutto verso i giovani, su cui si è sempre appoggiato nelle varie fasi della rivoluzione e ai quali affidava l’avvenire della rivoluzione. E verso le donne, che egli, fin da giovane e non ancora marxista-leninista, spronava a emanciparsi dalla morale e dai costumi feudali e dalla concezione feudale della famiglia, del matrimonio e del rapporto fra i sessi.
Mao non metteva mai in primo piano se stesso, ma le masse e la rivoluzione. E quando parlava di sé lo faceva o per assumersi tutte le responsabilità degli errori commessi dal Partito per sua colpa o per esprimere le proprie insufficienze o propositi di miglioramento.
Egli formava un corpo unico col Partito, con l’Esercito popolare e con le masse cinesi, quasi respirasse con gli stessi polmoni e avesse lo stesso cuore. Mangiava il loro stesso cibo e viveva come essi vivevano. In ogni periodo della sua vita, compreso quello in cui occupava la più alta carica dello Stato, Mao ha praticato uno stile di vita fatto di semplicità e di ardua lotta. All’inizio degli anni ’60, trovandosi la Cina in difficoltà economiche, egli non mangiava né carne, né uova, né frutta. Fino a quando le forze glielo hanno concesso ha continuato a coltivare il suo piccolo orto, e quando è morto non gli hanno trovato né oro, né conti svizzeri o altri averi e ricchezze, ma solo un paio di pantofole rattoppate più volte, una veste da camera le cui maniche consunte erano state sostituite e ricucite diverse volte ai gomiti, un paio di scarpe di cuoio che portava dal 1949, e una coperta di spugna che teneva sul letto rammendata venti volte.
La sua indicazione, secondo cui i marxisti-leninisti devono “servire il popolo con tutto il cuore e non solo con metà, o con due terzi”
3 la considerava per se stesso come una pratica quotidiana e inderogabile.
La modestia di Mao era senza limiti. Non ha mai ricercato per sé meriti, onori, medaglie e monumenti. Alla vigilia della fondazione della Repubblica popolare cinese convinse il Partito a non celebrare pubblicamente i compleanni dei dirigenti del Partito, a non dare loro dei regali e il loro nome alle città, strade e imprese e inoltre li invitava a “non mettere compagni cinesi sullo stesso piano di Marx, Engels, Lenin, Stalin. I nostri rapporti con loro
- specificava Mao - sono tra studenti e maestri, e così deve essere. Rispettare queste norme significa avere un atteggiamento di modestia”.
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Anche quando il Partito voleva citarlo nella prima Costituzione della Repubblica popolare cinese del 1954, allora era presidente della Repubblica, Mao lo sconsigliò usando queste educative parole: “Vorrei chiarire una questione. Secondo alcuni, certi articoli sono stati tolti dal progetto di Costituzione a causa della particolare modestia di alcune persone. Non è questa la spiegazione. Non si tratta di modestia, ma del fatto che inserire quegli articoli sarebbe stato inopportuno, irrazionale, non scientifico. In un paese di democrazia popolare come il nostro, articoli così inopportuni non devono essere scritti nella Costituzione. Non si tratta di cose che avrebbero dovuto essere inserite e poi non lo sono state per modestia. Per quel che riguarda la scienza non si tratta di essere modesti o meno. Redigere una costituzione è fare un lavoro scientifico. Noi non crediamo a niente altro se non alla scienza, ciò significa che non bisogna avere miti. Sia per i cinesi che per gli stranieri, si tratta di vivi o di morti, ciò che è giusto è giusto, ciò che è sbagliato è sbagliato, altrimenti si ha il mito. Bisogna liquidare i miti”.
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Fare la rivoluzione è stata l’unica grande aspirazione di Mao. Il suo assoluto disinteresse personale e il suo grande rispetto verso le masse è dimostrato anche dalle seguenti sue affermazioni: “I veri eroi sono le masse, mentre noi siamo spesso infantili e ridicoli; se non comprendiamo questo, non potremo acquisire neppure le nozioni più elementari”.
6 “Io sono un eroe per mancanza di altri”.
7 “Imparare dalle masse insieme con tutti i compagni del Partito, continuare a essere il loro allievo; questo è il mio desiderio”.
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Mao nacque il 26 dicembre 1893 da una famiglia di contadini poveri, poi diventati relativamente ricchi, nel villaggio di Shaoshan vicino alla città di Changsha nello Hunan una provincia agricola situata nel cuore geografico e strategico della Cina.
Regno della diseguaglianza sociale, la Cina del tempo è vittima dell’imperialismo e di un barbaro sistema semifeudale dove le masse popolari, i lavoratori e i contadini poveri languono nel super sfruttamento e nella miseria. Mentre una ristretta classe di proprietari fondiari e di borghesi asserviti all'imperialismo internazionale godono di poteri e di privilegi sconfinati.
Arricchitosi grazie al commercio, il padre di Mao sognava per il figlio la carriera e un posto sicuro di contabile o amministratore, ma le condizioni di miseria e di oppressione del popolo cinese e lo sviluppo della lotta di classe sospingono il giovane Mao a liberarsi piano piano della sua concezione del mondo originariamente religiosa, idealista poi liberale e anarchica e ad avvicinarsi e ad abbracciare una concezione e una linea via via più progressista e rivoluzionaria.
Nel 1911 si trasferisce a piedi a Changsa dove entra a far parte del movimento democratico locale per la Repubblica, contro l’imperatore e l’imperialismo. Per dimostrare il suo sentimento ostile alla dinastia Manciù, si taglia il codino ed esorta altri studenti a fare altrettanto.
Dal 1912, si iscrive alla Scuola Normale di Changsa, diviene un leader degli studenti, nel 1915 fonda l’Associazione per l’Autogoverno e dirige le manifestazioni degli studenti contro l’imperialismo giapponese e contro i signori della guerra.
Nello stesso periodo comincia a collegarsi con i lavoratori per i quali istituisce dei corsi serali di studio e fonda la Nuova Associazione popolare di studio che avrà una vasta influenza sul destino della Cina. Si occupa anche delle condizioni delle masse femminili e dell’oppressione della donna sottomessa dal sistema feudale di matrimonio e elabora un programma per creare la “federazione di studenti di tutta la Cina”.
Dopo il diploma si trasferisce a Pechino dove lavora come assistente alla biblioteca dell’Università e aderisce alla società di giornalismo e a quella di filosofia.
Partecipa attivamente al movimento democratico del 4 maggio del 1919 e, né i ricatti del padre, che rifiuta di finanziargli ulteriormente gli studi, né la feroce repressione dei rivoluzionari, i quali una volta catturati vengono giustiziati dai signori della guerra e dai grossi proprietari fondiari in combutta con gli imperialisti, riusciranno a fermare la sua adesione al marxismo-leninismo.
Un grande impulso e una svolta per la storia della Cina venne dalla Rivoluzione d'Ottobre. Mao ricorda infatti che: “Nel suo libro L'estremismo, malattia infantile del comunismo, scritto nel 1920, Lenin ha descritto la ricerca di una teoria rivoluzionaria da parte dei russi. Solo dopo parecchie decine di anni di avversità e di sofferenze i russi trovarono il marxismo (...)
I russi fecero la Rivoluzione d'Ottobre e crearono il primo Stato socialista del mondo. Sotto la guida di Lenin e Stalin, l'energia rivoluzionaria del grande proletariato e del grande popolo lavoratore della Russia, fino ad allora latente e non avvertita dagli stranieri, esplose all'improvviso come un vulcano, e i cinesi come tutta l'umanità, videro i russi in una nuova luce. Allora, e solo allora, ebbe inizio un'era completamente nuova nel pensiero e nella vita dei cinesi. Essi scoprirono il marxismo-leninismo, la verità universale applicabile ovunque, e il volto della Cina cominciò a cambiare.
Fu grazie ai russi che i cinesi scoprirono il marxismo. Prima della Rivoluzione d'Ottobre i cinesi ignoravano Lenin e Stalin, ma non conoscevano neppure Marx ed Engels. Le cannonate della Rivoluzione d'Ottobre ci portarono il marxismo-leninismo. La Rivoluzione d'Ottobre aiutò i progressisti cinesi e quelli di tutti i paesi ad adottare la concezione proletaria del mondo come strumento per studiare il destino della propria nazione e per esaminare d'accapo tutti i loro problemi. Seguire la strada dei russi, questa fu la loro conclusione”.
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Pur vivendo in condizioni miserabili Mao utilizzava i suoi pochi averi per l’acquisto di giornali, riviste, libri che poi leggeva avidamente. In un’intervista al giornalista americano Edgar Snow racconterà che “il manifesto del partito comunista di Marx ed Engels fu il primo dei libri marxisti-leninisti che si impressero nella mia mente e costruirono in me la fede nel marxismo dal quale una volta che l'ebbi accettato come corretta interpretazione della storia non mi separai più”.
Mao leggeva di tutto, non solo testi marxisti-leninisti, e in maniera mirata in particolare: filosofia, economia, storia, letteratura, scienza ecc...
Chen Jn, un letterato e storico cinese, il 1° maggio 2014, ha scritto un articolo intitolato “Cominciamo con la vita di letture del compagno Mao Zedong”, in cui tra l'altro riporta la seguente citazione di Mao: “Puoi passare un giorno senza mangiare, puoi passare un giorno senza dormire ma non puoi passare un giorno senza leggere libri”.
L'autore dell'articolo riporta poi questo fatto toccante per dimostrare che Mao fino all'ultimo respiro leggeva i documenti del Partito e dello Stato cinesi. Ecco le sue testuali parole: “Il compagno Mao Zedong morì alle 0:10 del 9 settembre 1976. L'8 settembre mentre era in fase di soccorso, con cateteri per infusione endovenosa inseriti negli arti superiori e inferiori, fili per il monitoraggio dell'ECG installati nel torace e un sondino nasogastrico inserito nel naso il personale teneva con le mani documenti e libri da leggere durante il giorno 11 volte. L'ultima volta che ha guardato i documenti è stato alle 16,37 ed è morto più di 7 ore dopo”.
