Report della Cgil
118 mila lavoratori rischiano il licenziamento
Erano 58 mila nel 2023

Mentre da un lato le fonti governative dipingono una Italia che non c’è, economicamente in salute, dove l’occupazione cresce e gli stipendi salgono, la CGIL, dati alla mano, fotografa un Paese dal tessuto industriale in netto peggioramento, che si trascina dietro le tasche sempre più vuote delle sue masse popolari.
Secondo i dati resi noti dal sindacato di Corso Italia, i tavoli di crisi aperti, ossia gli incontri istituzionali presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) per discutere le emergenze delle aziende in difficoltà, hanno coinvolto più di centocinquemila lavoratori rispetto ai cinquantottomila del gennaio scorso.
A questi si aggiungono anche dodicimila lavoratori di piccole e medie imprese che hanno perso il lavoro senza che le loro vertenze arrivassero all’attenzione delle istituzioni. In estrema sintesi, siamo di fronte ad un peggioramento netto, ad una caduta verticale dell’occupazione “sicura” - per quanto può esserlo in questo sistema economico - che complessivamente ha colpito almeno 118.310 persone in 12 mesi.
Nel corso del 2024 infatti, numerose aziende appartenenti a settori strategici dell’economia italiana hanno vissuto situazioni di crisi, con pesanti ricadute sull’occupazione. Tra i casi più emblematici citiamo quello di Beko, azienda del settore elettrodomestici con duemila posti di lavoro messi in discussione da una ristrutturazione che ha coinvolto sia i processi produttivi che le attività logistiche, così come la Mozarc Medical (ex-Bellco) nel settore biomedicale che ne mette a rischio 500.
Ma anche nel commercio le cose non vanno meglio (procedure aperte in Coin e Combipel), al pari del chimico come testimonia la crisi di Eni Versalis, che coinvolge gli ottomila lavoratori diretti ed i ventiquattromila dell'indotto.
Infine, ma non per importanza, il settore metalmeccanico con Acciaierie Italia (ex-Ilva), QF (ex-GKN), Piaggio e Portovesme e tante altre minori, per un ulteriore totale di decine di migliaia lavoratori che rischiano il licenziamento, alcuni di essi da mesi senza stipendio.
Come responsabile di questa situazione grave e dalla prospettiva catastrofica, la CGIL ha chiamato in causa direttamente e giustamente il governo Meloni, reo di non aver avuto e non avere una “visione strategica” su settori chiave come l’automotive, la chimica, la moda, la carta e l’energia, perseguendo invece “politiche frammentarie” ed autore di scarsi interventi per sostenere le filiere produttive in difficoltà ed in evoluzione.
L’altro responsabile, sempre secondo la CGIL, sarebbe poi l’intervento massiccio negli ultimi trent’anni delle multinazionali e dei fondi speculativi che, attratti da incentivi e agevolazioni statali, avrebbero acquisito aziende a basso costo senza preoccuparsi di investire a lungo termine. Questo avrebbe reso il tessuto produttivo italiano sempre più fragile, impoverendolo e riducendo la sua capacità di affrontare sfide globali, come la transizione ecologica e digitale.
Sicuramente anche questa rapina è innegabile, evidente al pari della cenere, delle macerie sociali ed anche dei relitti industriali da bonificare a suon di soldi pubblici che essa si porta dietro.
Per noi i due responsabili che la CGIL individua, sono in realtà un tutt’uno, due facce della stessa medaglia. Anche per noi il governo Meloni è il primo responsabile, perché che con le sue politiche economiche e fiscali antipopolari, strizza l’occhio e riempie le tasche proprio di quelle stesse multinazionali, delle grandi aziende e dei fondi infischiandosene delle conseguenze sulle masse popolari e sui conti pubblici; d’altra parte ora è questo esecutivo neofascista nel nostro Paese che serve la borghesia, come altri lo hanno fatto in passato.
La questione di fondo dunque non è “l’assenza di una visione strategica”, perché il governo Meloni ce l’ha e come, e la mette in pratica per ingrassare il capitale sulla pelle del proletariato italiano, delle lavoratrici e dei lavoratori da sfruttare finchè servono e da accantonare con qualche briciola di ammortizzatore sociale quando non servono più.
Il vero problema è il sistema capitalista in sé, nel quale multinazionali, fondi speculativi e governi borghesi hanno ciascuno il proprio ruolo; una formula evidente e chiara come la luce del sole, che però il sindacato guidato da Landini pare non vedere fino in fondo, ostinandosi nel chiedere “azioni tempestive e coordinate” che migliorino le condizioni di vita delle masse lavoratrici, a quello stesso governo borghese in camicia nera che non le promuoverà mai.
Il nostro auspicio è che la CGIL, il più grande sindacato italiano, sappia trarre insegnamento dalla lezione che hanno dato centinaia di migliaia di operai, operaie, pensionati, pensionate, studentesse e studenti, che sono scesi in piazza per lo sciopero del 29 novembre scorso dimostrando quanto le masse siano pronte a lottare per abbattere con la piazza questo governo il prima possibile, e dare con esso un calcio alle sue politiche antipopolari.
Poi, per cancellare anche il ruolo delle multinazionali e dei fondi, occorrerà andare ancora più avanti e scegliere di relegare nella pattumiera della storia il capitalismo e costruire il socialismo che rappresenta l’unico sistema da costruire affinchè il lavoro possa diventare un elemento sociale e di uguaglianza, un diritto per tutti, al di fuori dalle dinamiche del profitto.


15 gennaio 2025