La rabbia del Comitato cittadino e dei lavoratori di Taranto: “Ci hanno ucciso”
Cancellato il processo dell'ex Ilva
Nel 2021 condanna per associazione a delinquere ai Riva e sequestro dell'acciaieria
Dovrà ricominciare da zero e a Potenza il processo “Ambiente svenduto” sulle emissioni velenose dell’ex Ilva che in primo grado aveva portato a 26 condanne nei confronti della famiglia Riva, ex proprietaria della fabbrica, dei dirigenti e di alcuni esponenti della politica locale e regionale. Lo ha deciso la Corte d’assise d’appello di Taranto che ha accolto le richieste dei difensori di spostare il procedimento penale a Potenza poiché i giudici tarantini sono da considerare come “parti offese” del disastro ambientale cioè vittime dello stesso reato che sono stati chiamati a giudicare.
“È una decisione sconvolgente: ingiustizia è fatta. Ovviamente occorrerà leggere le motivazioni della sentenza, ma la sostanza è che si ricomincerà tutto da capo, che una buona parte dei reati è già prescritta, che altri reati andranno in prescrizione nel corso del nuovo processo e che chissà quando vedremo una sentenza definitiva”. Lo dichiarano Stefano Ciafani, Daniela Salzedo e Lunetta Franco, rispettivamente presidenti nazionale, regionale e tarantino di Legambiente, «La gravità di ciò che è avvenuto a Taranto - aggiungono - non è messa in discussione dalla sentenza di oggi che riguarda solo aspetti procedurali. Legambiente si costituirà con i suoi legali Eligio Curci e Fulvio Saracino quale parte civile anche nel nuovo processo a Potenza, in nome del popolo inquinato di Taranto».
“Accolgo con profonda preoccupazione ed amarezza la decisione della Corte d’Assise d’Appello di trasmettere gli atti del processo 'Ambiente svenduto' al Tribunale di Potenza. Questo procedimento, che rappresenta una delle pagine più dolorose e significative della nostra storia recente, che deve essere considerato un simbolo della lotta della nostra comunità per la giustizia ambientale e la tutela della salute pubblica, torna interamente in discussione con il pericolo che la prescrizione possa cancellare buona parte dei reati” afferma il sindaco e presidente della Provincia di Taranto Rinaldo Melucci. “La sentenza di primo grado, che - prosegue - aveva visto la condanna di 26 imputati, fra imprenditori, politici e manager dell’Ilva per il disastro ambientale che sarebbe stato causato dalla produzione industriale dello stabilimento siderurgico, era stata un passo fondamentale verso il riconoscimento delle responsabilità e la riparazione dei danni subiti dalla nostra città. Una città che sta ancora faticosamente, ma con orgoglio, cercando di svincolarsi da una monocultura industriale che ha fatto il suo tempo,una città che sta affrontando un processo di transizione ambientale ed economica che è divenuto ineludibile, ma che rischia di fare ancora i conti con un passato che ritorna”.
Il trasferimento del processo Ilva a Potenza "rischia di diventare un pericolosissimo precedente" e "un'arma in mano agli inquinatori". È quanto afferma da Torino l'avvocato Gian Luca Vitale, patrono di parte civile per Slai Cobas e Medicina Democratica. "Naturalmente leggeremo le motivazioni - spiega il legale - ma ora come ora siamo del parere che accogliendo le eccezioni dei difensori degli imputati la Corte di Taranto rischia non solo di mettere una pietra tombale sul più grande processo per disastro ambientale celebrato in Italia. Il rischio è che si crei un pericolosissimo precedente, un'arma in mano agli inquinatori: più ampio e grave è l'inquinamento, più sarà possibile dire che tra le potenziali vittime ci sono dei giudici e, quindi, più facile sarà annullare il processo". Secondo Vitale "una norma posta a tutela dell'indipendenza della magistratura, e quindi a difesa della giustizia, diviene norma di ostacolo alla giustizia e di tutela della logica del profitto a tutti i costi".
In primo grado furono 26 le condanne nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici, per circa 270 anni di carcere. La Corte d’Assise stabilì sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi di euro. La sentenza di primo grado, emessa il 31 maggio 2021, si chiuse con 26 condanne nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici. I giudici inflissero 22 anni a Fabio Riva e 20 al fratello Nicola. Il responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà, definito dall’accusa come la longa manus
dei Riva verso istituzioni e politica e nel frattempo deceduto, fu condannato a 21 anni e 6 mesi, sei mesi in meno all’allora direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. Ai principali fiduciari dell’acciaieria – Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Agostino Pastorino – considerati una sorta di “governo ombra” dei Riva furono inflitti 18 anni e 6 mesi di pena.
Mentre all’ex governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso, fu inflitta una pena di 3 anni e 6 mesi. L’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido venne condannato a 3 anni. Stessa pena per l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva. Per l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti una pena di 15 anni e 6 mesi. Condannato a 2 anni per favoreggiamento anche l’ex direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato.
Una pagina nera di malagiustizia,uno schiaffo alla città di Taranto che sperava in una giustizia giusta e che invece vede svanire le condanne inflitte questi anni, l'avvento della prescrizione e un nuovo processo da rifare daccapo con tutto quello che questo significa per le vittime dell'inquinamento in particolare. È la prova che non si può contare sulla giustizia borghese del regime neofascista, debole con i forti e forte con i deboli, specie ora che la magistratura è stata sottomessa all'esecutivo conformemente ai piani della P2.
25 settembre 2024