Il 1° luglio 1921 Mao insieme ad altri 11 compagni fonda a Shanghai il Partito Comunista Cinese che all'epoca contava solo qualche decina di membri. La nascita del Partito Comunista inaugura un’era nuova nella storia della Cina. Dalla guerra dell’oppio del 1840 al movimento del 4 maggio 1919 il popolo cinese immerso in profonde disgrazie aveva condotto senza successo per quasi ottant’anni valorose lotte per resistere all’oppressione dell’imperialismo e del feudalesimo. Fu solo grazie a Mao e solo sotto la sua direzione che nasce e si sviluppa il Partito marxista-leninista che avrebbe portato il popolo cinese al riscatto sociale, alla rivoluzione e al socialismo.
Il primo segretario generale del PCC Chen Duxiu si professava marxista ma nella sostanza era un democratico borghese che non aveva come obbiettivo la rivoluzione socialista. I suoi successori: Li Lisan e Wang Ming invece erano degli opportunisti di sinistra. Mao rimane a lungo in minoranza nella direzione generale del Partito.
La storia del Partito comunista e della rivoluzione cinese dimostrano in maniera inconfutabile che il loro successo o fallimento sono sempre dipesi dalla giusta applicazione della linea marxista-leninista sostenuta, elaborata e sviluppata da Mao. Ogni qualvolta se ne sono distaccati sono andati incontro al fallimento; allorché l’hanno fatta propria ne hanno tratto incredibile giovamento e perfino le sconfitte più pesanti e le condizioni oggettive più sfavorevoli sono state trasformate in grandi vittorie.
Dopo la liquidazione della linea capitolazionista di Chen Duxiu nei confronti dei reazionari del Kuomintang, Mao diresse personalmente nel 1927 l’insurrezione del raccolto di autunno e creò l'Esercito Rosso degli operai e dei contadini e la prima base di appoggio rivoluzionaria rurale nei monti Chingkang.
Nelle sue prime opere politiche e militari enuncia il principio guida marxista-leninista secondo cui “il potere politico nasce dalla canna del fucile”
10 e avverte che la conquista del potere politico in Cina, schiacciata dall'imperialismo e da un barbaro sistema semifeudale, consiste nel “creare basi d’appoggio nelle campagne e accerchiare le città partendo dalle campagne e infine conquistare le città”
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Nell’ottobre 1934 Chiang Kai-shek sferrò un attacco militare contro la base rossa dello Shanxi. Questo nazionalista rappresentante dei grandi proprietari terrieri e della borghesia era sicuro di annientare definitivamente l’Esercito Rosso. Aveva a disposizione circa un milione di uomini e un potenziale bellico enorme dotato di ingenti risorse della guerra meccanizzata e di una moderna aviazione formata da circa 400 aerei. Invece di difendere a oltranza la base rossa dello Shanxi in uno scontro frontale che l’avrebbe sicuramente visto soccombere davanti alle preponderanti forze nemiche, Mao elaborò e dette vita alla Lunga Marcia, il suo più grande capolavoro in campo militare, e per un anno intero riuscì a sfuggire al nemico e a portare in salvo l'Esercito Rosso dopo una marcia di 12.500 km.
Consigliato da uno staff di generali ed esperti militari tedeschi Chiang Kai-shek contava di arrivare con questa quinta campagna di accerchiamento e di sterminio delle basi rivoluzionarie rurali create dagli operai e dai contadini alla soluzione finale. Ma paradossalmente essa giovò ai comunisti, alle forze rivoluzionarie e al successo della linea politica e militare di Mao. Nella storica riunione di Tsunyi, nel Kweichow, nel gennaio del 1935 l’Ufficio politico del Comitato Centrale gli affida la direzione del PCC.
Finché Mao rimase in minoranza nel Partito le forze rivoluzionarie furono distrutte fino al 90% nelle zone rosse e quasi al 100% nelle zone bianche. Mao dimostrò una grandezza pari alla leggendaria impresa di cui fu protagonista. Ecco come lui stesso descrive la Lunga Marcia: “L'Esercito Rosso fu costantemente in movimento e sostenne violenti scontri e combattimenti. L'Esercito Rosso, superando infinite difficoltà, attraversò i più lunghi, profondi e infidi fiumi della Cina, valicò i più alti e impervi passi montani, attraversò praterie deserte e contrade abitate da aborigeni, col freddo più intenso, sotto la più bruciante canicola, con la pioggia, la neve, la tempesta, inseguito dagli eserciti bianchi è costretto ad aprirsi la strada combattendo contro le truppe regolari del Guangdong, dell'Hunan del Guangxi del Quechua dello Yenan del Sinkiang del Shichuan del Wantong dello Schenzù. Nell'ottobre 1935 l'Esercito Rosso raggiunse finalmente lo Shaanxì settentrionale ed ampliò la già esistente base sovietica nel grande Nord Ovest cinese”.
Visibilmente denutrito, con la stessa uniforme con cui era partito, stracciata e sporca, Mao concluse la Lunga Marcia alla testa di 7000 uomini dopo aver valicato 18 catene montuose, alcune delle quali innevate e mai scalate. Paludi dove non si era mai avventurato essere umano; nutrendosi, nei momenti peggiori, di erbe selvatiche, topi, bacche, frumento secco sciolto in acqua calda, pezzi di cuoio bolliti, brodo degli stivali, di mais e grano crudo i cui chicchi non digeriti venivano raccolti dalle feci, lavati e rimangiati dai soldati che passavano successivamente; muovendosi di frequente di notte, bombardato ogni giorno da decine di aerei e attaccato di frequente da terra con qualche centinaia di migliaia di soldati. Ha attraversato 24 fiumi, tra cui lo Yangtze, e 11 province. Ha assalito e occupato 62 città, rotto l'accerchiamento di 10 eserciti dei signori della guerra; combattuto, ingannato e vinto l'esercito di Chiang Kai-shek.
Tutto ciò fu possibile grazie al commovente sacrificio di Mao, dei comunisti e degli indomiti soldati dell’Esercito Rosso che vi giunsero decimati, emaciati, affamati e afflitti da terribili malattie conseguenti alle indicibili privazioni subite.
Secondo alcune stime, il 16 ottobre 1934 erano partiti dallo Shanxi meridionale in ottantasei mila tra uomini e donne; e arrivano nello Shanxi del Nord il 20 ottobre 1935 in poco più di quattro mila. Mao aveva portato con sé, secondo una testimonianza diretta di un compagno di lotta, “una borsa di libri, un ombrello rotto, due coperte, un soprabito malandato e una tela cerata”.
Parlando della Lunga Marcia,
- ricorda Mao - qualcuno potrebbe chiedere: "Quale è il suo significato?". Rispondiamo che la Lunga Marcia è stata una impresa mai vista nella storia, è stata un manifesto, una squadra di propaganda, una seminatrice. Da quando Pan Ku separò il cielo dalla terra, dall'epoca dei Tre Re e dei Cinque Imperatori, ha mai la storia conosciuto una lunga marcia come la nostra? Per dodici mesi, dal cielo decine di aerei ogni giorno effettuavano ricognizioni e ci bombardavano; a terra un esercito forte di qualche centinaio di migliaia di uomini ci accerchiava, ci inseguiva, ci ostacolava nella nostra avanzata, ci intercettava; difficoltà e pericoli a non finire ci intralciavano il cammino. Nonostante ciò abbiamo percorso con le nostre gambe più di ventimila li, abbiamo attraversato in lungo e in largo undici province. Ditemi, si sono mai avute nella storia marce simili? No, mai. La Lunga Marcia è stata un manifesto. Essa ha annunciato al mondo che l'Esercito rosso è un esercito di eroi, che gli imperialisti e i loro servi, Chiang Kai-shek e simili, sono dei buoni a nulla. Ha proclamato il completo fallimento dei tentativi degli imperialisti e di Chiang Kai-shek di accerchiarci, inseguirci, ostacolarci nella nostra avanzata, intercettarci. La Lunga Marcia è stata anche una squadra di propaganda. Essa ha fatto sapere ai duecento milioni di uomini che popolano le undici province attraversate, che solo la via seguita dall'Esercito rosso è la via che porta alla loro liberazione. Senza la Lunga Marcia, come avrebbero potuto le larghe masse popolari sapere così presto che esiste questa grande verità incarnata dall'Esercito rosso? La Lunga Marcia è stata anche una seminatrice. Essa ha gettato in undici province numerosi semi che germoglieranno, e le piante si copriranno di foglie, daranno fiori, frutta e, nel futuro, abbondanti raccolti. In una parola, la Lunga Marcia si è conclusa con la nostra vittoria e la sconfitta del nemico. Chi l'ha portata alla vittoria? Il Partito comunista. Senza il Partito comunista, a una marcia simile non si sarebbe nemmeno potuto pensare.”
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Fu merito innanzitutto della giusta guida del Partito Comunista e in secondo luogo della grande capacità, del coraggio, della decisione, della resistenza quasi sovrumana, dell'ardore rivoluzionario dei quadri di base del popolo cinese. Il Partito Comunista Cinese fu fedele al marxismo-leninismo e continuò la lotta contro ogni tendenza opportunista. Questa è una delle ragioni della sua invincibilità fintantoché fu diretto da Mao e dai marxisti-leninisti.
Grazie a Mao Yenan divenne la culla e insieme lo straordinario laboratorio politico e la creativa fucina ideologica della nuova Cina che sarebbe stata ufficialmente proclamata il 1° Ottobre 1949.
A Yenan Mao scrisse importanti saggi filosofici, politici, militari, ideologici e culturali; tenne conferenze e celebrò sessioni di partito fra cui quell’importante VII° Congresso nazionale dove con orgoglio avvertiva: “Il centro di gravità della Cina luminosa la nuova Cina del popolo che si è liberato è qui dove ci troviamo in questo momento e in nessun altro posto”.
Non di rado lo si incontrava come un pesce nell’acqua tra i contadini, i soldati e le masse popolari. Conversava e camminava insieme a loro. Imparava insegnando, sempre attento a condividerne affanni e stile di vita. E mentre educava il Partito e le masse secondo la concezione del mondo marxista-leninista, sperimentava e adattava alle condizioni peculiari cinesi la via rivoluzionaria per la conquista del potere politico.
La rivoluzione di nuova democrazia da lui elaborata è una rivoluzione diretta contro l'imperialismo il feudalesimo e il capitalismo burocratico e si propone l'instaurazione della dittatura democratica congiunta delle varie classi rivoluzionarie. É la preparazione necessaria alla rivoluzione socialista; e la rivoluzione socialista è lo sbocco logico della rivoluzione di nuova democrazia.
