Nell'inchiesta sulla morte di Ramy Elgam indagato un carabiniere per omicidio stradale e altri due per falso, frode processuale e depistaggio
Il manganello è la sola risposta che il governo Meloni dà a quanti chiedono Giustizia per Ramy
Le proteste nelle piazze per questo omicidio di Stato
“Giustizia per Ramy e per tutte le morti di Stato” c'è scritto sugli striscioni delle manifestazioni che si sono susseguite in questi giorni, da Torino il 9 gennaio a a Roma il 12, da Milano a Bologna, per denunciare l'omicidio di Stato avvenuto la notte dello scorso 24 novembre nel quartiere sudorientale milanese del Corvetto dopo un inseguimento di almeno otto chilometri tra tre auto dei carabinieri e uno scooter guidato dal 22enne di origine tunisina Fares Bouzidi, il quale viaggiava insieme al 19enne di famiglia egiziana Ramy Elgaml, si concludeva tragicamente all'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, dove, in base alla ricostruzione della Procura della Repubblica di Milano, la prima delle tre auto dei carabinieri speronava la moto dei due giovani provocando l'incidente nel quale è morto sul colpo il giovane passeggero del mezzo, Ramy Elgaml, mentre il conducente, Fares Bouzidi, rimaneva ferito.
E invece di fare giustizia per questo omicidio di Stato il governo neofascista Meloni nega l'evidenza dei fatti e usa il manganello per reprimere selvaggiamente le proteste di piazza, rovesciando sui manifestanti le accuse di “seminare terrore e violenza contro i cittadini, contro lo Stato, contro le Forze dell'Ordine
”, come ha dichiarato il senatore FdI Marco Lisei, e invocando una repressione ancor più brutale e la rapida approvazione del decreto fascista sicurezza.
Le proteste di piazza di questi giorni seguono quelle esplose il giorno successivo all'omicidio di Ramy quando moltissimi giovani erano scesi piazza per esprimere la loro rabbia, solidarizzare con la famiglia del giovane egiziano e, in generale, per reclamare giustizia per Ramy. Eppure non ci sono dubbi sulla dinamica dell'accaduto.
Esiste un video dell'inseguimento, già acquisito dai magistrati milanesi e andato in onda alla trasmissione Dritto e Rovescio e realizzato non dalla gazzella dei carabinieri responsabile dello speronamento, bensì dalla terza auto inseguitrice, la quale a un certo punto rallenta e abbandona l'inseguimento e non documenta l'impatto, peraltro filmato da una telecamera di sorveglianza di un negozio che si trova di fronte al luogo nel quale il motorino si è fermato. Sono state poi diffuse ulteriori riprese da un altra auto dei carabinieri, che contengono anche registrazioni audio, peraltro già agli atti dell'indagine, che hanno fatto indignare l'intera opinione pubblica. In esse si vede una delle auto dei carabinieri inseguitrici che sperona lo scooter con l'evidente intento di farlo cadere, tuttavia il motorino non perde il controllo della strada. Un carabiniere dice testualmente nell'immediatezza "vaffanculo, non è caduto!"
e durante la ripresa dell'inseguimento un altro carabiniere esorta il suo collega alla guida dicendo "chiudilo, chiudilo... no, merda, non è caduto!".
La fine della registrazione coincide con la caduta e la conseguente morte di Ramy: i due carabinieri della prima auto inseguitrice, quella che ha provocato la caduta del mezzo e la morte del giovane egiziano, avvertono via radio che i due "sono caduti"
e un loro collega risponde, sempre via radio, "bene"
.
Non possono quindi esserci dubbi sul fatto che l'intenzione dei carabinieri delle auto inseguitrici era di far cadere il motorino a ogni costo, senza alcun riguardo per la salvaguardia delle vite delle due persone e con le conseguenze tragiche che si sono poi effettivamente manifestate.
Esisteva anche un altro filmato, realizzato da Omar, un ragazzo di 28 anni presente nel luogo dell'incidente, il quale ha dichiarato alla trasmissione 4 di Sera di avere realizzato con il suo telefono un video dell'incidente nel quale si vede chiaramente lo speronamento e il giovane egiziano “schiacciato tra la gazzella e il palo”, ma che due carabinieri gli hanno imposto, con minacce, di cancellarlo prendendo poi il telefono in mano e controllando che il video fosse stato effettivamente cancellato. Comunque tale teste si è recato in Procura rilasciando la sua deposizione sull'incidente, descrivendo i due carabinieri autori delle minacce e consegnando il telefono dal quale il perito informatico già nominato dalla Procura recupererà il filmato cancellato.
