Tregua a Gaza
Hamas e la Resistenza palestinese strappano un accordo favorevole
Saranno liberati centinaia di eroici combattenti palestinesi
Hamas: “la resistenza continuerà fino alla liberazione e alla creazione di uno stato indipendente”.
Il primo scambio dei prigionieri del 19 gennaio dava il via all'applicazione dell'accordo sulla tregua a Gaza e veniva commentato con un messaggio di Hamas: “ci congratuliamo con il nostro popolo, la nostra nazione e le persone libere del mondo per il rilascio del primo gruppo di nostri prigionieri, donne e uomini, dalle prigioni dell'occupazione. Le scene di gioia del nostro popolo durante l'accoglienza dei prigionieri confermano ancora una volta il sostegno pubblico attorno alla resistenza. Le enormi masse del nostro popolo che sono uscite per accogliere i prigionieri liberati nonostante le misure oppressive dell'occupazione sono una dichiarazione di sfida contro l'occupazione. La consegna delle prigioniere nemiche in piena salute in cambio dell'abbandono da parte del nemico dei nostri prigionieri incarnava la differenza tra i valori della resistenza e la barbarie dell'occupazione". E concludeva con “rinnoviamo il nostro impegno di fedeltà ai nostri prigionieri nel cammino per liberare la nostra terra e i nostri luoghi santi e sconfiggere l'occupazione fascista. Abbiamo rispetto per i sacrifici del nostro grande popolo a Gaza e per la nostra vittoriosa resistenza, che ha dimostrato che non dimenticherà i suoi prigionieri”.
La mattina del 18 gennaio il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar con una nota su X annunciava che il cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza sarebbe entrato in vigore alle 8 e 30 del giorno successivo, dopo che nella notte l'ufficio del criminale Netanyahu aveva dato la notizia dell'approvazione ufficiale da parte del governo nazisionista, arrivata due giorni dopo quella di Hamas. Anzi il cessate il fuoco è entrato in vigore alle 10 e 15, per l'ennesimo cavillo sollevato artificiosamente dai nazisionisti che nelle 3 ore hanno bombardato ancora Gaza e ucciso altri 19 palestinesi, 30 i feriti.
Il Movimento di resistenza islamico Hamas aveva comunicato la firma dell'accordo sul cessate il fuoco definito come una vittoria per il popolo palestinese e la sua incrollabile resistenza di fronte a sfide senza precedenti: “l'accordo di cessate il fuoco è il risultato della leggendaria resilienza del nostro grande popolo palestinese e della nostra coraggiosa resistenza nella Striscia di Gaza, che è durata oltre 15 mesi. L'accordo per fermare l'aggressione a Gaza è un risultato per il nostro popolo, la nostra resistenza, la nostra Ummah e le persone libere del mondo. Segna una pietra miliare fondamentale nella lotta contro il nemico, aprendo la strada al raggiungimento degli obiettivi di liberazione e ritorno del nostro popolo. Questo accordo deriva dalla nostra responsabilità nei confronti del nostro popolo fermo e paziente a Gaza, mirando a fermare l'aggressione sionista, porre fine allo spargimento di sangue e porre fine ai massacri e alla guerra genocida che hanno sopportato. Esprimiamo la nostra gratitudine e apprezzamento per tutte le onorevoli posizioni ufficiali e popolari che hanno espresso solidarietà con Gaza, sostenuto il nostro popolo, denunciato i crimini dell'occupazione e lavorato per porre fine all'aggressione, a livello arabo, islamico e internazionale. Un apprezzamento speciale va ai mediatori che hanno compiuto sforzi significativi per raggiungere questo accordo, in particolare Qatar ed Egitto”.
