Con un decreto legge
Il governo Meloni impone ai magistrati i paesi “sicuri”
Mattarella lo firma senza fiatare e copre l'attacco dei neofascisti ai giudici
La sentenza del Tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento di 12 richiedenti asilo provenienti da Egitto e Bangladesh nel lager di Gjader in Albania, mostrando a tutto il mondo l'illegalità e il fiasco dell'operazione del governo per espellere con procedura accelerata i migranti senza che mettano i piedi sul suolo italiano, ha mandato su tutte le furie Giorgia Meloni che ha reagito scatenando una feroce campagna contro i magistrati e tentando di obbligarli per decreto, con la complicità di Mattarella, ad applicare passivamente la volontà dell'esecutivo.
I 12 richiedenti asilo facevano parte di un primo gruppo di 16 deportati nel lager di Gjader appena inaugurato (il primo dei due previsti per un costo di circa 800 milioni, poco meno dei soldi stanziati per la sanità nel 2025), e dovevano fare da apripista alla strombazzatissima operazione di esternalizzazione della frontiera italiana in Albania voluta a tutti i costi dalla premier neofascista, appoggiata con entusiasmo come un “modello” per tutta l'Europa anche dalla rieletta presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La deportazione era avvenuta con una nave militare al costo di 300 mila euro, e con tanto di trasferta in Albania anche della commissione d'esame dell'asilo per accelerare al massimo la procedura di espulsione, che difatti aveva respinto tutte le richieste a tempo di record.
Senonché 4 dei 16 migranti avevano dovuto essere riportati subito in Italia, mancando dei requisiti per il trattenimento, e il giorno successivo è arrivata l'ordinanza di rientro in Italia anche per gli altri 12 (il protocollo d'intesa con Tirana esclude il rilascio dei migranti in territorio albanese); e ciò, recitava la sentenza del Tribunale di Roma del 18 ottobre, “in applicazione dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa Amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024”.
Cosa dice la sentenza della Corte europea
Infatti secondo tale pronuncia, che proviene da una legislazione sovranazionale e perciò sovrasta quella italiana, un paese non può essere considerato “sicuro”, ai fini del rimpatrio forzato, solo per alcune categorie di richiedenti asilo e altre no. Un paese deve essere considerato “sicuro” per tutti o per nessuno. Il governo Meloni ha designato 22 paesi “sicuri”, ma per 15 di questi, compresi Egitto e Bangladesh, ha escluso alcune categorie considerate a rischio in quei paesi. Da qui l'illegittimità del trattenimento dei 12 in Albania in contrasto con la suddetta sentenza della Corte europea per i diritti umani, obbligatoriamente e doverosamente applicata dai giudici romani.
Da notare che la sentenza deve essere immediatamente esecutiva per i governi europei, e quello italiano lo sapeva benissimo, solo che aveva tutto l'interesse a fingere di ignorarla e a forzare il più possibile le regole, finché è dovuta intervenire la magistratura a far rispettare la legge. Beccata in castagna dalla sentenza di Roma mentre era in “missione” a Beirut, furibonda per la figuraccia internazionale della sua osannata “creatura” italo-albanese, la ducessa sbottava: “Troverò una soluzione anche al problema, ho già convocato il Consiglio dei ministri lunedì (21 ottobre, ndr), intendo andare avanti: gli italiani mi hanno chiesto di fermare l’immigrazione illegale, farò del mio meglio per limitarla. Mi dispiace che, mentre l’Europa guarda con interesse a quello che sta facendo l'Italia, ci mettiamo da soli i bastoni tra le ruote”.
E mentre con ciò annunciava il varo di un decreto ad hoc per neutralizzare l'effetto della sentenza della Corte del Lussemburgo, dava ordine ai suoi di scatenare una violenta campagna contro la magistratura, accusandola di travalicare i suoi limiti e di non “collaborare” col governo, smontando le sue leggi invece di applicarle: come se la magistratura dovesse essere già oggi agli ordini del governo, anticipando la controriforma costituzionale piduista della separazione delle carriere dei magistrati ancora in discussione in parlamento.
