La manovra antipopolare non è da “cambiare” ma da affossare
A parte la Difesa, la Salute e l'Istruzione sono le due voci di spesa che secondo il governo non sarebbero state toccate dai tagli lineari a tutti i ministeri operati dalla legge di Bilancio 2025. “Al di là delle fake news della sinistra, non c’è governo che abbia messo sulla sanità le risorse che abbiamo messo noi e annuncio che puntiamo ad aumentarle ulteriormente”, aveva vantato la neofascista Meloni preannunciando il varo della manovra da parte del Consiglio dei ministri; mentre la ministra Anna Maria Bernini ha definito solo “propaganda” il taglio di 700 milioni all'università e il ministro Valditara ha minimizzato come “provvisorio” e comunque “emendabile in aula” il taglio di alcune migliaia di posti tra docenti e personale Ata della scuola. Vediamo allora come stanno realmente le cose.
Un colpo mortale alla sanità pubblica
Il 15 ottobre, a manovra appena approvata dal Cdm, il ministro della Salute Schillaci si proclama “soddisfatto” per aver ottenuto 3,7 dei 4 miliardi in più richiesti per avviare subito il piano urgente per l'assunzione di 30 mila sanitari mancanti, di cui un terzo medici e due terzi infermieri, e Meloni e Salvini ne rivendicano contemporaneamente il merito sui social: “I 3,5 miliardi provenienti da banche e assicurazioni saranno destinate alla sanità”, proclama la premier neofascista. “Vittoria Lega! 3,5 miliardi da banche e assicurazioni da investire in sanità”, esulta il caporione fascioleghista. Ma la verità è ben diversa e non tarda ad emergere.
Leggendo le cifre del Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato a Bruxelles viene fuori infatti che i 3,7 miliardi favoleggiati da Schillaci sono in realtà solo 880 milioni, e per giunta interamente ipotecati dal rinnovo dei contratti del personale della sanità 2022-2024 già scaduto. A tale cifra equivale infatti lo 0,04% del Pil stanziato nel Dpb per il 2025. Il ministro dell'Economia Giorgetti cerca di indorare la pillola giocando coi numeri, precisando che sì, è vero, ma in realtà gli 880 milioni sono aumenti netti delle retribuzioni che al lordo da finanziare valgono 1,25 miliardi, e sommandoci un altro miliardo circa già stanziato nella precedente finanziaria arrivano a 2,3 miliardi per il 2025. E perciò, sentenzia il ministro, “credo che il meno deluso debba essere Schillaci”.
Il piano straordinario di assunzioni è quindi rimandato come minimo al 2026, quando il Dpb prevede un aumento del Fondo sanitario nazionale dello 0,15% del Pil che vale 2,9 miliardi netti, pari più o meno ai 3,5 miliardi lordi promessi da Giorgetti a Schillaci. Un gioco delle tre carte definito “una scandalosa mistificazione” dal sindacato dei medici ospedalieri Anaao, e che ha fatto dire al presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che quello della Salute è ormai “un ministero senza portafoglio”.
Peggioramento di tutti gli indicatori
Con questi “aumenti” il Fondo sanitario salirà dagli attuali 134 miliardi a 136,5 nel 2025 e a 140 miliardi nel 2026, come proclama la Meloni: “Sulla sanità, che è una delle priorità del governo, non ci sono mai stati tanti soldi”, va vantando ad ogni pie' sospinto, anche inciampando nei calcoli. Peccato però che gli aumenti non recuperino neanche l'inflazione che c'è stata negli ultimi anni, il che non è altro che un taglio mascherato ai finanziamenti. E che il vero indicatore della spesa sanitaria, che è quella in rapporto al Pil, resti inchiodato al 6,2% anche nel prossimo triennio 2025-2027, il valore più basso dal 2007.
Come si vede infatti dal grafico della variazione dell'inflazione e dell'aumento percentuale del Fsn, fornito nel Rapporto annuale della Fondazione Gimbe pubblicato ad ottobre, se si eccettua il 2020, anno della pandemia, negli anni successivi gli aumenti del fondo sono stati nettamente inferiori all'inflazione, e solo nel 2024 è prevista un'inversione, con un 4% di aumento del fondo rispetto allo 1,1% di inflazione, che però non recupera affatto quanto perso nel periodo del picco inflattivo. Escludendo l'anno eccezionale della pandemia, e prendendo il periodo 2021-2024 (governi Draghi e Meloni), a fronte di un aumento complessivo dell'inflazione del 15,5%, c'è stato infatti un aumento del Fsn solo del 10%.