“Le tre armi principali con le quali si può prendere il potere e consolidarlo
- avverte Mao - sono un Partito comunista edificato secondo la teoria rivoluzionaria e lo stile rivoluzionario marxisti-leninisti, un esercito diretto da tale Partito e un fronte unito di tutte le classi rivoluzionarie e di tutti i gruppi rivoluzionari posti sotto la direzione di tale Partito”.
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A Yenan furono anni intensissimi e tanto fecondi da riuscire nel miracolo di “trasformare i deserti in campi di gelso”
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come recita uno splendido verso di una sua poesia. Vi accorsero e ne rimasero impressionati numerosi inviati e giornalisti stranieri tra i quali il giornalista americano Edgar Snow cui Mao concesse una lunga e storica intervista poi pubblicata nel libro “Stella Rossa sulla Cina”.
Nel 1937 Mao chiamò il popolo alla guerra di resistenza contro il Giappone. Gli aggressori imperialisti giapponesi distruggevano, razziavano e incendiavano dappertutto e si macchiavano dei delitti più efferati. A Yenan Mao elaborò e diresse un grandioso movimento di rettifica. Un movimento generale per l’educazione marxista-leninista di tutto il Partito che imparò molto studiando le opere di Marx, Engels, Lenin, Stalin e dello stesso Mao. Applicando il materialismo dialettico e il materialismo storico Mao denunciò l’essenza controrivoluzionaria delle varie linee opportuniste tracciando in ogni campo un netta linea di demarcazione tra la linea giusta e la linea sbagliata, tra l’ideologia proletaria e l’ideologia non proletaria, tra la linea rivoluzionaria e la linea revisionista, opportunista e borghese. Attraverso la critica e l’autocritica i quadri del Partito poterono realizzare una nuova e più elevata unità all'interno del Partito e tra il Partito e le masse popolari esaltando il principio ripetutamente ricordato da Mao “dalle masse alle masse”
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L'adesione entusiastica dei contadini alla lotta armata procedeva di pari passo con la distribuzione delle terre, mentre le masse avevano modo nelle zone rosse di conoscere un autogoverno popolare. Tutto ciò fu reso possibile grazie alla salvaguardia della sua giusta politica del fronte unito.
Nel rapporto e nelle conclusioni presentate alla sesta Sessione plenaria del VI Comitato centrale del Partito convocata nell'ottobre 1938, Mao trattò la questione del ruolo del Partito Comunista Cinese nella guerra nazionale, confutò la linea opportunista di Wang Ming, e formulò la linea e le misure politiche che il Partito doveva applicare per dirigere in modo indipendente ed autonomo la lotta armata. La Sessione plenaria approvò il rapporto e le conclusioni di Mao. Più tardi, nei suoi scritti, e soprattutto in quello intitolato “Sulla politica di fronte unito”, Mao insegnò a tutto il Partito che la politica del fronte unito "non è né una politica di unione ad oltranza senza lotta, né di lotta ad oltranza senza unione, ma una politica che integra unione e lotta" .
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Una verità inconfutabile che Mao ha sintetizzato al culmine della lotta all'interno del Partito contro i capitolazionisti di destra, veri e propri agenti del nemico, che col pretesto del fronte unito nazionale antigiapponese negavano il principio di indipendenza e di autonomia del Partito comunista, lo subordinavano al Kuomintang, rinunciavano alla lotta contro la politica reazionaria di Chiang Kai-shek, rinunciavano a sviluppare l’Esercito rosso e a estendere le basi d’appoggio antigiapponesi nelle zone occupate dagli invasori.
A Yenan Mao gettò le fondamenta della vittoria finale e radicò il Partito in profondità tra le masse popolari. Ne conquistò consenso e fiducia e poté contare sul loro pieno apporto e la loro partecipazione diretta alla lotta armata.
Dopo la vittoria della guerra antigiapponese Mao si recò di persona a Chongqing nell’agosto 1945 per negoziare col Kuomintang l’avvio della politica di pace e di ricostruzione nazionale. In polemica con Liu Shaoqi che agiva come un Togliatti cinese Mao notava acutamente come: “Chiang Kai-shek cerca sempre di strappare al popolo la minima parte di potere il minimo vantaggio conquistati. La nostra politica consiste nel rispondergli colpo su colpo e nel batterci per ogni pollice di terra. Le armi del popolo, si trattasse solo di un fucile o di una cartuccia, bisogna conservarle tutte, non consegnarle. Come rispondere colpo su colpo dipende dalla situazione”.
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Non appena Chiang Kai-shek scatenò nel luglio 1946 la guerra civile anticomunista, Mao era pronto a lanciare l’appello: “Abbattere Chiang Kai-shek e liberare tutta la Cina”.
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E davanti a coloro che in buona o cattiva fede erano atterriti all’idea di combattere non solo contro il Kuomintang ma di dover fronteggiare l’imperialismo americano con la sua onnipotenza bellica e il terrificante monopolio nucleare, Mao, che aveva sempre guardato alla realtà disprezzando il nemico dal punto di vista strategico ma al tempo stesso considerandolo assai seriamente dal punto di vista tattico, formulò la celebre tesi: “Tutti i reazionari sono tigri di carta. In apparenza essi sono terribili, ma in realtà non sono poi così potenti. Guardando le cose in prospettiva, non i reazionari, ma il popolo è veramente potente”.
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Nel dicembre 1947 Mao annunciava che: “La guerra rivoluzionaria del popolo cinese è giunta ora a una svolta, l'Esercito popolare di liberazione cinese ha respinto l'offensiva di milioni di soldati delle truppe reazionarie di Chiang Kai-shek lacché degli Stati Uniti d’America ed è passato all’offensiva”.
Via via che l’Esercito Rosso avanzava e liberava nuovi territori i contadini bruciavano gli iniqui contratti che li legavano ai proprietari terrieri e venivano conquistati dalla riforma agraria. L'Esercito Rosso è tutt’uno col popolo e ne condivide le sorti. Mao preparò minuziosamente quest'ultima fase della lotta armata e diresse personalmente le campagne militari che preparavano la vittoria finale. L'offensiva divenne un fiume inarrestabile. Una dopo l'altra vennero liberate Pechino, Nanchino e Shanghai.
Le truppe rivoluzionarie e l'Esercito Rosso vengono accolte dal tripudio popolare e festeggiate dalle masse. Mao chiama i comunisti e il popolo cinesi a condurre la rivoluzione fino in fondo e celebra la vittoria con questi splendidi versi:
“La tigre è piegata, il drago si contorce, sconfitta, rivolta in cielo, sulla terra rivoluzione, grande, generosa, avanti, coraggio, all'inseguimento del nemico stanco
”.
Il 1° Ottobre 1949 davanti a 300.000 persone convenute nella Piazza Tienanmen Mao proclama solennemente la Repubblica popolare cinese e annuncia al mondo intero che: “Il popolo cinese, che è un quarto dell'umanità, si è alzato in piedi”.
La Fondazione della nuova Cina segna il compimento della rivoluzione di nuova democrazia e l’inizio della rivoluzione socialista.
Alla seconda Sessione plenaria del Comitato Centrale del VII Congresso del Partito tenutasi alla vigilia della vittoria su scala nazionale, Mao già parla pensando al futuro e in modo esplicito avverte che dopo la liberazione del Paese il nocciolo della questione diventa: prendere la via socialista o la via capitalista? Esercitare la dittatura del proletariato o la dittatura della borghesia? E davanti alle forti resistenze che gli vengono dall’esterno ma soprattutto dall’interno del Partito dai revisionisti come Peng Duhai, Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, Mao ripeterà con forza nel 1952 che: “La contraddizione tra la classe operaia e la borghesia nazionale è diventata la contraddizione principale in Cina”
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La vecchia classe dominante, i proprietari terrieri e gli sfruttatori finalmente sono chiamati a rispondere dei loro crimini ai danni del popolo. Gli oppressi di ieri si emancipano, la classe operaia, i contadini poveri e le masse popolari sono diventate padroni dello Stato e della società. Ora, si tratta di rovesciare definitivamente la borghesia e tutte le altre classi sfruttatrici, di sostituire la dittatura del proletariato alla dittatura della borghesia e di assicurare il trionfo del socialismo sul capitalismo.
Mao chiama le masse a una mobilitazione senza riserve e le incita a prendere il destino della Cina nelle loro mani. Questa nuova lunga marcia prosegue nei primi anni '50 col movimento per la riforma agraria, col movimento per la repressione della controrivoluzione e col movimento di resistenza all’aggressione degli Stati Uniti e di aiuto alla Corea.
Viaggiando attraverso il paese per conoscerne in tempo reale i problemi e per ascoltare da vicino le esigenze delle masse, Mao traccia la linea generale per il periodo di transizione affinché gradualmente la proprietà socialista diventi l’unica base economica della Cina. Condanna i revisionisti come Liu Shaoqi, i quali col pretesto che bisognava prima meccanizzare frenavano la collettivizzazione socialista.
Le comuni popolari conobbero un successo straordinario tra le masse perché rispondevano alle loro esigenze, aspettative economiche ma anche sociali e familiari riuscendo peraltro a socializzare il lavoro domestico.
Dunque non c'è da stupirsi che all’interno del Partito in frangenti cruciali come questi escono allo scoperto i rinnegati e gli opportunisti. É sempre così, come ha giustamente rilevato il compagno Giovanni Scuderi alla Commemorazione di Mao del 9 Settembre 1981: “Quando i comunisti cominciano a pestare sul serio i calli della borghesia ecco che gli strilli dei loro servi arrivano al cielo nel tentativo di proteggere i loro padroni”.
Nel giro di pochi mesi, un’alta marea rossa del movimento socialista di massa nelle campagne porterà alla vittoria le comuni popolari in tutto il paese e culminerà nel grande balzo in avanti che i revisionisti come la banda di Deng Xiaoping saboterà e avverserà in ogni modo mentre la borghesia e l'imperialismo internazionali cercheranno di osteggiare e ridicolizzare perché sono consapevoli che quel grande balzo in avanti segna un punto di non ritorno. Il punto di rottura definitiva e irreversibile tra il sistema di produzione capitalistico e il sistema di produzione socialista.
