35 anni dal movimento studentesco universitario della Pantera
Io c'ero
 
di Erne Guidi
Sono passati 35 anni dal movimento della Pantera. Un’esperienza di lotta importante e indimenticabile, che ha fortemente influito nel mio percorso politico e nella mia formazione marxista-leninista. Avevo 22 anni e frequentavo la facoltà di Scienze Politiche a Firenze, dove lavoravo inizialmente part-time per pagarmi gli studi. Da due anni militavo nel PMLI.
Nel dicembre del 1989, un mese dopo la caduta del muro di Berlino, gli studenti universitari palermitani erano stati protagonisti dell’occupazione delle loro facoltà per protestare contro il DDL Ruberti, ministro del PSI, una controriforma reazionaria che si incentrava sulla privatizzazione mascherata delle Università, conformemente a quanto dettato dal “piano di rinascita democratica'' di Gelli e della P2 che avanzava in tutti i settori dello Stato.
Mi colpirono molto le interviste esclusive realizzate a Palermo e pubblicate da “Il Bolscevico” alla fine dell’anno, grazie ai compagni guidati dall’allora Responsabile giovanile nazionale Simone Malesci, in particolare l’articolo di fondo del primo numero del 1990 del nostro Organo dal titolo “Una lotta da portare fino in fondo”, nonché il seguente Documento della Commissione giovani centrale “Gli studenti devono essere i padroni della scuola e dell’università”. Tanto che quando il 22 gennaio del 1990 la mia facoltà decise, dopo un’assemblea plenaria fiume di oltre 4 ore, di occupare, mi buttai anima e corpo nel nascente movimento. Ricordo ancora al termine delle votazioni per decidere sull’occupazione della facoltà il grido assordante di oltre seicento studentesse e studenti assiepati e stretti come sardine: “Da Palermo al Settentrione un solo grido: occupazione!”.
Da noi creammo subito quattro commissioni, stampa, giuridica, didattica e diritto allo studio. Io entrai in quella della stampa e ben presto editammo un giornale, il “Movanta” che ci accompagnerà per tutta la durata dell’occupazione. Pubblicavamo i nostri documenti e quelli delle altre facoltà che ce li inviavano via fax, non senza difficoltà tecniche, all’epoca infatti non c’erano i social e i mezzi di oggi.
Ispirandomi alle 7 indicazioni lanciate dal Segretario generale del PMLI sul lavoro studentesco, compagno Giovanni Scuderi, e in stretto contatto col Responsabile della Commissione centrale di Organizzazione, compagno Dario Granito, iniziai a stringere rapporti con la sinistra del movimento, nella mia facoltà e in tutto l’Ateneo, mentre facevo la spola tra la facoltà, Assemblea permanente, lavoro di commissione, rapporti con l’esterno e la sede del Partito e de “Il Bolscevico”.
Il 27 gennaio esordimmo in piazza a Firenze, una manifestazione di 10mila studenti a cui si unirono i medi, che poco dopo avrebbero dato vita al movimento delle Tigri. Ricordo gli slogan gridati “Craxi boia” e “Benito Mussolini era socialista, con Craxi, il PSI diventerà fascista”. Sfruttando l’”effetto sorpresa”, non ero ancora stato perfettamente inquadrato come militante del PMLI, riuscii a farmi delegare all’Assemblea nazionale di Palermo del 31 gennaio e 1° febbraio insieme ad un altro studente di Pistoia. Partimmo in treno il 30 gennaio, con noi viaggiò l’inviato de “Il Bolscevico”, e alloggiammo nella facoltà di Scienze politiche occupata della bella città siciliana. Una grande esperienza politica e di fraterni e militanti rapporti sociali che instaurammo con le compagne e compagni siciliani e di tutta Italia. A Palermo emersero le prime contraddizioni. Eravamo più di 400 delegati, poi c’erano centinaia di studenti palermitani che volevano seguire i lavori, la facoltà di Lettere occupata che ci ospitava non era grande abbastanza. Venne fuori un caos sul criterio della delega e di conseguenza sulla corretta concezione della democrazia diretta. Cosicché si perse pressoché tutta la prima giornata e nella seconda ricordo che non riuscii neppure a intervenire insieme ad altre decine e decine di studenti iscritti a parlare. Tuttavia con la richiesta dell’immediato ritiro del progetto di legge Ruberti e le dimissioni del ministro, un forte impulso fu dato al movimento.
