Lo conferma il Rapporto annuale dell'Inps
Le donne penalizzate su salario e pensione quando nasce un figlio
Il differenziale con gli uomini non si recupera più e il 18% delle donne lascia il lavoro

Il Rapporto Annuale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) esplora gli aspetti più rilevanti della previdenza e del mercato del lavoro in Italia. È stato presentato dal suo presidente, Gabriele Fava, il 23 settembre, alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella. Una miriade di dati, visto che l'istituto si occupa di molteplici prestazioni previdenziali e assistenziali. In questo articolo ci occuperemo in particolare della penalizzazione degli stipendi delle lavoratrici dal momento della maternità, che poi inevitabilmente si riverbera sulla consistenza economica della pensione.
Già senza figli i salari femminili, a parità di mansioni, sono mediamente più bassi di quelli degli uomini. In ogni caso i dati mostrano che prima della nascita di un figlio uomini e donne si trovano su un trend salariale in crescita. Intanto si osserva che l’età media dei genitori è sempre più alta (32 anni lei e 35 lui) e la loro condizione lavorativa più delineata: contratti stabili, paghe medie più alte, tempo pieno. Significa che in Italia la genitorialità è una scelta che le coppie fanno quando se lo possono permettere e il lavoro è solido. Tuttavia, a seguito della nascita del figlio, si riscontra un andamento divergente per madri e padri: mentre i padri proseguono sul trend di crescita salariale, le donne subiscono una brusca inversione di tendenza con una caduta dei redditi da lavoro nell’anno di nascita del bambino di circa il 16%. Si stima, inoltre, che in assenza di indennità per congedo di maternità e congedo parentale la caduta di reddito sarebbe superiore al 70%.
Negli anni successivi alla nascita si registra per le madri un recupero; ma solo quattro anni dopo dalla nascita del figlio si riesce a ritornare allo stesso livello di reddito percepito l’anno precedente alla maternità. Tuttavia, poiché i padri non risentono della nascita del figlio in termini di reddito percepito, il gap salariale tra i generi non viene recuperato. Nell’anno successivo la nascita del figlio/a cresce fino al 30% e si mantiene a un livello simile anche per i successivi sette anni. Si evidenzia, inoltre, che nell’anno successivo alla nascita del primo figlio le madri presentano una probabilità di lasciare la propria occupazione nel settore privato di circa il 18%, superiore a quella che si riscontra negli anni precedenti la maternità, che è pari a circa l’11%.
Per i padri, invece, la probabilità di uscita non subisce variazioni sostanziali e continua a ridursi dopo la paternità. Dati inequivocabili che evidenziano come la genitorialità tende a spingere le madri fuori dal mercato del lavoro o verso occupazioni in settori diversi da quello privato, un fenomeno che non si riscontra per i padri. Questi numeri spiegano anche le ragioni delle retribuzioni inferiori delle lavoratrici. Gran parte di questo gap è imputabile al diverso effetto che la genitorialità produce su uomini e donne. In una società borghese, che assegna agli uomini il compito di provvedere al sostentamento della famiglia e alle donne le responsabilità della cura dei figli e della gestione domestica, la nascita di un figlio influenza il percorso lavorativo di donne e uomini in modo molto diverso.
In Italia la forte impronta patriarcale e il retaggio della religione cattolica marcano ancora di più questo aspetto che nei paesi protestanti e del nord Europa. Le donne sono costrette a un lavoro che deve essere adeguato alle esigenze dei figli, con una scuola che ha lunghi periodi di chiusura e orari corti incompatibili con chi lavora a tempo pieno e asili insufficienti, in alcune zone del Mezzogiorno totalmente inesistenti. La legge sulla istituzione dei nidi pubblici risale al 1971 e siamo ancora al 13% di bimbi che vanno a nidi pubblici, e al 28% in totale considerando anche quelli privati. Non è certo un caso se l'occupazione femminile in Italia è all'ultimo posto in Europa, con il 55% contro la media UE del 70%.
Questo lavoro necessariamente a singhiozzo e part-time, intermittente, in settori maggiormente flessibili ma meno remunerativi, inevitabilmente si riflette sulle lavoratrici al momento della pensione. Un dato parla per tutti: il divario di genere per i trattamenti liquidati nel 2023 è stabile al 27%. I divari maggiori si riscontrano nelle regioni dove le prestazioni sono, in media, più elevate. In Veneto il divario è del 32%, in Trentino, in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia è del 31%. I valori più bassi si registrano in Calabria (18%), Sardegna (20%) e Campania (20%), ma perché le stesse pensioni degli uomini sono da fame. Il divario sale al 30% se si escludono i trattamenti assistenziali che, tipicamente, hanno differenziali di genere più contenuti.
E il governo neofascista Meloni che fa per restringere il divario economico salariale e pensionistico tra lavoratrici e lavoratori? Niente, come gli esecutivi precedenti. Si danno solo dei bonus e si monetizzano le nascite: bonus bebè, bonus asilo nido, allargamento dei congedi parentali per i padri. Tutti palliativi che non favoriscono le lavoratrici e le coppie in generale. Il governo ha una visione reazionaria della donna e della famiglia, e pensa ad incentivare la natalità con la logica mussoliniana, ovvero più figli per la patria, per preservare l'“italianità” e combattere la “sostituzione etnica”, e se la donna ha difficoltà a lavorare pazienza, torni al focolare domestico.
Eppure una recente indagine dell'Istat ha rilevato che il 74,5% di giovani e giovanissimi tra 11 e 19 anni pensa (a prescindere dal matrimonio) di vivere in coppia e che la maggioranza di loro vorrebbe due figli. Evidentemente poi i desideri si scontrano con la realtà, e la retorica (e il razzismo) del governo non serve alle coppie che cercano un lavoro sicuro e dignitosamente remunerato per sostenere i figli. Servirebbero leggi e interventi che tutelino il lavoro delle donne, in special modo prima e dopo la nascita dei figli, abitazioni a prezzi calmierati, servizi domestici collettivi, asili e scuole (con adeguato personale) che si occupino a tempo pieno di bambini e ragazzi.
Il governo invece si muove in senso contrario: sono stati apportati tagli ai fondi del PNRR dedicati al tanto decantato “Piano asili”, mentre il “Piano scuola 4.0”, avviato dal banchiere massone Draghi, dopo la caduta del suo governo segna ritardi e mancate assegnazioni di destinazioni. Il tutto ovviamente ricade negativamente sulle donne e le lavoratrici in particolar modo.

2 ottobre 2024