La manovra antipopolare taglia la spesa pubblica e aumenta il riarmo imperialista
“Sicuramente non ci saranno più tasse. Basti vedere quello che abbiamo fatto nella scorsa legge di Bilancio. Il taglio del cuneo diventerà strutturale”, aveva annunciato il ministro dell'Economia e delle finanze Giorgetti alla vigilia della presentazione della legge di Bilancio 2025. Ma subito dopo aveva precisato: “Se non vogliamo aumentare le tasse, e si vogliono ridurre, in automatico bisogna ridurre le spese. Mi sembra banale, non serve un master a Yale”.
E infatti questa è, nella sua brutale sintesi, la filosofia della manovra antipopolare da 28,5 miliardi, a valere per il triennio 2025-2027, presentata dal governo neofascista Meloni al parlamento: tagliare pesantemente la spesa pubblica, per destinare quelle risorse a ridurre un po' le tasse al lavoro dipendente (così da eludere la grave questione dei bassi salari a spese degli stessi lavoratori in termini di minori servizi essenziali), a premiare i redditi medi e alti (attraverso un'ulteriore riduzione della progressività delle tasse, il concordato biennale e decine di agevolazioni fiscali e condoni per le imprese), e all'aumento del budget della Difesa, che non era mai stato così massiccio come stavolta. E il tutto senza aumentare il debito, anzi diminuendolo in rapporto al Pil, come chiedono le regole del nuovo Patto di stabilità europeo firmato ad aprile dallo stesso titolare del Mef.
In base a tale trattato, infatti, nel Piano strutturale di bilancio (Psb) consegnato dal ministro alla Commissione europea, il governo “sovranista” italiano si impegna a risparmiare almeno 12-13 miliardi ogni anno per i prossimi sette anni, tra tagli alla spesa e vendita di beni e partecipazioni pubbliche, in modo da mantenere il rapporto debito/Pil in una traiettoria discendente del 1% l'anno e tenere il disavanzo strutturale sotto il 3% del Pil, per tendere a regime al 1,5% massimo. Ciò viene fatto attraverso la realizzazione di un consistente avanzo primario (entrate superiori alle spese al netto degli interessi sul debito), il che, con un tasso di inflazione previsto del 2%, comporta una riduzione della spesa almeno dello 0,5% del Pil all'anno, circa 10-11 miliardi.
Una manovra che vale 30 miliardi di spesa in meno nel 2025
Questo è precisamente ciò che è stato fatto con questa manovra di Bilancio, che per la prima volta dagli aumenti della spesa pubblica dovuti alla pandemia, vede un'inversione di tendenza con una riduzione della spesa complessiva dello Stato dai 1.229,744 miliardi circa del 2024 ai 1.199,390 del 2025: quasi 30 miliardi solo a valore nominale, pari a un taglio del 2,5% della spesa. Ciò è dovuto in massima parte ad un crollo della spesa per le politiche previdenziali del 10,6% nel 2025 rispetto al 2024, e del 18,6% da qui alla fine del triennio (da 139 miliardi del 2024 a poco meno di 110 miliardi nel 2027). Infatti già nel 2025 si parte con un buco nei conti dell'Inps di 14 miliardi, causato dall'aver scaricato sull'istituto previdenziale pubblico i costi del taglio del cuneo fiscale: quello che è stato dato ai lavoratori sarà ripreso con gli interessi dalle loro pensioni e dall'aumento dell'età pensionabile, oltre che col taglio dei servizi.