Minacce di morte alla giudice Silvia Albano
Una campagna su due fronti, con l'impiego massiccio della stampa neofascista al servizio del governo con il compito di prendere di mira personalmente i giudici della sezione Immigrazione del Tribunale di Roma, e in particolare la giudice Silvia Albano, accusata di essere una “toga rossa” per la sua appartenenza alla corrente di Magistratura democratica, e perché nei suoi confronti la destra neofascista ha un vecchio conto da regolare: non le perdona di aver preso le difese un anno fa della giudice catanese Iolanda Apostolico, attaccata violentemente da Salvini per non aver applicato le norme illegali del decreto Cutro ad alcuni richiedenti asilo. In quell'occasione la Albano aveva denunciato a “La Repubblica” del 8 ottobre che “stanno facendo un’operazione squadrista. Hanno stilato una lista nera. C’è un clima di pesantissima intimidazione nelle nostre sezioni”. Adesso, grazie alla sporca campagna del governo e dei suoi tirapiedi mediatici, la giudice sta ricevendo anche minacce di morte nelle sue email.
A sua tutela il Csm ha aperto una pratica con un documento adottato a maggioranza, senza i voti dei consiglieri laici della destra e della corrente filogovernativa di Magistratura indipendente. Ricordiamo però che non è ancora riuscito ad approvare a tutt'oggi quella a tutela della giudice Apostolico. É intervenuta anche l'Anm, con un documento che chiedeva “con forza” di rispettare l'indipendenza della magistratura, dalla quale non ci si può aspettare “la necessità di collaborazione con il governo di turno”. Mattarella, che è anche presidente del Csm, manteneva invece sulla vicenda un assordante silenzio, salvo i soliti insulsi richiami alla “collaborazione” fra le istituzioni dello Stato, che di fatto coprono gli attacchi del governo neofascista.
Violento attacco alla magistratura “eversiva”
Il secondo fronte era quello politico, direttamente da parte del principale partito di governo, rivolto ad attaccare la magistratura nel suo complesso, portato avanti in particolare dal fedelissimo sottosegretario della Meloni, Giovanbattista Fazzolari, che ha definito “illegittima” la sentenza di Roma la quale denota una “supponenza e arroganza preoccupante”; nonché dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che prima ha definito “abnorme” la sentenza, e successivamente ha dichiarato, senza mezzi termini, che “se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere (...) deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare”. Anche il fascista La Russa è entrato a gamba tesa, con tutta la sua forza di seconda carica dello Stato, per invocare una modifica costituzionale per “rendere più chiari i confini della magistratura” rispetto al governo.
La stessa premier neofascista è intervenuta più volte a guidare personalmente l'attacco ai magistrati, come ha fatto postando in evidenza sul suo account “X” un titolo de “Il Tempo” (“'Meloni oggi è un pericolo più forte di Berlusconi, dobbiamo porre rimedio'. La mail choc del magistrato”), per suggerire un attacco “eversivo” delle “toghe rosse” contro la sua persona: il fogliaccio fascista aveva riportato infatti degli estratti di una email del sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello, inviata nella mailing list di Magistratura democratica (vedi documento completo pubblicato a parte), appositamente extrapolati dal contesto per dimostrare un presunto nuovo “caso Palamara”.
Intervistata poi dallo stesso autore della manipolazione, l'ex PD Tommaso Cerno oggi direttore del quotidiano neofascista romano, ha finto di fare una mezza marcia indietro, dicendo “non voglio parlare di complotto e non credo ci sia un disegno per sovvertire la volontà popolare”; ma invece ha subito rincarato la dose rimarcando che “in questa nazione una politica forte, che non ha scheletri nell’armadio e non è condizionabile, è un problema per molti, per tutti quelli che hanno costruito imperi sulla debolezza della politica”.