Nel 1957 l’attacco frenetico dei destri borghesi diventò una componente di quella ribellione anticomunista scatenata dall’imperialismo mondiale in diversi paesi socialisti approfittando della morte di Stalin. In Europa tale ribellione è cominciata coi moti reazionari in Polonia e nella Germania est nel '53 e poi con la controrivoluzione ungherese nel '56. Attacchi reazionari ispirati direttamente dal colpo di Stato controrivoluzionario attraverso il quale krusciov e i rinnegati revisionisti sovietici con la cosiddetta destalinizzazione al XX°Congresso del Pcus espugnarono dall’interno quella fortezza sovietica che vivi Lenin e Stalin aveva saputo fronteggiare i furiosi attacchi esterni della controrivoluzione internazionale e annientare il mostro nazifascista.
Col coraggio e l’iniziativa tipici degli autentici capi proletari e rivoluzionari, non temendo il ricatto economico e l’isolamento mondiale, Mao bollò immediatamente il colpo di Stato di Krusciov nel 1956, mise a nudo le ragioni vere e profonde di tale sciagura abbattutasi sull'Urss e con la sua proverbiale lungimiranza riuscì a prevedere nello stesso 1956 quanto sarebbe accaduto oltre trent’anni dopo con l’avvento di Gorbaciov e la caduta del muro di Berlino.
Queste le sue parole: “Vorrei dire qualcosa sul XX Congresso del Partito comunista dell’Unione sovietica. Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l'altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L'hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l'Unione sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti comunisti di diversi paesi europei criticano anche loro l'Unione sovietica. Il loro leader è Togliatti. Anche l'imperialismo ha raccolto questa spada per lanciarsi all'attacco, Dulles l'ha presa e se n'è servito per qualche manovra. Questa spada non è stata data in prestito, bensì gettata via. Noi in Cina non l'abbiamo gettata via. Noi in primo luogo abbiamo difeso Stalin e in secondo luogo abbiamo criticato i suoi errori abbiamo scritto l’articolo sull’esperienza storica della dittatura del proletariato. Non abbiamo fatto come certuni che hanno screditato e distrutto Stalin. Abbiamo agito in base alla situazione reale. Si può dire che alcuni dirigenti sovietici hanno in qualche misura gettato via anche quella spada che è Lenin? Secondo me l'hanno fatto in misura notevole. La Rivoluzione d'Ottobre è ancora valida? Può costituire o no un modello per tutti i paesi? Nel rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione sovietica si dice che si può conquistare il potere seguendo la via parlamentare, ossia che i vari paesi possono fare a meno di prendere l'esempio della Rivoluzione d'Ottobre. Una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo".
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Del resto, già molti anni prima davanti agli sporchi tentativi dell’imperialismo e del trotskismo internazionali di contrapporre Mao e Stalin aveva avvertito: “Stalin è l’amico sincero della causa della liberazione del popolo cinese. L’amore e il rispetto del popolo cinese verso Stalin i suoi sentimenti d’amicizia verso l’unione sovietica sono profondamente sinceri. Nessun tentativo per seminare la discordia nessuna menzogna nessuna calunnia potranno mai alterarli”.
20 Con questo spirito si era recato in Urss nel dicembre del 1949 per incontrare Stalin e per partecipare ai festeggiamenti del suo settantesimo compleanno dove in un discorso affermò che: “Stalin è il Maestro e l’amico del genere umano e del popolo cinese”.
Nel corso della sua vita Mao ha combattuto e vinto all'interno del PCC ben undici lotte tra la linea marxista-leninista proletaria rivoluzionaria e la linea revisionista di destra o di “sinistra”, borghese e controrivoluzionaria.
Sotto la sua guida il PCC ha trionfato sulla linea opportunista di destra di Chen Duxiu, sulle linee opportuniste di “sinistra” di Chu Chiu-pai e Li Lisan, sulla linea opportunista di Wang Ming, prima di “sinistra” e poi di destra, sulla linea di Chang Kuo-tao che mirava a dividere l'Esercito Rosso, ha sconfitto l'alleanza antipartito opportunista di destra di Peng Teh-huai, Kao Kang, Jao Shu-shih e altri.
Fin dalla sua comparsa all'VIII Congresso del PCC che si tenne a Pechino fra il 15 e il 27 settembre 1956, e ancora di più al IX Congresso che si svolse sempre a Pechino fra il 1º e il 24 aprile 1969, Mao ha smascherato e battuto le cricche revisioniste di destra e controrivoluzionarie di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, che si opponevano alla trasformazione della rivoluzione democratica in rivoluzione socialista negando che nel socialismo la contraddizione principale continua a essere quella tra proletariato e borghesia e ritenendo che il compito principale fosse quello di sviluppare la produzione e non quello di lottare contro la borghesia da cui prese vita la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. E successivamente contro la cricche revisioniste di Lin Biao e Chen Boda, della banda dei quattro, e infine di nuovo contro la cricca di Deng.
Negli anni fra il 1962 e il 1966 Mao chiama alla lotta tutto il popolo cinese e lo esorta a resistere al revisionismo moderno e a portare fino in fondo la rivoluzione socialista. Prepara il proletariato e le masse allo scontro di classe rendendole protagoniste delle lotte politiche e ideologiche contro la borghesia attraverso una larga e libera espressione di opinioni sotto forma di dazebao (manifesti murali a grandi caratteri) e di grandi dibattiti. Innumerevoli sono le sue opere teoriche, interventi e direttive di Partito, editoriali, risoluzioni di Sessioni del Comitato Centrale e le fulminanti critiche contro i più alti dirigenti del PCC che egli bolla sprezzantemente come i rappresentanti della borghesia infiltrati nel Partito nel governo nell'Esercito e nei diversi ambienti culturali definendoli un'accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari.
Tutto ciò non era però sufficiente per risolvere il problema alla radice e Mao lo dice molto chiaramente chiedendosi: “Negli anni scorsi la lotta interna al nostro Partito non è stata pubblica. Nel gennaio del 1962 ad esempio, convocammo una conferenza di quadri dal livello di segretario di comitato di distretto in su, alla quale parteciparono 7000 persone. In tale sede io dissi una cosa: dissi che il revisionismo ci avrebbe rovesciati; che, se non avessimo lottato, nel giro di qualche decina d’anni, la Cina avrebbe potuto cambiare colore. Questo discorso non è stato pubblicato, anche se è stato distribuito a livello interno. Andrà rivisto ancora, per apportarvi eventualmente qualche modifica. Perché affermiamo che, negli anni fra il 1962 e il 1966, non abbiamo svolto bene numerosi compiti? Non si tratta di parole cerimoniose, ma di discorsi concreti. Il fatto è che in passato abbiamo affrontato soltanto problemi specifici e individui particolari. Abbiamo anche condotto una certa lotta di tipo culturale nelle campagne e nelle fabbriche ossia il movimento di educazione socialista. Questo lo sapete anche voi. Tuttavia non siamo stati in grado di risolvere nessuno dei problemi affrontati: non abbiamo trovato una forma e un metodo per smascherare pubblicamente, completamente e dal basso verso l'alto, il nostro lato oscuro”.
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Si arriva così al 1966 quando Mao dirige personalmente il comitato centrale nell’adottare la circolare del 16 maggio e la decisione in 16 punti dell’8 agosto con cui viene avviata la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.
Il suo dazebao pubblicato dalla stampa rende chiaro a tutti fin dal titolo “Fuoco sul quartier generale”
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contro chi è rivolta questa seconda rivoluzione in corso in Cina.
Egli si era già accorto che: “Ci sono dei compagni che fanno la rivoluzione socialista e ancora non sanno dov'è la borghesia. É proprio nel Partito comunista. Sono gli elementi al potere in seno al Partito avviatisi lungo la via capitalista. Gli elementi al potere in seno al Partito che hanno preso la via capitalista continuano a seguire questa via. La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria è in fondo una grande rivoluzione politica che il proletariato conduce nelle condizioni del socialismo contro la borghesia e tutte le altre classi sfruttatrici, la continuazione della lunga lotta che oppone il Partito comunista cinese e le larghe masse popolari rivoluzionarie che esso dirige alla reazione del Kuomintang, la continuazione della lotta di classe tra il proletariato e la borghesia”.
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Mao chiama le masse alla mobilitazione su larga scala e affida a loro e non solo al Partito e allo Stato il compito di difendere il socialismo dagli assalti della borghesia spodestata e della nuova borghesia che si crea nel socialismo.
Chiama i giovani a “Ribellarsi contro i reazionari”
24 e gli rispondono milioni di studenti che danno vita entusiasticamente al movimento delle Guardie rosse. La Cina chiamata in passato con disprezzo dagli occidentali il malato dell’Asia orientale certificato da secoli diventa teatro di un rivolgimento mai accaduto prima nella storia. Di un rivolgimento che ha lo scopo di schiacciare il revisionismo, riprendere quella parte del potere usurpata dai rappresentanti della borghesia infiltratisi nel Partito e nello Stato, consolidare e sviluppare la base economica, esercitare la dittatura totale del proletariato nella sovrastruttura, nella politica, nella ideologia, nella cultura, nell’insegnamento, nell’arte e nelle istituzioni statali. Esorta il proletariato e le masse a trasformare il mondo e se stessi e chiarisce che “La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria è una grande rivoluzione che tocca l'uomo in quanto ha di più profondo e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo”
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Dando per primo l'esempio, Mao chiama tutti i dirigenti comunisti statali a partecipare al lavoro produttivo. Gli intellettuali e gli studenti vanno a lavorare manualmente nelle campagne, si istituiscono gruppi di giovani medici, chiamati medici scalzi, che svolgono la loro opera nei villaggi più lontani; compagnie di artisti e di attori rivoluzionari vanno a fare teatro tra il popolo, squadre operaie di propaganda operano stabilmente nelle scuole e nelle università.
La trasformazione del sistema risponde all'esigenza di risolvere gradualmente le contraddizioni tra industria e agricoltura tra città e campagna tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Se le giovani Guardie rosse, ragazze e ragazzi seguaci di Mao, sono i pionieri della più importante forza d’urto nella Rivoluzione Culturale Proletaria, la classe operaia ne è la classe dirigente, la classe rivoluzionaria per eccellenza in virtù della sua stessa collocazione nel sistema di produzione. La classe a cui la storia ha conferito il compito di emancipare se stessa emancipando l'intera umanità.
