42° anniversario della strage dei palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut
Netanyahu prepara una nuova aggressione al Libano
Il segretario di Stato americano Antony Blinken, annunciava il suo dicastero il 16 settembre, si recherà in Egitto nel corso della settimana per discutere degli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza e per co-presiedere una riunione del "dialogo strategico" tra Washington e Il Cairo, che assieme al Qatar formano la triade che svolgerebbe il ruolo di mediatore nei negoziati di tregua. A dire il vero la notizia riportata fedelmente come di consueto dai media filosionisti come fosse una novità, non lo è affatto, è l'ennesima tragica ripetizione della farsa del teatrino dei negoziati, la cui regia effettiva è dei nazisionisti di Tel Aviv, i cui risultati stanno nella crescita delle vittime del genocidio palestinese in atto a Gaza e in Cisgiordania. Blinken prima di partire da Washington, ha incontrato il leader sionista dell'opposizione, Yair Lapid, che non risulta abbia detto nulla contro gli illegali progetti di annessione della Cisgiordania che il capofila nazisionista Netanyahu ha confermato il 2 settembre nell'esibizione della cartina geografica che metteva solo Gaza e per ribadire la volontà di mantenerene il controllo militare. Avrebbe invece solo espresso al complice imperialista americano il suo "scetticismo" sulla possibilità che la diplomazia eviti una "incursione" in Libano contro Hezbollah; un'altra notizia veicolata dai media filosionisti come una oramai probabile e quasi scontata operazione militare, visto che è un tema caldo da tempo, e non un pericolo dell'estensione della guerra in Medioriente preparata dai nazisionisti dagli esiti pericolosi. Completano il quadro delle novità di inizio settimana le notizie relative agli almeno 4 morti causati dalle bombe dell'esercito sionista che hanno raso al suolo un'abitazione nel campo profughi di Bureij, a Gaza; un bilancio provvisorio mentre la protezione civile palestinese cercava di trovare superstiti fra le decine di civili intrappolati sotto le macerie dell'edificio. E anche questa non è una novità ma la tragica realtà vissuta dalla popolazione palestinese della striscia di Gaza sotto il tallone dell'occupazione nazisionista.
Il Ministero della Salute del governo di Hamas a Gaza aggiornava al 16 settembre il bilancio del genocidio nazisionista a 41.226 morti e 95.413 feriti in quasi un anno di guerra. Il ministero palestinese pubblicava anche un documento che riportava i dati anagrafici di circa 34 mila vittime, quelle che finora è stato possibile recuperare tra le rovine e i crateri di Gaza e riconosciute ufficialmente. Al numero totale andrebbero aggiunti anche i circa 10 mila palestinesi considerati dispersi. Gli elenchi del documento iniziano con i nomi dei bambini con meno di un anno, 14 pagine, e con i nomi dei minori uccisi, 11.355 nomi, un terzo del totale dei morti censiti. Un altro terzo sono donne e anziani.
Il 16 settembre è stato anche il 42 esimo anniversario della strage dei palestinesi in Libano, nei campi profughi di Sabra e Shatila, alla periferia ovest di Beirut durante l'invasione del paese iniziata nell'agosto precedente da parte dell'esercito sionista, allora appoggiato dalle milizie di destra libanesi e arrivato fino alla capitale per cacciare le forze della resistenza palestinese. L'invasione del Libano fu organizzata dal governo sionista guidato dal destro Menachem Begin, in carica dal 1977 al 1983, che nel suo curriculum contava la partecipazione all'organizzazione terroristica Irgun e la partecipazione a criminali attentati contro militari britannici e civili arabi, con centinaia di vittime, che prepararono la nascita di Israele ma anche il premio Nobel per la pace per gli accordi raggiunti sotto la regia degli Usa a Camp David nel 1978 con l'Egitto di Sadat. Neanche 4 anni dopo scatenava l'invasione del Libano e spingeva l'Olp di Arafat a negoziare con gli Usa l'evacuazione dal paese delle forze combattenti in cambio della garanzia della protezione per i palestinesi che restavano nei campi profughi; la protezione era garantita dall'imperialismo americano con un contingente multinazionale che comprendeva anche soldati francesi e italiani, che doveva rimanere nel paese fino al 21 settembre mentre l'allora premier sionista Begin dette l'assicurazione che i suoi soldati non sarebbero entrati a Beirut Ovest e non avrebbero attaccato i palestinesi nei campi profughi. Ma appena finita l'evacuazione delle forze combattenti palestinesi ai primi del mese, i soldati imperialisti tagliarono la corda e gli occupanti sionisti ebbero il via libera per violare gli accordi, entrare a Beirut Ovest e mandare gli alleati libanesi a compiere materialmente il massacro. Dal 16 al 18 settembre 1982, le milizie cristiano-falangiste di Elie Hobeika e quelle di Sa'd Haddad entrano nei campi profughi accerchiati dall'esercito sionista e assassinarono almeno 3.500 profughi, uomini, donne e bambini palestinesi cacciati dalle loro case in Palestina per la Nakba, l’esodo imposto dai sionisti dopo la proclamazione della nascita dello Stato di Israele nel 1948. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 16 dicembre 1982, condannò il massacro, definendolo "un atto di genocidio", con la risoluzione 37/123 che fu approvata con 123 voti favorevoli, nessun contrario e 22 astenuti.