Per la cronaca anzitutto registriamo due dati. Quello di 123 morti, dei quali 33 bambini e altrettante donne, e più di 270 feriti nella Striscia di Gaza al 18 gennaio, causati dalle bimbe nazisioniste nei pochi giorni intercorsi dall'annuncio dell'accordo raggiunto dai negoziatori a Doha e la decisione formale dell'accettazione dai criminali di Tel Aviv che hanno continuato con la serie di stragi della popolazione palestinese nei territori occupati. E quello del bilancio del genocidio a Gaza, della guerra di un esercito superarmato a un popolo sostanzialmente disarmato, arrivato secondo quanto registrato dal ministero della sanità di Hamas al momento dell'inizio della tregua a 47.035 morti, 1 ogni 50 abitanti della Striscia con una media spaventosa di 100 morti al giorno per 471 giorni, e 111.091 feriti, 1 ogni 20 abitanti della Striscia con una media di 235 al giorno, per la maggior parte sono donne e bambini; sono circa 18 mila i bambini assassinati. Ci sono inoltre almeno 11 mila dispersi, rimasti sotto le macerie. Questi i numeri aggiornati del genocidio palestinese di cui i nazisionisti devono essere chiamati a rispondere nelle sedi politiche e giuridiche internazionali che finora hanno chiuso gli occhi e li hanno lasciati continuare impuniti per decenni perché coperti dai complici imperialisti Usa e Ue.
L’accordo prevede, dopo il cessate il fuoco, una serie di azioni che nel corso di sei settimane porteranno a un primo scambio tra prigionieri mentre le forze occupanti si dovrebbero ritirare gradualmente dal centro di Gaza, consentire il ritorno dei palestinesi sfollati nel nord della Striscia e l'ingresso di consistenti aiuti umanitari. Non prevede la fine dell'assedio di Gaza, nella Striscia dove anzi sarà più difficile se non impossibile il lavoro per le circa 200 ong internazionali presenti in base alle nuove stringenti procedure di accesso decise dai sionisti.
Le tre fasi principali dell'accordo iniziano col cessate il fuoco e lo scambio dei prigionieri calendarizzato per le prime 6 settimane, le modalità dell'avvio dei negoziati tra sedici giorni per una tregua duratura che dovrebbe portare intanto al ritiro completo degli occupanti e alla definizione di un piano di ricostruzione sono elencate nel testo che riportiamo a parte. Come richiamato nella parte in appendice definita nell'ultimo passaggio a Doha, l'intesa è stata raggiunta sulla base di quella elaborata da Tel Aviv e presentata pubblicamente dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden come fosse propria il 31 maggio 2024. Su questo testo i negoziati avevano portato nel luglio scorso a un accordo di principio espresso da parte di Hamas. I nazisionisti, coperti dai complici imperialisti Usa, facevani saltare il tavolo accusando la controparte ma, come è emerso in questi giorni, il fallimento delle trattative finora era dovuto sostanzialmente ai criminali di Tel Aviv che volevano annientare Hamas e avevano già da prima dell'attacco della resistenza palestinese del 7 ottobre 2023 in programma di aggredire e invadere Libano e Siria per liquidare una volta per tutte le forze che appoggiavano la Resistenza e dare un colpo devastante, se non definitivo, all'Iran. L'Iran è certamente indebolita, Hamas e Hezbollah pur avendo avuto il gruppo dirigente decimato dagli assassini sono ancora in piedi, la dittatura siriana di Assad è implosa ma a dire il vero nonostante i suoi territori del Golan occupati non aveva mai dato un pensiero ai vicini nazisionisti. Che comunque portano a casa il risultato di aver ridotto le presenza palestinese in una Gaza divenuta un luogo inabitabile e che porterà a lungo i segni della distruzione, a partire dai 42 milioni di tonnellate di macerie causati volontariamente dai bombardamenti sionisti e per smaltire i quali ci vorranno una decina di anni, con l'obiettivo di spingere altri palestinesi ad andarsene; portano a casa il risultato di nuove terre occupate in Cisgiordania e a Gerusalemme est, cacciando dalle loro case e terreni coltivati i palestinesi a vantaggio delle sempre più grandi colonie. Sono due passaggi a favore del progetto di insediamento coloniale sionista nella Palestina, perseguito da tutti i governi che si sono alternati alla guida dell'entità sionista fin dalla sua nascita e che ha sempre negato nei fatti il diritto all'autodeterminazione palestinese; la questione palestinese non comincia il 7 ottobre 2023 come narrato ancora dalla propaganda filosionista che domina sui media imperialisti occidentali, casomai i 15 mesi di guerra di genocidio a Gaza e in Cisgiordania confermano che i nazisionisti non vogliono riconoscere lo status di profughi ai palestinesi e che quindi hanno il diritto a tornare sulle proprie terre, da criminali li considerano solo bersagli senza identità da eliminare o cacciare. Questa situazione dal 20 gennaio subirà anche gli effetti diretti della politica imperialista del secondo mandato presidenziale di Trump che già nel primo mandato aveva prodotto gli Accordi di Abramo in appoggio al progetto coloniale sionista in Palestina.
