Approvata senza dibattito e con doppio voto di fiducia alle Camere
La manovra non dà risposte alle masse che non arrivano a fine mese e che non possono curarsi
Confermato e rafforzato in parlamento l'impianto classista, antipopolare, familista e militarista della legge di Bilancio 2025

“L'esecutivo e la sua maggioranza hanno espropriato le Camere del diritto di esaminare la legge più importante dello Stato e hanno violato ogni regola prevista sui tempi di discussione, imponendo inoltre maxi-emendamenti e voto di fiducia. Una maggioranza sgangherata che produce una finanziaria altrettanto inadeguata, riempita di marchette per accontentare questo o quel partito. Scriveremo al presidente della Repubblica Mattarella per denunciare il gravissimo atto di arroganza che il governo ha commesso nei confronti del Parlamento”. A scrivere questa vibrante denuncia lamentandosi della prevaricazione del governo e della sua maggioranza sul parlamento, espropriato del diritto di esaminare e discutere la legge di Bilancio, non sono le opposizioni parlamentari, PD, M5S, AVS, ma era Giorgia Meloni il 30 dicembre 2021, e il governo era quello di Draghi, come era quello di Conte a maggioranza PD-M5S quando la leader fascista di FdI aveva scritto altri due post del tutto simili nel 2019 e nel 2021.
Adesso che non è più all'opposizione, e che da capo del governo ha fatto esattamente la stessa cosa dei suoi predecessori, anzi peggio, perché non ha nemmeno la scusa dell'emergenza Covid, invece va tutto bene, e chi se ne frega se pur essendo stata presentata in parlamento a ottobre, la legge è stata tenuta ferma quasi due mesi in commissione Bilancio della Camera affinché i partiti della maggioranza neofascista la potessero riscrivere più e più volte a colpi di emendamenti, in un loro vergognoso mercato privato delle marchette, per poi consegnarla già precotta alla “discussione” in aula solo il 18 dicembre, e approvarla in tre giorni col voto di fiducia il 20, senza uno straccio di dibattito e dopo aver respinto quasi tutti gli emendamenti dell'opposizione. E infine approvarla in via definitiva al Senato con maxi-emendamento blindato e voto di fiducia il 28 dicembre, come se si fosse in un monocameralismo di fatto.

100 milioni di mance e mancette elettorali
Ed è così che è stato non solo confermato in pieno l'impianto classista, antipopolare, familista e militarista di questa terza manovra del governo neofascista Meloni, che non toglie un solo euro agli enormi e crescenti profitti dei capitalisti realizzati in questi anni, concede solo briciole ai lavoratori dipendenti e pensionati, che non recuperano neanche l'erosione dovuta all'inflazione, mentre taglia pesantemente la sanità, l'istruzione, i trasporti, i servizi e l'assistenza sociali e stanzia invece ingenti aumenti alla difesa e agli armamenti; ma è stato addirittura rafforzato con ulteriori aggiunte e modifiche e “arricchito” di un centinaio di milioni di euro di mance e mancette per premiare i collegi elettorali di ministri, sottosegretari e parlamentari della maggioranza. Tra queste, solo per citarne alcune, la riduzione delle accise per i birrifici e i 100 milioni per le gelaterie artigianali voluti dalla Lega; la detassazione delle mance nei ristoranti e bar voluta da FdI; i 2 milioni per le gare di ciclismo professionale; i 100 mila euro per la parrocchia di S.M. Della Grotticella di Viterbo; gli altrettanti per il teatro Marrucino di Chieti; i 50 mila per il palio di Asti; i 300 mila per l'accademia Vivarium novum di Frascati; il milione (nel 2027) per la ristrutturazione del teatro parrocchiale di Santa Maria Assunta di Brignano a Gera d’Adda (Bergamo); i 3 mln per il Club alpino, e così via.