Le due direttrici del decreto anti giudici
Nel frattempo il suo sottosegretario e consigliere Mantovano, e i ministri Nordio e Piantedosi, in collegamento continuo con gli azzeccagarbugli del Quirinale per gabbare i vincoli costituzionali, mettevano a punto il decreto per rimettere in moto la macchina inceppata dei respingimenti in Albania aggirando la sentenza dei magistrati e quella della Corte europea. L'idea era di fissare per legge la lista dei paesi “sicuri”, che prima era stabilita da un decreto interministeriale, e quindi di rango inferiore, per renderla più cogente per i magistrati. O quantomeno obbligarli a ricorrere alla Corte costituzionale, allungando così i tempi di trattenimento dei migranti nei Cpa. E in aggiunta a ciò di inserire un grado di ricorso in appello per il governo, che finora poteva ricorrere contro le sentenze di rilascio solo in Cassazione, con procedura che richiedeva tempi lunghi.
E così è stato fatto, con l'adozione nel Consiglio dei ministri del 21 ottobre del decreto recante “disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale”, che fissa una lista di 15 paesi definiti “sicuri” in base a “valutazioni di intelligence”, da aggiornare anno per anno con “atto avente forza di legge” e contro il quale si può ricorrere solo per “gravi e circostanziate ragioni”. Dalla vecchia lista di 22 sono stati tolti il Camerun, la Colombia e la Nigeria, tanto per poter sostenere di aver rispettato la direttiva europea del 4 ottobre. Restano invece “sicuri” per il governo l'Egitto del fascista Al Sisi, che ha torturato e ucciso Regeni, e la Tunisia del dittatore Saied, che abbandona nel deserto i migranti riportati dall'Italia.
Inoltre adesso, in caso di bocciatura del trattenimento, con l'aggiunta dell'articolo 4-bis al decreto legge n. 25/2008, il governo può fare ricorso in corte d'appello entro 5 giorni e con decisione obbligatoria entro 10 giorni. Una norma che dapprima sembrava essere stata ritirata, per la forte opposizione dei 26 presidenti delle corti d'appello che temono di essere subissati dai ricorsi delle prefetture e di mettere a rischio l'applicazione del PNRR. Cosa che aveva preoccupato anche Mattarella, ma poi la norma è stata reinserita all'ultimo minuto, e del resto quest'ultimo ha poi firmato il tutto senza fare troppe storie, come si erano illusi invece i partiti dell'opposizione aventiniana.
Anticipo delle nuove regole fasciste europee sull'asilo
Anzi, proprio mentre avallava il decreto fascista anti migranti e anti magistrati del governo, l'inquilino del Quirinale faceva pure un altro vergognoso asse con la premier neofascista contro la denuncia del Consiglio europeo sulle discriminazioni, che accusava la polizia italiana di razzismo verso i migranti di origine africana e i rom, esprimendo il suo “stupore” per la denuncia e inviando subito un messaggio di solidarietà al capo della polizia (vedi articolo specifico in altra parte del giornale).
In conferenza stampa di presentazione del decreto il ministro Nordio ha avuto la faccia tosta di dire che la sentenza europea “non è stata capita” dai giudici italiani, forse perché “scritta in francese”. “Ora – ha sentenziato trionfante il Guardasigilli neofascista – non potranno disapplicare la nuova legge. Al massimo potranno fare ricorso alla Corte costituzionale”.
Infatti, nonostante che la stessa Corte del Lussemburgo abbia ribadito che “le sentenze europee sono immediatamente vincolanti per gli Stati membri”, e che diversi magistrati e giuristi abbiano confermato che il decreto non farà venir meno il principio di prevalenza delle regole internazionali su quelle nazionali, l'obiettivo della neofascista Meloni è quello di ostacolare il più possibile il lavoro dei giudici, e guadagnare tempo per tenere in piedi il congegno illegale e disumano, concordato col suo compare fascista Rama, per automatizzare i respingimenti lontano da occhi indiscreti. E ciò in attesa dell'entrata in vigore delle nuove regole razziste e xenofobe su immigrazione e asilo già approvate dal Consiglio dei governi europei prevista per il giugno prossimo: regole molto simili a quelle che lei ha già anticipato con i lager italiani in Albania e il conseguente decreto anti giudici.
30 ottobre 2024