Auspicando che sia indetto anche dai sindacati di base, sia pure in maniera critica e con le proprie piattaforme
Viva lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil
Ma la piattaforma è insufficiente e non chiede di abbattere il governo neofascista Meloni
La manovra antipopolare non è da “cambiare” ma da affossare
Le direzioni di Cgil e Uil hanno proclamato uno sciopero generale di 8 ore per la giornata di venerdì 29 novembre. Lo hanno annunciato il 30 ottobre con una conferenza stampa i segretari delle due confederazioni sindacali, Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, precisando che non ci sarà una manifestazione nazionale ma solo delle manifestazioni territoriali, e che la mobilitazione è stata indetta per chiedere di cambiare la manovra di bilancio, considerata “del tutto inadeguata a risolvere i problemi del paese, e per rivendicare l'aumento del potere d'acquisto di salari e pensioni e il finanziamento di sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali”. Rivendicazioni a cui si aggiungono la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e il ritiro del ddl 1660 “sicurezza”.
Invece la Cisl non parteciperà allo sciopero, avendo dato anche stavolta un giudizio positivo sulla legge di Bilancio: ormai il crumiraggio del sindacato di Luigi Sbarra, il quale ha dichiarato che con essa “le nostre priorità sono diventate risultati”, è una costante su cui il governo neofascista Meloni sa di poter contare in partenza ad ogni sua manovra antipopolare.
Salutiamo con soddisfazione la proclamazione di questa importante mobilitazione generale, anche se decisa tardivamente, quando la legge è già stata scritta e depositata, praticamente blindata, in parlamento. Ma comunque è una risposta quantomai attesa contro la terza manovra antipopolare consecutiva di questo governo neofascista, ancor peggiore e devastante delle precedenti, che mentre non toglie un solo euro agli enormi e crescenti profitti dei capitalisti realizzati in questi anni e favorisce con condoni, concordato preventivo, agevolazioni e incentivi fiscali e flat tax le imprese, le corporazioni del lavoro autonomo e gli evasori fiscali, concede solo briciole ai lavoratori dipendenti e pensionati, che non recuperano neanche l'erosione dovuta all'inflazione, mentre taglia pesantemente la sanità, l'istruzione, i trasporti, i servizi e l'assistenza sociali e stanzia invece ingenti aumenti alla difesa e agli armamenti.
Salari e pensioni al palo, profitti alle stelle e intoccabili
Solo per citare alcune delle misure più significative della manovra per il 2025: su quasi 30 miliardi complessivi, peraltro per un terzo coperti con nuovo debito, quasi 13 sono destinati a confermare il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti (pagato in realtà dagli stessi lavoratori, e infatti ha già provocato un buco nei conti dell'Inps), trasformato in un sistema di bonus a fasce salariali fino a 40 mila euro, col risultato che non solo i lavoratori non riceveranno nessun aumento rispetto ad oggi, ma molti avranno addirittura una riduzione della retribuzione. La Cgil stima infatti in 17 miliardi il drenaggio fiscale ai danni dei lavoratori stessi. E i soldi stanziati per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego arrivano al 6%, ma non recuperano neanche la metà dell'inflazione dall'ultimo rinnovo, che è stata del 16,1%. Altri 4,8 miliardi andranno a confermare la riduzione da 4 a 3 aliquote dell'Irpef, che però è quasi tutta a vantaggio dei redditi medio-alti, tra i 35 mila e i 40 mila euro.
Secondo uno studio dell'Osservatorio delle Imprese della Facoltà di Ingegneria dell'Università La Sapienza di Roma, dal 2019 al 2023 il fatturato e il valore aggiunto delle aziende medie e grandi in Italia sono cresciuti rispettivamente del 34% e del 33%, ma la quota parte che è andata al lavoro è scesa del 12%, mentre quella dell'utile netto è salita del 14%. I salari sono diminuiti quindi non solo rispetto all'inflazione, ma anche rispetto ai profitti, che secondo questo studio per l'80% non sono stati neanche reinvestiti nelle aziende.