Norme civetta per edulcorare tagli e iniquità
Beninteso, l'ulteriore peggioramento di questa legge di Bilancio 2025, i cui aspetti principali abbiamo già trattato approfonditamente nei numeri precedenti de “Il Bolscevico”, passa anche da certi emendamenti “migliorativi”, inseriti direttamente dal governo o, in qualche caso, aprendo parzialmente a richieste delle opposizioni, ma al solo scopo di edulcorare, e quindi far digerire meglio il suo carattere particolarmente iniquo e antipopolare. Ne è un tipico esempio l'emendamento demagogico della Lega, che per mascherare la falsità della promessa di cancellare la Fornero, consente a chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, e quindi sta interamente nel contributivo, di poter utilizzare la rendita maturata nei fondi pensione per raggiungere la soglia minima d’importo della pensione Inps che dà diritto di andare in pensione anticipata a 64 anni. Si tratta di 3 volte l'assegno sociale, pari a circa 1.600 euro. Di contro però dal 2025 occorreranno almeno 25 anni di contributi (e 30 dal 2030), mentre oggi con la Fornero ne bastano 20, per lasciare il lavoro. Inoltre dal 2030 la soglia minima salirà a 3,2 volte l'assegno sociale.
È chiaramente una norma civetta ancor peggiore della Fornero, rivolta solo ai redditi medio-alti che si possono pagare i contributi integrativi e pensata per spingere i fondi pensione e arricchire le finanziare private, tant'è che si calcola riguardi solo un centinaio di persone nel 2025. Va nella stessa direzione anche l'aumento di 8 euro mensili per i pensionati over 75, che serve per mascherare la vergogna dell'aumento di 1,80 euro mensili alle pensioni minime.
Poi ci sono i rifinanziamenti che servono a far dimenticare i ben più consistenti tagli degli stessi fondi, come per esempio il rifinanziamento per 400 milioni in due anni del fondo per l'automotive, dopo che però la manovra ha privato questo settore in piena crisi e a rischio di decine di migliaia di licenziamenti, di ben 4,6 miliardi (-80%). Soldi per di più destinati interamente al riarmo imperialista, l'unico comparto risparmiato dai tagli ai ministeri per ben 7,7 miliardi in tre anni; che riceve anzi un budget senza precedenti di 39 miliardi nei prossimi tre anni per lo sviluppo dell'industria nazionale degli armamenti, e in aggiunta un aumento di spesa per il solo acquisto di armi di 7,5 miliardi nel triennio.
Un altro esempio di rifinanziamento civetta è quello per 10 milioni nel 2025 e 20 nel 2026 del fondo per la morosità incolpevole, il fondo di sostegno agli affitti di famiglie in difficoltà che però è stato completamente azzerato per due anni dal governo Meloni con la sua prima e seconda Finanziaria, e di milioni ne valeva 320 nel 2022: una piccola elemosina per nascondere una grossa porcata, così come il modesto allargamento delle maglie per la concessione del ristretto Reddito di inclusione che ha sostituito l'abolito Reddito di cittadinanza perché “troppo generoso”.

Scuola, Università, Mezzogiorno
Nella stessa categoria rientrano altre modifiche “migliorative”, come il rinvio al 2026 del blocco del turn-over al 75%, che “grazia” per un anno Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni già pesantemente stangati con un taglio lineare delle spese da quasi 5 miliardi in tre anni. E come le nuove assunzioni di 1.866 docenti di sostegno nella scuola, quale contentino dopo aver tagliato 5.660 unità tra il personale docente e 2.200 posti tra il personale Ata. In compenso, con altri due emendamenti, si regalano alle scuole private altri 50 milioni in più per l'accettazione di studenti disabili (le cui famiglie non sono certo bisognose, mentre quei soldi vengono tolti al sostegno ai disabili poveri nelle scuole pubbliche), e si aumenta la detrazione fiscale da 800 a 1.000 euro per chi iscrive i figli alle scuole paritarie.
Stessa logica applicata nel comparto universitario, con il contentino di 9 milioni stanziati per la stabilizzazione dei ricercatori del Cnr, a fronte dei 700 milioni complessivi tagliati in tre anni tra blocco del turn over e tagli alla ricerca e alla formazione. Idem per quanto riguarda il Mezzogiorno: con questa manovra non solo non c'è un euro in più per gli investimenti, ma il governo non aveva neanche rinnovato per quest'anno la decontribuzione previdenziale per le aziende che effettuano nuove assunzioni a tempo indeterminato nella zona economica speciale Zes (in pratica regioni del Sud e isole). Dopo le proteste ha abbozzato una finta marcia indietro in parlamento, con un emendamento che ripristina una “mini-decontribuzione” del 25%, che oltretutto esclude i settori agricolo e del lavoro domestico, è riservata solo ad imprese fino a 250 dipendenti, e per un importo massimo di 145 euro al mese per lavoratore. E nel 2026 e 2027 calerà al 20%.