Se questo è il quadro generale dei tagli operati dalla manovra, è entrando più nei dettagli che si può valutarne fino in fondo le conseguenze sulla vita e le condizioni dei lavoratori e delle masse popolari. Non è facile valutare l'entità effettiva dei tagli per i vari capitoli di spesa o “missioni”, perché i saldi finali sono il risultato di diversi fattori, tra cui i definanziamenti, i rifinanziamenti e le riprogrammazioni; a cui si aggiungono i tagli lineari del 5% imposti da Giorgetti alla spesa di tutti i ministeri e agli Enti territoriali (Regioni, Provincie e Città metropolitane, Comuni): la cosiddetta spending review che vale 12 miliardi nel triennio (7,7 per i ministeri e 4,3 per gli Enti territoriali). A questa vanno aggiunti i “risparmi” collegati alle “riforme” del PNRR, che ammontano ad altri 1,5 miliardi in tre anni. Infine contano anche gli effetti delle misure delle precedenti manovra, per cui può succedere che certi saldi di spesa risultino in aumento nonostante i tagli, o anche viceversa, o che rispecchino i tagli ma in misura minore o maggiore degli stessi: tipico è il caso della Difesa, che a fronte di tagli per 200 milioni vede invece aumentare il budget di 7,5 miliardi nel prossimo triennio, concentrati negli armamenti. Occorrerà valutare perciò caso per caso tenendo conto sia dei tagli lineari che dei saldi finali.
Tagli lineari ai ministeri per oltre 9 miliardi in tre anni
Intanto una prima valutazione generale si può trarre dalla spending review per il triennio 2025-2027 dei vari ministeri, come riportato nella tabella che abbiamo elaborato, limitatamente ai servizi che più incidono sulla vita delle masse, coi dati della relazione del Mef al parlamento. Vero è che sul totale di 7,7 miliardi (più o meno 2,6 miliardi l'anno), quasi la metà dei tagli lineari è concentrato sui ministeri dell'Economia (Mef) e quello dell'Industria e made in Italy (Mimit), rispettivamente 2,193 e 1,130 miliardi, pari a circa il 43% del totale. E che tra questi il grosso dei risparmi viene fatto sulle misure di sostegno alle imprese, in particolare per quanto riguarda il ministero del fascista Adolfo Urso, che su questa missione perde ben 1,113 miliardi.
Tuttavia questi tagli ricadono in gran parte sul credito alle piccole e medie imprese, e quindi indirettamente sull'occupazione; nonché direttamente sugli stessi lavoratori, tramite il taglio di oltre 100 milioni alla gestione delle crisi aziendali. A cui si aggiungono altri 19 milioni di tagli alle politiche del lavoro gestite dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Emblematico è a questo riguardo il taglio alla decontribuzione per l'assunzione di lavoratori nelle zone Zes (sostanzialmente il Mezzogiorno), che il governo ha deciso di lasciar scadere a fine 2024. Secondo lo Svimez, con questo e altri tagli, al Sud andranno persi 5,3 miliardi nei prossimi tre anni. Altrettanto significativo è il taglio di 4,6 miliardi fino al 2030 dal fondo gestito dal Mimit per incentivare l'elettrificazione dell'automotive (ma anche bus e treni); soldi trasferiti pari pari al finanziamento dell'industria della difesa, con una scelta prettamente politica che non nuoce solo agli interessi dei padroni di Stellantis, ma aggrava i rischi occupazionali per i lavoratori di tutto il settore auto col relativo indotto, che sta attraversando una crisi drammatica (quasi -30% rispetto ad agosto 2023).
C'è da considerare inoltre che tra i tagli operati da Giorgetti sul suo stesso dicastero ci sono anche112 milioni al contrasto agli illeciti fiscali e 536 agli accertamenti e riscossioni, a cui vanno aggiunti 75 milioni tolti alla guardia di finanza: tagli che contrastano in pieno con la lotta all'evasione fiscale sbandierata a parole dal governo neofascista. E poi ci sono quasi 381 milioni tolti alla ricerca e innovazione (ma sono ben 573 in totale, solo nel 2025), altri 102 milioni sottratti ai diritti e alle politiche sociali e alle famiglie, e circa 170 agli aiuti per i giovani e lo sport.
