Inaugurato il centro di detenzione a Gjader
Migranti deportati in Albania
Per von der Leyen l'accordo Italia-Albania sull'immigrazione è un modello per i paesi dell'Ue
I magistrati italiani, però, hanno subito messo in difficoltà il governo Meloni
Lo scorso 16 ottobre sono sbarcati nel porto di Shengjin, in Albania i primi 16 migranti – 10 bengalesi e 6 egiziani - destinati al centro di detenzione per migranti che si trova in un'area isolata nel territorio di Gjader, nell'entroterra. Voluto dal governo Meloni e gestito in combutta con la marina militare italiana, che si occupa del trasporto via mare, nonché in combutta con l'arma dei carabinieri, con la polizia di Stato, con la guardia di finanza e con la polizia penitenziaria, che si occupano della sorveglianza dei migranti, il centro – che potrà ospitare a pieno regime fino a 1.000 richiedenti asilo - è stato aperto con la piena complicità del capo del governo albanese Rama, il quale spera che questa mossa gli faccia da viatico per entrare nell'Unione europea.
Destinato a essere ampliato ulteriormente, realizzato in una zona impervia e disabitata, la popolazione albanese viene comunque tenuta a debita distanza dalla polizia albanese mentre gli unici controlli su ciò che avviene nel centro, all'interno del quale vige la legge italiana, saranno quelli dei parlamentari – che già ci sono stati, ma che ovviamente non possono essere lì tutti i giorni – e degli avvocati – i quali dovranno affrontare il viaggio dall'Italia, per cui si prevede che ben pochi di loro andranno ad assistere legalmente i migranti e a controllare che la legge sia rispettata.
Quattro dei migranti, due in quanto minorenni e due in quanto malati, sono stati riportati con una nave della marina militare nel porto italiano di Brindisi. Nel centro albanese, infatti, possono essere trasferiti solo migranti che siano in possesso di tutte e tre le seguenti caratteristiche: devono essere di sesso maschile, di sana e robusta costituzione e devono provenire da Paesi considerati sicuri. La procedura adottata per loro è estremamente accelerata e velocissima è l'espulsione verso il Paese di origine.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che già lo scorso dicembre aveva appoggiato il progetto italiano di esternalizzazione delle frontiere sostenendo che "è in linea con il diritto comunitario
" ha recentemente scritto ai leader europei invitandoli a valutare l'opportunità di istituire "hub per i rimpatri al di fuori dell'Ue, soprattutto in vista della nuova normativa sul rimpatrio
", indicando espressamente l'accordo tra l'Italia e l'Albania, che ha portato all'istituzione del centro di Gjader,, come modello da seguire: “con l'avvio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania
– ha concluso la Von der Leyen - saremo anche in grado di trarre lezioni pratiche
”.
Tuttavia il percorso della Meloni, benedetto politicamente dalla Ue, non è privo di gravi ostacoli sul suo cammino.
Il primo ostacolo è venuto da una delegazione di quattro parlamentari italiani dell'opposizione che si sono recati nel centro di detenzione albanese per verificare come realmente stiano andando le cose: si tratta di Paolo Ciani e Rachele Scarpa del Pd, di Riccardo Magi di +Europa e di Francesca Ghirra di Avs.
“È una struttura molto grande
– ha affermato Ciani dopo la visita alla stampa - completamente recintata da grate metalliche, in alcuni punti anche come soffitto. Vere e proprie gabbie
”. “Il Cpr poi
– ha proseguito Ciani - è allucinante, una struttura detentiva pesante, con porte spesse, sbarre, inferriate. Tanto - afferma il deputato - che non si notano differenze quando si passa nel vero e proprio carcere, lì dove dovrebbe essere detenuto chi commette reati a Gjader o nel centro di prima accoglienza, l’Hot spot a Shengjin sulla costa
”.
Magi ha precisato che vi sono “due giri di recinzione, un terzo attorno al Cpr
” aggiungendo che “sembra un carcere di massima sicurezza, opprimente e isolato tra le montagne. Ci hanno detto che qui d’inverno si gela e d’estate si arriva a 50 gradi
”. Il paragone con un carcere fatto da Magi non è certo una forzatura, perché a dirigere la struttura è stata chiamata Silvana Sergi, l'ex direttrice del carcere giudiziario romano di Regina Coeli che per il momento ha a disposizione 12 appartenenti alla polizia penitenziaria, ai quali in futuro si aggiungeranno anche appartenenti alla polizia di Stato, all'arma dei carabinieri e alla guardia di finanza.