Mao era sicuro che niente è impossibile a una classe operaia ben preparata teoricamente, culturalmente e politicamente.
La classe operaia deve dirigere tutto: “Gli operai che sono principalmente impegnati nell'industria devono studiare nello stesso tempo materie militari, politica e cultura; composto da sempre, in prevalenza da operai e contadini, l’Esercito Popolare di liberazione deve essere una grande scuola. In questa scuola si deve studiare politica, materie militari e culturali. Ci si può occupare di produzione agricola e sussidiaria e anche gestire fabbriche piccole e medie per produrre alcune cose di cui ha bisogno e altre da vendere allo Stato per un valore equivalente. Questa grande scuola può anche occuparsi del lavoro di massa, partecipare al movimento socialista nelle fabbriche e nelle campagne. L’esercito deve inoltre prendere parte in ogni momento alle lotte della Rivoluzione Culturale per criticare la borghesia. In questa maniera l'esercito può impegnarsi al tempo stesso nello studio, nell'agricoltura, nell'industria e nel lavoro di massa”.
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E quando in piena Rivoluzione Culturale Proletaria la borghesia e la banda revisionista di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping insinuarono il sospetto che egli fosse malato e che altri nell’ombra muovessero i fili degli avvenimenti e fomentassero i disordini, Mao all'età di 63 anni, fece una lunga nuotata nel fiume Yangtze. Lo attraversò per due volte dimostrando a tutti il suo pieno vigore fisico e zittì i suoi detrattori con questi brillanti versi: “Non mi importa delle raffiche del vento e dei colpi dell'onda, ciò è molto meglio che passeggiare ozioso in un giardino”
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Negli ultimi sei anni della sua vita, Mao ha lottato contro le cricche revisioniste di Deng Xiaoping, di Lin Biao e di Jiang Qing, le quali agivano per usurpare il potere politico nello Stato cinese e nel Partito. In un colloquio del dicembre 1974 con Zhou Enlai e Wang Hongwen, Mao ha definito la cricca di Jiang Qing la banda dei quattro e, rivolgendosi a Wang Hongwen, lo ammonì con queste parole: “Non formate una banda di quattro persone. Il Comitato Centrale ha così tanti membri, perché non vi unite? Non formate una setta, o finirete col crollare... Jiang Qing è ambiziosa. Si può discutere se sia ambiziosa o meno, ma per me lo è... Sto lavorando nei confronti della compagna Jiang Qing e le ho consigliato tre cose da non fare: non annotare documenti, non ricercare la fama, non partecipare al governo.
In precedenza, il 18 febbraio dello stesso anno, Jiang Qing, in una lettera a Mao si era autocriticata: “Ho fatto delle sciocchezze. Perdonami, Presidente... D'ora in poi sarò diligente nello studio e supererò la metafisica e l'unilateralismo”.
Solo parole. Perché Qing continuò a tramare per il potere assieme alla sua banda.
Lin Biao, già designato successore di Mao al IX Congresso del PCC, agiva in combutta con Chen Boda, membro del Comitato permanente dell'Ufficio Politico del PCC, per ottenere la carica di Presidente della Repubblica, nascondendo questo suo obbiettivo dietro la campagna perché Mao, accettasse tale carica. Mao era contrario a ricostituire la carica di Presidente della Repubblica, e in ogni caso aveva dichiarato più volte che non era disponibile a ricoprirla di nuovo. Nel luglio 1970, durante la riunione plenaria della Commissione centrale per la revisione della Costitutzione Mao dichiarò: “La ricostituzione del Presidente della Repubblica è una forma. Non bisogna creare cariche solo perché lo vuole qualcuno”.
Alla II Sessione plenaria del IX Comitato Centrale del PCC, tenutasi a Lushan nell'agosto del 1970, Lin Biao pronunciò a sorpresa un lungo discorso per sostenere la necessità di riaffermare la posizione dirigente di Mao nella nuova Costituzione, ribadendo: “Noi affermiamo che il Presidente Mao è un genio e io sostengo questa idea”. Subito dopo un suo sostenitore disse: “Se il Presidente Mao non vorrà fare il Presidente della Repubblica, allora inviteremo il vicepresidente Lin a occupare tale carica”.
Chen Boda, daccordo con Lin Biao, compilò una lista di citazioni di Engels, Lenin, Mao e di Lin Biao sul genio, che fu fatta circolare tra i sostenitori di Lin Biao. Mao parlò in via separata con Lin Biao, Zhou Enlai, Chen Boda e Kang Sheng e poi convocò il Comitato permanente dell'Ufficio politico del CC con i responsabili dei gruppi di lavoro della Sessione.
Lavorando dalle dodici alle tredici ore al giorno, Mao riuscì a far rientrare la contraddizione e avvertì: “Non deve essere nuovamente sollevata la questione della presidenza della Repubblica. Chi continua a volere un Presidente della Repubblica, si faccia eleggere. Io, comunque non ho intenzione di tornare Presidente”.
Poi, rivolgendosi direttamente a Lin Biao aggiunse: “E consiglio anche a te a non fare il Presidente della Repubblica”.
Dopo alcuni giorni di indagini e riflessioni, Mao scrisse il 3 agosto 1970 una lunga annotazione critica sulla raccolta di citazioni sul genio compilata da Chen Boda, intitolandola “Il mio punto di vista”. Ecco il testo: “Questo materiale
(cioè la raccolta di citazioni di Engels, Lenin e del Presidente Mao sul genio ndr) è stato preparato dal compagno Chen Boda e ha tratto in inganno numerosi compagni. Primo, non contiene nessuna citazione di Marx. Secondo, ha recuperato appena una frase di Engels, e per di più '
Il 18 Brumaio di Napoleone Buonaparte', non è l’opera più importante di Marx. Terzo, contiene 5 citazioni di Lenin. La quinta dice che c’è bisogno di capi abili, provati, professionalmente preparati e istruiti da una lunga esperienza, che siano perfettamente in sintonia fra loro. Questi sono i quattro requisiti ivi indicati. Non voglio parlare di altre persone, ma fra i membri del Comitato Centrale, non ve ne sono molti che corrispondono a questi requisiti. Ora, prendiamo ad esempio il rapporto fra me e questo genio teorico che è Chen Boda: lavoriamo insieme da oltre trent’anni, ma su alcune questioni di grande importanza non ci siamo mai trovati minimamente in sintonia, figurarsi in perfetta sintonia... stavolta possiamo dire che la sua sintonia sia eccellente: ha lanciato un attacco a sorpresa, ha soffiato sul fuoco ed ha adottato un atteggiamento tale che sembrava volesse far esplodere Lushan e impedire alla terra di ruotare, desideroso com’era di far regnare la confusione. Queste mie parole vogliono solamente descrivere il buon cuore del nostro genio teorico (non ho assolutamente idea di come sia il suo cuore, ma probabilmente è un cuore onesto, non credo proprio si tratti di un cuore ambizioso). Però io non credo proprio che sia possibile gettare il mondo del proletariato nella confusione, da fare esplodere Lushan e impedire alla terra di ruotare... per quanto riguarda le mie citazioni, sono convinto che non gli siano di grande aiuto. Quanto ho inteso dire è che è soprattutto grazie alla pratica sociale degli uomini e non grazie al genio degli uomini che il mondo fa progressi. Ne ho riflettuto con il compagno Lin Piao ed entrambi abbiamo convenuto su questa questione oggetto di interminabile contesa fra gli storici e gli storici della filosofia, cioé la questione se la storia sia fatta dagli eroi o dagli schiavi, se la conoscenza degli uomini (e anche il talento appartiene alla categoria della conoscenza) sia innata o acquisita, se sia corretta la teoria idealista dell'apriorismo o la teoria materialista del riflesso, su questa questione insomma noi non possiamo che collocarci sulle posizioni del marxismo-leninismo e quindi non possiamo assolutamente mescolarci alle chiacchiere e sofisticherie di Chen Boda. Allo stesso tempo riteniamo entrambi che debbano proseguire i nostri studi su questa questione, che riguarda la teoria marxista della conoscenza. Non dobbiamo assolutamente credere che non ci sia più nulla da studiare in merito. Spero che i compagni si associno a noi nell’assumere questo atteggiamento, si uniscano conquistino vittorie ancora più grandi e non cadono nelle trappole di chi si spaccia per conoscitore del marxismo ma all’atto pratico fondamentalmente non ne sa nulla”.
Il 15 marzo 1971, Mao esaminò e corresse il testo dell'articolo congiunto delle redazioni del “Quotidiano del popolo”, di “Bandiera Rossa” e del “Giornale dell'Esercito di Liberazione” intitolato “Viva la vittoria della dittatura del proletariato”, aggiungendovi una annotazione: “Il nostro Partito da molti anni non studia Marx e Lenin e non dà risalto al marxismo-leninismo, al punto che ha permesso a certi imbroglioni di portare avanti i loro inganni per tanto tempo. Addirittura molti non sanno nemmeno cosa siano il materialismo e l’idealismo. A Lushan ciò è sfociato nel ridicolo. Questa educazione è di primaria importanza e in questi anni dovremmo concentrarci in particolare nella diffusione di Marx e Lenin”.
Lin Biao aveva già capito che non c'era più spazio per le sue manovre di potere, e così assieme a Chen Boda, al figlio Lin Liguo, vicedirettore dell'Ufficio del Comando dell'Aeronautica Militare, alla moglie Je Qun, membro dell'Ufficio politico del PCC,
con l'appoggio di Huang Yongsheng, presidente del Gruppo amministrativo della Commissione militare e capo di Stato maggiore dell'Esercito di Liberazione, e Wu Faxian, 2° Comandante dell'Aeronautica Militare, organizzò un golpe di Stato militare denominato “Schema del progetto 571”.
Avevano programmato di bombardare dal cielo il treno speciale di Mao in cui egli si trovava. Mao, insospettito dalle manovre dei golpisti, sospese il suo giro di ispezione nelle province, cambiò programma e rientrò immediatamente a Pechino riuscendo così a sventare l'attentato.
