Rivolta dei migranti nel Cara di Bari
“Siamo trattati come banditi e mafiosi”
Formalmente il CARA di Bari, come peraltro tutti i CARA presenti sul territorio nazionale, dovrebbe essere una struttura di prima accoglienza che ospita i richiedenti asilo nella fase immediatamente successiva al loro ingresso sul territorio italiano, e fino alla registrazione della domanda di asilo che per legge dovrebbe essere annotata entro trenta giorni.
Una permanenza dunque transitoria, ma che in realtà lo è solo sulla carta.
Il CARA di Bari-Palese, ricavato all’interno di un’area militare isolata e lontana dal centro cittadino, circondato da un’altra recinzione e controllato 24 ore su 24, nei fatti è l’ennesimo ghetto dove vivono sostanzialmente reclusi non solo i braccianti che si rompono la schiena nelle campagne pugliesi, ma intere famiglie con una folta presenza di donne e bambini. Inaugurato nel 2008 dal governo Berlusconi, ha una capienza ufficiale di 744 posti, ma ad oggi reclude ben oltre mille migranti.
In questo contesto qualche giorno fa un ragazzo guineiano di 33 anni in un tentativo di suicidio ha ingerito 11 batterie stilo, ma le attenzioni verso di lui sono iniziate solo il giorno successivo quando è stato trasportato all’ospedale San Paolo di Bari dov’è deceduto per arresto cardiaco. Secondo altri ospiti del centro, il giorno precedente le cure sanitarie nella struttura si sono limitate alla somministrazione di una compressa, come quando si ha una semplice influenza.
Una volta appreso della morte del ragazzo, all’interno del centro sono esplose le proteste, ed in particolare quando ai migranti compagni di vita e di sofferenza del giovane è stato impedito di raggiungere l’ospedale. Nel corso della serata infatti sono divampate le proteste che si sono protratte per ore, nelle quali, secondo alcune note date alla stampa, sarebbero stati registrati danni nella mensa ed il blocco delle uscite del centro tramite una catena.
La protesta, la prima di tale portata in un contesto del genere, ha poi raggiunto anche i terreni della base militare di Palese dove sono stati bloccati gli accessi dell’aeronautica militare. C’è voluto l’intervento massiccio della polizia giunta in forze intorno alle ore 20 a far rientrare la rivolta. Ovviamente la morte del giovane è stata solo la scintilla che ha incendiato la prateria di una pazienza che non ne può più.
Al mattino infatti qualche centinaio di ospiti del CARA hanno organizzato e sfilato in un corteo per rivendicare i loro diritti e per denunciare le terribili condizioni nelle quali sono costretti a vivere. Due ore e mezza in cammino, dal quartier generale del comando scuole dell’aeronautica militare fino alla sede della prefettura in piazza Libertà a Bari nel centro cittadino, dove una delegazione è stata ricevuta dal prefetto Francesco Russo. Presenti al corteo anche i dodici richiedenti asilo, cinque egiziani e sette bengalesi inizialmente reclusi a Gjader, già deportati in Albania e fatti rientrare dopo l’intervento della magistratura.
Il corteo, oltre che sotto stretta sorveglianza da parte delle forze dell’ordine di Piantedosi, è stato scortato anche dalle associazioni Solidaria e dello Sportello di autodifesa sindacale.
I migranti hanno denunciato le condizioni igienico sanitarie pietose che solo negli ultimi mesi avevano fatto registrare il ritrovamento continuo di blatte nei piatti sigillati del servizio mensa ed un ospite morso ed infettato da un ratto. Anche il sovraffollamento, al pari di quello carcerario, è un problema noto a tal punto che gli ospiti sono costretti a vivere stipati nei container anche in dieci quando lo spazio sarebbe progettato per quattro persone, oltre al fatto che dalle 21 alle 7 il centro rimane chiuso e ciò obbliga coloro che vengono sfruttati nelle campagne di Bitonto, Palo e Biritto fin dalle 5.30 del mattino e chi rientra tardi, a dormire fuori all’arrangio, o a scavalcare le recinzioni. I migranti sono nei fatti reclusi in un bunker, un trattamento inumano, riservato a “banditi e mafiosi”, come hanno denunciato loro stessi durante la manifestazione.
“La morte del migrante ospite del Cara di Bari – ha dichiarato il segretario generale della Cgil provinciale di Bari, Domenico Ficco – richiama le responsabilità dello Stato che in quei luoghi deve garantire la piena tutela della persona. La protesta degli ospiti del Centro ha trovato nel tragico evento la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso di un sistema di presa in carico dei migranti che non regge, per le condizioni logistiche estreme (…) Comprendiamo la protesta degli ospiti.”.
Ma, come concordano anche i sindacati che seguono da anni la tragica situazione della gestione migratoria nel nostro Paese (ed in particolare quella nel sud Italia dove proliferano ghetti dai quali i capitalisti attingono bracciantato praticamente a costo zero e senza diritti) ma che non risolvono il problema, questo barbaro sistema di accoglienza si scontra con i ritardi nell’ottenimento di un documento di identità anche a causa della scarsità del personale nelle Pubbliche amministrazioni e del sovraccarico di lavoro.
Un documento che permetterebbe loro, ad esempio, di accedere direttamente a una struttura sanitaria poiché i presidi medici all’interno dei CARA sono scarsi ed approssimativi e non assolutamente in grado di garantire uno spettro completo di intervento emergenziale, proprio come nei ghetti propriamente detti.
Unitariamente alla gestione criminale del governo Meloni dei centri di accoglienza, parte integrante di una politica generale razzista ed anti-migranti che si ripercuote sulle condizioni di vita degli ospiti, in questo tritacarne finiscono anche lavoratori e lavoratrici che in condizioni di estrema difficoltà operano nel sistema attuale di accoglienza.
“Anche in questa emergenza – ha concluso la CGIL nella sua nota - stiamo dialogando con ospiti, gestore e istituzioni per evitare che rivendicazioni legittime possano trasformarsi in problemi di ordine pubblico con buona pace di chi criminalizza la condizione stessa di migrante, come sta provando a fare il Governo con il ddl Sicurezza per bieca propaganda politica”.
Noi marxisti-leninisti auspichiamo che i sindacati e le associazioni di sostegno ai migranti svolgano coerentemente, con coraggio e fino in fondo il loro compito, e cioè che lo facciano nel merito e non al solo scopo di prevenire rivolte sociali nell’esclusivo interesse dell’esecutivo e dei suoi apparati.
Siamo altrettanto certi che per risolvere in maniera definitiva la questione migranti, così come quelle di ogni altra natura sociale, economica e politica, la lotta di classe deve divampare, incalzare ed allargarsi in ogni campo con l’obiettivo primario di cacciare quanto prima il governo neofascista Meloni e con lui tutte le sue misure antipopolari, fasciste ed antimigranti, prima che cancelli ogni diritto che è ancora in piedi, ai migranti, così come a tutto il proletariato italiano.
Poi il cammino sarà ancora lungo, e noi ci battiamo per il socialismo, l’unico sistema in grado di mettere in pratica l’ormai inderogabile sanatoria generalizzata per tutti gli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno, il loro libero accesso su tutto il territorio nazionale, la concessione del diritto di asilo ai perseguitati politici e ai rifugiati senza limitazioni ed il riconoscimento di pari diritti sociali, civili e politici a tutti a partire da quello al lavoro, alla casa, all'assistenza sanitaria e sociale, ed all'istruzione per i bambini e ragazzi in età scolare.
13 novembre 2024