La prima delle tante riflessioni che si possono fare sul massacro di Sabra e Shatila del 1982 è che chi continua a segnare come punto di partenza della storia del mondo l'attacco della resistenza palesinese del 7 ottobre 2023 è quantomeno complice degli attuali criminali nazisionisti e cerca di coprire il genocidio palestinese.
Una politica genocida applicata dai nazisionisti di Tel Aviv anche nella recente aggressione militare contro le città e i campi palestinesi della Cisgiordania, dove le azioni militari sono state accompagnate dalal sistematica opera d demolizione di strade, reti idriche, elettrice e fognarie, negozi, almeno il 70% di quelle della città di Jenin denunciava il sindaco.
“La violenza genocida di Israele rischia di fuoriuscire da Gaza e di raggiungere l’intero territorio palestinese occupato. Ci sono prove sempre più evidenti che nessun palestinese è al sicuro sotto il controllo illimitato di Israele. L’apartheid israeliano sta prendendo di mira Gaza e la Cisgiordania contemporaneamente, come parte di un processo globale di eliminazione, sostituzione ed espansione territoriale", denunciava la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, Francesca Albanese, che avvertiva: “l’impunità di lunga data concessa a Israele sta permettendo la de-palestinizzazione del territorio occupato, lasciando i Palestinesi alla mercé delle forze che mirano alla loro eliminazione come gruppo nazionale”. Tanto che la Palestina e i palestinesi non sono "spariti" dalle mappe sioniste del criminale Netanyahu lo scorso 2 settembre, già non c'erano nella mappa del “Nuovo Medio Oriente” orgogliosamente esibita durante il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2022 dal leader nazisionista. Per i palestinesi non c'è posto né diritti nello "Stato ebraico" proclamato il 19 luglio 2018 dalla Knesset.
Non tutti gli ebrei israeliani la pensano così, a cominciare dai componenti di B'Tselem, l'ong che si definisce come "Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati", la cui Direttrice esecutiva, Yuli Novak, intervenuta su invito alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 5 settembre sulla situazione in Cisgiordania e a Gaza affermava: "Per comprendere la condotta criminale del governo israeliano negli ultimi undici mesi, bisogna capire l’obiettivo generale del regime. Sin dalla fondazione di Israele, la logica fondamentale del suo regime è stata quella di promuovere la supremazia ebraica su tutto il territorio sotto il suo controllo. Questo è stato sancito come principio costituzionale sei anni fa. Le linee guida dell’attuale governo (Legge Fondamentale 2018) affermano che: “Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile a tutte le parti della Terra di Israele”. Dopo il 7 ottobre "il Governo sta sfruttando cinicamente il nostro trauma collettivo per portare avanti con violenza il suo progetto di consolidare il controllo israeliano su tutta la terra. Per farlo, sta conducendo una guerra contro l’intero popolo palestinese, commettendo crimini di guerra quasi quotidianamente. A Gaza, questo ha assunto la forma di espulsioni, fame, uccisioni e distruzioni su una scala senza precedenti. Questo va oltre la vendetta: Israele sta sfruttando l’opportunità di promuovere un programma ideologico: rendere Gaza inabitabile" e"scacciando i palestinesi da intere aree e sfollando milioni di persone sta gettando le basi per un controllo a lungo termine di Gaza, che potrebbe portare a ristabilirvi gli insediamenti israeliani". Una operazione simile che viene ripetuta in Cisgiordania e a Gerusalemme Est dove "recentemente, l’esercito ha lanciato un’enorme operazione per danneggiare le infrastrutture che servono centinaia di migliaia di persone nella parte nord".
"La comunità internazionale non ha fermato la politica criminale di Israele di danneggiare massicciamente i civili e le infrastrutture civili a Gaza. Ora, questa politica si sta riversando in Cisgiordania. Questa violenza è possibile perché Israele ha goduto dell’impunità per decenni, permettendogli di portare avanti le sue politiche, quasi senza interruzioni. Finché questa impunità continuerà, le uccisioni e le distruzioni continueranno e si espanderanno ovunque e la paura continuerà a dominare la terra", denunciava coraggiosamente Yuli Novak, che metteva in evidenza come "la comunità internazionale è venuta meno al suo dovere di proteggere i civili" e invitava il Consiglio Onu a "riconoscere questo fallimento" e a "intraprendere un’azione efficace", a interagire con la Corte Internazionale di Giustizia in merito "all’illegalità dell’intero progetto di occupazione e di insediamento di Israele", ricordando che "ogni giorno in cui il Consiglio non agisce in base alla richiesta della Corte di porre fine all’occupazione e all’apartheid, è un altro giorno in cui abbandonate tutti noi, tutte le persone che soffrono e muoiono inutilmente sotto questo regime crudele e ingiusto".
Parlamentari sionisti dopo l'intervento all'Onu hanno chiesto provvedimenti contro Yuli, dall'arresto alla revoca della cittadinanza, definiti dall'ong "attacchi vergognosi che non ci dissuaderanno dall’utilizzare ogni piattaforma disponibile, in patria o all’estero, per chiedere un cessate il fuoco immediato e un accordo sugli ostaggi. Non ci impediranno di ripetere che il regime di apartheid israeliano deve finire".
18 settembre 2024