Vistosi perso Lin Biao, assieme alla moglie, al figlio e a Lin Oufeng, il 13 settembre 1971 fuggì a bordo di un Trident dell'Aeronautica militare diretto verso l'URSS socialimperialista. L'aereo, impossibilitato a fare scalo per il rifornimento, rimase senza carburante e finì per schiantarsi nei pressi di Undur khan in Mongolia. Tutti i passeggeri morirono.
Mao ha scritto numerose opere. Le principali sono state pubblicate in più lingue estere dalla Casa editrice in lingue estere di Pechino in quattro volumi quando Mao era vivo. Subito dopo la sua scomparsa è stato pubblicato un altro volume che raccoglie i suoi principali scritti e discorsi fino al 1957. Tutti coloro che vogliono cambiare l'Italia dovrebbero leggere e studiare le opere di Mao. I militanti e i simpatizzanti del PMLI non possono farne a meno. Nel prezioso saggio intitolato “Mao è un grande Maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli e oppressi” scritto il 22 giugno 1993 il compagno Giovanni Scuderi ha indicato le principali opere di Mao in campo teorico, filosofico, economico, politico, militare e letterario.
Ecco quanto ha scritto:
“Le opere filosofiche di Mao rese finora pubbliche sono: Sulla pratica (luglio 1937), Sulla contraddizione (agosto 1937), Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo (27 febbraio 1957), Da dove provengono le idee giuste? (maggio 1963).
Le prime due opere sono state scritte nel periodo della prima guerra civile rivoluzionaria per combattere il dogmatismo e l’empirismo esistenti allora nel Partito comunista cinese. Le altre due sono state scritte nel periodo della costruzione del socialismo in Cina per combattere il revisionismo di destra che prendeva campo nel Partito sotto la spinta di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping.
Altri brani fondamentali riguardanti la concezione proletaria del mondo si trovano nelle seguenti opere: Sulla nuova democrazia (gennaio 1940), Riformiamo il nostro studio (maggio 1941), Discorsi alla Conferenza di Yenan sulla letteratura e l’arte (maggio 1942), Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito comunista cinese (12 marzo 1957).
Importanti sono anche gli 'scritti più letti' durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria: In memoria di Norman Bethune (21 dicembre 1949), Al servizio del popolo (8 settembre 1944), Come Yu Kung rimosse le montagne (11 giugno 1945) nei quali viene tracciata l’immagine ideale del marxista-leninista e della persona nuova socialista.
Nel complesso delle opere su menzionate si ritrovano in sintesi e in forma chiara tutte le grandi scoperte sul materialismo dialettico e storico di Marx, Engels, Lenin e Stalin, arricchite dagli apporti inediti di Mao
”.
Circa la dialettica e le contraddizioni, è importante il brano ripreso dall’opera “Sulla contraddizione” in cui fra l'altro Mao spiega che: “La legge della contraddizione inerente alle cose, cioè la legge dell’unità degli opposti, è la legge fondamentale della natura e della società, e quindi anche del pensiero. Essa è in opposizione con la concezione metafisica del mondo. La sua scoperta ha costituito una grande rivoluzione nella storia della coscienza umana.
Secondo il materialismo dialettico, la contraddizione esiste in tutti i processi che si verificano nelle cose oggettive e nel pensiero soggettivo, essa penetra tutti i processi dal principio alla fine: in questo consiste il carattere universale e assoluto della contraddizione. Ogni contraddizione e ciascuno dei suoi aspetti hanno le loro proprie caratteristiche: in questo consiste il carattere particolare e relativo delle contraddizioni. Agli opposti è inerente in determinate condizioni l’identità che rende possibile la loro coesistenza in una singola entità, e inoltre la loro trasformazione nei rispettivi opposti: anche in questo consiste il carattere particolare e relativo della contraddizione. Ma la lotta degli opposti è ininterrotta; essa continua tanto durante la coesistenza degli opposti quanto durante la loro reciproca trasformazione, momento in cui questa lotta si manifesta con una evidenza particolare: in questo consiste ancora il carattere universale e assoluto della contraddizione. Quando studiamo il carattere particolare e relativo della contraddizione dobbiamo tener presente la differenza fra la contraddizione principale e quelle secondarie, fra l’aspetto principale e quello secondario della contraddizione e la lotta degli opposti, dobbiamo tener presente le differenze fra le varie forme di lotta; altrimenti gli errori sono inevitabili”.
La morte di Mao suscita grande commozione e rimpianto in Cina e in tutto il mondo. Le onoranze funebri più grandiose, solenni e commoventi che la storia ricordi si concludono il 18 settembre con un’imponente raduno di massa di oltre un milione di persone in piazza Tienanmen.
Anche L'OCBI m-l, l'Organizzazione che poi dette vita al PMLI, ha l’onore di avere esposto le corone offerte rispettivamente dalla direzione centrale e dal Segretario generale dell’Organizzazione compagno Giovanni Scuderi.
La solenne cerimonia di Pechino e le successive commemorazioni periferiche furono seguite attraverso la radio e la televisione dal popolo di ogni nazionalità della Cina raccolto in imponenti raduni di massa di milioni di persone nelle miniere, nelle fabbriche, comuni, scuole, uffici e caserme dove gli operai, gli impiegati e i soldati avevano interrotto ogni forma di attività in segno di lutto.
A noi piace ricordarlo circondato da giovanissime e giovanissimi lavoratori e studenti ai quali più volte si è rivolto con queste parole “Il mondo è vostro come nostro ma in ultima analisi è vostro. Voi, giovani pieni di vigore e vitalità, siete nel fiore della vita, come il sole alle 8 o alle 9 del mattino. Le nostre speranze sono riposte in voi”.
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Ci piace ricordare la sua incrollabile fiducia nel futuro della classe operaia e del socialismo che trasmetteva in ogni sua opera come ad esempio l'antica favola cinese intitolata “Come Yu Kung rimosse le montagne” dove racconta di “Un vecchio che viveva tanto tanto tempo fa nella Cina settentrionale ed era conosciuto come il vecchio sciocco delle montagne del Nord. La sua casa guardava a Sud e davanti alla porta due grandi montagne Tayang e Wang Wu gli sbarravano la strada. Yu Kung decise di spianare con l'aiuto dei figli le due montagne a colpi di zappa. Un altro vecchio, conosciuto come il vecchio savio, quando li vide all’opera scoppiò in una risata e disse: che sciocchezza state facendo non potrete mai da soli spianare due montagne così grandi. Yu Kung rispose: io morrò, ma resteranno i miei figli morranno i miei figli ma resteranno i nipoti e così le generazioni si susseguiranno all'infinito. Le montagne sono alte ma non posso diventare ancora più alte, ad ogni colpo di zappa esse diverranno più basse. Perché non potremmo spianarle? Dopo aver così ribattuto l’opinione sbagliata del vecchio savio Yu Kung continuò il suo lavoro un giorno dopo l’altro irremovibile nella sua convinzione. Ciò impietosì il cielo il quale inviò sulla terra due esseri immortali che portarono via le montagne sulle spalle”.
Parafrasando il racconto di Mao possiamo dire che oggi la grande montagna che opprime con tutto il suo peso il popolo Italiano e sbarra al proletariato la strada del potere politico, è il capitalismo. Il Partito marxista-leninista italiano da sempre lavora alacremente per spianare questa grande montagna, convinto che anche noi un giorno riusciremo a commuovere il cielo, ossia il proletariato e le masse popolari italiane, a unirsi a noi per spianare la montagna del capitalismo che oscura il sole rosso del socialismo. Perché non potremmo riuscirci?
Come ha detto Mao: "Dobbiamo lasciarci infiammare dalle grandi e sublimi aspirazioni proletarie, osare aprire sentieri mai esplorati e scalare vette mai raggiunte"
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perché Solo "`Chi non ha paura di morire di mille ferite, osa disarcionare l'imperatore"
.29
Questo è l'indomabile spirito necessario nella nostra lotta per il socialismo e il comunismo.
La lotta per il socialismo
Il PMLI da sempre lotta per il socialismo e per il potere politico del proletariato. Non certo per “l'umanità al potere”, come propaganda l'imbroglione putiniano e fallito ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Nel nostro Paese le classi principali sono il proletariato e la borghesia. Quindi il potere o appartiene al proletariato o alla borghesia. Attualmente al potere c'è la borghesia in camicia nera che non cederà mai pacificamente il potere al proletariato. Solo il socialismo può dare il potere al proletariato perché è la sua società, elaborata da Marx e Engels e realizzata da Lenin e Stalin in Russia e in Urss e Mao in Cina.
Mao ha rilevato che il socialismo "consiste nella distruzione della proprietà privata capitalista e nella sua trasformazione in proprietà socialista di tutto il popolo, nella distruzione della proprietà individuale e nella sua trasformazione in proprietà collettiva socialista".
30 e che "Il marxismo è duro, senza pietà, quello che vuole è annientare l'imperialismo, il feudalesimo, il capitalismo e anche la piccola produzione. In questo campo è meglio non essere troppo indulgenti. Alcuni nostri compagni
- continua Mao - sono troppo benevoli, non duri, in altre parole, non totalmente marxisti (...). Il nostro scopo è di estirpare il capitalismo, di estirparlo su tutto il globo, di farlo diventare un oggetto storico. Tutto quello che appare nel corso della storia dovrà sempre essere eliminato. Non c'è cosa o fenomeno nel mondo che non sia prodotto della storia; alla vita succede sempre la morte, il capitalismo è un prodotto della storia, deve, dunque, morire, c'è un ottimo posto sottoterra per 'dormire' che lo aspetta".
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Qui in Italia, come ha indicato il III Congresso nazionale del PMLI nel dicembre 1985, socialismo significa, in sintesi: “Statizzazione di tutte le grandi, medie e piccole imprese industriali, agricole, commerciali e dei trasporti ferroviari, automobilistici, marittimi, fluviali e aerei; statizzazione di tutta la proprietà fondiaria, compreso le attrezzature, nelle città e nelle campagne, del suolo e del sottosuolo, incluse le miniere, le acque e le foreste; statizzazione delle banche private, delle società quotate in borsa, degli istituti finanziari e assicurativi; statizzazione del commercio e di tutti i mezzi di comunicazione di massa (radio, tv, giornali, reti di comunicazione telefonica, ecc.). Insomma tutto ciò che serve per la produzione, lo scambio e il commercio deve diventare proprietà socialista di tutto il popolo e deve essere controllato dal popolo, perché solo così la classe operaia può gestire effettivamente l'economia e soddisfare tutte le esigenze materiali e spirituali del popolo.
