Alle elezioni presidenziali del 5 novembre
Trump rieletto presidente dell'imperialismo americano
Quasi 80 milioni di elettrici ed elettori hanno disertato le urne

A distanza di otto anni Donald Trump è stato rieletto presidente degli Stati Uniti d’America e torna a rappresentare i voleri dell’imperialismo americano. Nelle elezioni presidenziali del 5 novembre il candidato repubblicano ha raccolto 74.394.423 voti, il 50.5% sui voti validi, contro i 70.510.663 voti (47.9%) della candidata dei democratici Kamala Harris. Una vittoria più netta rispetto al 2016, quando Trump prese meno voti di Hillary Clinton ma riuscì ad accedere alla Casa Bianca grazie al vantaggio negli Stati (il voto popolare non è determinante per l’affermazione del presidente, che viene eletto dai Grandi Elettori assegnati dal vincitore in ciascuno Stato), concretizzatasi in questa tornata nel successo in tutti i sette Stati in bilico, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Nevada, Arizona, North Carolina e Georgia, che alla vigilia erano stati identificati come ago della bilancia per determinare il destino della Casa Bianca. In 6 di questi 7 Stati Joe Biden aveva costruito la sua vittoria nel 2020, lasciando a Trump solo il North Carolina. Quattro anni dopo, il golpista repubblicano ha ribaltato la situazione, conquistandone 7 su 7. In nessuna delle 3.143 contee Usa la Harris ha superato il voto di Biden di quattro anni fa. E con la maggioranza repubblicana sia al Senato che alla Camera che nella distribuzione dei governatori dei 50 Stati che compongono l’Unione, 27 dei quali saranno repubblicani, contro i 23 dei democratici.

La disfatta dei democratici
Di fatto i dati complessivi delle elezioni americane manifestano, ancor più che il prevalere di Trump e del suo partito, un crollo rovinoso del Partito Democratico e un fallimento totale della sua candidata. Infatti Trump viene eletto raccogliendo quasi due milioni di voti in meno di quanti ne avesse ottenuti quattro anni fa, nel 2020. Ma è il risultato della candidata democratica a fare la differenza: Kamala Harris perde quasi 11 milioni di voti rispetto a quanti ne aveva ottenuti Joe Biden nella precedente tornata, un vero e proprio tracollo.
L’ampia sconfitta della Harris si basa sul fallimentare bilancio che americane e americani, anche e soprattutto quelli dei ceti popolari, hanno potuto fare della situazione economica e sociale, con un netto peggioramento del livello di vita e del potere d’acquisto, falcidiati da un’inflazione al 20%. La crescita americana tanto sbandierata dai democratici è sempre più diseguale. Secondo Oxford Economics, il “boom dei consumi” è stato fortemente disomogeneo, con il 40% più povero che rappresenta ora il 20% di tutta la spesa, mentre il 20% più ricco vale il 40%, il divario più ampio mai registrato finora. La maggior parte degli americani spende oggi così tanto per i beni essenziali come il cibo che gli resta poco per altro e aumenta a dismisura il numero di coloro che sono costretti a lasciare la casa a causa dei prezzi degli affitti. D’altro canto c’è il boom sfrenato dei mercati finanziari, sostenuto dal sogno dell’intelligenza artificiale e dalla spesa pubblica causa di tutti i mali, ma concentrato attorno a una manciata di grandi aziende capitalistiche. In altre parole il deficit pubblico ha avvantaggiato soprattutto chi possiede azioni e lavora nelle “Big Tech”, ossia i più ricchi. La situazione economica degli Stati Uniti è esplosiva e i democratici si sono rifiutati di porvi rimedio. Abbinato alla capitolarda “pacificazione nazionale” perorata da Biden e dai democratici, che non sono mai voluti andare a fondo nella denuncia e condanna di quell’assalto golpista a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 che provocò 5 morti, o messo la sordina sulla persistente amicizia, ammirazione e convivenza di Trump verso il criminale di guerra Putin, mentre lo stesso Trump snocciolava con impudente arroganza i suoi propositi razzisti, sessisti, omofobi, antidemocratici e fascisti. Quel bilancio, unito all’allarme per il sempre maggiore coinvolgimento americano nel genocidio nazisionista in atto in Palestina, nonostante l’affluenza alle urne si sia rilevata la terza più alta nella storia americana, ha portato la parte più avanzata dell’elettorato a disertare le urne, ben il 35%, l’1,8% in più delle presidenziali 2020, quasi 80 milioni, altri a punire Biden e il suo partito.