Rientrato alla base mi gettai nella battaglia di linea in corso nella mia facoltà che ricalcava quella in corso a livello nazionale. La stampa locale definiva Scienze politiche il “cervello politico” del movimento fiorentino. Da un lato c’era il nostro schieramento, la sinistra, ci chiamavano l’”ala dura”, che esprimeva un no secco e di principio alla privatizzazione dell’Università e che si batteva affinché gli studenti ne diventassero i veri padroni. Oltre al PMLI c’erano Democrazia proletaria (DP), i trotzkisti di Socialismo rivoluzionario, gli anarchici, esponenti dei Centri sociali, singoli elementi della sinistra del PCI e della FGCI. Dall’altro lato c’erano i riformisti, coloro che di fatto erano favorevoli ai privati e chiedevano soltanto un maggior controllo nella gestione dell’Università, semplici emendamenti al DDL Ruberti ed un insignificante quanto strumentale aumento della rappresentanza studentesca negli organi collegiali: destra del PCI e della FGCI, che si muovevano dietro i fax inviati dalla direzione del partito del liquidatore neoliberale Occhetto, Verdi, pacifisti arcobaleno. Epiche e rimaste famose nella memoria degli studenti fiorentini le riunioni della Commissione giuridica, gli scontri ideologici e politici che si protraevano per ore e che continuavano anche nelle notti trascorse nei sacchi a pelo sui pavimenti della “Cesare Alfieri”.
Ad ogni riunione di Commissioni o Assemblea generale il nostro schieramento cantava all’inizio un inno sulle note della canzone antifascista “I morti di Reggio Emilia” che mi riconosceva suo leader politico, dopo che il suo testo era stato votato addirittura a maggioranza, io naturalmente votai contro. Non nascondo l’imbarazzo che provavo tutte le volte, seppur capissi il significato politico di quel riconoscimento delle compagne e dei compagni di lotta.
Il 6 febbraio decidiamo a schiacciante maggioranza di proseguire l’occupazione ad oltranza ed iniziamo a preparare la seconda Assemblea nazionale della Pantera a Firenze. Per un pugno di voti non riesco ad essere eletto come delegato della mia facoltà, la destra maggioritaria fece di tutto per escludermi, ma sarò presente ugualmente nel gruppo addetto alla vigilanza. Ciò mi permetterà di seguire da vicino tutti i lavori che partirono il 26 febbraio, passare i documenti in anteprima al “Bolscevico”, stringere rapporti con studenti delle 145 facoltà di 36 città diverse presenti. Ricordo che i primi due giorni l’Assemblea si tenne a porte chiuse, ossia non fu autorizzato l’accesso alla stampa ma in tanti mi dicevano, alzando il pugno, che “fuori ci sono i tuoi compagni a diffondere il volantino con il Documento dell'Ufficio politico del PMLI ‘Benvenute pantere a Firenze’ e ‘il Bolscevico’”, una diffusione che vide la partecipazione del Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi e dirigenti e militanti del Partito tra cui Monica Martenghi, Emanuele Sala e Nerina “Lucia” Paoletti, una dei primi quattro pionieri del Partito. Alla fine i lavori durarono due settimane, facemmo a brandelli la controriforma Ruberti confermando la corretta linea di Palermo, anche se i destri nelle Commissioni fecero ben presto rientrare dalla finestra, aprendo ai privati, ciò che avevamo gettato dalla porta con il documento generale. Indimenticabile il 1° marzo quando a chiusura dei lavori della quarta giornata partì da alcuni studenti il canto de “L’Internazionale” che poi accomunò tutti, con tanto di “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung!” finale, così come l’Assemblea aperta a tutte le forze politiche e sociali del 4 marzo in Piazza SS. Annunziata, dove per il Partito intervenne il compagno Simone Malesci, Responsabile giovanile nazionale e dove il mio intervento venne accolto con un boato.