A ciò si aggiunge quanto emerso dall'interrogatorio, svolto dinanzi al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, del conducente della moto, Fares Bouzidi: “Non ho perso io il controllo
– ha dichiarato a verbale il giovane tunisino - ho sentito questa botta, questo urto, questa spinta da dietro, poi siamo volati, questo mi ricordo e mi ricordo di essermi svegliato, poi, in ospedale”. Il giovane ha poi dichiarato che “non c’era nessun alt”
da parte dei carabinieri, i quali avevano sostenuto nella loro relazione di servizio che il motorino non si era fermato a un posto di blocco: “mi sono spaventato
– ha attestato nel verbale il giovane – perché non ho la patente. Durante la fuga io speravo di fermarmi o rallentare così che Rami scendesse. Non mi sono neanche accorto che aveva perso il casco”.
Le sue parole, unitamente a quelle del testimone minacciato e di un ulteriore testimone oculare presente nella scena dell'incidente, forniscono una versione assai diversa da quella scritta nella relazione di servizio dai carabinieri, i quali affermano che nessun impatto ci sarebbe stato tra l'auto di servizio e la moto: tuttavia i primi rilievi sul luogo dell'incidente e le pressioni esercitate sul testimone per far cancellare il video hanno indotto i magistrati a ritenere che i carabinieri abbiano parecchie cose da nascondere. Così tre carabinieri sono finiti sotto indagine: il guidatore dell'auto che ha provocato l'incidente mortale con l'accusa di omicidio stradale – ma i magistrati milanesi si guardano bene dall'aggravare il capo d'accusa portandolo al reato di omicidio volontario - e i due autori delle minacce al teste per falso, frode processuale e depistaggio. Oltre alla perizia sul telefono del testimone per recuperare il video cancellato, la Procura ha ordinato una consulenza cinematica al fine di chiarire se lo speronamento sia stato volontario o meno, e ha altresì disposto il sequestro dei telefoni mobili dei sei carabinieri partecipanti all'inseguimento.
Tutto ciò ha indotto migliaia di giovani a organizzare spontaneamente cortei di protesta a Roma, a Milano, a Torino e a Bologna per chiedere giustizia per Ramy: a Roma e a Bologna lo scorso 13 gennaio la polizia di Stato, braccio armato del governo Meloni, ha caricato e manganellato in modo ignobile e indegno i giovani che chiedevano soltanto giustizia per Ramy, finendo per gettare ulteriore benzina sul fuoco.
Per contro la premier Meloni ha tuonato: “Non si può utilizzare una tragedia per legittimare la violenza. Alle forze dell’ordine va la nostra solidarietà, insieme agli auguri di pronta guarigione agli agenti feriti. Siamo dalla vostra parte
”. Al suo fianco il fascioleghista ministro dei Trasporti, Matteo Salvini ha aggiunto: “Scene indegne e vergognose. Sempre dalla parte di donne e uomini in divisa!
...prendersela con i carabinieri, attaccare i carabinieri... io ci andrei molto cauto prima di tirarli in ballo perché senza di loro l'Italia crolla"
. E così chi è sceso in piazza per reclamare la verità e giustizia per Ramy dopo la repressione poliziesca subisce la persecuzione giudiziaria. Circa una trentina di persone sono state identificate dopo la manifestazione di sabato sera al quartiere di San Lorenzo di Roma, quando qualche centinaio di manifestanti, la maggior parte dei quali molto giovani, ha provato a partire in corteo sfidando il divieto della polizia in assetto antisommossa. Analogamente a Bologna ci sono state tensioni tra polizia e manifestanti e anche in questo caso dalla questura fanno sapere di avere individuato trenta persone.
È invece politicamente indispensabile manifestare nelle piazze, è un diritto irrinunciabile degli antifascisti e antirazzisti pretendere Giustizia per Ramy, come è giuridicamente indispensabile ed è un dovere democratico da parte della magistratura ricercare la verità dei fatti e punire severamente tutti i responsabili di questo inaccettabile e brutale omicidio di Stato.
15 gennaio 2025