Naturalmente questo gigantesco trapasso dall'economia capitalista all'economia socialista non potrà avvenire di colpo e in pochi giorni; andrà realizzato gradualmente, cominciando dalle cose fondamentali e preliminari, secondo le condizioni concrete interne e internazionali che si determineranno dopo la rivoluzione, e l'atteggiamento che i piccoli e medi proprietari e produttori e le classi intermedie avranno assunto verso la rivoluzione e il socialismo.
Socialismo in Italia significa anche abrogazione della Costituzione borghese e promulgazione di una nuova Costituzione socialista; soppressione delle Forze armate, della polizia e della finanza della borghesia e istituzione dell'Esercito Rosso e dell'armamento del popolo; soppressione dell'apparato giudiziario borghese e istituzione di un nuovo apparato giudiziario formato e diretto dal popolo; soppressione dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghesi e istituzione di un nuovo sistema elettorale basato sull'unità economica e produttiva (officine, fabbriche, aziende agricole, ecc.), sulla libertà e segretezza del voto, dal quale voto per un certo periodo verranno esclusi gli ex sfruttatori e i nemici del popolo, e sulla revocabilità in ogni momento degli eletti, e l'istituzione di un sistema di assemblee popolari in cui sia unito il potere esecutivo con quello legislativo; sostituzione della vecchia politica estera imperialista e delle alleanze Nato e Ue con una politica estera socialista basata sull'internazionalismo proletario, sui cinque principi della coesistenza pacifica con gli Stati a diverso regime sociale e sull'alleanza con tutti i popoli e i paesi del mondo arretrati, sfruttati e oppressi dall'imperialismo.
Ma soprattutto socialismo significa in Italia dare tutto il potere alla classe operaia, che si deve insediare dal basso in alto in tutti i campi della gestione dello Stato, in tutto l'edificio dello Stato, esercitando con forza e sicurezza la dittatura del proletariato. La classe operaia attraverso il suo Partito deve dirigere tutto, dal governo alle singole istituzioni statali, dalle imprese alle banche, dai mezzi di comunicazione di massa ai centri culturali, educativi, ricreativi e così via. Niente deve sfuggire al suo controllo e alla sua direzione perché solo così le lavoratrici e i lavoratori possono soddisfare effettivamente il loro diritto al lavoro, alla casa, all'educazione, alle cure sanitarie, al riposo e vivere in piena libertà e democrazia. Non c'è dubbio che l'instaurazione del socialismo significa aprire una pagina nuova nella storia millenaria dell'Italia, ma questo atto straordinario di incalcolabile portata nazionale e internazionale non può essere compiuto se non si abbatte la resistenza dei capitalisti e dei loro servi e non si fa la rivoluzione socialista”.
Intanto ogni giorno dobbiamo tenere sotto tiro il governo centrale e i governi regionali e locali. Vanno bombardati con denunce concrete tramite articoli su “Il Bolscevico”; volantini e comunicati stampa. Qualsiasi anticapitalista e antifascista che abbia da dire qualcosa contro di essi, si faccia avanti, lo denunci all'organo del PMLI.
Il nostro auspicio è che sorgano spontaneamente dei corrispondenti de “Il Bolscevico” locali e in ogni luogo di lavoro e di studio, specialmente se sono operaie e operai.
Facciamo nostro l'appello di Marx ed Engels del settembre 1847 rivolto al proletariato tedesco per coinvolgerlo nella scrittura del loro nuovo giornale: “E ora, proletari, sta a voi agire, inviate articoli... proletari se voi volete diventare liberi, uscite dal vostro letargo e unitevi solidalmente”.
Tante sono le rivendicazioni. Tra le principali ne citiamo alcune: piena occupazione, aumento dei salari e delle pensioni più basse e medie, diminuzione dell'orario di lavoro e quattro giorni di lavoro la settimana, parità di salario tra donne e uomini, misure efficaci sulla sicurezza nel lavoro, case popolari e affitti popolari, patrimoniale, salvaguardia della sanità pubblica e nessun favore e finanziamento alla sanità privata, istruzione pubblica e gratuita e nessun finanziamento all'istruzione privata, misure concrete, urgenti e efficaci per l'ambiente e il clima, cittadinanza italiana a chi nasce in Italia, amnistia e indulto per i carcerati.
Più in generale bisogna ribadire con forza che la questione meridionale, comprendendo anche la Sardegna, venga considerata la principale questione nazionale.
Sul fronte sindacale, non appena è mutata radicalmente la situazione storica, politica e organizzativa, il lungimirante documento dell'Ufficio politico del PMLI in data 6 febbraio 1993 ha invitato le masse lavoratrici a costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale della Assemblea generale.
La divisione organizzativa sindacale non è una buona cosa. Va superata. Tutti gli attuali sindacati confederali e non confederali, andrebbero sciolti e sostituiti da un unico sindacato.
Il nostro auspicio è che in particolare le operaie e gli operai più coscienti e combattivi facciano propria la linea del sindacato unico, man mano che ne vengono a conoscenza, e si uniscano ai marxisti-leninisti nella Corrente sindacale di classe, dentro e fuori la CGIL, per realizzare questo grande obiettivo strategico, politico e sindacale. Nel frattempo lavoriamo di concerto con tutte le correnti di sinistra della CGIL per spingerla sempre più avanti nella difesa dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati.
Il governo Meloni
Il 25 settembre di due anni fa la ducessa Meloni e la sua banda di neofascisti ha portato a termine la marcia elettorale su Roma iniziata dal Msi del fucilatore di partigiani Almirante e ha riportato il fascismo di Mussolini al potere per via “democratica” parlamentare e costituzionale con l'avallo e la complicità della “sinistra” borghese.
Il 18 giugno 2024 con l'approvazione in prima lettura al Senato della legge di revisione costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio si può dire che il piano fascista della P2 per la conquista del potere politico per via “democratica” e istituzionale, che alla fine degli anni settanta ha soppiantato la strategia golpista e stragista utilizzata dai fascisti fin dai primi anni del secondo dopoguerra per tornare al potere, è a un passo per essere completato.
Dal primo giorno del suo insediamento il PMLI ha denunciato la natura neofascista del governo Meloni invitando le masse a unirsi contro di esso e a lottare per il socialismo e il potere politico del proletariato.
Alla settima Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI che si è svolta il 30 giugno scorso, il massimo dirigente del PMLI ha sottolineato che il governo Meloni “è una dittatura neofascista in contrasto persino con la democrazia borghese. Va quindi combattuto e abbattuto senza esclusione di colpi, usando tutte le forme di lotta, legali e illegali, parlamentari e extraparlamentari, pacifiche e violente di massa. Una lotta che va portata avanti fino alle estreme conseguenze, alla guerra civile, se risponde alla volontà delle masse… Ducessa Meloni, sappi che la lotta di classe, di cui la lotta antifascista fa parte, non ha limiti e non è condizionata dai lacci costituzionali, parlamentari, legalitari e del diritto borghesi. Non esclude, perciò, che al suo governo potrebbe accadere ciò che accadde al governo Tambroni, il primo tentativo di ritorno al potere del fascismo, che fu abbattuto dalla rivolta popolare partita da Genova nel luglio 1960”
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E che le cose stiano effettivamente così non lo diciamo noi ma lo confermano le leggi e gli atti politici che questo governo ha fin qui prodotto e soprattutto il disegno politico neofascista in cui sono iscritti a cominciare dal premierato, l’emarginazione del parlamento, la fascistizzazione dello Stato, il rilancio del termine Nazione di conio mussoliniano, la sostituzione etnica, il piano colonialista Mattei per l’Africa, la riforma piduista e neofascista della giustizia, il rilancio della cultura e dell’istruzione fasciste, la tolleranza dei gruppi fascisti e neofascisti e dei giovani di Fratelli d’Italia che inneggiano a Mussolini, al fascismo, a Hitler, al nazismo e all’antisemitismo, il razzismo e le misure antimigranti, il contrasto all’aborto, l’omofobia, la repressione violenta di ogni dissenso di piazza, il disegno di legge sulla sicurezza, la limitazione e riduzione del diritto di sciopero, l’abolizione dei rave, l’occupazione della Rai, il manganellamento virtuale contro gli intellettuali e i giornalisti che criticano il governo.
Ciò conferma che il PD e la “sinistra” borghese dentro e fuori dal palazzo sono complici. Per tutti loro la Meloni è un' “a-fascista”, al massimo parlano di “deriva autoritaria”, di “rischio della tenuta democratica del Paese”, di “democrazia illiberale” ma tutti evitano accuratamente di denunciare la vera natura neofascista del governo Meloni, altrimenti dovrebbero trarne le conseguenze e chiamare le masse alla rivolta per abbatterlo. La Schlein addirittura, all'indomani delle elezioni amministrative e europee del giugno scorso, ha telefonato alla Meloni per complimentarsi del risultato ottenuto da entrambi.
Il 1° agosto scorso la restrizione delle libertà democratiche, di stampa e di pensiero e la censura fascista attuata dal governo contro chiunque osa smascherarne la pericolosità, ha colpito anche il PMLI. A operare sul campo è stata l'amministrazione comunale di Firenze guidata da Sara Funaro (PD) che ha negato l'affissione dei nostri manifesti che celebrano la Liberazione di Firenze dal nazifascismo avvenuta l’11 agosto del 1944 perché il piccolo fotomontaggio che ritrae la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in divisa da gerarca fascista integrerebbe “gli estremi del reato di diffamazione in forma aggravata e di offesa recata ad un corpo politico”.
Eppure il segretario generale della CGIL Maurizio Landini, che da due anni mendica un incontro fra le parti sociali e il governo “per discutere di tutte le questioni all'ordine del giorno”, nonostante continui a ricevere calci in bocca dalla ducessa Meloni, seguita a rilanciare la “via maestra della Costituzione” per arrivare a un nuovo patto sociale col governo e rimanda alle calende greche lo sciopero generale e la chiamata in piazza dei lavoratori contro il neofascismo.