Quanto al rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil, dopo anni di lento declino ora ristagna ad un valore del 6,2% (che Giorgetti si vanta di voler mantenere “stabile” nel triennio), nettamente al di sotto della media europea che è del 7%, e ben lontana da Germania e Francia che sono intorno al 10%. Anche la spesa sanitaria pubblica pro-capite, già più bassa della media europea, sta subendo un'ulteriore visibile frenata proprio a partire dal governo Draghi e a seguire col governo Meloni. Lo si può vedere chiaramente dal grafico del Rapporto Gimbe che mostra la progressiva divaricazione a forbice con la curva della media europea per effetto dei tagli subiti dal Ssn a partire dal governo Monti in poi, con un inginocchiamento della curva della spesa pro-capite italiana proprio negli anni 2022-2023. In termini monetari il divario è di 889 euro pro-capite a svantaggio dell'Italia, pari ad un totale di 52,4 miliardi.
Non si capisce perciò di che cosa vada vantandosi la premier neofascista, e non a caso, rispondendo ai giornalisti a Bruxelles sulla sanità, ha cercato di salvare la faccia ammettendo a denti stretti che “obiettivamente queste sono le risorse che abbiamo. E certo se non avessimo speso allegramente in altri anni, io ne avrei messe ancora di più. Ma queste ho, più di stabilire che sia una delle mie priorità, non posso fare”.
“Sanità prossima al punto di non ritorno”
Cos'altro prevede la manovra per la sanità, a parte gli stanziamenti per rinnovare i contratti che non recuperano neanche l'inflazione? Per arginare la fuga di medici e infermieri stanzia 150 milioni per una detassazione dal 43% al 30% dell'indennità di specificità medica, che nel 2026 diventerà flat tax al 15%, con un aumento di 250 euro netti mensili. Ma per il 2025 si tradurrà in soli 17 euro netti per i medici e circa 7 euro per gli infermieri. Per le scuole di specializzazione di medicina di emergenza e anestesiologia, disertate dai giovani, ci saranno incentivi dai 200 ai 400 euro, e un aumento del 5% per tutte le specialità. Circa 300 milioni serviranno a portare al 6% gli aumenti contrattuali del personale sanitario non medico, come in tutti i contratti della Pa.
Ma a fronte di questi palliativi, ci sarà invece un ulteriore aumento del tetto di spesa per l'acquisto di prestazioni dalla sanità privata, dopo quello già operato nel 2024, dello 0,5% nel 2025, pari a 61,5 milioni di euro, e dello 1% a decorrere dal 2026, pari a 123 milioni di euro. Oltre all'aggiornamento delle tariffe massime delle prestazioni pari a 77 milioni per il 2025 e di ben 1 miliardo a partire dal 2026. Ciò che conferma l'obiettivo inconfessato del governo neofascista Meloni di puntare decisamente verso la sanità privata e lasciar affondare sempre più quella pubblica. “Non possiamo essere complici dell’ormai evidente smantellamento del Servizio sanitario nazionale”, hanno risposto i segretari dei sindacati dei medici ospedalieri Anaao e Cimo-Fesmed e quello degli infermieri Nursing Up. Denunciando anche gli incentivi ridicoli, la sparizione del piano straordinario di assunzioni e il mancato sblocco del tetto di spesa per il personale che impedisce alle Regioni di assumere e favorisce il ricorso ai “gettonisti” a costi maggiorati. E hanno proclamato per il 20 novembre uno sciopero nazionale di 24 ore e una manifestazione.
Rispondendo in audizione davanti alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, Nino Cartabellotta ha detto che tra le misure previste dalla legge di Bilancio e il rinnovo dei contratti che ne costa 7, servirebbero 29 miliardi da qui al 2030, mentre le risorse stanziate sono solo 10,2 miliardi. Mancano cioè all'appello ben 19 miliardi. “Il provvedimento per aumentare l’offerta punta sugli specialisti ambulatoriali convenzionati, sul privato accreditato e sul lavoro flessibile”, lo ha riassunto il presidente Gimbe, citando esempi drammatici come la crisi motivazionale del personale che abbandona il SSN; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%); quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici; le inaccettabili diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati. Segni inequivocabili che “la tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno”.Specie se entrerà a regime la disastrosa autonomia differenziata.