Il 17 marzo sfilammo con lo striscione di “Scienze politiche Firenze occupata” alla manifestazione nazionale delle pantere a Napoli con 100mila persone. Fu in pratica l’ultima manifestazione di massa del movimento. Tuttavia le ultime propaggini della Pantera si estesero ancora per diversi mesi, tanto che il 4 maggio si ridiscese in campo nell’incontro nazionale di Roma, nell’aula magna di Scienze politiche alla Sapienza. Centinaia di Pantere in rappresentanza di 48 facoltà di 19 città. Il mio intervento fu più volte e lungamente applaudito. Oltre ad esortare le masse studentesche ad astenersi e a smascherare i destri del movimento che si erano candidati ignominiosamente alle elezioni amministrative che si sarebbero tenute due giorni dopo, lanciai la proposta dell’”Università del popolo autogovernata dagli studenti” come risposta di classe all’allora Università e a quella che avrebbero voluto Ruberti e il governo piduista Andreotti-Craxi. Non feci in tempo a terminare l’intervento che fui subito avvicinato da Luca Casarini, delegato di Scienze politiche di Padova e che undici anni dopo guiderà i Disobbedienti nella mattanza del G8 di Genova del 2001, dopo aver creato le Tute bianche ed essere stato un consulente del Ministro per la Solidarietà Sociale Livia Turco nel primo governo Prodi, fino a esponente di spicco di Sinistra Italiana, che mi chiese delucidazioni sulla nostra proposta oltre che sul Partito e “Il Bolscevico” e intervistato dal giornalista Nicola Bruni, inviato de “Il Giorno”, diretto allora dal craxiano Francesco Damato, sulla tendenza astensionista delle Pantere.
Il 9 maggio a Firenze assaggiai anche i manganelli della repressione. Eravamo un centinaio a protestare contro l’entrata in vigore dell’articolo 16 della legge 168/89, col quale le Università potevano darsi statuti autonomi. Per impedire l’occupazione del rettorato fiorentino in piazza San Marco i carabinieri e la Digos ci caricarono e schedarono. Il 10 e 11 maggio ero nuovamente a Roma per un sit-in studentesco a Montecitorio. Grande fu la soddisfazione di contestare a uno a uno il neoduce Craxi, il vicepresidente del Consiglio suo compare Claudio Martelli, Ugo Intini, i DC Sbardella, De Mita, Scotti e Rognoni. La due giorni romana servì per valutare la possibilità di mettere in piedi un Coordinamento nazionale di sinistra ma gli ultrasinistri non vollero saperne di allargare il movimento coinvolgendo la classe operaia e altre forze sociali come proposto da noi. “Dobbiamo gettare sabbia negli ingranaggi del capitale” mi dicevano mentre scrivevano documenti roboanti nelle parole ma fallaci nei contenuti. Aspre furono le discussioni con il leader dell’Autonomia romana Davide Vender, “Davidino”, poi responsabile dell’organizzazione romana di Rifondazione comunista, e con Anubi D’Avossa Lussurgiu, portavoce dei Disobbedienti romani che poi diventerà anch’egli un dirigente del PRC e galoppino di Bertinotti.
Altri protagonisti che opportunisticamente avevano condotto il movimento ad arenarsi gettarono la maschera accettando di candidarsi con i partiti della “sinistra” borghese alle comunali e provinciali del 6 maggio. Tra loro tanti compagni di lotta che ancora siedono nelle istituzioni locali.
Nonostante tutti i suoi limiti quello della Pantera resta un grandioso e storico movimento di lotta studentesco e giovanile che deve rappresentare ancora oggi un fulgido esempio e una fonte di ispirazione per i giovani e i giovanissimi nella lotta contro la scuola e l'Università del sistema capitalista, per una scuola e un'università pubbliche, intese come servizio sociale goduto dal popolo e dal popolo controllato attraverso le studentesse e gli studenti che devono governarle. I suoi insegnamenti hanno contribuito a rafforzare la linea politica studentesca e giovanile del nostro Partito.

22 gennaio 2025