Record di suicidi, 90, nelle carceri sovraffollate
Urgono indulto o amnistia e pene alternative

Aggiungendo l'ultimo detenuto che si è tolto la vita il 31 dicembre scorso nel carcere di Modena, il 2024 è stato l'anno nero per numero di suicidi accertati in carcere - novanta - da quando il dato viene rilevato dal Ministero della Giustizia, ed è stato superato il precedente record, di 84 suicidi, risalente al 2022.
Anche se superato dagli eventi accaduti negli ultimi undici giorni dello scorso anno, è utile ricordare i dati, aggiornati al 20 dicembre 2024, di un rapporto pubblicato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Dai dati del rapporto si evince che nello scorso anno, fino al 20 dicembre, ci sono stati nelle carceri italiane 83 suicidi (che portano a 603 il numero degli ultimi 10 anni) oltre ad altre 20 morti sospette per cause ancora da appurare. Di tali 83 suicidi accertati, la maggior parte dei quali si è impiccato, il 46% riguarda persone che si trovavano in custodia cautelare in carcere nei confronti dei quali non vi era una condanna definitiva e il 54% riguarda persone che stavano scontando i primi sei mesi di detenzione. Gli istituti di pena che hanno visto almeno un detenuto togliersi la vita sono 54, ossia il 28% delle carceri italiane. Di tali 54 istituti ben 51 registrano un indice di sovraffollamento superiore a 100, ossia ospitano il doppio di detenuti rispetto al dovuto. Le Regioni italiane maggiormente interessate dal fenomeno sono state la Campania (11 suicidi), il Veneto (9), la Lombardia (8) e la Toscana (8). Riguardo all'età dei detenuti che si sono tolti la vita, il più giovane aveva 20 anni, mentre il più anziano ne aveva 74. Il 77% dei suicidi si sono verificati in sezioni del carcere a custodia chiusa, un regime detentivo che non consente lo svolgimento di attività lavorative esterne all'istituto e limita o condiziona pesantemente attività scolastiche, formative, sportive, ricreative, culturali e sociali. Il rapporto rileva inoltre che lo scorso anno, fino al 20 dicembre, nelle carceri italiane ci sono stati anche 2.035 tentati suicidi, 12.544 atti di autolesionismo, 5.532 atti di aggressione, 256 denunce di detenuti che accusano appartenenti a corpi di polizia di averli percossi nel momento dell’arresto (e tali atti criminali riguardano corpi di polizia che operano all'esterno delle carceri, soprattutto polizia di Stato e carabinieri, e in misura minore guardia di finanza nonché polizie provinciali e locali). Infine il rapporto riferisce di 1.436 manifestazioni di protesta collettiva, di 12.706 manifestazioni di protesta individuale e di 7 rivolte nelle carceri, fatti che sono il chiaro sintomo della tensione che i detenuti vivono nelle carceri italiane.
Anche se il rapporto del Garante non ne parla, non bisogna dimenticare poi le torture alle quali vengono sottoposti i detenuti nelle carceri italiane da parte degli appartenenti alla polizia penitenziaria, torture già accertate dai Tribunali di Ferrara e di Siena che hanno già condannato gli aguzzini responsabili e in corso di accertamento da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e della procura della Repubblica di Trapani, mentre purtroppo nulla di serio la magistratura ha sinora fatto per capire come sono morti nel giro di poche ore, l'8 marzo 2020, ben 13 detenuti in varie carceri italiane: escludendo ovviamente che siano morti a causa del freddo, bisogna ancora capire come sono morti o, meglio ancora, chi li ha assassinati, perché sono in molti a sospettare quest'ultima ipotesi.
Il problema delle carceri è talmente grave che persino Sergio Mattarella, che capeggia lo Stato borghese che è l'unico responsabile di questa tragedia, ha dovuto piangere lacrime di coccodrillo nel suo messaggio di fine anno giacché tale abnorme numero di suicidi in carcere "è indice di condizioni inammissibili", e noi marxisti-leninisti aggiungiamo che il fenomeno dei suicidi in carcere deve essere considerato una sorta di pena di morte irrogata consapevolmente dallo stesso Stato borghese ai detenuti più deboli e indifesi a causa di un classista e discriminatorio sistema detentivo, una politica criminale che costringe i detenuti o a suicidarsi o a ribellarsi, e in quest'ultimo caso si è visto cosa è accaduto l'8 marzo 2020.
È una situazione esplosiva alla quale si può in qualche misura far fronte soltanto con un indulto, un'amnistia o una legge che estenda notevolmente l'utilizzo di pene alternative al carcere.
L’indulto, previsto dall’articolo 174 del codice penale, è un provvedimento che riduce o condona parzialmente la pena inflitta, senza estinguere il reato o gli effetti penali della condanna, salvo diversa disposizione.
L’amnistia invece, disciplinata dall’articolo 151 del codice penale e dall’articolo 79 della Costituzione, annulla il reato e la condanna, estinguendo sia la pena principale che quella accessoria.
Le misure alternative alla detenzione in carcere sono quattro, l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà e la liberazione anticipata, previste rispettivamente dagli articoli 47, 47 ter, 48 e 54 della legge n. 354 del 6 luglio 1975.
Il governo Meloni, tuttavia, ha fatto della repressione e del carcere i suoi cavalli di battaglia e difficilmente metterà mano a indulto o amnistia, e men che meno estenderà l'applicazione delle misure alternative al carcere. Recentemente Carlo Nordio, ministro della Giustizia, ha dichiarato che “amnistia e indulto sono plausibili come segno di forza e magnanimità, ma se vengono interpretati come provvedimenti svuota-carcere, sono manifestazioni di debolezza”. Lo scorso novembre Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia pesantemente intrallazzato con la polizia penitenziaria, aveva detto a proposito di un nuovo mezzo di trasporto dei detenuti in uso a tale corpo: “è per il sottoscritto un'intima gioia l'idea di veder sfilare questo potente mezzo che dà prestigio, con sopra il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria e far sapere ai cittadini come noi sappiamo trattare e incalziamo chi sta dietro quel vetro e non lo lasciamo respirare. Credo che in una visione molto semplificata dell'esistenza sia una gioia anche per tutti i ragazzi che vogliono scegliere di servire lo Stato con la divisa della polizia penitenziaria”. Lo stesso Delmastro si è sempre e costantemente distinto per la critica all'introduzione, nel nostro ordinamento giuridico, del reato di tortura, difendendo politicamente a spada tratta in più occasioni gli appartenenti alla polizia penitenziaria finiti sotto processo per tale reato.
È chiaro che da simili individui, i quali sono promotori di una cultura che legittima di fatto la tortura nelle carceri lasciando mano libera agli aguzzini e che lascia ai detenuti l'alternativa del suicidio o della rivolta, non potrà esserci risposta politica diversa dall'indifferenza verso i detenuti e dal manganello poliziesco nonché dalla repressione di stampo fascista, e questo deve spingere gli autentici democratici a combattere una battaglia di civiltà insieme ai detenuti che rivendicano i loro diritti per costringere e obbligare il governo Meloni a prendere in considerazione l'ipotesi dell'indulto, dell'amnistia o di una legge che estenda notevolmente l'utilizzo di pene alternative al carcere.

8 gennaio 2025