Nei confronti del governo Meloni, i partiti della “sinistra” borghese si stanno comportando alla stessa maniera dei loro predecessori degli anni venti del secolo scorso che si limitarono a combattere il fascismo e Mussolini esclusivamente sul piano parlamentare e costituzionale. Come nell'agosto del 1921 quando il partito socialista di Turati e la Confederazione generale del lavoro firmarono un “Trattato di pacificazione” con i Fasci italiani di combattimento. E fornirono a Mussolini l'assist per scrivere su “Il Popolo d'Italia” nell'articolo intitolato “Fatto compiuto” che: “Questo trattato di pace è la consacrazione solenne, inoppugnabile, storica, della nostra vittoria”. E nel discorso alla Camera del 22 luglio 1924 si permetteva di sbeffeggiare le opposizioni antifasciste, che avevano abbandonato il parlamento riunendosi nell'Aventino, dopo l'assassinio di Matteotti, con queste parole: “In fondo, che cosa fanno le opposizioni? Fanno degli scioperi generali o parziali? delle manifestazioni di piazza? o tentativi di lotta armata? Niente di tutto ciò. Le opposizioni svolgono un'attività puramente di polemica giornalistica”.
Bisogna insistere perché la “sinistra borghese” passi dalle parole ai fatti mobilitando le masse alla lotta di piazza per abbattere il governo neofascista Meloni. In ogni caso bisogna unirsi a essa per bocciare
coi referendum il premierato neofascista, piduista e berlusconiano e quello sull'autonomia differenziata che da' il colpo di grazia al Mezzogiorno.
Non dobbiamo dare tregua a questo vergognoso governo che nella manovra economica in preparazione dà solo delle briciole alle masse e che ha coperto, anziché cacciarlo, il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che ha utilizzato il suo ruolo per gli interessi personali, mentendo.
La guerra mondiale imperialista
Sull'Italia e sul mondo intero incombe il pericolo sempre più concreto di una guerra mondiale imperialista che si potrebbe scatenare a causa delle contraddizioni crescenti tra l’imperialismo americano e il socialimperialismo cinese. Tutti i Paesi e i blocchi imperialisti, compresa l'Ue, si riarmano e si preparano alla guerra mondiale.
Il compagno Scuderi nella relazione alla suddetta Sessione plenaria del CC ha detto: “è quanto mai importante convincere il proletariato, i giovani e l’intero popolo italiano a non schierarsi con nessuno dei due poli imperialisti... Né con l’imperialismo dell’Ovest, né con l’imperialismo dell’Est”
. E se l’Italia dovesse partecipare alla guerra imperialista mondiale tutto il Partito dovrà seguire le indicazioni che ha già dato il Comitato Centrale nell’importantissimo documento del 15 dicembre 2023 intitolato “Teniamo alta la grande bandiera antimperialista di Lenin”, e chiamare il proletariato e l’intero popolo italiano alla guerra civile esattamente come fecero Lenin alla vigilia della prima guerra mondiale imperialista e Mao nel 1938 alla vigilia della nuova guerra mondiale poi scatenata da Hitler.
Rispondere con la guerra civile rivoluzionaria alla guerra imperialista.
Il 1° ottobre 1969, in occasione delle celebrazioni per il ventesimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese Mao lanciò il seguente appello: "Che i popoli del mondo intero si uniscano per combattere ogni guerra di aggressione scatenata da ogni imperialismo o socialimperialismo, e particolarmente la guerra d'aggressione che facesse ricorso alla bomba atomica! Se scoppia una guerra del genere, i popoli del mondo dovranno annientare la guerra d'aggressione con la guerra rivoluzionaria. Devono esservi pronti fin da ora".
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L'aggressione dell'imperialismo russo all'Ucraina deve cessare. Noi appoggiamo la Resistenza dell'Ucraina e del suo leader Zelensky.
Il genocidio del popolo palestinese deve cessare. L'esercito dei sionisti e neonazisti deve andarsene totalmente da Gaza. Il nuovo Hitler Netanyahu deve essere processato come criminale di guerra. Il governo italiano deve rompere le relazioni diplomatiche con Israele ritirando l'ambasciatore e non deve vendere più armi a Israele.
Di fronte a questa situazione nazionale e internazionale, è assolutamente necessario decuplicare gli sforzi per dare al PMLI un Corpo da Gigante Rosso.
Dobbiamo mettercela tutta, dal vertice alla base del Partito, con il contributo indispensabile dei simpatizzanti attivi, per raggiungere al più presto possibile questo obiettivo strategico. Auspicando che tutte le rivoluzionarie e i rivoluzionari, ovunque attualmente collocati, raccolgano l'appello pubblicato su “Il Bolscevico” numero 29 del compagno napoletano Cartesio, sostenitore del nostro Partito, a confrontarsi con il PMLI.
Non c'è un altro modo per conoscersi, per esporre le rispettive convinzioni e posizioni per lavorare insieme. Come militanti o simpatizzanti o alleati del PMLI. Per il trionfo della comune causa del socialismo.
Stai sicuro Mao, noi marxisti-leninisti italiani terremo sempre alta la tua bandiera rossa, saremo eternamente fedeli ai tuoi insegnamenti e non finiremo mai di ringraziarti perché ci hai attratto nella lotta di classe e ispirato, assieme a Marx, Engels, Lenin e Stalin, nella lotta per l'Italia unita, rossa e socialista.
Viva Mao!
Viva il PMLI!
Abbasso il revisionismo e il riformismo!
Viva, viva , viva il socialismo!
Viva i Maestri del proletariato internazionale: le 5 stelle che squarciano le tenebre del capitalismo e ci indicano la giusta rotta verso l'alba radiosa del socialismo!
Coi maestri e il PMLI vinceremo!
Note
1 Mao, “Sulla pratica”, luglio 1937, Opere scelte, vol. 1, pp. 313-327
2 Mao, “Da dove provengono le idee giuste?”, Edizioni in lingue estere - Pechino, pp. 1-4
maggio 1963
3 Mao, Perseveriamo in una vita semplice e in una lotta ardua e teniamo rapporti stretti con le masse, (marzo 1957), opere scelte, vol. V, Edizioni Einaudi, p. 602
4 Mao, Combattere le idee borghesi all'interno del Partito, (12 agosto 1953), opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 123
5 Mao, Sulla bozza di Costituzione della repubblica popolare cinese, 14 giugno 1954, in opere scelte, volume V, p. 169
6 Mao, Prefazione e poscritto a “Inchiesta sulle campagne”, (marzo 1941), opere scelte, vol. 3°, Edizioni in lingue estere - Pechino, pp. 9-10
7 Mao, Una lettera del 6 luglio 1966
8 Mao, Prefazione e poscritto a “Inchiesta sulle campagne”, (marzo 1941), opere scelte, vol. 3°, Edizioni in lingue estere - Pechino, pp. 9-10
9 Sulla dittatura democratica popolare - 30 giugno 1949 - opere scelte - vol. IV).
10 Mao Zedong, Problemi della guerra e della strategia, 6 novembre 1938 - Opere scelte, vol. 2, p. 233
11 Mao Zedong conversazione con i rappresentanti di alcuni Partiti comunisti latino-americani in visita in Cina il 25 settembre 1956
12 Mao Zedong “Sulla tattica contro l'imperialismo giapponese” 27 dicembre 1935 - Opere scelte, vol. l°, pp 170-171
13 Articolo redatto dalle Redazioni di “Rénmín Rìbào”, “Hóngqí” e del “Jiěfàngjūn Bào” in occasione del Cinquantesimo del Partito Comunista Cinese 1921-1971 e rilanciato da Il Bolscevico il 30 giugno 2021 in occasione del Centerario del PCC col titolo: “Il bilancio dei primi 50 anni del Partito comunista cinese diretto da Mao”
14 Ibidem
15 Mao Zedong rapporto e conclusioni alla sesta Sessione plenaria del VI Comitato centrale del PCC ottobre 1938
16 Articolo redatto dalle Redazioni di “Rénmín Rìbào”, “Hóngqí” e del “Jiěfàngjūn Bào” in occasione del Cinquantesimo del Partito Comunista Cinese 1921-1971 e rilanciato da Il Bolscevico il 30 giugno 2021 in occasione del Centerario del PCC col titolo: “Il bilancio dei primi 50 anni del Partito comunista cinese diretto da Mao”
17 Ibidem
18 “Intervista con la giornalista americana Anna Louise Strong” (Agosto 1946), Opere Scelte, Vol. IV pag. 97
19 Discorso alla 2ª Sessione plenaria dell'VIII CC del PCC - 15 novembre 1956 - opere scelte - vol. V
20 (Mao Zedong, “Stalin, amico sincero del popolo cinese” - 20 dicembre 1939 – opere scelte vol. II pag.350)
21 Verbale del colloquio di Mao Zedong con Hysni Kapo e Baqir Balluku 3 febbraio 1967
22 Dazibao scritto da Mao il 5 agosto 1966 in appoggio al dazibao redatto da 23 studenti e insegnanti di ambo i sessi dell'Università di Pechino
23 Mao, citato nell'articolo “Un faro per la Grande Rivoluzione Culturale e Proletaria”, Quotidiano del popolo – 23 maggio 1966
24 Mao, lettera indirizzata alle Guardie Rosse – 1 agosto 1966
25 Mao, Citato in “Avanziamo lungo la via aperta dalla Rivoluzione socialista d'Ottobre'', articolo delle redazioni di “Quotidiano del popolo'', “Bandiera rossa'' e “Quotidiano dell'esercito di liberazione'' - 6 novembre 1967
26 Mao citato in "Tutto il paese deve diventare una grande scuola del pensiero di Mao Zedong”, articolo del “Quotidiano del Popolo” - 1 ° agosto 1966
27 Mao, Incontro con i cinesi che studiano o frequentano corsi di specializzazione a Mosca, 17 novembre 1957, Libretto rosso “Citazioni dalle opere del presidente Mao Zedong”, p. 302
28 Frase pronunciata nel 1962 e citata dalla stampa cinese nel 1966).
29 (discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito comunista cinese, tenutasi il 12 marzo 1957
30 Bisogna avere fiducia nella maggioranza delle masse, 13 ottobre 1957 – opere scelte -vol. V
31 Il dibattito sulla cooperazione agricola e l'odierna lotta di classe - 11 ottobre 1955 - opere scelte - vol. V
32 Citato nell'editoriale del "Quotidiano del popolo" del 1 gennaio 1970
11 settembre 2024