Obiettivo: distruzione della sanità pubblica
Per quanto riguarda la sanità, a cui la premier neofascista va vantandosi di aver destinato “risorse mai viste”, in parlamento non è stato aggiunto neanche un euro ai miseri 1,3 miliardi lordi in più per il 2025, “aumento” peraltro fittizio, perché non recupera neanche l'inflazione ed è praticamente assorbito dai rinnovi contrattuali dei lavoratori della sanità, pochi spiccioli al mese. Mentre si rinviano quantomeno al 2026 le risorse per affrontare i drammatici e urgenti problemi dell'assunzione straordinaria di medici e infermieri e dell'abbattimento delle enormi liste d'attesa per interventi ed esami diagnostici, con 2 milioni di famiglie, per un totale di 4,5 milioni di assistiti, costretti a rinunciare a curarsi perché non hanno neanche i soldi per rivolgersi alla sanità privata.
Problema gravissimo, a cui il governo fa fronte con una ridicola detassazione al 5% degli straordinari di medici e infermieri e un ulteriore aumento della quota per la sanità privata convenzionata. In questo modo surrettizio accelera anche il suo piano di smantellamento del Ssn e di privatizzazione dell'intera sanità pubblica. A confermarlo non è solo il dato della spesa sanitaria pubblica, nominalmente in aumento come si vanta Meloni, ma che in rapporto al Pil è prevista ancora in calo, ma anche il rapporto “Il monitoraggio della spesa sanitaria” pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato, secondo cui tra il 2022 e il 2023 la spesa sanitaria pubblica è cresciuta del 2%, arrivando a toccare quasi 133 miliardi di euro (comunque ben sotto l'inflazione), ma quella privata ha superato i 43 miliardi, con una crescita del 7%, oltre tre volte più veloce.

Drenaggio fiscale per i salari bassi, soldi solo alla politica familistica e dei bonus
Dal parlamento è uscito confermato senza cambiare una virgola anche l'impianto classista, cioè antioperaio e filopadronale, delle misure fiscali della manovra, che assorbono quasi i due terzi dei 30 miliardi complessivi, a cominciare dai 13 per confermare e rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti già reiterato annualmente a partire dalla legge di Bilancio 2022 di Draghi, e ora trasformato in un sistema di bonus a fasce di reddito fino a 40 mila euro.
Si tratta in realtà di una partita di giro, che usa i contributi previdenziali e assistenziali degli stessi lavoratori per simulare aumenti salariali fittizi che verranno ripagati con i tagli alle pensioni, alla sanità, ai trasporti e a agli altri servizi sociali, risparmiando al tempo stesso alle imprese di aumentare i salari che sono tra i più bassi d'Europa. Per di più, trattandosi solo di una conferma di quanto già stanziato l'anno scorso, non solo i lavoratori non riceveranno nessun aumento, ma molti avranno addirittura una riduzione della retribuzione. La Cgil stima infatti in 17 miliardi la perdita complessiva dovuta al drenaggio fiscale prodotto dal salto di fasce di reddito per effetto dei bonus.
Secondo la controriforma fiscale regressiva del governo neofascista, altri 4,8 miliardi andranno a confermare la riduzione da 4 a 3 aliquote dell'Irpef, che però è quasi tutta a vantaggio dei redditi medio-alti, tra i 35 mila e i 40 mila euro. Sotto i 35 mila euro non ci sarà un euro in più nel 2025, ma una perdita media di 200 euro a causa del fiscal drag, mentre solo sopra i 35 mila euro si avrà un aumento medio lordo di 79 euro, finanziato appunto con 10 dei 17 miliardi di drenaggio fiscale dei redditi più bassi. Inoltre i soldi stanziati per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego arrivano al 6%, ma recuperano appena un terzo del potere d'acquisto che le retribuzioni hanno subito dagli ultimi rinnovi a causa dell'alta inflazione.
Dove invece la premier neofascista non ha lesinato i soldi è nel foraggiare la sua politica demagogica sulla natalità e la famiglia, di ispirazione mussoliniana, in cui ha investito ben 6 miliardi tra bonus nuovi nati da 1.000 euro, super-decontribuzione previdenziale del 120% per le lavoratrici madri, estesa alle autonome, con isee sotto 40 mila euro, congedi parentali e bonus asili nido, Ape sociale e Opzione donna più favorevoli per le mamme, bonus asili nido fino a 3.000 euro/anno per Isee fino a 25 mila euro, congedo parentale fino a 3 mesi e retribuzione 80%, bonus elettrodomestici da 100 euro, carta “dedicata a te” da 500 euro per l'acquisto di generi di prima necessità per le famiglie bisognose, e così via.

