Sotto l'egida di Usa e Francia
Accordo di tregua di due mesi in Libano
Hezbollah: sconfitto piano sionista di distruggerci
 
L'ultima settimana di novembre si apriva col vertice del G7 a Fiuggi che in due righe del ponderoso comunicato liquidava la questione del mandato di arresto della Corte penale internazionale nei confronti del premier sionista Benjamin Netanyahu e del suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini contro l'umanità e crimini di guerra commessi a Gaza, “nell’esercizio del proprio diritto di difesa, Israele è tenuto in ogni caso a rispettare pienamente gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario. Ribadiamo il nostro impegno nei confronti di tale diritto e rispetteremo i nostri obblighi” che non prevedono l'arresto. La riprova che nel sistema giuridico dell'imperialismo le sentenze sono subordinate non alla legge ma alla convenienza politica e quindi quelle della Corte valgono giustamente per l'aggressore dell'Ucraina Putin e non per gli alleati vertici nazisionisti, assolti a prescindere dai Sette paesi imperialisti dell'Ovest che li hanno armati e coperti nel genocidio di Gaza. Superato il “fastidioso impiccio” l'attenzione della campagna propagandistica filosionista si è spostata sull'accordo di tregua in Libano costruito da un lavorio diplomatico di quasi due mesi dell'inviato speciale dell'imperialismo americano col primo ministro ad interim libanese Najib Mikati e il presidente del parlamento libanese Nabih Berri.
Nel tardo pomeriggio del 26 novembre, con un discorso preregistrato il leader nazisionista annunciava il via libera all'accordo del suo governo rivendicando la mano libera nel colpire le forze di Hezbollah in caso di violazione, secondo i parametri di Tel Aviv ovviamante e infatti la prima settimana di applicazione del cessate il fuoco era segnato da una serie di attacchi sionisti anche contro i civili che stavano rientrando nelle loro case; minacciava la Siria di Assad “che sta giocando col fuoco” e l'Iran, “sono determinato a fare tutto il necessario per impedire all'Iran di ottenere armi nucleari”. Come dire che comunque la guerra prosegue intanto nella Siria, martellata fino ad allora quasi quotidianamente dall'aviazione sionista neanche 24 ore dopo la dichiarazione del criminale Netanyahu.
Arrivava quindi l'annuncio ufficiale del presidente americano Biden che dalla Casa Bianca dichiarava che “ho appena parlato con il primo ministro di Israele e del Libano e sono lieto di annunciare che i loro governi hanno accettato la proposta degli Stati Uniti di porre fine al devastante conflitto tra Israele e Hezbollah”. Seguiva una puntigliosa ricostruzione tutta volta a dimostrare l'indimostrabile, ossia che tutta la colpa della guerra che da oltre un anno divampa nella regione è solo ed esclusivamente colpa di Hamas, di “Hezbollah e altre organizzazioni terroristiche sostenute dall'Iran che hanno attaccato Israele a sostegno di Hamas” dopo l'attacco della resistenza palestinese del 7 ottobre 2023. I precedenti 70 anni di occupazione e stragi sioniste in Palestina non esistono nell'agenda dell'imperialismo dell'Ovest.
“In base all'accordo raggiunto oggi, in vigore dalle ore 4 di domani, ora locale, i combattimenti lungo il confine tra Libano e Israele finiranno. Questo è progettato per essere una cessazione permanente delle ostilità. Ciò che resta di Hezbollah e di altre organizzazioni terroristiche non sarà autorizzato, sottolineo, non sarà autorizzato a minacciare di nuovo la sicurezza di Israele”, affermava Biden che spiegava gl altri termini dell'accordo: “nei prossimi 60 giorni, l'esercito libanese e le forze di sicurezza dello Stato si schiereranno e riprenderanno il controllo del proprio territorio. Non sarà consentito ricostruire l'infrastruttura terroristica di Hezbollah nel Libano meridionale. E nei prossimi 60 giorni, Israele ritirerà gradualmente le sue forze e i civili di entrambe le parti potranno presto tornare in sicurezza alle loro comunità”. Biden chiudeva ribadendo l'impegno degli Stati Uniti per la piena attuazione dell'accordo, “con il pieno supporto della Francia e dei nostri altri alleati”, vedi l'imperialismo italiano alla guida di Unifil che per anni da complice ha assistito alle incursioni sioniste nel su del Libanio senza profferir parola. Con un riferimento al volo per quanto riguarda la Striscia di Gaza, Biden annunciava che “gli Stati Uniti faranno un altro tentativo con Turchia, Egitto, Qatar, Israele e altri per ottenere un cessate il fuoco a Gaza con il rilascio degli ostaggi e la fine della guerra senza Hamas al potere, affinché diventi possibile”, tanto per dire che il popolo palestinese manco citato non ha alcuna voce in capitolo sul proprio destino, decidono gli altri governi. Anzitutto i nazisionisti che continuano il genocido palestinese a Gaza arrivato il 2 dicembre a 44.466 morti e 105.358 feriti.
L'azione diplomatica per il cessate il fuoco condivisa dagli Usa con la Francia era sottolineata nella dichiarazione congiunta di Biden e Macron diffusa assieme alle dichiarazioni del presidente americano, due righi per difendere i sionisti e per chiudere con l'impegno di Washington e Parigi a sostenere lo sviluppo economico in tutto il Libano "per promuovere la stabilità e la prosperità nella regione", che evidentemente non comprende il popolo palestinese mentre spazza sotto il tappeto come una fastidiosa polvere i 3.823 morti e i 15.859 feriti libanesi.
