Con l’offensiva “Dissuadere l’aggressione”
Le forze Jihadiste conquistano il potere in Siria. In fuga Assad servo di Putin
Guerra civile, separatismo e il gioco di Usa, Russia, Turchia, Israele e Iran in Siria. Il leader Jolani: “Penso che una volta caduto questo regime, la questione sarà risolta e non ci sarà più bisogno che nessuna forza straniera rimanga in Siria”
Auspichiamo un accordo politico con i curdi. In ogni caso l’esistenza e l’integrità del Rojava è fuori discussione
L'antipopolare e corrotto regime siriano, servo della Russia nazizarista, di Bashar Al Assad è caduto, travolto dall’offensiva jihadista. “La vittoria della grande rivoluzione siriana e la caduta del regime criminale di Assad”, era scritto su un messaggio a tutto schermo in grossi caratteri bianchi su sfondo prevalentemente rosso apparso l’8 dicembre nella TV di Stato pochi attimi dopo l’ingresso dei rivoltosi nella capitale Damasco. In un precedente messaggio, il gruppo HTS aveva annunciato di aver rovesciato “il tiranno” Assad e liberato i prigionieri ingiustamente detenuti da anni nelle carceri.
Un’offensiva che ha riacceso una guerra civile che era stata in gran parte dormiente per anni, mentre si rincorrono i giochi imperialisti nel paese arabo. All’indomani del cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele in Libano, gli islamici siriani sunniti rinchiusi da tempo nell’enclave di Idlib e bombardati quotidianamente dall’esercito siriano con il sostegno russo e iraniano hanno lanciato il 27 novembre l’offensiva “Dissuadere l’aggressione”, travolgendo l’esercito siriano in rotta e conquistando una dopo l’altra le città di Aleppo, Hama e Homs, oltre a delle fasce del nord-ovest del paese, partendo dagli aeroporti militari fino ai centri del potere politico, arrivando nella capitale Damasco nella notte dell’8 dicembre, da dove il servo del nuovo zar del Cremlino Putin Assad è fuggito da verme.
L’offensiva “Dissuadere l’aggressione”
A guidare la rivolta islamica è stato il gruppo di Hayat Tahrir Al Sham (HTS), l’ex braccio siriano di Al Qaeda, nota dall’inizio del 2017 anche come Organizzazione per la liberazione del Levante. Un’organizzazione “ombrello”, formata da tredici fazioni sunnite che hanno dato vita ad una forza combattente di 60 mila uomini che utilizza droni e autobombe, sotto cui sono raccolti diversi gruppi ed elementi jihadisti, dai salafiti passati per organizzazioni come Ahrar al-Sharqiya o il fronte daghestano, a fuoriusciti dello Stato islamico, considerata “terrorista” dall’imperialismo occidentale. Il suo leader Ahmed al-Sharaa, nome di battaglia Abu Mohammad al-Jolani con cui è ampiamente conosciuto, intervistato il 5 dicembre dalla CNN, ha rivelato che l’obiettivo della coalizione anti Assad era quello di rovesciare “il regime autoritario” di Damasco, parlando dei piani per creare “un governo basato su istituzioni e un consiglio scelto dal popolo”. “Quando parliamo di obiettivi, l’obiettivo della rivoluzione rimane il rovesciamento di questo regime. È nostro diritto usare tutti i mezzi disponibili per raggiungere tale obiettivo” ha affermato Jolani. “I semi della sconfitta del regime sono sempre stati al suo interno… gli iraniani hanno tentato di far rivivere il regime, prendendo tempo, e in seguito anche i russi hanno cercato di sostenerlo. Ma la verità rimane: questo regime è morto.”