Manica larga con le imprese, il ponte sullo Stretto e gli speculatori
In realtà questa manovra non dà nessuna risposta ai lavoratori e alle masse popolari, che sempre di più ormai non riescono ad arrivare alla fine del mese e sono costrette perfino a rinunciare a curarsi. Risponde solo alla politica di sacrifici imposta dell'Ue imperialista col nuovo Patto di stabilità e agli interessi dei capitalisti, dei ceti più abbienti, degli evasori fiscali, delle lobby di riferimento dei partiti della maggioranza neofascista.
Basta guardare a vantaggio di chi vanno gli emendamenti che hanno approvato in aula: a partire dall'Ires premiale, con lo sconto dal 25 al 20% pari a 400 milioni per il 2025 regalato alla Confindustria, coperto anche questo col giochino del finto prelievo da banche e assicurazioni (nient'altro che detrazioni d'imposta differite), dopo che l'anno scorso le imprese avevano già avuto sconti per 5,5 miliardi; il miliardo e mezzo in più ottenuto da Salvini per il faraonico ponte sullo Stretto, soldi rubati al Sud dai fondi per la coesione e lo sviluppo, che si aggiungono ai 12 miliardi già stanziati, più un altro miliardo per la Tav Torino-Lione; la marcia indietro del governo sull'aumento al 42% della tassa sulla speculazione sui bitcoin, tornata al 26% su richiesta della Lega; così come, con un emendamento di FI, la marcia indietro sulla cosiddetta Web tax del 3% sulle aziende che operano nel digitale, che è stata ristretta a quelle con ricavi superiori a 750 milioni.
C'è perfino il regalo alla lobby dei cacciatori, con un emendamento della FdI Maria Cristina Caretta (ex presidente Federcaccia), che rende molto più difficili i ricorsi delle associazioni contro i calendari venatori regionali. Per non parlare del vergognoso blitz della maggioranza sull'equiparazione degli stipendi dei ministri e sottosegretari non parlamentari ai loro colleghi eletti, che avrebbe regalato loro un aumento di 7.000 euro al mese. Solo dopo lo scandalo e le proteste si sono dovuti “accontentare” di un regalino da 2.500 euro a titolo di “rimborso spese”.

Alzare il tiro sul governo neofascista Meloni
Nel salutare con soddisfazione la decisione di Cgil e Uil di proclamare lo sciopero generale del 29 novembre contro la manovra del governo, avevamo anche avvertito però che era tardiva, si basava su una piattaforma insufficiente e priva di respiro strategico, perché non metteva nel mirino il governo neofascista Meloni, e che la mobilitazione doveva essere per affossare la manovra stessa, non per cambiarla, anche perché il governo aveva depositato la legge praticamente blindata in parlamento per l'approvazione con voto di fiducia, rifiutando ogni discussione e emendamenti dell'opposizione, come in effetti è andata.
Sarebbe a questo punto un danno doppio, per i lavoratori e le masse popolari, se le direzioni sindacali di Cgil e Uil smobilitassero la lotta, relegando lo sciopero generale del 29 novembre a un isolato atto simbolico invece di continuare quella mobilitazione, alzando stavolta il tiro direttamente sul governo neofascista Meloni, per farlo cadere al più presto prima che le conseguenze della sua politica mussoliniana filopadronale, antipoplare, repressiva, razzista, militarista e interventista diventino sempre più devastanti.

8 gennaio 2025