A Kamala Harris sono mancati voti da vari gruppi di elettorato tradizionalmente vicino al Partito Democratico, a partire dalle donne. I dati stimano che le elettrici che hanno scelto i democratici sono state il 10% in più rispetto agli uomini, un dato inferiore rispetto alle ultime due precedenti tornate. Nel 2016 Clinton aveva convinto l’11% in più di donne mentre nel 2020 Biden aveva fatto ancora meglio: +12%. Un arretramento è avvenuto anche sul versante del voto afroamericano. L’Istituto Pew Research calcola che in questo gruppo elettorale Harris prevale sì nettamente su Trump (85%) ma perde circa 6-7 punti rispetto ai precedenti di Clinton e Biden. Nonostante l’appello con cui l’ex presidente Barack Obama invitava gli elettori maschi afroamericani ad “alzarsi dal divano” per votare Harris, la vicepresidente ha perso il 10% di consensi anche da questo gruppo (77% contro l’87% di Biden). Anche il calo dell’affluenza tra i neri in Stati cruciali come la Pennsylvania e la Georgia ha contribuito alla débâcle democratica.
L’analisi fatta dal New York Times mostra un calo di consensi dei democratici anche nell’elettorato ispanico. Con il 52% dei voti validi Harris ha battuto di misura Trump nel voto ispanico mentre nel 2016 Hillary Clinton era riuscita a calamitare il 66% dei consensi. La vicepresidente fa peggio anche rispetto a Biden (59%). Secondo i dati di più istituti gli elettori più giovani d’America si sono spostati decisamente a destra. Nella fascia d’età più giovane, 18-29, i democratici hanno visto il loro vantaggio ridursi di quasi la metà. Un vantaggio di 24 punti sotto Joe Biden nel 2020 è sceso a 13 punti per Harris. Infine il voto dell’elettorato arabo-americano che seppur non abbia premiato l’antislamico Trump, ha fatto perdere ai democratici una base di voto un tempo fedele, scatenando il fuoco del risentimento nei confronti dell’amministrazione Biden-Harris, trasformatasi in “Genocide Joe”.

Trump paladino delle multinazionali capitalistiche e dell'imperialismo
Il grande capitale economico e finanziario statunitense si è schierato con Trump, non più considerato “un pericolo per la democrazia”. Chi per intima convinzione, come il miliardario proprietario della Tesla e di X Elon Musk, chi per comodità, soprattutto quando come in questo caso ha vinto in maniera indiscutibile. La classe dominante capitalista e imperialista americana non ha avuto esitazioni nel cantare vittoria dopo la proclamazione dei risultati elettorali, con la crescita del valore del dollaro e l’esultanza della borsa di Wall Street (Dow Jones +3,6%, Nasdaq +2,9%, Bitcoin record a 76.480 dollari). Come alcuni tra i massimi esponenti delle imprese della “new economy” che avevano scelto una ostentata “neutralità”, come Mark Zuckerberg di Facebook, Meta e Whatsapp, Jeff Bezos di Amazon, Sundar Pichai di Google, Satya Nadella di Microsoft, Sam Altman di Open AI e Jensen Huang di Nvidia.
Mai come in queste elezioni ammontano a milioni e milioni di dollari i finanziamenti dei grandi gruppi finanziari e dei grandi monopoli capitalisti per sostenere i due candidati e i grandi elettori nei diversi Stati. Sono stati loro a spadroneggiare a a pilotare la campagna presidenziale.
