Giudici di Bologna si rivolgono alla Corte di giustizia Ue contro il decreto “Stati sicuri”

Lo scorso 25 la Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini Ue del Tribunale collegiale di Bologna, presieduto da Marco Gattuso, ha emesso un'ordinanza di 25 pagine con la quale ha effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, previa sospensione del procedimento, della causa nel quale è parte un richiedente asilo del Bangladesh, e ciò affinché la Corte europea stabilisca criteri certi al fine di dichiarare sicuro o meno un Paese, con la conseguenza che potrebbe venire disapplicato il recente decreto legge n.158 del 21 ottobre 2024 con il quale il governo Meloni ha riformulato la lista dei Paesi che ritiene sicuri al fine di adottare le procedure accelerate di asilo in frontiera, ed anche in territorio albanese per ciò che riguarda il protocollo firmato da Italia e Albania relativamente ai migranti che, sbarcati sul territorio italiano, vengono in quest'ultimo Paese dirottati.
Secondo l'articolata pronuncia del Tribunale bolognese, i criteri usati dal governo Meloni per definire un Paese estero sicuro o meno contrastano con il diritto dell’Unione europea, in particolare con le direttive europee n. 32 e 33 del 2013, ancora vigenti, in attesa che vengano sostituite da un nuovo regolamento e da una nuova normativa sui rimpatri, che dovrebbe integrare la precedente direttiva 2008/115/CE, come previsto dal patto sulla migrazione e l’asilo, che l’Unione europea ha varato lo scorso maggio.
La questione, anche se ovviamente ha delle ripercussioni di tipo politico sulla correttezza dell'operato del governo Meloni, è squisitamente giuridica, consistendo in una questione pregiudiziale sollevata davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea al fine di giungere a una pronuncia che garantisca una interpretazione uniforme a livello europeo – e quindi, per ciò che riguarda l'Italia, nazionale - in modo da evitare l’apertura di un procedimento di infrazione contro il nostro Paese.
Il caso specifico del quale è stato investito il Tribunale di Bologna riguarda un cittadino bengalese che aveva impugnato, chiedendone la sospensione, il provvedimento di diniego di asilo politico emesso lo scorso 17 settembre dalla sezione di Forlì – Cesena della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna. Il provvedimento dell'autorità amministrativa aveva dichiarato manifestamente infondata la sua domanda di protezione internazionale in quanto, ad avviso della stessa, il Bangladesh doveva considerarsi un Paese sicuro.
Il Tribunale era pertanto chiamato a valutare se nel concreto caso in esame la proposizione del ricorso a un giudice avesse prodotto l’automatica sospensione del provvedimento impugnato o se comunque ricorressero motivi gravi e circostanziati che ne imponessero la sospensione da parte dello stesso giudice.
“Il tribunale, dovendo decidere su tale istanza cautelare – si legge a pag. 1 dell'ordinanza - ritiene che sussistano i presupposti per la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dovendosi risolvere alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina rilevante contenuta nella Direttiva n. 2013/32/UE e, più in generale, alla regolazione dei rapporti fra il diritto dell’Unione Europea e il diritto nazionale. Si sono invero palesate alcune manifeste divergenze fra le diverse Autorità nazionali chiamate a dare applicazione alla rilevante disciplina dell’Unione, tanto in materia di protezione internazionale che in relazione alla gerarchia delle fonti di diritto, le quali hanno ricevuto specifica espressione nel D.L. del 23 ottobre 2024, sicché sussiste un interesse generale ad un chiarimento della Corte di Giustizia diretto ad assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, oltre ad una diretta incidenza nel caso sottoposto all’esame di questo giudice”.
È quindi un'oggettiva incertezza legislativa ad avere spinto il collegio giudicante bolognese a questo passo, un'incertezza aggravata, ovviamente, dal famigerato decreto “Stati sicuri” del governo Meloni che, anziché risolvere il problema dell'incertezza del diritto, lo ha, ad avviso degli stessi giudici bolognesi, aggravato.
Dopo aver passato in rassegna le fonti normative comunitarie e il diritto italiano rilevante in tema di salvaguardia dei diritti dell'uomo, il Tribunale giunge alla conclusione che il concetto di “sicurezza” non può essere interpretato restrittivamente come assenza di guerra, di turbamenti dell'ordine pubblico o di rilevanti fenomeni criminali, ma deve essere interpretato anche come assenza di discriminazioni per qualsiasi categoria umana, fino a giungere a un'affermazione solo apparentemente provocatoria.
“Si potrebbe dire, paradossalmente – si legge a pag. 20 dell'ordinanza - che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell'Italia sotto il regime fascista”.
Il Tribunale pone quindi un problema estremamente serio, che il governo Meloni ha preso sottogamba semplicemente perché vuole sbarazzarsi del maggior numero possibile di migranti senza minimamente interessarsi se per loro, presi individualmente, è garantita la sicurezza nel Paese di origine.
La Corte di giustizia Ue, a questo punto, sarà chiamata a dire l'ultima parola.

6 novembre 2024