Jolani ha espresso il desiderio di vedere le forze straniere lasciare la Siria. Attualmente ci sono forze provenienti da Stati Uniti, Turchia, Russia e Iran. “Penso che una volta caduto questo regime, la questione sarà risolta e non ci sarà più bisogno che nessuna forza straniera rimanga in Siria” che invece “merita un sistema di governo istituzionale, non uno in cui un singolo sovrano prende decisioni arbitrarie. La dinastia Assad è al potere da 53 anni, dal 1971. Per mantenere il suo dominio decennale, il regime ha ucciso centinaia di migliaia di persone, imprigionato dissidenti e sfollato brutalmente milioni di persone all’interno e all’estero. Stiamo parlando di un progetto più ampio, stiamo parlando di costruire la Siria”, ha continuato Jolani. “Hayat Tahrir al-Sham è solo una parte di questo dialogo, e potrebbe dissolversi in qualsiasi momento. Non è un fine in sé, ma un mezzo per svolgere un compito: affrontare questo regime”.
Hassan Abdel Ghani, alto comandante dei miliziani islamisti, ha cercato di rassicurare le minoranze religiose, sottolineando di stare tranquille perché “l'era del settarismo e della tirannia è finita per sempre. È diventato chiaro a tutti che le nostre forze hanno dimostrato la loro disciplina sul campo sotto le direttive e gli ordini della nostra leadership”, ha dichiarato il comandante che fa parte dell'alleanza guidata da Hayat Tahrir al-Sham.
Tutto il Paese appare instabile. Deir el-zor è stata presa dai curdi che ora hanno anche il controllo di un valico di frontiera tra Siria e Iraq, così come un passaggio di frontiera con la Giordania non è più delle forze governative.
Curdi e Rojava
Auspichiamo un accordo politico della nuova dirigenza islamica della Siria con i curdi. In ogni caso l’esistenza e l’integrità del Rojava deve essere fuori discussione. Nelle mani dei ribelli è finita anche la città di Daraa. Un quadro che ha portato Amman a decidere la chiusura dei confini, così come ha fatto anche la direzione generale della sicurezza libanese. L’Onu parla di almeno 370 mila sfollati dall’inizio della crisi e dal campo arrivano testimonianze di fughe in massa dalle città siriane. I morti sarebbe già più di 700, tra cui molti civili caduti sotto il fuoco dei bombardamenti russi su Aleppo e altre città siriane, accorsi in soccorso dell’alleato Assad.
Da parte sua il presidente siriano Bashar Assad aveva promesso di “sconfiggere i terroristi indipendentemente dalla grandezza dei loro attacchi. La Siria continua a difendere la sua stabilità e integrità territoriale contro tutti i terroristi e i loro sostenitori, ed è capace, con l’aiuto dei suoi alleati e amici, di sconfiggerli ed eliminarli, indipendentemente dall’intensità dei loro attacchi”, ha detto in un colloquio telefonico con la sua controparte degli Emirati.
Immediate le reazioni di tutte le componenti imperialiste presenti sul suolo siriano. Secondo l’ex ambasciatore James Jeffries, gli Stati Uniti sono stati “colti di sorpresa” dalla rapida avanzata delle forze ribelli siriane. In una chiamata con il suo omologo iraniano Masoud Pezeshkian, Assad aveva incolpato gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali per l’offensiva, accusandoli di “ridisegnare la mappa della regione”. Di fatto gli USA continuavano ad usare i curdi delle Forze democratiche siriane (FDS) in funzione anti Assad nel nord-est, dove hanno ora in mano lo snodo di Albukamal, punto di passaggio alla frontiera irachena usato dalle milizie sciite per far affluire materiale. Un blocco accentuato dal pattugliamento di velivoli americani. Tuttavia la teoria di Trump è quella di lasciare il prima possibile il campo siriano.
Bashar al Assad “è fuggito” dalla Siria dopo aver perso il sostegno della Russia, ha scritto a caldo il neo presidente americano in un post su Truth social, poche ore dopo l’ingresso dei miliziani jihadisti a Damasco. “Assad non c’è più. È fuggito dal suo Paese. Il suo protettore, la Russia, la Russia, la Russia, guidata da Vladimir Putin, non era più interessata a proteggerlo. Non c’era alcun motivo per cui la Russia restasse lì” sostiene il presidente eletto degli Stati Uniti, sottolineando che Mosca “ha perso ogni interesse per la Siria a causa dell’Ucraina, dove quasi 600.000 soldati russi sono stati feriti o uccisi, in una guerra che non sarebbe mai dovuta iniziare e che potrebbe andare avanti all’infinito”. Nel post, Trump afferma poi che “Russia e Iran si trovano in questo momento in uno stato di debolezza, l’una a causa dell’Ucraina e dell’economia che va male, l’altro a causa di Israele e dei suoi successi nella guerra”.