Il segretario generale di Hezbollah, lo sceicco Naim Qassem, in un discorso televisivo trasmesso due giorni dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco affermava che la Resistenza era “emersa vittoriosa perché abbiamo impedito al nemico di distruggere Hezbollah, gli abbiamo impedito di distruggere la Resistenza”
e elogiava la pazienza e i sacrifici del popolo libanese, sottolineando come “siano rimasti fermi mentre i loro figli combattevano sul campo di battaglia, senza risparmiare sforzi nell'affrontare il nemico”. Lo sceicco Qassem ribadiva che non era stata Hezbollah a volere la guerra e era intervenuta solo a sostegno del popolo palestinese aggredito dai sionisti; casomai è stata “Israele che ha cercato la guerra per "eliminare Hezbollah, far tornare i coloni del nord e lavorare per realizzare un Nuovo Medio Oriente”. Ha sottolineato che “la prontezza di Hezbollah e i piani strategici ideati dal martire Sayyed Hassan Nasrallah hanno contrastato efficacemente l'aggressione israeliana” che “aveva puntato sulla discordia interna al Libano, in particolare tra gli sfollati e i loro ospiti”, una strategia “fallita a causa dell'unità e della cooperazione tra le diverse componenti libanesi”. E assicurava il massimo livello di coordinamento tra la Resistenza e l'esercito libanese, avvertendo che "nessuno dovrebbe scommettere sulla discordia tra di noi", così come con il presidente del parlamento Nabih Berri e il primo ministro Najib Mikati che ha rigraziato per il loro impegno nei negoziati politici che hanno portato all'accordo. Ha infine espresso profonda gratitudine alla Repubblica islamica dell'Iran, alla Siria, allo Yemen e all'Iraq, alle loro leadership, ai loro governi e al loro popolo, per il loro fermo sostegno alla Resistenza e ha riaffermato l'incrollabile impegno di Hezbollah nei confronti della Palestina che continuerà in altri modi. Fra le altre dichiarazioni sull'accordo registriamo quella del portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, che il 27 novembre dichiarava che la Repubblica islamica dell'Iran accoglieva con favore la cessazione dell'aggressione israeliana contro il Libano e ribadiva il suo fermo sostegno al governo libanese, al popolo e alla Resistenza. Baghaei sottolineava l'impegno dell'Iran per la pace nella regione e evidenziava i continui sforzi per porre fine alle ostilità a Gaza e in Libano negli ultimi 14 mesi dove “il risultato del bellicismo e dei crimini commessi dal regime sionista, pienamente sostenuto dagli Stati Uniti e da alcuni governi europei, è il martirio di 60.000 persone innocenti, il ferimento di 120.000 individui e lo sfollamento di oltre 3,5 milioni di persone oppresse in Palestina e Libano".
Il capo della delegazione negoziale yemenita e portavoce di Ansar Allah, Mohammad Abdul Salam, elogiava la fermezza di Hezbollah e del popolo libanese nella loro resistenza contro l'aggressione sionista descrivendola come una vittoria significativa: “Il nemico israeliano non avrebbe concesso un cessate il fuoco se non avesse incontrato una resistenza ininterrotta e solida, capace di impegnarsi in una guerra di logoramento a lungo termine”.
Il bilancio militare da parte libanese nella guerra contro gli aggressori sionisti nel sud del paese era riassunto nel comunicato del 27 novembre della sala operativa della Resistenza islamica in Libano di Hezbollah che nel periodo dall'1 ottobre al momento del cessate il fuoco registrava oltre 130 soldati sionisti uccisi e oltre 1.250 feriti; 59 carri armati Merkava, 8 droni, 11 bulldozer militari, due Humvee, due veicoli blindati e un veicolo trasporto truppe blindato distrutti. IL comunicato della Resistenza islamica evidenziava che “per tutta la durata dell'operazione terrestre israeliana nei territori libanesi e dal 1° ottobre 2024, le forze d'invasione non sono riuscite a occupare o a stabilirsi in nessuna delle città in prima linea, che erano state sotto attacco dall'inizio dell'Operazione Al-Aqsa Flood, non sono riuscite a stabilire una zona militare e di sicurezza isolata e non sono state in grado di ostacolare i lanci di razzi e droni nei territori occupati. Questo è un prodotto diretto della perseveranza dei combattenti sul campo di battaglia, che hanno continuato a colpire obiettivi nemici in profondità nei territori occupati dalle linee del fronte e dai villaggi di confine, fino all'ultimo giorno di aggressione”. “La seconda fase dell'operazione terrestre non è stata altro che una dichiarazione politica e mediatica, poiché il nemico non è stato in grado di avanzare nelle città di secondo livello sul fronte meridionale. Ha subito perdite significative a Khiam, da cui si è ritirato tre volte, così come ad Ainata, Tallousa, Bint Jbeil e al-Qawzah. L'unico tentativo di avanzare fu verso le città di al-Bayyada e Chama nel settore occidentale, che divennero un cimitero di carri armati e soldati delle forze d'élite nemiche. Questi si sarebbero poi ritirati sotto gli attacchi e il fuoco dei combattenti della Resistenza”, evidenziava il documento che in conclusione ribadiva l'impegno “a continuare il percorso di resistenza con ancora maggiore determinazione, a continuare a stare al fianco degli oppressi, dei deboli e dei combattenti in Palestina, e la sua capitale, al-Quds, che rimarrà un simbolo e un percorso per generazioni che sognano libertà e liberazione”.

4 dicembre 2024