Anche per i pensionati non c'è nessun beneficio in più, salvo la non conferma della riduzione dell'indicizzazione delle pensioni medio-alte, ma senza recupero dei soldi già tagliati, ed un ridicolo aumento di 3 euro al mese per le pensioni minime. Come non c'è nessun “superamento” della Fornero, ma solo la conferma delle misure fortemente penalizzanti per il pensionamento anticipato attuali: Quota 103 “contributiva” (previsti solo 6 mila lavoratori nel 2025), Ape sociale e Opzione donna “ristretta”, che riguarderà appena 2.600 mila lavoratrici.
Poiché a parte 9 miliardi ricavati da nuovo debito, altri 3-4 miliardi che Giorgetti si vanta di aver tolto agli extraprofitti delle banche (ma che in realtà sono solo detrazioni fiscali differite che gli verranno restituite tra qualche anno), più qualche altro miliardo dalle imposte sui giochi, aumento delle accise ecc., non ci sono altre nuove entrate se non quelle che il governo spera arrivino dal concordato preventivo (già destinate comunque all'estensione dell'incostituzionale flat tax), il capitolo dei tagli lineari alla spesa è uno dei più corposi di questa manovra. I tagli ammontano a 12 miliardi in tre anni e riguardano la spesa di tutti i ministeri e degli Enti locali. E in particolare la scuola, l'università e la ricerca, i trasferimenti a Regioni, Province e Comuni, i trasporti, la cura del territorio e delle acque, la sicurezza civile, la cultura e altri servizi sociali.
Tagli alla sanità pubblica e più miliardi alla difesa
Fanno eccezione solo i ministeri della Salute e della Difesa. Ma l'aumento tanto vantato dalla Meloni del Fondo sanitario nazionale (1,3 miliardi lordi per il 2025) è solo fittizio, perché non recupera neanche l'inflazione (che per l'Istat è stata del 15,5% nel periodo 2021-2024, a fronte di aumenti del Fondo per il 10% complessivo), ed è praticamente assorbito dai rinnovi contrattuali dei lavoratori della sanità, peraltro pochi spiccioli al mese. Mentre si rinviano quantomeno al 2026 le risorse per affrontare i drammatici e urgenti problemi dell'assunzione straordinaria di medici e infermieri e dell'abbattimento delle enormi liste d'attesa per interventi ed esami diagnostici. Salvo destinare le poche risorse che avanzano alla detassazione degli straordinari e ad un aumento della quota per la sanità privata convenzionata: il che conferma la linea dello smantellamento del SSN e della privatizzazione progressiva della sanità perseguita sistematicamente dal governo neofascista. Per questo medici e infermieri hanno indetto uno sciopero nazionale per il 20 novembre e parteciperanno anche allo sciopero generale del 29.
Alla difesa, e a nuovi sistemi d'arma in particolare, sono destinati invece ben 39 miliardi per i prossimi tre anni, 13 l'anno in media, l'80% degli investimenti dell'intero bilancio. Per coprire queste ingenti risorse è stato prelevato perfino l'80% del fondo per il sostegno all'auto elettrica e alla mobilità sostenibile (5,8 miliardi), con ricadute anche su tutta la filiera dell'indotto e dei trasporti pubblici elettrici. Per il Mezzogiorno c'è solo la riconferma degli sgravi contributivi per le imprese che assumono nelle regioni Zes, che scaricano gli oneri delle aziende sulla collettività senza creare vero sviluppo. E a tutto ciò va aggiunto che in base al nuovo patto di stabilità firmato con la Commissione europea per ridurre il debito italiano, il governo si è impegnato a recuperare 13 miliardi di euro di spesa ogni anno per i prossimi sette anni.