Dopo lo smacco attacchi aerei russi
Il 29 novembre la Russia che vede disfarsi l’investimento fatto nel Paese arabo dove ha ottenuto due importantissime basi militari per ingerirsi in Medioriente, ha definito l’attacco dei miliziani islamici ad Aleppo un’invasione della sovranità siriana: “Esortiamo le autorità siriane a riaffermare il controllo e a ripristinare l’ordine costituzionale il prima possibile”, ha sottolineato il portavoce presidenziale Dmitry Peskov in una conferenza stampa. Anche l’altro grande alleato di Assad, l’Iran, tramite il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, ha ribadito l’appoggio al regime siriano: “È ovvio che gli Stati Uniti e il regime israeliano sono in combutta con i gruppi terroristici in Siria”, in quanto “il regime sionista, dopo il recente fallimento dei suoi obiettivi, cerca di raggiungere i suoi scopi creando insicurezza nella regione attraverso questi terroristi” ha affermato il 1° dicembre.
Tuttavia gli attacchi aerei russi, di piccola scala, non sono stati sufficienti a rallentare gli insorti. Secondo fonti di Sky News Arabia, la Russia ha dichiarato che qualsiasi intervento a sostegno di Damasco sarà limitato, poiché attualmente è concentrata su altre priorità, vedi l’Ucraina, così come l’Iran che nel documento finale della riunione trilaterale tra i ministri degli Affari Esteri di Iraq, Iran e Siria, tenuta il 6 dicembre, ha sì affermato che “La Repubblica Islamica ha sempre sostenuto la Siria e continuerà a farlo con tutte le sue forze”, invitando tutti i paesi a prendere posizione contro le minacce del terrorismo, ma tuttavia finora gli interventi di Teheran sono stati marginali. Hezbollah, principale braccio armato di Teheran nel paese per ora non sta intervenendo e i miliziani sciiti sostenuti dall’Iran, così come Haj Askar e Haj Sajad, alti comandanti presenti a Deir ez-Zor e al-Mayadin, nell’est della Siria, hanno ritirato le loro forze e sono entrati in territorio iracheno. I cataclismi causati dalle guerre a Gaza e in Libano hanno spinto Teheran a rivedere la propria presenza militare in Siria. Ciò è apparso indispensabile agli strateghi iraniani alla luce di alcuni importanti fattori sul terreno.
La Russia frastornata teme per le due importanti basi a Tartus, quella navale e a Hmeimim (Latakiya) quella aerea. La vittoria di HTS minaccia di minare la sua influenza geopolitica in Medio Oriente. Mosca cercherà di garantirsi, grazie a una intesa con la Turchia, che le sue basi restino dove sono. I cittadini russi però sono pessimisti considerando che negli anni passati la Russia è stata determinante con la sua aviazione nell’assistere le forze armate siriane e che è accusata di aver ucciso con i bombardamenti centinaia se non migliaia di civili.
Altro attore imperialista è la Turchia. Le parole di Recep Tayyip Erdogan non lasciano dubbi sul sostegno della Turchia agli insorti: “La marcia dell’opposizione continua ad avanzare. Speriamo che continui senza incidenti o problemi”. E il 7 dicembre chiariva: “Spero che la Siria trovi la pace che sogna da 13 anni. I nostri fratelli e sorelle siriani meritano libertà, sicurezza e pace nella loro patria”, ha detto durante una visita a Gaziantep. Parole che indicano la volontà di rispedire a casa al più presto i tre milioni di profughi
siriani sul suolo turco.