Ma di tagli ce ne sono molti altri che incidono in pieno nella carne viva del popolo. Al ministero del Lavoro e delle politiche sociali toccano per esempio 103 milioni di tagli lineari più altri 22 collegati al PNRR, di cui oltre 77 tolti ai diritti sociali e alle politiche sociali e familiari. Alla Giustizia toccano quasi 303 milioni di tagli lineari, che con quelli PNRR salgono a 360. E sono tagli importanti, soldi sottratti alle carceri e all'amministrazione e digitalizzazione della giustizia civile, penale e minorile.
In questa manovra i tagli all'Istruzione hanno preso soprattutto la forma di 8.000 posti di lavoro da sopprimere tra insegnanti e personale Ata, ma non senza anche un bel taglio lineare di 121 milioni (più altri 25 di collegato PNRR), di cui oltre 13 milioni “risparmiati” sull'edilizia scolastica e la sicurezza. Ne abbiamo parlato nel numero scorso, insieme ai tagli all'Università e ricerca (700 milioni di tagli lineari più altri 147 di collegato), e alla Salute, che comunque sconta un taglio lineare di 111,7 milioni più altri 9 di collegato.
Tagli alla difesa dell'ambiente e dei beni culturali, ai trasporti, al soccorso civile e all'assistenza
Ci sono poi altri ministeri che sopportano i tagli più grossi dopo il Mef e il Mimit, che sono i ministeri dell'Interno, delle Infrastrutture e trasporti, dell'Ambiente e della Cultura, e gran parte di questi vanno ad aggredire direttamente i servizi vitali per il popolo. Nei tagli del ministero di Piantedosi (609 milioni lineari), ci sono per esempio oltre 212 milioni tolti al soccorso civile nel triennio, che però salgono, nelle previsioni di spesa per l'anno prossimo, al totale di 1 miliardo rispetto al 2024. E inoltre circa 77 milioni in meno per l'immigrazione e l'accoglienza. Quasi 1 miliardo, tra tagli lineari e collegati, viene tolto anche al ministero del caporione fascioleghista Salvini, tra cui ci sono voci importanti per le masse, come la casa e l'assetto urbanistico (-116 milioni di spesa complessiva nel solo 2025), gli interventi speciali in caso di calamità, e il diritto alla mobilità e lo sviluppo dei sistemi di trasporti (si pensi ai pendolari, piste ciclabili ecc): - 412 milioni di spending, che salgono però a - 977 nelle previsioni di spesa 2025 per questa voce.
Dal ministero di Pichetto Fratin spariscono 220 milioni dal fondo per lo sviluppo sostenibile e la tutela dell'ambiente; di cui quasi 180 per la tutela e gestione delle risorse idriche e la prevenzione del rischio idrogeologico; che in realtà ammontano a quasi mezzo miliardo in meno di spesa nel 2025 rispetto a quest'anno. Anche la Cultura del ministro neonazi-fascista Giuli subisce un netto taglio lineare, oltre mezzo miliardo in tre anni a cui si sommano altri 85 milioni collegati al PNRR. Soldi praticamente tolti quasi tutti alla tutela dei beni culturali e paesaggistici.
Infine, abbiamo già accennato ai tagli agli Enti territoriali per 4,3 miliardi nel triennio. Per le Regioni ciò comporterà tagliare soprattutto la sanità pubblica, anche perché al di là dei proclami della premier neofascista sugli aumenti “mai visti” stanziati dal governo, nelle cifre della manovra il fabbisogno (cioè lo stanziamento effettivo), è molto inferiore alla spesa sanitaria prevista, e quindi toccherà alle Regioni colmare la differenza con l'aumento delle imposte regionali o tagliando i servizi sanitari.