La tanto decantata democrazia borghese ha dimostrato ancora una volta con queste elezioni americane di essere alla berlina del grande capitale, e che alla guida del paese ci sia un repubblicano o un democratico poco cambia; gli Stati Uniti non sono per niente la “patria della democrazia” e dei “diritti civili e umani”. L’imperialismo americano è il principale violatore dei diritti umani, in casa sua e in tutto il mondo. Guerre di aggressione ingiustificate, bombardamenti contro la popolazione civile, prigioni clandestine che utilizzano i più efferati metodi di tortura, imposizione di misure unilaterali illegali contro le economie di diversi paesi. Ed ora Trump riprende il potere, “Dio ha risparmiato la mia vita per un motivo – ha annunciato il presidente eletto nel suo discorso del 6 novembre alle 2:30 del mattino a West Palm Beach in Florida -. E quel motivo era salvare il nostro Paese e riportare l’America alla grandezza. E ora stiamo per compiere quella missione”, con una squadra decisa ad attuare un programma preciso: il Progetto 2025, architettato dalla lobby cattolica ultrareazionaria della Heritage Foundation, finanziato dall’ala più a destra della classe dominante, in particolare dai fratelli Koch, magnati dell’industria chimica e dei combustibili fossili, e dal miliardario Elon Musk, che avrà un ruolo importante nel futuro governo e che ha contribuito con 100 milioni di dollari all'America Pac, comitato a sostegno di Trump, creato una lotteria da un milione di dollari per i firmatari di una petizione pro Trump e “libertà di parola”, in nome della quale ha messo a disposizione dei repubblicani il suo social network, X, il fu Twitter comprato per 44 miliardi nel 2022 facendone un megafono di propaganda. Un programma, quello di Trump, sintetizzato dallo slogan “Make America Great Again” ,(Facciamo di nuovo grande l’America), che si affianca al classico “America First”, (Prima l’America), una vera e propria dichiarazione di guerra contro le masse democratiche e antigovernative all’interno e contro i popoli sfruttati e oppressi all’esterno: istituire un governo forte con un’amministrazione federale e un sistema giudiziario ai suoi ordini; individuare, detenere e deportare 10-11 milioni di immigrati clandestini; ripristinare l’autorità patriarcale vietando l’aborto, sopprimendo i diritti LGBTQ e indebolendo le politiche di inclusione; smantellare le normative ambientali, in particolare per promuovere l’estrazione di combustibili fossili; abrogare le timide protezioni sociali introdotte dall’Affordable Care Act (il cosiddetto “Obamacare”) ; inaugurare un’ondata di massicci tagli alle tasse per le aziende e i ricchi; un deliberato spostamento verso il protezionismo economico; guerra commerciale immediata alla Cina; espansione militare nell’Indo-Pacifico; guerra totale al “terrorismo” ossia ai movimenti antimperialisti islamici; sostegno assoluto ai nazisionisti di Israele e fine della guerra in Ucraina legittimando la conquista da parte della Russia della Crimea, del Donbass e degli altri territori finora occupati dalle truppe nazizariste di Mosca. Trump ha vinto e si è fatto eleggere dal grande capitale perché incarna “l'uomo della provvidenza”, colui che si dice capace di contrastare il declino inesorabile dell'imperialismo americano e di vincere, costi quel che costi, lo scontro economico, politico e militare con la superpotenza emergente cinese che gli sta erodendo alleati e zone di influenza, come ha ben dimostrato il recente vertice Brics svoltosi a Kazan, nella Federazione russa. Lo stesso slogan trumpiano "Make America Great Again" (Rendiamo l'America di nuovo grande) è la testimonianza che l'imperialismo americano ha già perso la sua incontrastata supremazia ed egemonia sul mondo intero e si propone di riconquistarla a costo di nuove guerre commerciali, economiche, politiche e soprattutto militari.
La vittoria di Trump è stata salutata dall’imperialismo dell’Ovest ma anche da quello dell’Est, dal genocida e criminale di guerra Netanyahu per cui “lo storico ritorno alla Casa Bianca offre un nuovo inizio per l’America e una potente riaffermazione della grande alleanza tra Israele e l’America. Questa è una grande vittoria!”, all’altro criminale di guerra, il nuovo zar del Cremlino Putin, che si è congratulato “con lui per la sua vittoria alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ho già detto che lavoreremo con qualsiasi capo di stato di cui il popolo americano si fidi”. Congratulazioni a Trump anche dal nuovo imperatore cinese Xi Jinping: “La storia ha dimostrato che la Cina e gli Stati Uniti traggono vantaggio dalla cooperazione e perdono dallo scontro” ha detto il capo di Stato cinese al presidente eletto americano, secondo un rapporto pubblicato dalla televisione statale cinese CCTV. “Una relazione stabile, sana e duratura tra Cina e Stati Uniti è in linea con gli interessi comuni dei due Paesi e con le aspettative della comunità internazionale”. Per la premier Meloni “Italia e Stati Uniti sono nazioni ‘sorelle’, legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia. È un legame strategico, che sono certa ora rafforzeremo ancora di più”. Felicitazioni a Trump anche dal leader 5 stelle Conte per cui addirittura la sua elezione “deve aprire una riflessione nelle forze politiche europee… per tutelare gli interessi comuni… tra i quali la cessazione delle ostilità in Ucraina e Medio Oriente… e l’elaborazione di una piattaforma in difesa dei ceti popolari, dei più poveri, delle masse dei lavoratori che non arrivano alla fine del mese” (sic).

13 novembre 2024