Nella tarda serata del 15 gennaio il primo ministro del Qatar Al Thani annunciava ufficialmente la definizione dell'intesa tra la parte palestinese e quella israeliana. Precisava che l'applicazione del cessate il fuoco che avrebbe avviato la prima fase sarebbe stata monitorata da un organismo conb sede al Cairo composto dai rappresentanti di Qatar, Egitto e Usa e che i dettagli sulla seconda e terza fase sarebbero stati annunciati dopo il completamento della prima.
A dire il vero l'accordo era già stato dato per fatto da Trump sul suo social, avvisato dal suo inviato speciale che ha partecipato solo alle ultime due settimane di negoziati, e lo definiva come un “accordo epico, realizzabile solo con mia vittoria” per prendersene il merito e per ribadire in sintesi il suo programma: “basta terroristi a Gaza, espanderemo gli accordi di Abramo”. Nella vergognosa lite tra galletti imperialisti, di cui i media occidentali hanno dato ampio resoconto, rispondeva piccato Biden, “non è vero, l'accordo è merito mio”, dopo aver retto bordone ai nazisionisti per 15 mesi e averli riforniti delle superbombe che hannoi fatto stragi a Gaza. Fra gli altri commenti dei governanti imperialisti complici o supporter dei nazisionisti registriamo quello del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani che a botta calda, con la premier neofascista Meloni impegnatissima nei voli transatlantici alla ricerca di un posto di prima fila alla corte di Trump e Musk, si preoccupava anzitutto di ribadire la disponibilità per conto del governo di inviare a Gaza una forza militare sul modello di quella Unifil in Libano e poter così sbandierare con più forza il tricolore imperialista nella regione.
Il leader di Hamas nella Striscia, Al-Hayya, mentre a Gaza si festeggiava con sventolio di bandiere, canti e preghiere di gratitudine, dichiarava: “in questo momento storico, esprimiamo il nostro orgoglio e onore per il nostro popolo a Gaza” e rendeva “omaggio ai martiri di tutte le fazioni caduti nella battaglia per difendere al-Quds e al-Aqsa". Sottolineava che l'attacco della resistenza del 7 ottobre 2023, “l'operazione Al-Aqsa Flood ha segnato una svolta critica nella nostra causa e i suoi effetti non finiranno con la conclusione della battaglia. Ciò che le Brigate al-Qassam hanno compiuto ha colpito fatalmente l'entità nemica e questo rimarrà impresso nella storia". Ammoniva gli aggressori, “il nostro popolo non dimenticherà coloro che hanno partecipato al genocidio. Non dimenticheremo né perdoneremo" e elogiava la forza e la determinazione dei combattenti palestinesi, “i nostri combattenti hanno condotto operazioni contro il nemico con volontà e forza senza pari. Il nemico non vedrà mai un momento di debolezza da parte nostra”.
Al-Hayya esprimeva gratitudine ai palestinesi in Cisgiordania, “ringraziamo il nostro popolo e la gioventù rivoluzionaria in Cisgiordania, specialmente nell'eroico campo di Jenin (il campo profughi messo sotto assedio dall'Anp di Abu Mazen, ndr), Gerusalemme est e nell'entroterra occupato”. Evidenziava la solidarietà regionale a partire dal Libano, “il popolo libanese ha fatto grandi sacrifici e ha mostrato immensa pazienza nel difendere e sostenere la nostra causa palestinese. (...) Hezbollah ha offerto centinaia di martiri, tra cui i suoi leader e combattenti, guidati dall'onorevole Segretario generale Sayyed Hassan Nasrallah, sulla strada per al-Quds". Ringraziava gli Houthi dello Yemen definendoli "fratelli nella verità che hanno superato la distanza geografica e cambiato l'equazione della guerra e della regione". E infine l'Iran per i suoi contributi, “ringraziamo la Repubblica islamica dell'Iran, che ha sostenuto la nostra resistenza e il nostro popolo, si è impegnata nella battaglia e ha colpito al cuore il nemico", così come la resistenza irachena che "ha rotto tutte le barriere per sostenere la Palestina e la sua resistenza." Ricordava e elogiava la solidarietà di nazioni come Turchia, Sudafrica, Algeria, Russia, Cina, Malesia, Indonesia, Belgio, Spagna e Irlanda. E concludeva sottolineando che “ora affrontiamo una nuova fase nella nostra resiliente Gaza, una fase di costruzione, conforto, rimozione degli effetti dell'aggressione e ricostruzione” e riaffermando l'obiettivo finale della lotta palestinese: “al-Quds e al-Aqsa rimarranno la nostra bussola e il simbolo della nostra jihad e resistenza fino alla liberazione e alla creazione di uno stato indipendente”.