Ma la mazzata più pesante tocca ai Comuni, dove, oltre alla reintroduzione del blocco del turn over al 75%, la spending arriva sotto forma di accantonamento all'anno successivo dei trasferimenti, da destinare poi agli investimenti o a ripianare obbligatoriamente i bilanci in rosso, secondo quanto stabilito nel Psb di Giorgetti. Si tratta di circa 2 miliardi nel quinquennio 2024-2029, a cui si aggiungono altri 3,5 miliardi di minori contributi agli investimenti: un vero e proprio colpo mortale ai fondi per la manutenzione delle infrastrutture, i trasporti, l'assistenza sociale ai più fragili, la progettazione di opere pubbliche, la rigenerazione urbana e altre funzioni e servizi vitali per le masse popolari.
39 miliardi in tre anni per l'acquisto di armamenti
“Le nuove regole del Patto di stabilità facilitano in misura maggiore rispetto a quelle precedenti gli investimenti nella difesa in un contesto dove senz’altro l’Unione europea deve far fronte a delle sfide geopolitiche maggiori rispetto al passato”, aveva dichiarato il commissario uscente Ue all'Economia, Gentiloni. E difatti il consistente aumento delle spese per il rafforzamento della difesa e la produzione e l'acquisto di nuovi armamenti più avanzati, nell'ottica del riarmo dell'Ue imperialista e della creazione del suo esercito, salvaguardando i rigidi parametri di “austerity” del nuovo Patto di stabilità, è esattamente il marchio politico caratteristico di questa manovra.
Anche qui non è facile riassumere le cifre degli aumenti, sempre per il gioco dei finanziamenti e rifinanziamenti, e per di più essendo le spese militari distribuite nel bilancio di vari ministeri, per quanto in massima parte divise tra ministero della Difesa e Mimit. Tra i diversi filoni di spesa c'è innanzi tutto il programma di rifinanziamento dell'industria della difesa gestito dal Mimit, (in cui sono confluiti anche i soldi del fondo auto elettrica di cui sopra), che riguarda lo sviluppo nel settore aeronautico, la tecnologia per la difesa area nazionale, le unità navali Fremm, i contributi al settore marittimo-difesa nazionale, per un totale di oltre 11,3 miliardi da qui al 2039, di cui 3 miliardi nel prossimo triennio.
Poi ci sono i programmi per l'acquisto di nuovi armamenti, distribuiti tra Difesa e Mimit. Si parla di una spesa di quasi 39 miliardi in totale tra il 2025 e il 2027. Per quanto riguarda infatti il dicastero di Crosetto, ci sono 20,9 miliardi nel fondo per la “Pianificazione generale delle Forze Armate e approvvigionamenti militari ed infrastrutturali”, di cui 6,8 nel 2025. A cui vanno aggiunti altri 7,7 miliardi (di cui 2,3 nel 2025) del fondo “Programmi di ammodernamento e rinnovamento degli armamenti, ricerca, innovazione tecnologica, sperimentazione e procurement militare”. Totale 28,6 miliardi nel triennio.
Alla voce “difesa nazionale” del dicastero del suo camerata Urso, ci sono poi 9,3 miliardi (circa 3 all'anno) sempre per l'acquisto di armi e altri 990 milioni per “interventi nei settori ad alta tecnologia” relativi agli armamenti, per un totale di 10,3 miliardi. Sommando le spese dei due dicasteri si arriva perciò alla cifra di 39 miliardi.
Per quanto riguarda i soli aumenti di spesa per acquisto di armamenti, rispetto al 2024, si tratta di 7,5 miliardi nel triennio, di cui 4,5 concessi alla Difesa e 3 al Mimit. Corrisponde ad un aumento del 5%, circa 2,5 miliardi l'anno, secondo un programma che arriva a oltre 35 miliardi in più nel 2039.
E c'è da aggiungere che con questa manovra il rifinanziamento delle missioni internazionali di guerra diventa strutturale e non più da negoziare di anno in anno, con 1,27 miliardi nel 2025 e 1,57 dal 2026, già inseriti in bilancio.
20 novembre 2024