Definanziate scuola e università
La legge di Bilancio 2025 non stanzia risorse aggiuntive per i rinnovi contrattuali 2022-2024, ne consegue che per i lavoratori del comparto “Istruzione e ricerca” gli aumenti restano quelli già previsti del 5,78%, che coprono appena un terzo dell'inflazione, e ciò si traduce di fatto in un definanziamento. Per il 2025 c'è solo un ridicolo aumento sul salario accessorio, che rappresenta solo lo 0,22% del monte salari. Per la scuola si tratta di un aumento di 93 milioni di euro, concesso solo ai docenti, escludendo il personale Ata. È prevista poi l'estensione della card da 500 euro annui per i docenti anche al personale supplente con nomina al 31 agosto, escludendo però gli oltre 140 mila docenti precari con nomina al 30 giugno. E il beneficio potrà essere ridotto annualmente sulla base del numero dei docenti e delle risorse disponibili.
Infine viene istituito un fondo di 122 milioni per il 2025 destinato genericamente alla “valorizzazione del sistema scolastico”. Soldi a totale discrezione del ministro Valditara, mentre queste risorse potevano essere almeno destinate al Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa azzerato dal governo Meloni. A fronte di questi miseri e clientelari aumenti c'è il taglio del 25% del turn over per tutta la pubblica amministrazione, che riguarda quindi anche l'Università, la Ricerca e l'Alta formazione artistica e musicale, assestando un ulteriore colpo alle speranze di stabilizzazione di migliaia di precari.
Per la scuola c'è invece un taglio “secco” di 5.660 docenti e 2.174 unità di personale Ata. Scuole e provveditorati possono anche non applicarlo, ma devono “garantire l'invarianza finanziaria”. Una misura che ha infiammato ancor più le manifestazioni dei lavoratori della scuola nello sciopero nazionale del 31 ottobre. Valditara ha cercato di buttare acqua sul fuoco millantando che si tratta di “un presunto taglio”, e che “in parlamento si avrà l'occasione per precisare la temporaneità della misura”. Fra l'altro il blocco del turn over farà risparmiare 392 milioni nel 2025 e 571 milioni a partire dal 2026, e cos'è questo se non un altro taglio alle risorse per la scuola?
Falcidiati i fondi per Università e Ricerca
Ma è sui fondi all'Università e alla Ricerca che si abbatte ancor più pesantemente la scure del governo. Non ci sono soltanto i tagli annunciati dalla ministra Anna Maria Bernini col decreto di “riforma” del pre ruolo negli atenei, che moltiplica fino a cinque le forme di precariato, tutte a tempo determinato e senza alcuna delle tutele associate al lavoro subordinato, producendo un iter ancora più lungo e frammentato prima della stabilizzazione. Tagli che Gianna Fracassi, segretaria della Flc Cgil quantifica in circa 500 milioni per il 2024, tra una diminuzione di 173 milioni sui fondi di finanziamento ordinario per gli atenei e la non assegnazione delle coperture aggiuntive per i 340 milioni previsti dal piano per i docenti associati. Come denunciato dalla Conferenza dei rettori (Crui), nella manovra di bilancio ci sono anche quasi 700 milioni di tagli ai fondi per Università e Ricerca, anche se la ministra lo nega sostenendo che “da parte loro c'è solo propaganda”.
Si tratta di 360 milioni in meno alla ricerca di base e applicata, 8 milioni tagliati al diritto allo studio, 50 alla formazione artistica e musicale, 200 al sistema universitario e alla formazione post universitaria e altri 77 alla formazione e ricerca in ambito internazionale.
Un salasso di 695 milioni di euro in tre anni, confermato dalla presidente della Crui, Giovanna Iannanutuoni, nell'audizione davanti alle commissioni riunite Bilancio di camera e Senato: “Avete deciso che il nostro Paese non ha bisogno dell’università”, ha denunciato infatti la rappresentante dei rettori. “Il sistema universitario si trova oggi in una condizione di grande preoccupazione per la sua sostenibilità finanziaria futura”.
13 novembre 2024