Fra gli altri commenti ripresi dalla rete rileviamo quello dal titolo “Prima il cessate il fuoco, poi la liberazione della Palestina” pubblicato il 15 gennaio da Jewish Voice for Peace, un’organizzazione ebraica americana che si presenta come un'organizzazione nazionale di base che lavora per la libertà dei palestinesi e per l’ebraismo oltre il sionismo, ha circa 750.000 membri, sostenitori e partecipanti nell’ultimo anno ed è la più grande organizzazione di questo tipo al mondo.
Ecco il testo del comunicato: “Oggi, dopo 15 mesi di genocidio dei palestinesi di Gaza da parte del governo israeliano, sostenuto e permesso dal governo degli Stati Uniti, è stato annunciato un accordo di cessate il fuoco di 42 giorni. Ci aggrappiamo alla speranza di un arresto dei bombardamenti dell’esercito israeliano, della fine dell’affamamento dei palestinesi da parte del governo israeliano, dell’inizio della ricostruzione a Gaza e del ritorno alle loro famiglie degli ostaggi detenuti in Israele e a Gaza.
I prossimi giorni e le prossime settimane, durante questo fragile cessate il fuoco, saranno cruciali per il movimento di solidarietà con la Palestina, affinché questo accordo temporaneo si trasformi in un arresto completo del genocidio, con il flusso illimitato di aiuti umanitari e la fine dell’occupazione militare israeliana e dell’assedio di Gaza. Dall’inizio del genocidio del governo di Israele, oltre 47.000 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano – un dato gravemente sottostimato, visto che alcune stime arrivano a centinaia di migliaia. L’esercito israeliano ha devastato interi quartieri e città e ha raso al suolo l’infrastruttura secolare della vita palestinese, decimando l’organizzazione sanitaria di Gaza, le forniture idriche, la rete elettrica, le scuole, le università e le istituzioni culturali.
Piangiamo ogni singola preziosa vita persa. Come ebrei, sappiamo che il trauma di questa campagna di annientamento durerà per generazioni.
Come americani, sappiamo che il genocidio israeliano è stato portato avanti con bombe statunitensi, fondi statunitensi e impunità facilitata dagli Stati Uniti. Chiediamo anche di porre fine alla complicità delle aziende che traggono profitto dal genocidio. Lasciata nelle mani dei governi statunitense e israeliano, dei produttori di armi e delle istituzioni guerrafondaie, questa fragile tregua non significherà la fine del genocidio israeliano o del violento status quo dell’apartheid israeliano.
Spetta a tutti noi garantire che questo accordo temporaneo sia solo un inizio. Ogni giorno degli ultimi 467 giorni, milioni di persone in tutto il mondo si sono riunite per chiedere la fine del genocidio e la libertà dei palestinesi. Insieme, dobbiamo fare in modo che questo accordo diventi un passo verso la liberazione della Palestina, l’unico modo per raggiungere una pace giusta per tutti”.
L'opposto del programma dei nazisionisti illustrato dal capo di Stato maggiore dell'esercito, il generale Halevi, che il 20 gennaio dichiarava: “Insieme agli intensi preparativi di difesa nella Striscia di Gaza e in Libano, dobbiamo essere preparati a operazioni significative in Giudea e Samaria (la Cisgiordania illegalmente occupata non esiste più neanche nella toponomastica nazisionista, ndr) nei prossimi giorni per prevenire e catturare i terroristi prima che raggiungano i nostri cittadini”. Tregua a Gaza, violazione della tregua in Libano e guerra in Cisgiordania dove già la sera del 19 gennaio si registravano attacchi con pietre e molotov dei coloni, protetti dall'esercito, che davano fuoco a vetture palestinesi e bloccavano le strade in almeno sette città della regione occupata.
22 gennaio 2025