Allo stesso tempo i battaglioni dell’Esercito nazionale siriano fedeli a Ankara attaccano i curdi nella fascia sul confine e li spingono verso sud, dove non è escluso un intervento diretto dei carri armati turchi.
Truppe e bombardamenti sionisti
Infine Israele. È evidente che Tel Aviv non si vuole lasciare sfuggire l’occasione di indebolire la posizione iraniana in Siria e continua a prendere di mira le sue postazioni. Mentre le sue truppe avanzavano nelle alture del Golan, l'aviazione sionista ha compiuto bombardamenti a tappeto contro le milizie ribelli islamiche. E da par suo il nuovo Hitler Netanyahu ha avvertito lunedì in conferenza stampa a Gerusalemme: “il Golan israeliano appartiene a Israele per l’eternità”.
La possibilità di un coordinamento russo-israeliano incombe su Teheran, con entrambi i paesi determinati a ridimensionare l’influenza iraniana nella regione. La Russia, controllando lo spazio aereo siriano, già ha permesso a Tel Aviv di condurre molteplici attacchi aerei contro posizioni iraniane, che hanno portato anche all’uccisione di membri di spicco del Corpo dei Guardiani della rivoluzione.
Secondo fonti di Teheran, Bashar al-Assad aveva sollevato “con cautela”, dopo aver consultato la Russia, la questione di ridurre la presenza militare iraniana in Siria per favorire gli investimenti dei paesi della Lega araba nella ricostruzione del paese, stimati in 1.000 miliardi di dollari nell’arco di un decennio. Quanto a Netanyahu il suo obiettivo immediato è impedire a Hezbollah di ricostruire il proprio arsenale militare, in parte distrutto con i bombardamenti a tappeto in Libano. Le filiere del transito di armi e dei componenti dei missili assemblati nelle strutture clandestine di Hezbollah passano dalla Siria. Israele bombarda regolarmente obiettivi in territorio siriano legati all’Iran e a Hezbollah: poche ore prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco libanese l’aviazione israeliana ha distrutto tre varchi tra la Siria e il Libano, lanciando un messaggio chiaro. Poi Netanyahu ha chiesto a Putin di bloccare i traffici di Hezbollah nel porto siriano di Latakia dove c’è la base navale russa.
La destabilizzazione della Siria serve a Netanyahu per colpire il bersaglio grosso del premier, ossia l’Iran: questa è la parte più importante del suo piano che sottoporrà Trump una volta insediato alla Casa Bianca. Piegati gli Hezbollah, decimati i palestinesi, frantumata la Siria, pronti a colpire l’Iran, l’asse israelo- americano vede più vicino il progetto imperialista di fare dello stato sionista l’incontrastata superpotenza della regione.
Dopo la caduta della città meridionale siriana di Quneitra in mano jihadista, il 7 dicembre Tel Aviv ha dispiegato altre forze militari, di terra e d’aria, al confine con cui lo Stato di Israele separa se stesso dalla Siria, sulle Alture del Golan. Un confine artificioso e illegittimo, come ha ribadito il 3 dicembre l’Assemblea generale dell’Onu: l’occupazione israeliana del Golan è “nulla e priva di qualsiasi validità” e va rimossa.
Il 7 dicembre da Doha l’imperialismo dell’Ovest, USA, Francia, Germania, Regno Unito, l’ONU e l’Unione europea si sono detti d'accordo nell'avviare a Ginevra colloqui inter-siriani per gestire il post-Assad ed evitare "un bagno di sangue" in Siria, coinvolgendo nei negoziati sia esponenti "presentabili" del governo siriano - esclusi quindi Bashar Assad e il fratello - sia rappresentanti di HTS. A margine del Forum a Doha sono iniziati i colloqui tra Iran, Russia e Turchia nel cosiddetto “formato Astana”, inaugurato nella capitale del Kazakistan nel 2017 sulla situazione in Siria e di cui pubblichiamo un’ampia scheda a parte.
11 dicembre 2024