Da settembre l'acciaieria è di nuovo sul mercato
Accordo governo-sindacati sull'ex Ilva. 4.050 lavoratori in cassa integrazione straordinaria
Rimandata al 2026 l'istallazione dei forni elettrici. Intanto a Piombino (secondo polo siderurgico italiano) il “piano di rilancio” appare un bluff

A fine luglio è stato raggiunto un importante accordo sull'ex Ilva. Si tratta però ancora una volta di una toppa per andare avanti, perché la prospettiva è sempre quella di vendere la più grande acciaieria d'Europa ad un nuovo gruppo privato. La novità principale riguarda il coinvolgimento dei lavoratori in cassa integrazione e i sostegni alle loro buste paga.
Dopo 14 ore di trattativa i sindacati hanno strappato il ridimensionamento delle richieste degli amministratori di Acciaierie d'Italia (Ad'I), ovvero la cassintegrazione straordinaria per 5.200 dipendenti, di cui 4.400 solo a Taranto, con un orizzonte temporale indefinito. Alla fine il verbale di accordo con l’azienda prevede un numero massimo di lavoratori in Cigs fissato a 4.050, una riduzione di circa il 20 per cento rispetto alla richiesta dei commissari del governo. Taranto resta ovviamente lo stabilimento più colpito, ma comunque i lavoratori coinvolti calano a 3.500, ai quali se ne aggiungeranno 270 a Genova e 175 a Novi Ligure. La novità più importante, stando al piano presentato dalle stesse Ad'I, è che da ottobre si scenderà sotto quota 3mila addetti in Cigs, grazie alla ripartenza di Afo1, l'altoforno spento lo scorso anno per lavori di ambientalizzazione (aggiunta di un filtro per abbattere le polveri).
Da quella data i numeri dovrebbero diminuire progressivamente fino ad azzerarsi nel marzo 2026, quando ci saranno in marcia tre altoforni. L'ammortizzatore sociale sarà quindi direttamente collegato alla ripresa produttiva, che dovrebbe essere consistente già nel 2025 con un balzo previsto da 2 milioni di tonnellate di acciaio stimati quest’anno, a 4-5 milioni. Il raddoppio della produzione, nel settembre del prossimo anno, dovrebbe far scendere i numeri degli operai in Cigs poco sopra le mille unità. A metà 2024 la produzione, con un solo altoforno funzionante, è stata di circa un milioni di tonnellate, il minimo storico, ben lontano dai quei 6 milioni annui promessi da Arcelor-Mittal e necessari per non andare in perdita.
Il gruppo franco-indiano è stato recentemente estromesso dalla guida del gruppo ex Ilva perché anche il governo alla fine ha preso atto dell'evidente incapacità e volontà di portare avanti gli irrimandabili interventi di ammodernamento e bonifica degli impianti, ma anche grazie alla lotta dei lavoratori che non erano più disponibili a farsi prendere in giro da una proprietà il cui unico scopo è sembrato essere quello di affossare Taranto, per avvantaggiare altri stabilimenti della multinazionale sparsi per il mondo.
Tornando all'intesa, questa prevede anche il riconoscimento da parte dell’azienda di un’integrazione salariale ai lavoratori in cassa integrazione che assicurerà il 70% della retribuzione globale annua lorda, senza contare la tredicesima e il premio. Viene inoltre fissato il periodo di validità della Cigs in dodici mesi -a partire da marzo 2024-, che sarà rinnovabile per un altro anno ma solo dopo un esame congiunto tra l’azienda e i rappresentanti sindacali dei metalmeccanici.
