Stellantis per restare in Italia vuole soldi e incentivi
Tavares, ad della multinazionale, in audizione alla Camera insulta gli operai

L'ad di Stellantis Carlos Tavarez è stato sentito in audizione in parlamento l'11 ottobre scorso, alla Camera, dove ha spiegato che i costi produttivi sono troppo alti in Italia, insultando quindi gli operai, l'unico modo per rimanere nel nostro Paese quindi è battere cassa, chiedere ulteriori soldi al governo, senza alcun impegno da parte dell'azienda sull'occupazione e sul destino degli stabilimenti.
La retorica di Tavarez è truffaldina: chiede soldi per l'azienda ma dice che i soldi non sarebbero per Stellantis ma per consentire l'acquisto di nuove vetture da parte dei clienti italiani, dice di volere scommettere sull'elettrico ma sostiene che un auto elettrica costa il 40% in più di un auto con il motore endotermico, è difficile rientrare di questi costi.
Sostiene che la gigafactory di Termoli, la mega produzione delle celle Bev è nei piani dell'azienda, ma solo se la richiesta del mercato punterà sull'elettrico, come dire che dipende da come si muove il mercato, non da una precisa scelta irreversibile dell'azienda.
In questo quadro le organizzazioni sindacali non hanno potuto fare altro che confermare lo sciopero del 18 ottobre del settore automotive.
Tavares si lamenta: “Sento da parte vostra rabbia, un certo livore. Lo stesso atteggiamento che hanno i lavoratori. È una situazione molto difficile. I regolamenti decisi, che sono alla base della situazione attuale, non sono stati imposti da Stellantis, non è corretto fare una grande insalata. Ci sono stati imposti. Non chiediamo soldi per noi, ma chiediamo a voi di darci aiuto per i vostri cittadini che così possono acquistare dei veicoli che si possono permettere. Non sono soldi che vanno a Stellantis ma sono soldi che vanno a ridurre i costi. In Italia i costi sono troppo alti, quello dell'energia per esempio è il doppio che in Spagna. Dovete spiegarmi come si fa a gestire questo problema. I veicoli cinesi costano il 30% in meno dei nostri e questo non fa che aumentare la pressione sull’industria automobilistica” che sta affrontando la transizione elettrica con costi in rialzo “del 40% che cerchiamo di assorbire”.
“La situazione è veramente difficile, non mi stupisco del fatto che il nostro settore sia sotto pressione”. L’auto elettrica porta “un aumento dei costi del 40%, ma il sistema non è in grado di assorbire prezzi più elevati”. “Io ho un aumento del 40% dei costi. Per forza. Con questo 40% di aumento dei costi, creo all’interno della filiera una tensione insopportabile”, ha aggiunto il top manager che si è rivolto alla platea di deputati: “Voi leader politici dovete spiegarmi come gestire gli attriti che mi portano a dover aumentare i costi del 40%. La mia è solo una parte, ma ho la responsabilità nei confronti dei lavoratori anche sociale. Non è un problema a breve, ma a lungo termine”.
Per invertire la rotta, secondo il pescecane Tavares, serve “stimolare la domanda, aiutando la classe media con incentivi e sussidi. Bisogna sostenere la domanda con notevoli iniezioni di incentivi, altrimenti non ce la facciamo”.
La colpa delle difficoltà in Italia viene attribuita esclusivamente all'elettrico, ma in realtà si produce una sola vettura elettrica, la 500, nel nostro Paese.
Sullo sfondo la competizione con le aziende produttrici di veicoli della RPC, il ruolo sempre più importante dei francesi in Stellantis e il calo delle vendite dell'ultimo anno anche in Italia.
La crisi è evidente, la produzione è tornata ai tempi del 1957, appena 387. 600 auto e furgoni commerciali assemblati nei primi 9 mesi dell’anno contro i 567. 525 del 2023. 30 anni fa erano 1 milione e mezzo. L’impatto del crollo dei volumi sta avendo un riflesso sulla filiera: aumenta la cassa integrazione nella componentistica, che conta oltre 2 mila aziende, complici lo spostamento di catene di fornitura e la riduzione dei margini riconosciuti. Il gruppo è passato da quasi 52 mila lavoratori a poco più di 15 mila. In ambienti sindacali si fa notare anche come non sia un segnale positivo la svalutazione messa a bilancio per 263 milioni delle immobilizzazioni immateriali, cioè degli impianti. Il timore è che sia frutto dei flussi finanziari futuri previsti: vorrebbe dire che nei prossimi anni Stellantis si aspetta una riduzione produttiva in Italia, cosa che Tavares a parole smentisce, ma intanto importanti modelli vengono costruiti all'estero. Nei principali stabilimenti rimasti si lavora poco, spesso in cassa integrazione.
Noi marxisti-leninisti lo avevamo detto, al massimo livello, sin dall'inizio che per salvare questa grande azienda, certamente d'importanza nazionale, costruita col sudore di numerose generazioni di operai, non c'era che la strada della nazionalizzazione e della riconversione produttiva. E i fatti ci stanno dando ragione al cento per cento. Perciò riproponiamo questa proposta di carattere strategico. Per noi tutto il gruppo Fiat va nazionalizzato e senza indennizzo in quanto lo Stato ha già pagato abbastanza. Va riconvertito, nell'ambito di una politica generale dei trasporti pubblici basato principalmente su rotaie, via mare e via aerea. Includendo anche la ricerca e la produzione dell'auto ecologica.
 
23 ottobre 2024