Dare allo sciopero generale un giusto indirizzo di classe
Di fronte ad una manovra così sfacciatamente classista, antioperaia e antipopolare, lo sciopero generale proclamato dalle direzioni di Cgil e Uil era necessario e doveroso, ma la loro piattaforma è insufficiente, e soprattutto manca di qualsiasi visione strategica. Questa legge di Bilancio non va “cambiata” ma va affossata con lo sciopero generale e con la lotta di piazza. Lo stesso Landini ha ammesso in conferenza stampa che “il governo ha già annunciato che nel passaggio parlamentare potranno essere fatti solo piccoli ritocchi al massimo per 100 milioni per gli emendamenti”. Dunque non si capisce che cosa si aspettano Landini e Bombardieri dalla convocazione il 5 novembre a Palazzo Chigi (incontro poi rimandato al 12), per far dire al segretario della Uil che se “dovessero ascoltarci, rivediamo lo sciopero”.
Questa prudenza e mancanza di fermezza non ha senso di fronte ad un simile assalto alle condizioni dei lavoratori e delle masse e allo smantellamento dello “Stato sociale” che questo governo neofascista sta portando avanti con pervicacia fin dal suo insediamento. Quel che occorre è, al contrario, mettere con decisione in campo tutta la forza del movimento operaio e dei lavoratori, e non solo per respingere in blocco la manovra del governo, ma per arrivare, attraverso un crescendo di scioperi, manifestazioni e lotte di piazza, fino allo sciopero generale nazionale con manifestazione a Roma davanti a Palazzo Chigi, per buttare giù il governo neofascista Meloni, che sta ripercorrendo in tutto e per tutto le orme di Mussolini: nella politica interna repressiva fascista e antimigranti, e in quella internazionale interventista, neocolonialista e imperialista, nonché nella politica economica, sociale, culturale, familiare e dei diritti civili.
Unire tutte le forze anticapitaliste contro il governo Meloni
È fondamentale perciò che tutte le forze anticapitaliste e i sindacati di base partecipino allo sciopero generale del 29 per cercare di caratterizzarlo politicamente, con le proprie posizioni e piattaforme critiche, non per il “cambiamento” della manovra ma per il suo affossamento e quello dello stesso governo neofascista Meloni. A questo proposito le parole d'ordine che noi proponiamo sono quelle del manifesto del PMLI che porteremo in piazza e che recita: “Basta con le manovre antipopolari, le misure fasciste e antimigranti, la sicurezza fascista, le manganellate, bassi salari, pensioni da fame, tagli alla sanità, ai servizi sociali e all'istruzione, precariato, morti sul lavoro, autonomia differenziata, premierato, Stati “sicuri”. Buttiamo giù il governo neofascista Meloni”.
Al momento tra i sindacati di base solo la Confederazione unitaria di base (Cub) e il Sindacato generale di base (Sgb) hanno dichiarato la loro partecipazione, con la propria piattaforma, allo sciopero generale del 29. Cobas, Sicobas e Unicobas non hanno espresso finora la loro posizione. L'Unione sindacale di base (Usb) ha confermato invece lo sciopero generale che ha proclamato per il 13 dicembre, perché pur definendo “sempre una buona notizia quando le grandi organizzazioni sindacali decidono di uscire dalla passività e chiamano i lavoratori alla lotta”, il loro annuncio “stride con il comportamento delle stesse organizzazioni ai tavoli negoziali”, dove firmano contratti al ribasso, e per di più assieme alla crumira Cisl.
A nostro avviso, pur condividendo in pieno queste critiche, si tratta di un errore perché non bisogna disperdere le forze anticapitaliste, e occorre invece che tutti indicano lo sciopero generale il 29, partecipando con le proprie insegne e posizioni critiche proprio per non lasciare campo libero alle direzioni riformiste e rinunciatarie di Cgil e Uil, e affinché la componente sindacale di classe diventi un unico fiume, in grado di pesare di più e influenzare la coscienza politica del proletariato e dei lavoratori verso la costruzione di un grande movimento di lotta per l'abbattimento del governo neofascista Meloni.
6 novembre 2024