“Prima di arrivare qui
- ha proseguito Magi - pensavo il peggio possibile di questo posto. Credevo che dalla seconda guerra mondiale non si vedessero più in Europa delle colonie detentive per stranieri aperte da un Paese nel territorio di un altro Paese. Ora, il mio giudizio è ancora più severo: questo posto ha tutte le sembianze di un lager
”.
I quattro parlamentari hanno riferito di colloqui da essi intrattenuti con i migranti rinchiusi e le storie si assomigliano tutte, con periodi lunghi trascorsi in Libia dove sono imprigionati dalla marmaglia armata libica, torturati, costretti a lavorare come schiavi con la prospettiva, dopo due anni, di potersi imbarcare per l'Europa. Eppure alcuni sono stati ripresi in mare dagli aguzzini della guardia costiera libica, portati indietro per essere nuovamente torturati e imprigionati per altri mesi prima di poter partire.
Il secondo ostacolo al progettato lager albanese del governo Meloni è giunto dalla magistratura, ossia da un giudice della sezione immigrazione del Tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento in Albania dei restanti 12 migranti bengalesi ed egiziani in quanto provenienti da Paesi non sicuri.
Il giudice ha infatti motivato la sua ordinanza considerando che il Bangladesh solo recentemente ha abbattuto la dittatura corrotta e repressiva di Sheikh Hasina Wazed, al potere quasi ininterrottamente da ventotto anni mentre l'Egitto dal 2013, anno del colpo di Stato che lo ha portato al potere, conosce il violento pugno di ferro repressivo del generale Abdel Fattah al-Sisi, e basterebbe la vicenda del povero Regeni a ricordarlo.
Né il Bangladesh, quantomeno all'epoca in cui i migranti lo lasciarono ma il discorso, secondo il giudice romano, vale ancora oggi, né tanto meno l'Egitto possono essere considerati Paesi sicuri in quanto, sempre secondo il ragionamento del giudice, per dichiarare sicuro uno Stato non è sufficiente che esso non sia coinvolto in una guerra civile o internazionale, ma è fondamentale che in esso siano garantiti almeno i fondamentali diritti umani, e in base a tale presupposto il giudizio non può che essere negativo.
Il Tribunale di Roma, dal punto di vista giuridico, ha fondato la sua decisione su una sentenza del 7 maggio scorso della Corte di giustizia dell’Unione europea che, interpretando le norme della direttiva n. 2013/32 che disciplina le procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, ha ritenuto che “la designazione di un Paese come di origine sicuro dipende dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione
” e tiene presenti decisioni già adottate da altri tribunali, come quella del Tribunale di Palermo dello scorso 10 ottobre che ha definito la Tunisia non sicura, con la conseguenza che al cittadino tunisino richiedente asilo non potrà applicarsi la frettolosa procedura di espulsione.
L'ordinanza del Tribunale di Roma è un vero e proprio smacco al governo Meloni, tanto che il guardasigilli Nordio a margine di un convegno a Palermo ha bollato il provvedimento giurisdizionale come “abnorme
” e ha affermato che “non può essere la magistratura a definire uno Stato più o meno sicuro, è una decisione di altissima politica. Prenderemo dei provvedimenti legislativi
”. Sarà insomma il governo a sottoporre la magistratura alle proprie definizioni burocratiche, diplomatiche e assolutamente lontane dalla realtà, un atteggiamento nei confronti dei magistrati che fu tipico del regime fascista, il quale non soltanto sottomise l'intera magistratura all'aberrante normativa fascista, ma selezionò, tra i magistrati ambiziosi, delinquenti senza scrupoli del calibro di Azzariti, Manca e Petraccone affinché componessero quella vergogna del tribunale della razza per colpire gli ebrei, e spedì un criminale in toga del calibro di Guerrazzi a dirigere la vergognosa Corte d'appello di Addis Abeba per colpire i neri.
Se ieri Mussolini deportava gli ebrei, oggi la sua discepola Meloni, rinnovando e aggiornando quelle leggi razziali, deporta i migranti, gli islamici e i poveri di pelle nera che cercano di sfuggire alla fame in cui sono condannati nei loro paesi di origine e alle persecuzioni politiche di regimi dispotici e corrotti.
23 ottobre 2024