Non dobbiamo però dimenticare che pende ancora sul processo di vendita l’azione inibitoria contro l'ex Ilva, presentata da 11 cittadini aderenti all'associazione Genitori Tarantini tra cui un bambino di 11 anni affetto da una rara mutazione genetica. La prossima udienza fissata è per il 24 ottobre presso il tribunale di Milano, dopo la recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea su questioni relative alle emissioni inquinanti. Nella stessa data si discuterà anche l'ammissibilità della class action risarcitoria avanzata da 136 cittadini. Entrambi i ricorsi chiedono innanzitutto la "cessazione delle attività dell'area a caldo" dell'ex Ilva, la "chiusura delle cokerie, l'interruzione dell'attività dell'area a caldo fino all'attuazione delle prescrizioni" dell'Aia e la "predisposizione di un piano industriale che preveda l'abbattimento delle emissioni di gas serra di almeno il 50%”. Certo è che nel frattempo, come scriviamo nell'altro articolo, è stato vergognosamente cancellato il processo dell'ex Ilva che aveva portato nel 2021 i Riva alla condanna per associazione a delinquere e il sequestro dell'acciaieria
Noi marxisti-leninisti non abbiamo mai chiesto la chiusura totale dello stabilimento di Taranto come hanno fatto svariate associazioni e comitati, oltre ad alcuni partiti e sindacati autonomi. Non è però sostenibile continuare ad avvelenare i cittadini che abitano i quartieri confinanti il siderurgico e le persone che vi lavorano con il ricatto occupazionale. Anche per questo motivo abbiamo sempre chiesto la nazionalizzazione dell'ex Ilva, perché gli investitori privati non hanno la convenienza a portare in fondo il risanamento ambientale necessario, a meno che non sia lo stato a farlo, facendo ricadere le spese sui cittadini per poi intascarsi i profitti.
Una strada che il governo neofascista della Meloni non vuole intraprendere, tanto che a settembre è partita la gara per l'acquisto dell'ex Ilva. Diverse le aziende interessate, tra queste, adesso spunta anche il gruppo Marcegaglia, che ha espresso pubblicamente la sua intenzione di presentare una manifestazione di interesse entro il 20 settembre. Ad affermarlo è stata la presidente e Amministratrice Delegata della Holding, Emma Marcegaglia, durante un Forum a Cernobbio. Non è la prima volta che il suo gruppo tenta la scalata all'ex Ilva. Altri potenziali acquirenti includono gli indiani di Vulcan Green Steel e Steel Mont, gli ucraini di Metinvest, i canadesi di Stelco (recentemente acquisita dal colosso americano Cleveland Cliffs), e le italiane Arvedi e Sideralba. Anche U.S. Steel avrebbe mostrato interesse. Secondo la stima fatta dai commissari straordinari Gianfranco Quaranta, Davide Tabarelli e Giovanni Fiori, per l’acquisizione di Acciaierie d’Italia spa potrebbero servire quasi 1,5 miliardi di euro.
Insomma, le prospettive rimangono ancora incerte e la nuova vendita ai privati che si profila all'orizzonte non preannuncia niente di buono. Così come sembra molto incerto il futuro del secondo polo siderurgico italiano, quello di Piombino in provincia di Livorno. Anche per gli stabilimenti toscani siamo arrivati ad una produzione irrisoria rispetto al passato, e anche qui gli ultimi acquirenti privati, in questo caso gli indiani di Jindal (JSW), che hanno promesso mari e monti e impianti più puliti, alla fine hanno lasciato le fabbriche ferme o agonizzanti.
Dopo lunghe ed estenuanti trattative, l'immobilismo di JSW e i lavoratori stremati da una lunghissima cassa integrazione, il 30 settembre è fissata la firma dell'Accordo di Programma che prevede la divisione dell'area (demaniale, cioè dello stato) tra la stessa JSW e gli italo-ucraini di Danieli-Metinvest. Ma non si tratta di “grande rilancio” come annunciano i media locali. Come afferma la Fiom: “A conti fatti, spogliato da ogni travestimento, si tratta di un mero ammodernamento del treno rotaie, che qualora venisse realizzato arriverà comunque con sei anni di ritardo. Mentre l’annunciata realizzazione del forno elettrico, su cui continuano a pendere innumerevoli incognite, ormai è funzionale esclusivamente alla speculazione sul mantenimento di ulteriori pezzi di aree industriali”.

25 settembre 2024